It's
the price I guess
For
the lies I've told
That
the truth it no longer thrills me
And
why can't we laugh?
When
it's all we have
Have
we put these childish things away?
Have
we lost the magic that we once had?
In
the end, in the end
There's
nothing more to life than love, is there?
In
the end, in the end
It's
time for us to lose our weary minds.
(Snow Patrol, "In the end", 2011)
Puntuale, e non in anticipo come sarebbe stato nelle mie corde appena
qualche settimana prima, lo raggiunsi alle quattordici al bar nel
cortile dell'ospedale.
Non ero elettrizzata, questo lo posso assolutamente giurare, ma una
buona dose di nervosismo mi impediva di comportarmi in maniera genuina.
Insomma, ero pur sempre nell'arena, con il leone che mi puntava, nel
campo del nemico, a pochi passi da lui e dal suo mondo che, con estrema
fatica e difficoltà, mi ero gettata alle spalle.
Ci salutammo con un gesto della mano, evitando accuratamente la sua
tattica di avvicinarsi quel tanto che bastava da strapparmi un bacio
sulla guancia a tradimento: non ci sfiorammo neppure per un istante,
non gli permisi di ridiventare la sua preda preferita.
Prendemmo posto in un angolo del locale, stretto ed allungato,
dove svolazzavano camici bianchi e divise immacolate o verdi.
Forse è stata
una pessima idea venire fino a qui, cominciai a dirmi, forse è meglio che
scappi fino a quando sono in tempo.
Non volevo pentirmi di essermi lasciata sopraffare dalla
curiosità, dovevo ammetterlo, però c'era qualcosa
dentro di me che mi impediva di muovere un solo passo verso la porta e,
di conseguenza, verso la salvezza morale.
Rimasi sulle mie ancora per un po’, fino a quando dovetti
cedere la mia postazione in favore di un donnone che, altrimenti, mi
avrebbe sopraffatto con la sua delicata mole da un quintale.
Spostai leggermente in avanti, e con una certa dose di irritazione che
mi prudeva le dita, la sedia su cui mi ero accomodata, recuperando lo
zaino che era scivolato dalla spalliera.
"E' tutto ok?" si azzardò lui ad esordire, notando
l'imbarazzo che stava divorando la mia persona.
Annuii meccanicamente, sbuffando con aria contrita, e finalmente fummo
pronti per ordinare ad uno dei camerieri che ci ronzava intorno da
quando eravamo entrati.
Mangiammo due tranci di pizza accompagnati da una dissetante aranciata,
trascorrendo i primi due o tre minuti praticamente in silenzio.
“Cosa hai fatto in questo mese che non ci siamo
visti?” mi domandò a bruciapelo, accarezzandomi
una mano.
Ingoiai il boccone che stavo masticando con una lentezza degna di una
tartaruga e di un bradipo messi assieme, quindi risposi mantenendo la
calma.
“Sono tornata a casa, e poi sono andata una settimana al mare
con i miei fratelli”
Lui annuì sorridendo, intanto che io mi sforzavo di non
guardarlo troppo negli occhi.
La verità è che non volevo cedere, non ancora
almeno.
“Io invece sono andato in Calabria, a Tropea. Eravamo con
degli amici…”
Eravamo,
quanto detestavo quel verbo.
Assaporai la sua voce, accorgendomi di quanto risuonasse incantevole e
brutale, ma anche di come la declinazione che aveva utilizzato fosse la
più appropriata, perché non ero stata io ad aver
trascorso le ferie insieme a lui, ma lei.
“Me la ricordo Tropea, sono andata con i miei quando ero
piccola”
Approfittai del suo silenzio per bere un sorso d'acqua che avevo
recuperato da una tasca dello zaino, dal momento che la lattina di
aranciata era finita.
“Se ti dico che mi sei mancata, che avrei voluto andare con
te, mi credi?”
“Avrei qualche motivo per non farlo?”
Lui scosse la testa, cercando di stemperare la tensione con una battuta.
“Risposta errata, hai ragione. A questo punto,
però, avresti dovuto dire una frase simile alla mia. Che ne
so, del tipo ho pensato
anch'io la stessa cosa in Liguria?”
Mi passai una mano sulla fronte, per sistemare ciocche invisibili di
capelli: conta fino a
dieci, ripetei come una formula magica, grattati la punta del naso e
morditi il labbro, solo allora potrai ribattere.
E così, infatti, feci, seguendo quel mantra personalissimo,
e gli sputai contro tutto ciò che avevo sofferto in quel
periodo.
