Prese
un profondo respiro, mentre le gambe le tremavano.
Quella
mattina si era svegliata presto, aveva raccolto i lunghi capelli
rossi in un elegante chignon che lasciava cadere qualche ciocca sul
collo, aveva indossato un meraviglioso vestito di seta blu, come il
suo cappello. Aveva indossato guanti di seta, orecchini e collier
d'oro, al polso un bracciale di perle e si era truccata il viso in
maniera elegante e non troppo marcata. Era una donna d'affari,
giusto? Doveva impressionare i suoi interlocutori, non era questo il
suo scopo? Doveva spiazzare e mettere all'angolo George Warleggan e
non voleva avere nemmeno un capello fuori posto. Doveva essere
perfetta nella sua prima apparizione al consiglio d'amministrazione
della Warleggan Bank.
Nonostante
il suo aspetto fosse fiero ed elegante però, una strana
ansia le
attanagliava lo stomaco. Vedere George significava aprire di nuovo i
conti col suo passato ed era certa che lui avrebbe fatto di tutto per
metterla in difficoltà, parlandogli anche di Ross, se
necessario.
A
suo favore poteva usare il cospicuo potere che le quote azionarie
della banca, acquistate coi suoi soci, le davano, permettendole di
trincerarsi dietro il puro profitto e la conclusione di affari
vantaggiosi per tutti. Era un'azionista della Warleggan Bank ora, non
una loro debitrice. E questo, George, sapeva che doveva tenerlo in
conto.
Arrivò
alla banca poco dopo le nove del mattino, leggermente in ritardo
rispetto all'orario fissato. Anche questo era studiato e rispettava
appieno l'idea che voleva dare di se a quegli uomini: noncuranza,
arroganza e poco rispetto per le loro regole. Doveva e voleva
apparire capricciosa, questo avrebbe aumentato il fascino nei soci
della banca che non la conoscevano e avrebbe fatto indispettire
George che comunque si sarebbe trovato con le mani legate, visto il
peso delle azioni che lei aveva in suo possesso.
Salì
al secondo piano dell'edificio, osservando i dipinti alle pareti e
gli eleganti tappeti che adornavano il corridoio, tutti di ottima
fattura persiana.
E
quando arrivò alla sala del consiglio d'amministrazione,
entrò
senza bussare, imponendosi un passo deciso e sicuro.
Al
centro della sala c'era un enorme tavolo d'ebano scuro e una decina
di uomini vi era seduta attorno. Alcuni erano anziani, altri alle
prime armi, forse ancora più giovani di lei. Tutti
elegantissimi,
tutti ricchi e tutti desiderosi di concludere ottimi affari.
E
a capo tavola, a dominare tutto e tutti, con gli occhi sgranati dalla
sorpresa, George Warleggan, vestito con un elegante soprabito rosso,
pallido come un cencio e senza parole. Era decisamente stupito dal
vedersela davanti... Gli era stata presentata, dai verbali, come
Demelza Carne e non col cognome Poldark. E questo aveva influito non
poco sull'effetto sorpresa. Lui non conosceva il suo nome di
Battesimo, dopo tutto...
Demelza
finse di ignorarlo, si tolse il cappello e prese posto al tavolo,
sedendosi su una delle sedie lasciate libere. "Scusate il
ritardo signori ma sapete, noi donne siamo davvero capricciose e
amiamo perdere tempo nei negozi d'alta moda" – disse,
togliendosi i guanti ed appoggiandoli al tavolo, con una lentezza ed
un'eleganza studiata.
George,
sempre più pallido, tossicchiò. "Che cosa ci fate
quì?".
Demelza
alzò lo sguardo su di lui. "Oh, non ve l'hanno detto?
Demelza
Carne, piacere di incontrarvi, signore! Sono, assieme ai miei soci,
una delle nuove azioniste di maggioranza della Warleggan Bank".
Accavallò le gambe, appoggiò la mano sotto il
mento e sorrise
amabilmente. "Ora che abbiamo fatto le nostre presentazioni,
direi che è il caso di iniziare a parlare d'affari,
è già così
tardi... mio malgrado".
"Certo!"
