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Il
Corvo e il Grifone
Greg stava raccontando per l'ennesima
volta della magnifica azione effettuata in campo. John avrebbe potuto
ripeterla a memoria sia in tutte le versioni orchestrate dal
Cacciatore, sia con sintesi disarmante, facendo notare quanto, in
realtà, quell'azione non fosse stata proprio il massimo della
straordinarietà. Aveva soltanto segnato un gol. Watson avrebbe
voluto fargli notare che se il Cercatore si fosse fatto sfuggire il
boccino, a nulla sarebbe valsa la sua grande trovata.
Non lo fece. Non fece niente di tutto
ciò: lo guardò e sorrise, si emozionò, si entusiasmò come la
prima volta in cui Lestrade aveva raccontato la storia. Perché John
era fatto così: non era infinitamente paziente, ma sapeva
comportarsi adeguatamente in un ambito di socializzazione. Quello che
avrebbe fatto l'appunto saccente e molto infelice non era presente,
quel giorno. In realtà, Sherlock Holmes non si era presentato la
sera precedente per la cena, né per il pranzo. Non aveva partecipato
nemmeno ad un altro grande numero di pasti da un po' di tempo a
quella parte e questo preoccupava John oltre ogni dire, più di
quanto egli stesso fosse disposto ad ammettere.
Inevitabilmente, dal tavolo di
Grifondoro ruotò leggermente la testa per controllare che la
situazione fosse invariata. Purtroppo per lui, lo era: la Casa di
Rowena vedeva nuovamente l'assenza di Sherlock.
Solo a fine pasto, tuttavia, si
concesse di esternare pienamente i suoi dubbi e le sue paure. Si
diresse con passo deciso verso Mycroft Holmes. Non era esattamente un
suo grande amico, ma il Serpeverde rimaneva il fratello di Sherlock e
chi meglio di un parente poteva essere informato sulla salute di un
altro?
«Non so di cosa tu stia parlando»
ribatté mellifluo Mycroft alla domanda “Come mai Sherlock non
mangia più?”.
«Prego? Non hai notato l'assenza di
tuo fratello, tu che noti sempre tutto?!» John era letteralmente
scandalizzato. Se quello era uno dei soliti scherzi degli Holmes, li
avrebbe presi a calci tutti e due.
«Ovvio che ho notato la sua assenza»
fornì piccato il maggiore dei fratelli. «Credo che tu ti preoccupi
troppo, John Watson. Quando il nostro Sherlock noterà che l'assenza
di cibo gli fa perdere le capacità intellettive, da buon Corvonero,
tornerà a mangiare qualcosa di sua spontanea volontà»
Il discorso era evidentemente chiuso
per Mycroft. Ma a John quella risposta non bastava: le capacità del
ragazzo oggetto delle sue preoccupazioni erano fuori dalla norma e
Dio solo sapeva quanto avrebbero impiegato a deteriorarsi. Se avesse
fatto prima il suo corpo in maniera irrimediabile?
Una cosa era certa: doveva intervenire.
«Ehi!» si sbracciò da dietro una
colonna correndo in avanti per bloccare il suo amico. Aveva dovuto
elaborare un piano pressoché infallibile per sorprendere Sherlock
dopo la sessione di studio in biblioteca. Non avevano quasi mai
lezioni in comune (John, generalmente, le condivideva con i
Serpeverde), perciò l'unico modo per vederlo il prima possibile al
di fuori di ogni organizzazione era quello di fargli una sorpresa.
«John» salutò Sherlock a sua volta.
«Dove dobbiamo andare?»
