« Shall we skate? -
Agape Rhapsody
«Ancora
una volta!»
La voce rimbomba secca per il palazzetto che, se non fosse per l'uomo e
il bambino, sarebbe altrimenti vuoto.
Gli occhi di un brillante azzurro, che stridono con il taglio
tipicamente allungato degli orientali ma al contempo lo rendono
affascinante da guardare, del piccolo piegato in avanti sulla pista
ammiccano privi della fatica che il suo corpo minuto invece dimostra
con il fiatone e le gote arrossate; è perfettamente in
bilico sulle lame dei pattini bianchi nonostante non paia avere che
sette/otto anni scarsi e con quegli arruffati capelli neri sembri
più un pulcino spelacchiato che un pattinatore.
Ad ogni modo la cosa non sembra suscitare alcuna tenerezza nel bel viso
altero di chi è, invece, fermo dietro il muretto che
delimita la pista con le braccia severamente incrociate al torace ampio
fasciato da un'aderente polo nera a collo alto che stringe bene sui
fianchi sottili e termina poco sopra la cinta chiara che regge i jeans
di denim scuro. Ha gambe lunghe e forti, di chi le ha usate nello sport
per tutta la vita, ma la sua figura mantiene un che di delicato nei
lineamenti gentili del viso nascosto in parte dalle lunghe ciocche
bionde che sfuggono dalla coda bassa in cui ha costretto dei capelli
che arrivano poco sopra i fianchi. E' più che chiaro che si
sforzi notevolmente di cancellare anche quella traccia di dolcezza
dietro un'espressione accigliata, le labbra premute fra di loro mentre
segue con lo sguardo il bimbo riprendere a pattinare in circolo e
prepararsi a provare nuovamente il triplo toe-loop che prima
aveva mancato per un soffio.
«Rimani concentrato. Se lo sbagli un'altra volta non avrai i piroshky che ti ho
portato»
«Ma-»
«Concentrato!» abbaia di nuovo quello, piegandosi
leggermente in avanti, gli occhi verde azzurri che luccicano per un
istante di irritazione nel continuare a guardare il piccolo pattinatore.
Il bimbo gonfia le guance e poi quando si sente sicuro spicca il salto,
concentrandosi sulla rotazione come gli è stato detto -
ordinato - di fare.
Quando torna a toccare terra coi pattini un grosso sorriso brillante si
apre sul visetto e solleva le braccia sopra la testa facendo segno di
vittoria con entrambe le mani, esultante «Visto? Visto?! Ci sono
riuscito!»
Il giovane uomo sospira, scuotendo leggermente il capo, le labbra che
fremono appena e l'espressione che si fa ancor più arcigna.
«Hai aspettato troppo per saltare. Devi stare più
- oh, ouch. Ok, ok» barcolla, spalancando le braccia, quando
si ritrova ingabbiato dalla morsa del nanerottolo che ha ben pensato di
fiondarsi su di lui a tutta velocità per abbracciargli i
fianchi con una risata. E'
tutto suo padre, quel moccioso. «Sei stato
bravo.»
Il bambino sorride, strofinando il viso contro lo stomaco dell'adulto,
sicuro che anche lui si sia tolto quella faccia da antipatico e stia
sorridendo. Lo fa raramente ma sa che è capacissimo di
riuscirci. Semplicemente... com'è che dice otets? Qualcosa
come ''ha una parte da portare avanti, ne risentirebbe la sua
dignità''. Non che comprenda cosa voglia dire, ma suppone
che lo faccia soltanto perché altrimenti gli altri lo
prenderebbero in giro.
«Quindi ora me li dai i piroshky, dyadya?»
chiede, con la sua migliore combo 'voce e occhioni da cucciolo' stile
Gatto con gli Stivali.
Il biondo finge di pensarci su, cogliendo con la coda dell'occhio le
guanciotte del nipotino gonfiarsi per l'ennesima volta, ma alla fine
gli scocca un lieve sorriso e gli scompiglia i capelli facendogli un
cenno con il capo ad indicare gli spogliatoi «Vai a
cambiarti. Sono nel mio borsone... ma-» lo richiama,
vedendolo precipitarsi quasi senza neanche togliersi i pattini
«-non più di due. Mi raccomando»
«Stai cercando di rubarmi l'allievo?»
Le spalle del russo si irrigidiscono instantaneamente, mero riflesso
residuo di irritazione che negli anni non è andato via, per
poi rilassarsi quando voltandosi si ritrova a ricambiare lo sguardo di
chi gli ha rivolto la parola.