- asserì uno degli altri soci, un giovane dai capelli dorati
che
stava all'altro lato del tavolo.
"Certo"
– ripeté George, squadrandola gelido. "Volete che
vi presenti
gli altri soci di maggioranza?".
"No,
non è necessario. Sono quì per parlare di denaro,
non per ampliare
il mio giro di conoscenze".
George
incassò, si sedette e annuì, aprendo il verbale
posto davanti a
lui. "Oggi discuteremo della costruzione della nuova sede della
nostra banca a Oxford. Come sapete, il costo d'acquisto del
fabbricato che ci lancerà in questa nuova avventura,
è piuttosto
elevato. Ovviamente dovremo coprire i costi per la ristrutturazione,
l'ampliamento e la messa in sicurezza della banca che, ad oggi,
sarebbe una delle più grandi della città. Questo
ci porterà
profitti innumerevoli, ma altrettanto innumerevoli saranno le spese
iniziali d'investimento. Potremmo utilizzare denaro nostro, privato,
che ammortizzeremmo coi primi proventi, quando la banca
aprirà.
Oppure, usare i profitti derivanti dal pignoramento delle abitazioni
di coloro che hanno debiti con noi non ancora saldati. Ho un elenco
di nomi che vi ho fatto preparare in copia, uno per ciascuno di voi.
Queste persone sono cadute in rovina e, nonostante non si siano
conclusi ancora i termini per la restituzione delle somme che ci
devono, dubito fortemente che potranno saldare i loro debiti con noi.
Se siete d'accordo, inizierei col pignoramento dei loro immobili".
"Io
non sono d'accordo".
La
voce di Demelza ruppe il silenzio che si era generato alle parole di
George, che spalancò gli occhi. "Come?".
"Non
sono d'accordo" – ripeté, lentamente.
"Signora"
– rispose George, con malcelato disprezzo nel tono di voce
–
"Voglio ricordarvi che il pagamento dei propri debiti è un
dovere sia civile che morale, in una società onesta".
Demelza
annuì. "In una società onesta costituita da
uomini onesti, si
rispettano i termini di pagamento accordati. Quanto tempo è
stato
dato, a quelle persone iscritte su quella lista, per il pagamento dei
loro debiti?".
Uno
dei soci prese l'elenco, studiandolo. "Sono persone che hanno il
termine di pagamento fissato a gennaio del prossimo anno".
Demelza
sorrise. "Mi pare che manchi ancora molto, quindi. Siamo ancora
in estate, dopo tutto, e quelle persone potrebbero avere tutto il
tempo per estinguere i propri debiti".
"Sono
persone vicine alla bancarotta, non pagheranno nemmeno con l'avvento
del nuovo anno!" - ribadì George, piccato e rosso d'ira.
"Concedergli questi mesi farebbe di noi persone estremamente
stupide e sognatrici".
"Farebbe
di noi, persone oneste" – ribadì Demelza, non
togliendogli
gli occhi di dosso. "Io non firmerò nulla di quanto
proposto,
se questi sono i termini! Un conto sono i prestiti scaduti, un conto
quelli ancora in essere. Non rovinerò la vita di persone in
difficoltà e non intendo avere nessuno sulla coscienza".
"E
per i costi della nuova banca?" - chiese George, con aria di
sfida.
Demelza
sospirò. "Investiremo i nostri capitali, se necessario, non
mi
pare che questo sia un problema. Oppure chiederemo noi stessi
dilazioni di pagamento alla società costruttrice,
impegnandoci a
saldare coi primi proventi della nuova banca. Questa è la
mia
posizione, signori. Che, a conti fatti, è pure quella che
rispetta
la legge vigente che non consente di cambiare, in corso d'opera,
accordi già presi. Ma se voi pensate il contrario e
possedete
abbastanza azioni della Warleggan per proseguire senza la mia firma,
ovviamente sarete liberi di farlo anche senza il mio benestare".
George
si morse il labbro. I suoi occhi erano fuori dalle orbite e Demelza
avrebbe scommesso che, se avesse potuto, le avrebbe messo le mani al
collo. "Signora... Carne... ovviamente il vosto peso azionario
in questa seduta è piuttosto consistente e non possiamo non
tenerne
conto. Ma vorrei invitarvi ad essere ragionevole".