Watson aggrottò la fronte. «Io-»
«Non perdere tempo a dirmi che non
dobbiamo andare da nessuna parte. Ti sei appostato lì per
incontrarmi casualmente e vuoi convincermi ad andare da qualche
parte, anche abbastanza in fretta. Da ciò posso dedurre due cose: o
sarà una passeggiata estremamente lunga da rischiare di oltrepassare
il coprifuoco (cosa di cui, sinceramente, dubito, perché vorrebbe
dire spingersi quasi in prossimità della Foresta Proibita, e dunque
mi avresti disturbato prima) o sei tu ad essere agitato e hai la
necessità di fare questa cosa, qualunque cosa essa sia, il prima
possibile»
Non si sarebbe mai abituato alle
arringhe di Sherlock, soprattutto a quelle che lo facevano sembrare
un completo idiota. Ogni santa volta John sentiva l'impellente
bisogno di dirgliene quattro e di rimproverarlo: non era quello il
modo di trattare le persone, soprattutto lui, l'unico in tutta
Hogwarts che sembrasse disposto a stargli vicino.
«Strepitoso» si lasciò
sfuggire, invece, del tutto inconsciamente. Era sempre così: voleva
ucciderlo ma a parole non ci riusciva mai.
«Lo so» Gli occhi di Sherlock
guizzarono mentre rispondeva.
«Allora andiamo. Seguimi»
«Non mi dici dove?»
«Fai una cosa: deducilo da te»
A tre minuti da quando John gli aveva
lanciato la sfida era arrivata la deduzione esatta da parte
dell'amico. Avevano in realtà dovuto attraversare tutta Hogwarts
prima di giungere in prossimità delle cucine, e questo aveva
richiesto più tempo. Una volta arrivati lì, John aveva pregato
amabilmente un paio di elfi domestici perché preparassero in via
straordinaria un pasto completo fuori orario per Sherlock Holmes. Gli
elfi non se l'erano fatto ripetere due volte e avevano eseguito,
senza porre domande. John ne fu molto lieto: gli sarebbe dispiaciuto
dover dire di fronte a tutto lo staff che il diciassettenne accanto a
lui si era comportato come un bambino stupido per una settimana
intera e aveva impellente necessità di mettere qualcosa sotto ai
denti.
Il pasto arrivò praticamente subito e
Holmes fu costretto ad inforcare una forchetta e cominciare a
masticare.
«Stiamo perdendo tempo» si lamentò
Sherlock tra un boccone e l'altro. «Mangiare è noioso, non aumenta
le mie conoscenze»
«Non voglio nemmeno replicare»
«Non sono denutrito, John, puoi ben
vederlo»
Questo era vero. Non sembrava aver
perso peso, ma non era necessariamente indice di una buona cosa.
Evidentemente, aveva mangiato solo schifezze, solo cibo spazzatura
rifilatogli da qualche amico (compagno di dormitorio, perché
Sherlock di amici non ne aveva molti) ritornato da Hogsmeade.
«No, non ho mangiato cioccolata fino
ad oggi» disse il moro, quasi a leggergli nel pensiero.
«Ah, no? E, di grazia, con cosa ti sei
sfamato?»
«I muffin di Molly Hooper, la
Tassorosso. Dovresti conoscerla»
Una stilettata al cuore fu soffocata
all'istante senza nemmeno lasciarle il tempo di diffondere
l'infezione di gelosia. Piuttosto, John rimarcò: «Non mi pare che
sia cibo salutare. Mangia»
Sul volto di Sherlock comparve un
sorriso. «Non sarei comunque morto»
John avrebbe voluto insistere per
cercare di deviare il comportamento puramente infantile che l'altro
aveva deciso di acquisire per tutto quel tempo, ma non lo fece.
Intavolò un'altra conversazione, quasi casuale, raccontandogli
quello che aveva fatto in quei giorni, rendendolo partecipe della sua
vita, dei suoi incontri. Parlò anche della famosa partita e con
sommo stupore sentì Sherlock rispondere riguardo ad un'azione. Era
un'informazione troppo specifica perché fosse stata dedotta dalle
semplici elucubrazioni fornite da John.
«Come fai a sapere che ho parato quel
tiro? La Adler è tra le migliori. Come l'hai capito? È stato
qualcosa che ho detto?»
