Che dire, sono
anni, letteralmente, che non posto. Sono cambiate così tante cose che
non so nemmeno da dove cominciare. Partiamo dal mio blocco dello
scrittore, che mi ha travolto dopo la morte della persona che, per me,
era mio fratello. Non è stato la causa scatenante ma anche uno dei
motivi per i quali ho smesso. Non mi dilungherò oltre, spero di potervi
regalare qualcosa con questo nuovo capitolo di panna e cioccolato e
spero di potervi regalare qualcos altro ancora. Grazie a chi mi segue
ancora. Di cuore, grazie. <3 <3 <3
Jonghyun
stava letteralmente impazzendo dal dolore e non solo per il fatto che
lo aveva letteralmente distrutto, ma soprattutto per il fatto che gli
aveva buttato quella atroce verità addosso, quel macigno che avrebbe
dovuto tenersi dentro come punizione per non aver saputo superare le
sue paure da solo.
Invece
non aveva fatto un cazzo; era stato in grado solamente di aggiungere
altro dolore a quello già presente, come se ce ne fosse stato
bisogno, ed oltretutto lo aveva fatto nel peggiore dei modi.
Se
proprio doveva confessare quella verità, avrebbe dovuto creare un
momento opportuno, invece gliel'aveva gettata addosso in un modo che,
umanamente, era stato molto più che vergognoso. Nemmeno le braccia
del suo migliore amico di sempre lo avevano aiutato a stare meglio.
Minho
lo stringeva, lo accarezzava, ma nulla riusciva a calmarlo. Piangeva,
piangeva come quando un bambino perde qualcosa di prezioso, quando
sente che gli manca la terra sotto i piedi.
Piangeva
e si sentiva terribilmente perso.
Minho,
dal canto suo, non poteva far altro che rimanere lì; sapeva che
Jonghyun era idiota, ma tutta la sua vita non si riduceva solo alle
cazzate che aveva fatto. Erano pesanti e non vi era alcun dubbio,
però non era solo una persona idiota. Doveva crescere, maturare,
capire.
Sospirò,
mentre la mano passava tra i suoi capelli. I singhiozzi che
scuotevano il corpo del maggiore vibravano fin dentro il corpo
dell'altro, che sentiva un dolore simile al suo.
E
se gliel'avessi detto, chissà cos'avrebbe pensato di me.
Aveva
il gusto più dolce che avesse mai sentito; assomigliava tanto a quel
dolce insieme fatto di panna e cioccolato, morbido, ma con quella
nota forte che si sentiva proprio in fondo, come quando la torta si
scioglie in bocca e scende in gola, lasciando quel sapore che
difficilmente se ne va.
Aveva
il sapore di un abbraccio, del calore calore di una carezza, la
dolcezza di un qualcosa che Kibum aveva scordato. Perché lui, di
casa, ne aveva provato veramente una sola e forse...
Si
rifiutò di pensare in quel momento, poiché le loro labbra erano
ancora impegnate a toccarsi con estrema lentezza. La mano di Kibum si
poggiò sul petto del minore; lenta e delicata si spostò per
accarezzare quel petto che era ben più ampio di ciò che avrebbe mai
immaginato.
E
poi era così sicuro di sé che era riuscito a far mettere da parte
la paura a Kibum per qualche meraviglioso istante.
Taemin
aprì gli occhi lentamente, puntandoli immediatamente in quelli di
opale del ragazzo che ancora teneva stretto, rimanendo in silenzio.
Si stava beando del momento senza dover necessariamente interromperlo
con la voce.
Ma
Kibum, con gli occhi smarriti che correvano sui suoi, boccheggiò
appena. Cos'erano quelle emozioni che sentiva dentro?
E quelle labbra? Quegli occhi
che stava ancora osservando, nei quali ci si stava letteralmente
perso?
Notò
il lieve sorriso aprirsi nel viso del più giovane, e
la mano gentile di Kibum, dal petto, scivolò delicatamente sul collo
e sulla guancia, donando una meravigliosa sensazione di calore a
Taemin.
«
Forse… forse dovrei andare a casa. »
ma quale casa. La sua casa si era miseramente sgretolata sotto i
piedi dopo aver saputo del tradimento. Si morse il labbro talmente
forte che credette di sanguinare, ma il più piccolo, veloce e sempre
con delicatezza, col pollice, liberò da quella morsa il labbro di
occhi di opale.