"Io
vi invito a fare altrettanto!".
Il
socio biondo giovane che aveva davanti, tossicchiò. "Io
credo
che il ragionamento della signora sia giusto, eticamente corretto. E
che possiamo, dopo tutto, trovare altre strade per i fondi che ci
sono necessari".
George
strinse i pugni, contrariato. "Voi altri signori, che ne
pensate?".
La
misero ai voti. E su undici persone presenti, tre gli diedero
ragione. Era ancora poco, avevano tutti paura di George, ma per
Demelza era già un ottimo risultato. Erano quattro contro
sette, con
abbastanza peso azionario per fermare i piani subdoli di quel
demonio.
George
sospirò. "E sia, chiederemo dilazioni di pagamento alla
società
appaltatrice. Ma sia chiaro, appena scatterà il nuovo anno,
pretenderò la restituzione di tutti i crediti non ancora
versati a
mio nome".
"E'
in vostro diritto farlo" – rispose Demelza, alzandosi in
piedi. Sorrise agli altri soci, rimettendosi i guanti e il cappello.
"Signori, è stato davvero un piacere conversare con voi
stamattina. Ma credo che ora tornerò a passatempi
più femminili,
come dello sano shopping per le vie del centro della capitale.
D'altronde, noi donne sappiamo essere così capricciose".
I
soci le fecero un inchino, osservandola stupiti, increduli per quanto
avevano appena visto. Nessuno di loro aveva mai osato contraddire
George prima di quel giorno. Poi, uno ad uno, lasciarono la sala.
Demelza
fece per imitarli ma la voce di George la raggiunse, gelida, alle
spalle. "Signora Carne... volete concedermi il piacere di due
chiacchere prima di dedicarvi ai vostri passatempi? O, dovrei dire,
signora Poldark?" - chiese, appena furono soli.
Demelza
si voltò verso di lui. Bene, erano faccia a faccia ora,
senza nessun
altro attorno. Poteva finire la sua commedia di nobildonna viziata
adesso, e giocare a carte scoperte. "Sono lusingata che vi
ricordiate di me, George".
"In
effetti è strano, i volti di voi sguattere sono tutti
così uguali"
– ribatté lui.
"Già,
puo' darsi" – rispose, a tono.
George
le si avvicinò di alcuni passi, arrivando a pochi centimetri
da lei.
"Come è possibile che siate quì, a questo
tavolo?".
"Città
nuova, vita nuova. Gli affari mi sono andati straordinariamente bene,
quì a Londra".
George
sorrise, freddamente. "Dovrebbero fare una legge che vieta a voi
sguattere e a quelli della vostra stessa specie di sedere ai tavoli
di potere, signora Poldark".
Demelza
rispose al sorriso. "Potrebbero, in effetti... Ma se facessero
una legge simile, ai tavoli di potere non potrebbero sedersi nemmeno
coloro che discendono da un'umile famiglia di fabbri, non credete?".
Sorrise, si voltò e fece per andarsene, ma George la
richiamò.
"Aspettate
un momento, non ho ancora finito con voi. Parliamo e mettiamoci
d'accordo, vorrei evitare problemi simili a quelli di poco fa, alla
prossima riunione di consiglio. E proporvi un piccolo accordo".
Demelza
si voltò verso di lui, seria. "Io non faccio accordi con
voi,
George. Dimostratevi ragionevole e andremo d'accordo, tutto
quì".
"Voi
ed io siamo molto simili, signora Poldark, da quello che vedo.
Potremmo andare d'accordo".
Demelza
si oscurò in viso. "Io non mi ritengo affatto simile a voi,
per
fortuna".
"Non
volete ascoltare cos'ho da dirvi?".
No,
non voleva. In realtà la presenza di George la stava
irritando
terribilmente. "Non ne ho particolarmente voglia. Arrivederci!".
George
non si fece intimorire. "Vostro marito... Lo avete lasciato da
ormai... un anno e mezzo, mi pare".