Sherlock si prese qualche secondo,
guardandolo con occhi indecifrabili.
«Sei vagamente felice, era possibile
che fossi stato bravo nel tuo ruolo» fece Holmes, come se volesse
muoversi con circospezione. «Per il resto, ero sugli spalti»
Mancò poco che John si strozzasse con
la saliva. «Sei venuto ad assistere e non me l'hai detto?»
Sherlock si strinse nelle spalle. «Non
volevo metterti pressione. Avevi già troppa ansia da prestazione
senza che ti dicessi che sarei venuto a vederti»
Watson si sentì arrossire. Il pronome.
Sherlock avevo deciso di vedere una partita di Quidditch solo per
seguire lui. Sentì il bisogno di schiarirsi la gola nel
metabolizzare l'altro aspetto della questione: Sherlock si era
preoccupato per il suo stato d'animo.
«La prossima volta» cominciò,
cercando in tutti i modi di non guardarlo, «dimmelo. Mi farebbe
piacere saperti nel pubblico, soprattutto nell'uno contro uno con la
Adler»
Sherlock ridacchiò di nuovo, annuendo.
Mentre lui tornava a mangiucchiare qualcosa senza troppo entusiasmo,
John pensò che, in fondo, gli piaceva avere a che fare con Holmes,
anche quando si comportava da stupido.
-
«Cristo» imprecò a denti stretti
John quando un urto sospetto all'altezza del ginocchio lo fece
tremare tutto. «Potresti dirmi quando c'è qualcosa di appuntito
nelle vicinanze, razza di idiota che non sei altro?» La berciata non
fece altro che far ridacchiare il Corvonero direttamente nel suo
orecchio. «Non c'è niente di divertente, Sherlock! Potrei farmi
male!»
«Sta' zitto» fu il commento lapidario
di Holmes.
«Mi vuoi cieco e pure muto?!» Di
nuovo, il suono baritonale della risata del bronzo-blu arrivò a
sottolineare l'ironia nelle parole di John. D'istinto, il ragazzo di
Grifondoro si portò le mani a toccare la benda, come se temesse di
non sentirsela più addosso e di essere precipitato in un mondo buio
e crudele in cui poter sentire la voce di Sherlock senza vederlo,
senza vedere nient'altro. La benda scura era ancora al suo posto e
Watson sbuffò.
«Mi dici dove stiamo andando?» si
lamentò come un bambino. Lo irritava non sapere dove guardare e cosa
fare di preciso, eppure la maggior parte del tempo trascorso con il
minore dei fratelli Holmes era stato speso in questo modo, cercando
di indovinare quali fossero i piani dell'altro senza mai riuscire a
scovarli. John non aveva mai dubitato del suo amico e non avrebbe
cominciato adesso: era solo piacevole irritarlo un po'.
«Deducilo»
Agli occhi di Sherlock era sicuramente
un affare di semplice realizzazione. Probabilmente, quel ragazzo
avrebbe intuito il percorso anche nell'impossibilità di guardarsi
attorno. Non c'era ostacolo per lui che fosse degno di essere
chiamato in quel modo. John si sentiva sempre un idiota quando ciò
accadeva, quando Sherlock capiva tutto in un lampo e lui non era
arrivato neanche a mettere insieme tutti i fili del discorso. Era
snervante. Eppure, in quella situazione, a John piaceva essere lì,
completamente in balia delle cure del ragazzo moro che dopo il
banchetto in Sala Grande (ora partecipava ai pasti con una certa
regolarità) lo aveva trascinato via dalla Torre di Grifondoro prima
che potesse oltrepassare la Signora Grassa e gli aveva reso
impossibile vedere. John era quasi sicuro che avesse anche cercato di
confondere il percorso, non considerando minimamente che dietro agli
spostamenti insensati potessero esserci semplicemente le scale di
Hogwarts. Sherlock lo aveva guidato, era stato i suoi occhi per un
tempo che il biondo non era riuscito ad identificare e continuava a
farlo, visibilmente divertito da tutto quello che stava accadendo.