«
Forse dovresti restare. »
sussurrarono le sue labbra, le
mani ancora strette in una presa sicura.
Forse
aveva ragione lui, pensò
Kibum in quel momento, non
avrebbe potuto
affrontare Jonghyun ed anzi,
forse non lo voleva nemmeno. Era stato un fulmine a ciel sereno ed
aveva freddo lì fuori. All'improvviso si era scatenata una tormenta
nel suo mondo ed aveva corso fino a che non aveva trovato un riparo
caldo, sicuro e non aveva voglia di andarsene da lì.
Il
freddo lo avrebbe ucciso nuovamente, nonostante sapesse benissimo che
avrebbe dovuto affrontare le ultime macerie rimaste; annuì, e gli fu
grato per averlo accolto nel suo mondo, regalandogli un sorriso
dolce, di quelli che ultimamente non faceva più.
Conscio
di quella pace, di quel calore, poggiò la fronte sul petto del
giovane che mai aveva smesso di stringerlo, dimenticandosi
dell'inverno fuori da quella porta.
Continuare
a struggersi nel dolore non avrebbe cambiato nulla di quello che era
successo. Smise di piangere, cercò di scostarsi di dosso l'amico
senza accorgersi di come Minho stesse male.
«
Devo… devo cercarlo e spiegarli tutto… »
mormorò tra uno singhiozzo e l'altro, cercando di tirarsi su,
lasciando il più giovane lì a terra a guardarlo; non poteva
spiegargli nulla, sarebbe stato sciocco. Avrebbe portato con sé il
proprio dolore, condividendo, invece,
quello dell'amico. Era
lui che aveva bisogno, adesso.
Minho
si alzò da terra e cercò di sorreggerlo; essendo più alto riusciva
a prenderlo per le spalle ed a tenerlo su con poco sforzo.
«
Non adesso, Jonghyun. »
«
Non adesso? NON. ADESSO? E QUANDO, EH? QUANDO! »
lo sguardo carico d'odio e la spinta che gli aveva assestato, fecero
capire al ragazzo quanto fosse disperato il più grande. Lo capiva,
sentiva un dolore lacerante squarciargli il cuore ma sapeva, -
fortunatamente era più lucido -, che sarebbe la più grande cazzata
che poteva fare.
Credeva
davvero che Kibum si sarebbe lasciato trovare? Ed anche se fosse,
avrebbe voluto parlargli? No, con ogni probabilità.
Prese
un respiro e lo guardò negli occhi. Cercò di mantenere uno
sguardo serio e deciso, convinto che nessuna delle proprie emozioni
sarebbe trasparita dai propri occhi, anche se, in realtà non era
così e si vedeva benissimo. Jonghyun, però, in quel momento era
decisamente troppo accecato dal proprio dolore per poter preoccuparsi
di qualcuno che non fosse lui stesso e Kibum.
Kibum,
Kibum. Dov'era Kibum? E se fosse andato là?
Avrebbe
di certo perso la testa, avrebbe spaccato tutto perché no, non
voleva fosse da lui, ma sapeva benissimo che non c'era altro
posto dove sarebbe andato.
Era
questo che si meritava? Sì, se lo meritava. E per quanto si
ostinasse a pensare che Kibum non poteva essere da quel ragazzo, il
suo cuore glielo aveva già detto che era esattamente così.
In
un moto d'ira prese la prima cosa a caso, un porta foto, con la loro
foto, e lo scagliò contro il muro, frantumandolo.
Ecco,
quella era la realtà, quello era ciò che aveva fatto ben sei mesi
prima, con quel bacio che la
sua ex gli aveva dato, a cui
aveva risposto, a quella verità che aveva sputato addosso a
Kibum ferendolo a morte.
Lo
aveva ucciso lui ed ora pretendeva anche di riportarlo in vita? Dopo
tutto il male che gli aveva fatto? La verità era che sapeva
benissimo di non meritarlo, perché l'amore era rispettare la persona
che aveva accanto, ma le sue insicurezze lo avevano portato a cercare
rassicurazioni in ogni cosa, persino in quel momento.