Nota sempre con piacere come sia rimasto più basso di lui,
che con lo sviluppo ha raggiunto il tanto sospirato metro e ottanta
nonostante le infauste previsioni, cosa che gli permette di rivolgergli
un sorrisetto arrogante mentre infila le mani nelle tasche e fa
spallucce.
«E' lui che me lo chiede. Si vede che il suo coach non
è poi così bravo»
Il più grande alza gli occhi castani al cielo - non porta
più gli occhiali da tempo, optando per le lentine - per poi
scuotere il capo e sorridere rassegnato. Non cambierà mai,
quel tipo, per quanto tempo possa passare.
«Semplicemente perché sei il suo idolo Yurio. E ti
vede, se tutto va bene, tre volte l'anno»
Il russo non sa se incazzarsi per il soprannome che continuano tutti ad
usare - anche se, deve ammettere, ormai è da tempo che non
gli dà più veramente fastidio - o per l'accusa
neanche troppo velata che il trentaquattrenne gli rivolge. Oppure
sentirsi lusingato per il fatto che quel pidocchietto lo consideri il
suo idolo.
Alla fine opta un po' per tutte e tre.
«Scusami se vivo dall'altra parte del mondo e ho ancora una
carriera, io»
Il moro sbuffa, inarcando un sopracciglio e piazzandosi le mani ai
fianchi «Vivi in America,
non al Polo Sud. E anch'io ho una carriera. Alleno ragazzi
perché seguano i loro sogni, proprio come abbiamo fatto
noi.»
Un cenno infastidito con la mano da parte del biondo dichiara chiusa,
almeno per quanto lo riguarda, la discussione. Nonostante tutto,
però, si avvicina all'altro fino ad affiancarglisi ed
arricciare leggermente il naso.
«Non è che sia veramente suo zio,
Katsuki»
Il giapponese sorride, dandogli una lieve pacca su una spalla incurante
dell'espressione cupa che provoca nel vecchio nemico il gesto
«Nao ti considera suo zio e perciò lo sei. Questo
basta... e non fare il musone, su. Tanto lo so che gli vuoi bene anche
tu»
«Papà!»
Yuri si volta, guardando divertito il figlio corrergli incontro con la
bocca sporca di briciole ed uno di quei panini russi che tanto gli
piacciono stretti in un pugno. Fortunatamente in quanto a costituzione
sembra essere più affine al suo padre adottivo che non a
lui, altrimenti con tutto quello che mangia a quell'ora sarebbe stato
una palla - adorabile, ma pur sempre una palla.
«Sai che sono riuscito a fare il triplo toe-loop?»
gli chiede, con la bocca piena, una volta fra le sue braccia.
«Ah sì?» il genitore scocca un'occhiata
saputa al russo che, per tutta risposta, distoglie lo sguardo e finge
di essere assolutamente interessato al proprio cellulare.
Perlomeno fino a quando a quello - che ha sempre la solita cover
leopardata da dieci anni a quella parte - non si illumina lo schermo
ed, in contemporanea, anche lo sguardo e l'intera espressione del
venticinquenne sembrano farlo nel notare il destinatario del messaggio
prima ancora che leggerlo.
Katsuki si sposta il figlio sul braccio opposto, guardandolo con aria
curiosa salvo poi capire e sorridere dolcemente «E'
arrivato?»
«Uhm uhm»
«Allora vi aspettiamo a casa!» si ritrova ad urlare
alla schiena di Plisetsky, la mano vicina alla bocca per farsi sentire.
Ma, ovviamente, quello è già corso fuori come una
saetta.
L'aeroporto di Hasetsu è sempre un caos, durante le vacanze.
Solitamente la cittadina è tranquilla ma nelle
festività sembra che tutti si ricordino improvvisamente di
dover tornare all'ovile anche solo per un paio di giorni.
Yuri c'è abituato, sarebbe strano il contrario dato il
lavoro che fa, ma questo non significa che ami la confusione ed il
dover farsi largo a spallate per poter raggiungere gli arrivi.
Fortunatamente è abbastanza alto da non dover uccidere
nessuno per poter guardare oltre il cordone umano, cercando con lo
sguardo finché una familiare chioma castana non appare in
cima alle scale mobili insieme alla pelle brunita del suo proprietario
ed un paio di stanchi occhi nocciola impegnati a leggere qualcosa sul
suo cellulare - che, come il suo, ha ancora la cover a tema di criceti
di quando si sono conosciuti; probabilmente starà postando
su instagram qualche foto, quella è un'abitudine che non
è riuscito a togliersi neppure ora che di anni ne ha trenta
e non è certo più un ragazzino.
