Per una volta, ho pubblicato dopo un
periodo decente.
Dopo solo 11 giorni… credo sia il mio
record.
Spero che siate contente come lo sono
io^^
CAPITOLO 8: INCUBI DI LUNA E ABBRACCI
(QUASI) FRATERNI
Strinsi forte la maniglia e mi affacciai
all’interno della stanza. Era tutto buio. Sapevo che Ron non stava dormendo, e
camminai dritta verso il suo letto, mettendomi a sedere. Sentii il materasso
piegarsi sotto il mio peso, il corpo di Ron spostarsi per allontanarsi da me. Da
sotto le coperte spuntava la sua testa rossa, invitante. Allungai il braccio per
accarezzarla. Lentamente, lasciai che le mie dita scivolassero tra i suoi
capelli, cercando con quel gesto di trasmettergli tutto il mio amore. Lui non si
muoveva minimamente, e la sua freddezza mi spaventava. All’improvviso si girò,
trovandosi con gli occhi rivolti al soffitto.
Al soffitto.
E non a me.
"Perdonami. Perdonami perché non sono
abbastanza coraggiosa.. abbastanza forte per tutto questo. La guerra mi ha
distrutto. Mi ha ferito più a fondo di quanto immaginassi.. e ogni speranza
porta nuovo dolore. Perché il futuro mi spaventa tanto quanto il passato, e
dirti che sono innamorata di te.. potrebbe sconvolgere le uniche certezze che mi
sono rimaste a questo mondo"
Probabilmente trattenne il respiro,
perché non ne sentii più il suono. Mi afferrò la mano che avevo lasciato
scivolare dalla sua testa al cuscino, e la strinse con forza.
[Immobili. Forse per non spezzare il filo invisibile che li legava.]
[Silenziosi. Per non distrarre i loro cuori dal battere
all’unisono.]
Improvvisamente lui si alzò a sedere,
avvicinandosi pericolosamente. I suoi occhi erano lucidi come dopo un pianto, e
il mio cuore si strinse a quella vista. Portai lo sguardo sulla sua fronte alta,
sui capelli scompigliati, abbastanza lunghi da accarezzargli il collo. Sulle
labbra che non tanto tempo prima erano state sulle mie.
Mi strinse forte. In un abbraccio che
conteneva mille parole, quelle che volevo dirgli io, ma che non ero mai riuscita
a esprimere, quelle che avrebbe voluto dire lui, se solo io glielo avessi
permesso. Sapevo che quelle parole un giorno ci sarebbero state. Credo lo
sapesse anche Ron. Ma entrambi, come in tacito accordo, sapevamo che non sarebbe
stato quello il giorno. Ci bastava quell’abbraccio, quel togliersi il respiro a
vicenda, consci di non esser mai stati così vicini, così temerari. Gli avevo
appena detto che lo amavo, ma lui sapeva che nonostante questo non ero ancora
pronta per un noi. Per uno che non comprendesse anche Harry, ma che fosse
solo per lui e me.
"Raccontami il tuo incubo"
Gli sussurrai piano.
E lui cominciò a raccontare, senza
smettere di respirare nel mio collo, stringendomi forte.
"Non è.. un ricordo, come il tuo. È
qualcosa che non è mai accaduto, e che durante la notte mi appare come reale.
Vedo la tua morte, quella di Harry. Guardo il corpo riverso di Ginny sulle scale
del dormitorio. Sento gridare, ma non vedo nessuno. Soltanto corpi vuoti..
ingombrano il pavimento, sono dappertutto. Ci sono mia madre, mio padre, i miei
fratelli. Tutti morti. Poi scompaiono, si vaporizzano come se non fossero mai
stati. E io rimango. Da solo. E quando mi sveglio.. è ancora peggio. Perché
scopro che qualcosa di quel sogno è divenuto realtà"
Sapevo a cosa si riferiva. La morte di
Fred bruciava ancora, e anche se non voleva ammetterlo, sapevo che per lui era
stata un duro colpo.
Tornammo a guardarci negli occhi, a
cercare di guardare l’uno nell’altro, per trovare le risposte che non avevamo.
Perché?
Perché adesso, perché a
noi..
Ci chiedevamo il perché della guerra,
delle vite spezzate, di quelle distrutte..
Il perché dei ricordi, dei sogni, dei
silenzi.
Il perché del buio e del
vuoto.
Ma se delle risposte c’erano, a noi non
l’hanno mai detto.
*
Da quella notte però non ci furono più i
silenzi assordanti, né le flebili grida d’aiuto. Mi accordai con Ron, e la sera
seguente, dopo cena, chiesi a Ginny di venire con me nella camera dei ragazzi.
Appena entrata notai lo sguardo stupito di Harry, che seguiva con gli occhi i
movimenti della rossa. Non sapevo cos’ era successo tra loro dopo il bacio in
corridoio. Ero stata troppo occupata da me stessa per chiederle qualcosa, e lei
non aveva accennato all’argomento. La vidi sedersi dall’altra parte della
stanza, vicino al tavolo. Sorrisi istintivamente. Il tavolo era pieno di libri,
vecchie pergamene, camicie appoggiate che aspettavano di essere riposte,
incoscienti del fatto che le loro speranze erano vane. Oggetti su oggetti posti
alla rinfusa, lasciati in balia del Caso e del Tempo. I letti rifatti da
qualcuno che si era preso la briga di distendere tutte le pieghe, erano l’unica
cosa ordinata là dentro, ma anche l’unica fuori posto. Notai con sorpresa che
tutto quello mi era mancato. Avanzai verso uno dei letti e mi sedetti. Provocai
volutamente delle pieghe lungo il lenzuolo, prima di cominciare a parlare.
E parlai.
Parlammo, tutti quanti.
Buttando fuori tutto quello che ci
eravamo tenuti dentro, raccontando i nostri incubi, i nostri sogni, le speranze
perdute e i desideri acquistati. Parlammo di sangue e di ricordi. Di notti
trascorse a rievocare un passato che non avremmo potuto cambiare.
Avevo creduto che Harry, o Ginny, si
sarebbero rifiutati.. che avrebbero preferito il silenzio che li avrebbe
dilaniati dall’interno, invece di sfogarsi. Ma non dovetti pregarli più di
tanto. Entrambi erano allo stremo delle forze, e avevano bisogno di un appoggio.
…Perché la vita è anche questo, una vita che tocca un’altra vita.