Gli
occhi di Demelza si assottigliarono. "Non credo siano cose che
vi riguardano. E non credo sia il caso di parlare di Ross
quì, in un
consiglio d'amministrazione della Warleggan Bank. Lui non c'entra
nulla in questo momento".
George
puntò il dito contro di lei, pensieroso. "Lo avete lasciato
e
suppongo ce l'abbiate a morte con lui per qualche motivo a me ignoto.
Vi do la possibilità di vendicarvi, di essere mia complice e
di
togliervi le vostre soddisfazioni. Come sapete, vostro marito
è
sempre stato un grattacapo per me, insieme potremmo distruggerlo".
Demelza
incrociò le braccia alla vita, squadrandolo con espressione
furente.
Come poteva chiederle una cosa del genere? Ma poi, di che si stupiva?
Era con George Warleggan che stava parlando, dopo tutto... "Non
ho alcun interesse a rovinare mio marito ma al contrario, spero che
viva felice, sereno e il più possibile lontano da me e dalla
mia
famiglia. Mi spiace George, se cercate un alleato per fargli la
guerra, cercate altrove".
"La
Wheal Grace si è dimostrata una miniera molto solida, sta
donando
infinite ricchezze a vostro marito e ai suoi soci. Se noi comprassimo
delle azioni...".
Demelza
sussultò. La Wheal Grace... Ricordava quanta fatica, quanti
sacrifici avesse fatto Ross per riaprirla, l'immenso lavoro di lui e
dei suoi uomini in quei cunicoli scuri, il triste destino di Francis,
la sua disperazione dopo il crollo e la morte di due dei suoi uomini.
Credeva che quella miniera fosse ormai chiusa, dopo quell'incidente,
invece Ross probabilmente era riuscito a tenerla in vita. "Se la
Wheal Grace si sta dimostrando un'ottimo investimento, sono felice
per Ross e per le persone che lavorano per lui. Conosco quegli uomini
e le loro famiglie, una ad una, e non intendo muovere un dito contro
di loro. Ross sta facendo la sua vita, io la mia. E mi va bene
così".
George
scosse la testa. "Signora Poldark, vostro marito cosa direbbe se
gli dicessi cosa fate a Londra? Cosa penserebbe se sapesse che siete
una scaltra azionista e giocatrice di borsa? La cosa potrebbe
turbarlo, non pensate?".
Demelza
si morse il labbro. No, George non doveva dire nulla a Ross e c'era
un modo per assicurarsi che stesse zitto circa i loro rapporti. "Io
non credo che sia conveniente, per voi, parlargli di me".
"Perché
mai?".
Demelza
sorrise, con freddezza e distacco. "Perché se lo faceste,
George, dovreste anche ammettere davanti a lui che vi tengo in scacco
nel consiglio d'amministrazione della vostra stessa banca. E credo
che preferiate la morte al dover ammettere uno smacco simile,
giusto?".
"Come
osate? Voi non mi metterete i bastoni fra le ruote" – rispose
George, rosso in viso.
Demelza
lo fissò negli occhi, furente. "E voi non li metterete a me.
Avremo un rapporto di lavoro onesto e rispettoso e ognuno di noi
starà al suo posto, agendo secondo legge ed
onestà verso il
prossimo. Andremo d'accordo, se ognuno rispetterà i patti.
Ross non
deve sapere nulla di me e di quello che faccio quì, intesi?
Se
direte qualcosa, sappiate che ho abbastanza potere per bloccarvi ogni
attività finanziaria della Warleggan Bank".
George
sospirò. "Ebbene non parlerò, ma voi sarete
ragionevole d'ora
in poi, quando ci vedremo alle prossime riunioni".
"Sarò
onesta ed agirò con altrettanta onestà, cercando
di venirvi
incontro dove possibile".
"E
io non parlerò a Ross della vostra attività. E di
voi. Potete stare
tranquilla, anche perché mi sarebbe impossibile comunicare
con lui,
allo stato attuale dei fatti".
Demelza
si oscurò, mentre una strana ansia prendeva possesso di lei.
"Perché?".
"Si
è arruolato ed è partito per la guerra ad inizio
anno, otto mesi
fa. Per quel che ne so, potrebbe anche essere morto".