Ma il ventenne d'allora torna, quando alzando lo sguardo incontra
quello del russo. In quel preciso istante sembra che la stachezza
scivoli via dal viso, lavata con un colpo di spugna, e gli occhi
prendono a brillare di pura gioia tanto da non trovare neppure strano
come non aspetti che le scale facciano il loro dovere ma si precipiti a
scendere da sé trascinandosi dietro il trolley e suscitando
l'ilarità e lo sconcerto fra quanti aspettano e gli altri
passeggeri del suo stesso volo.
«Devi sempre dare spettacolo?» sbotta Yuri, una
volta che finalmente sono faccia a faccia - beh, più o meno.
Il thailandese è sempre più basso di lui di una
decina di centimetri. Ma sono dettagli, in realtà. Tutto
è sempre stato solo un dettaglio trascurabile in fin dei
conti; ci sono arrivati, c'è arrivato, tardi ma per fortuna
lo ha capito.
Il più grande fa spallucce, con aria apparentemente
angelica, mollando la valigia unicamente per gettargli le braccia al
collo e coinvolgerlo in un bacio che spezza il respiro ad entrambi.
Sono stati lontani per quasi due settimane, con Phichit a Ginevra con
il suo team, ma sono sembrati due mesi.
Plisetsky non esita più, ormai, nel ricambiare l'abbraccio
avvolgendogli le spalle e rispondere al bacio ad occhi chiusi.
Appoggiando ancora una, due volte, la bocca sulla sua compagna anche
quando il fiatone impedisce loro di continuare a salutarsi in un modo
tanto piacevole.
«Mi hai sposato per questo» ridacchia Chulanont,
accarezzandogli il viso con la mano su cui brilla la fede d'oro bianco
da ormai due anni e mezzo prima che venga coperta dalla gemella del
marito che fa mostra dell'identico cerchietto all'anulare. Riscalda
sempre il cuore guardare quei piccoli pezzi di metallo e pensare
cos'hanno costruito. Dove, nonostante tutto, siano arrivati. Insieme.
«E io che pensavo di averlo fatto per evitarmi un'altra
dichiarazione in diretta internazionale...»
Si guardano in silenzio per qualche istante, poi scoppiano a ridere.
Ormai parlare di quel disastro che è stato lo Skate America
di otto anni prima non è più brutto per nessuno
dei due. Anche perché, dopotutto, così male poi
non è andata; alla fine non lo ha pur sempre aspettato,
fuori nei corridoi del palaghiaccio, sicuro di essere raggiunto
soltanto per stampare una bella cinquina sul viso di quell'idiota
thailandese e poi baciarlo per fargli capire quale fosse la sua
risposta?
«Lo hai fatto perché mi ami» lo ribecca
quello, spintonandolo leggermente, divertito dalla sua aria non proprio
convinta.
«Hm...»
«E perché io amo te» aggiunge poi, con
semplicità, intrecciando le dita della mano libera con le
sue. Discretamente, senza prenderla davvero, come di loro consuetudine.
«Smettila di dar fiato alla bocca e muoviamoci. I Nikiforov
ci aspettano e non so quanto riuscirei a sopportare le battutine di
quel deficiente di Victor senza aver bevuto nulla prima... poi mi
spieghi perché ci siamo fatti incastrare anche questo
Natale.»
«Ehi»
«Uhm?»
Phichit volta appena il viso, senza distoglierlo dalla strada, mentre
scala la marcia e mette la freccia per svoltare; a Yuri non
è mai piaciuto più di tanto guidare,
così di solito è lui a prendersi l'onere
soprattutto se il marito è stato costretto a farlo per forza
di cose prima.
Ma il giovane uomo biondo non ha aperto neppure gli occhi, continua a
tenere il capo riverso contro il finestrino e apparentemente
sonnecchiare con le braccia incrociate al petto. Solo lui lo sa come fa
ad essere comodo in quella posizione.
«Ho visto le foto dell'allenamento di Naoki...»
«Ahhn?» finalmente il russo apre un occhio,
guardandolo accigliato. Com'è possibile se erano solo...
...Yuri.
Quel dannato maiale giapponese. Allora era lì da tutto
l'inizio.