Lo
amava. Lo amava come non aveva mai amato nessuno e come forse non
avrebbe amato più nessuno, e come tutti gli idioti se ne accorgeva
troppo tardi.
Non
aveva solo aperto una voragine, l'aveva fatta diventare talmente
grande da rendere impossibile risanarla.
«
Non posso… non posso perderlo. »
si chinò a prendere la loro foto coperta da vetri e gli parve di
vedere solamente quello che era stato e quello che non era più.
La
pulì con le mani che tremavano e, senza accorgersene, ritornò a
piangere silenziosamente.
«
Sono stupido.»
Sei
stupido, Jonghyun. Non ti accorgi di niente. Non ti sei mai accorto
di niente.
Ore
lente,
ore
veloci.
Ore
di dolore,
ore
di semplice dolcezza.
Ore
d'angoscia,
ore
di tenerezza.
Minho
guardava il suo migliore amico senza proferire parola; solamente lo
sguardo preoccupato vagava in ogni dove, alla ricerca di un punto in
cui aggrapparsi, per poterlo aiutare a riprendersi.
Era
estremamente difficile farlo e ciò non faceva altro che crescere il
suo senso d'impotenza. Eppure era lì, non lo aveva lasciato solo
nemmeno un momento, si stava comportando come il migliore degli amici
anche se c'era qualcos altro di più grande.
Gli
faceva così male da togliergli il respiro, eppure non aveva mostrato
nulla, se non lo sguardo triste e delle lacrime traditrici che
Jonghyun non aveva saputo interpretare.
La
porta di casa s'aprì verso le 22:56, quando Jonghyun ormai aveva
perso il senno mille volte, e milleuna era ritornato in sé e sempre
più triste, più disperato, più confuso.
Il
volto di Kibum gli parve quasi un'apparizione: era seduto sulla
sedia, rannicchiato e con i gomiti sul tavolo, mani sul viso - e
l'amico seduto sul divano, in attesa assieme a lui-, quando sentì il
rumore della porta che s'apriva.
Si
alzò di scatto e con gli occhi sgranati guardò verso l'ingresso,
col cuore martellante che gli era finito in gola.
«
Ki.. Ki… » balbettò senza
ritegno, mentre il ragazzo entrava piano, in punta di piedi quasi,
come se stesse attento a non rompere qualcosa. Ma cosa? Era già
tutto rotto lì attorno e non solo i fiori a terra o il portafoto.
No, non era quello che era rotto, era quello che c'era tra di loro
che si era sgretolato come se fosse stato un muro fine di sabbia.
Sospirò,
si sistemò la pashmina ma non si tolse la giacca – non sua,
gliel'aveva prestata il giovane pasticcere – e lui stesso provò un
misto tra vergogna e disagio, che gli fece mordere il labbro
inferiore. E poi c'era Minho, che sapeva tutto, ma di Kibum non
sapeva niente e forse non avrebbe mai saputo niente.
Lo
salutò con un cenno del capo, al quale il moro rispose con una lieve
smorfia della bocca, alzandosi pronto ad uscire dalla scena ed anche
dalla vita dei due.
«
E' meglio che vada. » disse, e
con un lieve cenno della mano, salutò entrambi. Jonghyun lo guardò,
ma non disse nulla, probabilmente troppo preso dal suo grande amore
che, finalmente, aveva lì davanti. Avrebbe voluto dire tante cose,
avrebbe voluto parlare e raccontargli tutto.
Forse
era arrivato veramente il momento di dire ogni cosa, parlare,
spiegare come si era sentito lui allora, quali erano quelle
insicurezze, e forse, ma solo forse, avrebbero potuto recuperare ogni
cosa.
Magari
con una colla speciale che rende le crepe più belle, in un vaso
rotto. Magari insieme avrebbero raccolto quei cocci e creato un vaso
più bello, particolare perché pieno di storia e di sentimenti.
O
magari avrebbero buttato tutto, come si sarebbe meritato davvero.
Jonghyun
si umettò le labbra, pronto a parlare dopo aver preso un enorme
respiro, ma fu Kibum a fermarlo. I suoi occhi erano ancora tristi,
persi, le sue labbra erano forse pronte a dire quello che non si
voleva sentire dire, ma non lo fermò.
«
Dobbiamo parlare, Jonghyun. Di tutto. »
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