«Sherlock, che ore sono?» domandò
spezzando volontariamente l'atmosfera silenziosa e vagamente intima.
«Dove siamo? Per l'amor di Dio, è tardi! Sai che significa questo?!
I Prefetti! I Caposcuola! Sherlock, finiremo nei guai se non ci
sbrighiamo! Dobbiamo tornare nei dormitori!»
«Rilassati»
«Sherlock, stiamo infrangendo delle
regole scolastiche e onestamente, conoscendoti, penso che non sia
finita qui la lista!»
Il Corvonero rise di nuovo. «Siamo
quasi arrivati. Attento ai gradini»
L'ennesima rampa di scale fu superata
con non pochi problemi da parte di John, che era stato reso ansioso
dall'improvvisa realizzazione e molto più incline a inciampare nei
suoi stessi piedi. Aveva mugugnato più volte di voler tornare
indietro, ma Sherlock aveva continuato a guidarlo, giurando che
avrebbe usato la forza se non si fosse mosso spontaneamente.
Camminarono ancora un po', poi Watson
ebbe la sensazione di aver fatto qualcosa di profondamente insensato,
come andare avanti e indietro per tre volte. Si chiese cosa diavolo
stesse facendo lì e con quelle modalità, poi qualcosa gli fece
morire la protesta sulla punta della lingua. Era qualcosa che
somigliava al rumore di pietra che scorreva su altra pietra.
«Ma...» iniziò, incapace di
formulare un pensiero coerente. Optò per: «Sherlock, è legale
quello che stiamo facendo?»
«Non ci sono regole riguardo a quello
che stiamo facendo» fornì il moro, spingendolo in avanti. «Il
concetto di legalità in questo caso non ha senso di esistere»
John non sapeva se fosse meglio una
risposta del genere o l'idea di star facendo qualcosa di sbagliato.
Fu costretto ad obbedire sotto la pressione del corpo di Sherlock.
Quella che evidentemente era una porta si richiuse alle sue spalle e
John fu invaso da un odore di zucchero e cioccolato. Poco dopo la
benda gli scivolò via dagli occhi e una stanza grande e spaziosa
addobbata con i colori di Grifondoro apparve sotto al suo sguardo.
Cuscini e pouf erano più o meno ovunque. Un tavolino basso ornava il
centro della sala e sopra di esso vi erano i dolci, le confezioni del
Madama Piediburro e dei Tre Manici di Scopa che facevano bella mostra
di sé, insieme a qualche pacchetto di caramelle direttamente preso
da Mielandia. Sulle pareti gli stendardi del Quidditch, le foto
animate dei giocatori più arditi e, soprattutto, del Portiere John
Watson davano un senso di apertura a quel luogo.
«Che cosa significa?» disse John,
senza fiato, in realtà già proiettato verso quel tavolino con le
Apifrizzole e la Burrobirra.
«Ti sei meritato una festa per la
vittoria di Grifondoro, no?»
John non ebbe il cuore di dirgli che in
Sala Comune era già stata fatta una festa del genere. Era certo che
anche Sherlock lo sapesse e proprio questo sottolineava la bellezza
del gesto.
«Solo per la vittoria di Grifondoro?»
disse, appena civettuolo. Si avvicinò senza indugio al cibo,
prendendo subito un pasticcino alla crema.
«No» ribatté Sherlock, accomodandosi
sui cuscini. «Anche per aver affrontato – e battuto – da solo
Irene Adler»
«Ah sì? E perché?»
Sherlock parve un momento in
difficoltà, sovrappensiero. «Non è da tutti riuscire a battere una
donna come la Adler»
«Donna?» John a volte non
comprendeva appieno la terminologia usata da Sherlock, e in quel caso
particolare proprio non se ne capacitava. Irene aveva l'età di
Sherlock, diciassette anni. Lui ne aveva uno di meno, ma questo non
lo portava a credere che fosse consono chiamare la Adler donna.