Demelza
si sentì mancare, tanto che dovette appoggiarsi al muro per
non
cadere a terra. Impallidì, mentre le mani presero a
tremarle. In
guerra? Ross? Come poteva averlo fatto, come poteva aver abbandonato
Elizabeth, Geoffrey Charles e una miniera fiorente? Perché?
"State
bleffando?".
George
alzò le spalle. "Perché dovrei farlo? Non ne
avrei interesse,
non credete?".
Già,
non ne aveva interesse, Demelza questo lo sapeva. "Ross è
sempre stato molto avventato" – commentò, sotto
voce.
"Non
parlerei di avventatezza quanto piuttosto di sconfitta, signora
Poldark".
"Sconfitta?".
Demelza lo guardò, senza capire di cosa parlasse.
George
alzò la mano sinistra dove, all'anulare, brillava una
lucente fede
nuziale. "Mi sono sposato".
"Congratulazioni"
– rispose, in tono piatto.
"Con
la vostra ex cugina, la vedova Poldark. Elizabeth ed io siamo
convolati a nozze poco dopo la vostra partenza e la nostra unione
è
stata benedetta dall'arrivo di un meraviglioso bambino, Valentin".
Le
parve che le si prosciugasse tutta l'aria nei polmoni. George ed
Elizabeth? Come poteva essere? Elizabeth aveva sposato George? E
Ross? Tentò di parlare, ma non riuscì a dire
nulla, improvvisamente
le sembrava di avere il vuoto in testa. Cosa diavolo era successo in
Cornovaglia, nell'anno e mezzo in cui era stata assente?
Notando
la sua sorpresa, George sorrise amabilmente. "Capite signora
Poldark, per Ross è stato un trauma. Ho conquistato la
maggior
tenuta della sua famiglia, sono diventato tutore di suo nipote
Geoffrey Charles e ho sposato la donna che da sempre ama e che ha
sempre sognato, come forse anche voi sapete bene. E questo l'ha
mandato fuori di testa, costringendolo ad arruolarsi per la
disperazione di sapere la sua amata, sposata al suo acerrimo
nemico". Le poggiò famigliarmente una mano sulla spalla.
"Sicura di non voler riconsiderare la mia offerta di acquistare
quote azionarie della Wheal Grace?".
Con
uno strattone, Demelza si allontanò da lui. "Non
colpirò mio
marito alle spalle e non cambierò idea. E ora, se mi
permettete,
vorrei andarmene".
"Non
vi congratulate con me?".
"Congratulazioni
George, per tutto. Arrivederci".
La
voce di George la raggiunse alle spalle, nuovamente. "Mi
invidiate?".
Si
voltò verso di lui, di nuovo. "Perché dovrei
farlo?".
"Perché
io, a differenza di voi, ho un matrimonio felice, con una donna
meravigliosa, innamorata, onesta e raffinata. Un matrimonio perfetto,
a differenza del vostro. Ma vi capisco, comprendo la vostra scelta di
andarvene, essere la moglie di Ross Poldark dev'essere stato
frustrante".
Demelza
sorrise. "Non esistono matrimoni perfetti George e in ogni
coppia ci sono piccoli, inconfessabili segreti, tenetelo a mente".
Avrebbe desiderato urlargli in faccia la verità, che la sua
preziosa
dama era una bugiarda doppiogiochista, una falsa finta dama che lo
aveva tradito prima di sposarlo e che, con tutta
probabilità,
sognava ancora Ross. Ma non lo fece, non c'era più motivo
per farlo,
non c'entrava più nulla con la vita di quelle persone e
voleva
tenerle lontano da lei quanto più possibile. "Vi rinnovo i
miei
auguri, comunque, per il matrimonio e per il bambino. Ora devo
davvero andare".
George
annuì. "Perché ve ne siete andata? Me lo sono
sempre chiesto
con immensa curiosità".
Demelza
gli voltò le spalle, aprì la porta. "Non credo
che vi farebbe
piacere saperlo, George". Uscì dalla stanza, chiuse l'uscio
dietro di se e a passi spediti si avviò verso l'uscita. Gli
occhi le
pungevano, il suo corpo era percorso da brividi di freddo e non ne
capiva il motivo.