Un sospiro è l'unica cosa che risponde il thailandese,
mordicchiandosi poi il labbro inferiore con un accenno di nervosismo.
«Ecco... pensavo...»
«Sai farlo?»
Un'occhiataccia e Yuri alza entrambe le mani al petto, in segno di
resa, invitandolo ad andare avanti.
Peccato che quello esiti.
«Andiamo, mudak. Non abbiamo tutto il giorno e stiamo
arrivando» gli fa notare, con un tono un po' più
dolce. Evidentemente è una cosa che vuole che gli altri non
sappiano se non ha aspettato di arrivare a casa di quei due per
parlargliene. O provare a farlo, visto che sembra davvero combattuto.
Alla fine Phichit prende un bel respiro, rallentando e poi fermando la
macchina. Le terme della famiglia Katsuki sono a qualche metro da loro
e già si possono sentire gli schiamazzi allegri, nonostante
abbiano i finestrini aperti; non mancherà molto prima che
qualcuno si accorga di loro.
«Mi... mi piacerebbe se la nostra famiglia si allargasse.
Cioè, ne sarei davvero davvero felice»
Il biondo rimane in silenzio a guardare la strada, intrecciando le dita
fra le gambe. Non dice nulla per svariati istanti e neppure la sua
espressione suggerisce cosa gli passi al momento per la testa.
«Parli di un bambino?» si informa soltanto, alla
fine.
Chulanont annuisce, lentamente, ma è già pronto a
ritrattare tutto. Solo che si trova a sgranare gli occhi, sorpreso,
perché suo marito ha appoggiato la testa sulla sua spalla e
chiuso gli occhi - ed è... è strano. In ogni caso
non la reazione che si aspettava.
«Voglio ricorrere all'adozione, però. Non come
quei due*» non è mai stato troppo d'accordo sulla
scelta che hanno preso gli altri due coniugi, ma suppone che a casa sua
ognuno possa fare come meglio crede.
L'ex pattinatore thailandese però neanche ci pensa a certe
cose. Non può credere alle sue orecchie e la gioia
è tanta da rivolgere un timido sguardo stordito al suo
compagno.
«E' un sì?»
Yuri riapre gli occhi, guardandolo con l'amore e la dolcezza che di
solito non dimostra. Non agli occhi degli altri, perché per
loro non è mai stato necessario essere come tutte le altre
coppie per dimostrarsi qualcosa. Per sapere quanto l'uno tenga
all'altro e sia importante, e prezioso, ciò che hanno
coltivato in quegli anni.
«E' un
sì»
Ogni loro incontro è sempre stato, del resto, qualcosa per
cui valerne la pena.
N.d.a
- Otets
= papà ; Dyadya= zio ; * = si riferisce al fatto che Victor
e Yuri abbiano ricorso
all'utero in affitto. Naoki ha sette anni ed è figlio
biologico di Yuri e di un'anonima madre surrogata (con gli occhi
azzurri, così che potesse assomigliare pure a Victor)
Ok, fatte le dovute precisazioni sul capitolo... eccoci arrivati alla
fine. Spero di non aver deluso nessuno e di essermi fatta perdonare per
quello precedente - ammetto di aver pensato ad un finale alternativo,
ma l'happy ending era d'obbligo o qualcuno mi avrebbe
ucciso.
Sono felice di aver portato a termine questo piccolo progetto ed ancor
di più di aver fatto conoscere quest'improbabile ma
adorabile coppia ed averla fatta amare da qualcun altro ("Phitchuri(o)
is love. Phitchuri(o) is life"). Ringrazio di cuore chiunque mi abbia
seguito e supportato, e un ringraziamento speciale va a Elena_17 e martinasorrentino
per i dolcissimi commenti al precedente capitolo (Grazie ragazze, siete
troppo buone. Io non sono chissà che, anche se mi impegno e
fa piacere che venga apprezzato. Così come sono felicissima
che vi sia piaciuto e che abbiate amato come me la coppia! Spero che
questo +1 sia stato una bella - degna - conclusione). E niente, al
solito ringrazio in anticipo chi leggerà e chi
vorrà lasciarmi due parole.
Qualcuno mi ha chiesto
una lemon su questi due... e chissà.
Quindi, alla prossima? Massì. See ya!
Piccolo edit:
il bannerino su, creato appositamente per questo capitolo e per la fine
della raccolta, è opera mia. Così, giusto per
dirlo (?)
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