L'altro eluse la questione con un gesto
della mano. Watson decise di non insistere: l'argomento forse
infastidiva Holmes e non gli sembrava proprio il caso di farlo
sentire male dopo tutto quello che aveva fatto per lui.
«Toglimi una curiosità» principiò
il Grifondoro, leccandosi le dita. «Dove siamo? Non penso di essere
mai entrato in questa stanza... Non la riconosco, al di là degli
addobbi a tema»
«Ovviamente non ci sei mai entrato
perché non osservi, non studi come faccio io, non ti applichi come
dovresti e non sperimenti»
John gli scoccò un'occhiata furente.
«Siamo nella Stanza delle Necessità»
rivelò Sherlock come se non fosse stato minacciato con lo sguardo.
«Quella che appare quando qualcuno ne
ha bisogno e con tutto ciò di cui quel qualcuno ha bisogno?!»
«Corretto»
Tu hai avuto il bisogno impellente
di organizzare una festa per me, per dirmi quanto sono bravo al
Quidditch?!, ma John si limitò a pensare quella frase senza
farla uscire dalla sua bocca. Piuttosto, decise di riempirla con un
altro bignè.
«Hai detto che non dovremo
preoccuparci delle cariche scolastiche...»
Sherlock non gli fece neanche
concludere la frase: indicò un angolino in cui erano stati sistemati
due sacchi a pelo con i rispettivi colori delle due Case. Si vedeva
che stesse trattenendo il più possibile l'istinto di rimbeccarlo
ancora su quanto fosse poco sveglio. Con sommo stupore di John, fu
proprio la voglia di non insultarlo ancora che vinse in Sherlock. Più
o meno.
«Ti ricordo che io sono un
Prefetto» puntualizzò infatti il moro. «Diciamo che non dovresti
avere problemi con me al tuo fianco»
John roteò gli occhi, a metà tra il
divertito e lo stralunato: «A volte dimentico che l'idiota che fa
esperimenti illeciti nel suo dormitorio e di tanto in tanto propone
uscite serali nella Foresta Proibita è uno di quelli che dovrebbero
contribuire a mantenere l'ordine in questa scuola»
«Faresti bene a tenerlo a mente: non
vorrai che tolga punti a Grifondoro per tutte le cose illegali che
fai insieme a me nella Foresta?»
John rise mollandogli un pugno leggero
sulla spalla. Per quanto rischiasse ogni santa volta, John non
avrebbe mai rinunciato a stare con Sherlock. Avrebbero potuto
minacciarlo di togliere la possibilità alla sua Casa di ottenere la
Coppa delle Case per anni, o di fare in modo che i Serpeverde
vincessero sempre il campionato di Quidditch: se il prezzo fosse
stato perdere la vicinanza di Sherlock Holmes, John Watson avrebbe
bellamente ignorato tutto ciò e sarebbe rimasto con il Prefetto di
Corvonero.
Ingoiò una gelatina TuttiGusti + 1 con
il brillio negli occhi, conscio della verità dei suoi pensieri.
Durò poco: la gelatina sapeva di
caccole.
FINE
Angolo dell'autrice:
Salve!
Come dice anche
l'introduzione, la storia è stata scritta per l'evento organizzato
in questi giorni (e non ancora concluso) sul gruppo Facebook “We
are out for prompt”. Nello specifico, è il frutto di due prompt
combinati forniti da Elisa Story Zabini,
che ringrazio tantissimo anche qui perché è stato bellissimo
ricevere due tracce a tema Hogwarts!AU.
Spero
che vi sia piaciuto leggerla come a me è piaciuto scriverla.
Ringrazio tutti coloro che passeranno a leggerla e a lasciarmi un
parere!
Un
bacio e buone feste!
Menade
Danzante
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