Improvvisamente,
fu costretta a fermarsi.
"Signora
Carne" – la chiamò il socio giovane che aveva
presieduto la
riunione con lei, poco prima. Lo riconobbe, era il ragazzo biondino
che era seduto dall'altra parte del tavolo, davanti a lei.
"Volevo
congratularmi con voi, avete davvero stile nel portare avanti le
vostre idee".
Demelza
annuì, disattenta. "Grazie".
"Che
ne dite se ci vedessimo per bere un the?".
"Scusate
ma oggi non sono dell'umore giusto per fare conversazione. Magari
un'altra volta".
Il
ragazzo annuì, cercando di incassare con dignità
il suo rifiuto.
"Ma certo signora, scusate se vi ho disturbato" –
balbettò, arrossendo.
Si
sentì in colpa. Era stata brusca, era fuori di se e quel
ragazzo
così impacciato ne stava pagando le conseguenze. "Scusate,
ma
oggi è una giornata terribile per me. Sono di fretta e non
so
nemmeno il vostro nome".
"Theodor
Garvey, milady. Per servirvi".
Demelza
sorrise. "La prossima volta, se vi andrà ancora di farlo,
berrò
più che volentieri un the con voi. Ma oggi non mi
è davvero
possibile".
Il
volto del ragazzo si illuminò. "Aspetterò la
prossima riunione
con impazienza, allora".
"Certo".
Lo guardò allontanarsi, sentendosi in colpa per quella
promessa che
in fondo non aveva voglia di mantenere, fatta unicamente per
toglierselo di torno quanto prima. Non era d'umore adatto a
sopportare nulla, nemmeno un gesto o una parola gentile.
Uscì
in strada, appoggiandosi al muro, osservando il cielo estivo di
Londra, di un color azzurro pallido. Ross era in guerra da mesi...
"Sei un dannato idiota" – disse, mentre calde lacrime le
rigavano le guance. Le aveva fatto male sentir parlare di lui, per un
anno e mezzo aveva fatto di tutto per non pensarlo e non immaginare
cosa stesse facendo e ora George aveva riaperto vecchie ferite in
maniera dolorosa. "Perché non sei andato da lei?
Perché non
hai lottato per tenertela? Perché hai permesso che George la
sposasse? Ed eri davvero così disperato senza di lei, dal
fatto di
vederla con un altro, da decidere di partire per la guerra?". Le
faceva male immaginare che, probabilmente, era quello che l'aveva
spinto ad andarsene...
Però...
Ross era suo marito e dannazione, non le riusciva proprio di non
preoccuparsi per lui ogni volta che prendeva decisioni azzardate e
pericolose. Lo aveva sempre fatto, in ogni dannata avventura in cui
si era imbarcato suo marito. Anche ora, anche lontani, anche dopo
tanto tempo non riusciva a non essere in ansia per la sua sorte...
Su
due piedi, prese una decisione che mai avrebbe contemplato possibile
fino a dieci minuti prima. Ma se non l'avesse fatto sarebbe morta di
preoccupazione, non ci avrebbe dormito la notte e avrebbe smarrito il
briciolo di serenità che aveva faticosamente raggiunto in
quei mesi.
Doveva andare in Cornovaglia, in incognito, e scoprire cosa fosse
successo a Ross. Doveva sapere come stava, cosa faceva, il
perché di
tante cose. Doveva scoprire se era vivo... Era suo marito dopo tutto,
ancora. E il padre dei suoi figli...
E
quale momento migliore per tornare, se non quello? Lui era lontano,
non correva il rischio di incontrarlo e lei avrebbe fugato tutti i
suoi dubbi e le sue paure e sarebbe potuta andare a fare visita alla
tomba di Julia. Era tanto che non andava dalla sua bambina e si
sentiva terribilmente in colpa per averla abbandonata.
Sarebbe
partita quanto prima, avrebbe affidato i bambini a Martin e Diane e
poi avrebbe raggiunto Nampara. Se c'era qualcuno che poteva
rispondere alle sue domande e mantenere il segreto sulla sua visita,
quella era indubbiamente Prudie. Solo lei poteva aiutarla,
laggiù.
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