“Va bene! Se è questo che vuoi, ti accontento
subito! Mi sei mancato da morire, non riuscivo a pensarti lontano da
me, in compagnia di… di quella!
Avrei voluto chiamarti, scriverti un messaggio o un’antiquata
cartolina che ancora tanto mi piacciono! Ero tentata persino di
mandarti una fotografia mentre osservavo il mare perdersi
all’orizzonte, immaginando che fosse lo stesso in cui ti eri
tuffato poche settimane prima di me! Adesso sei contento, eh? Adesso
che mi sono resa abbastanza ridicola, mi vuoi finalmente
lasciare in pace?!"
Non finii di vomitargli addosso tutto ciò che pensavo,
temendo di calamitarmi addosso le dozzine di occhi che gravitavano
attorno a noi: volevo infatti proteggermi da lui, stanca di ripetere le
medesime cose, di tentare di fargli capire i sentimenti che provavo, ma
ogni singola parola che gli avevo inveito contro corrispondeva alla
stupida quanto razionale -o irrazionale, dipendeva dai punti di vista-
verità.
“Lara, io sono sempre qui. Per me non è cambiato
nulla, lo sai! Ma adesso... insomma, adesso è anche il
momento di far fronte alle mie
responsabilità…”
“Non ti ho mai chiesto di non assumerti i tuoi doveri, non
è da me! Io ho solo bisogno di sapere che cosa tu desideri,
che cosa ti aspetti da noi!”
“Desidero rimanerti accanto, non voglio modificare niente,
credimi! Che cosa devo fare perché tu lo capisca?!”
Il suo bicchiere mezzo vuoto di aranciata si rovesciò sulla
tovaglietta marrone, espandendo una macchia scura ed irregolare, che mi
ricordò i disegni che adoravo fare con le tempere quando ero
piccola, quando piegavo il foglio con una punta di colore nel mezzo, e
aspettavo che fosse la carta a fare il resto.
Si lasciò sfuggire un’imprecazione, ma
tornò subito in sé, chiedendomi scusa per aver
perso le staffe.
“Vuoi davvero sapere che cosa avresti dovuto fare per darmi
prova del tuo amore? Beh, per esempio, quel giorno in cui ci siamo
visti l'ultima volta -te lo ricordi, vero?- avresti dovuto dirmi subito
della gravidanza, appena ci siamo incontrati fuori dall'hotel, e non
aspettare che avessimo fatto l’amore! Mi sono sentita usata,
messa da parte! Sentivo il mio corpo sporco, la mia mente non era
più mia, ma la avvertivo imprigionata sotto l'influenza di
un burattinaio, di un... bugiardo! Lo capisci questo, riesci a capire
almeno questo?!”
Lui abbassò lo sguardo, scuotendo il capo con aria colpevole.
“Scusa, hai ragione. Ma non volevo che tu pensassi che ti
avessi dato appuntamento solo per dirtelo, solo per scaricarmi la
coscienza. Ho sbagliato, Lara, lo so, e ti chiedo perdono,
però sai anche tu che non merito il tuo disprezzo. Non lo
merito...”
“Ma io non ti disprezzo, niente affatto!"
Abbassai il tono di voce nell'istante in cui un paio di colleghi
passarono a salutarlo, seguiti a ruota da uno stuolo di svolazzanti
camerieri.
"Io ti amo" ripresi nervosa, non riuscendo a guardarlo negli occhi "e
non ho alcun dubbio su questo. Però, spesso,
l’amore non basta a cambiare le cose…”
“Non dire così, ti prego”
“E’ la verità. In questi quattro anni ho
sperato in un miracolo d’amore e, quando è
capitato, avevo paura che mi scivolasse tra le dita, che sparisse senza
lasciare traccia, come se si trattasse di una delle numerose folate di
vento autunnali"
Forse avresti potuto
risparmiarti il paragone poetico, devo aver pensato.
Mi concentrai quindi sulla perfezione della circolarità del
bicchiere, ruotando l'indice su di esso come fossi ipnotizzata, per poi
passare a raccogliere briciole invisibili dalla tovaglietta davanti a
me.
"Con quello che ci sta succedendo" ripresi con maggiore sicurezza,
guardandolo negli occhi "ho capito che è proprio
ciò sta accadendo alla nostra storia, sempre se di storia
possiamo parlare. Per questo ho detto che l’amore non
è sufficiente… non sempre, almeno”
“Stai cercando di dirmi che ciò che c'è
stato tra di noi appartiene al passato? Che tu lo hai già
cancellato?! Dio mio, Lara, vorrei solo tornare indietro,
credimi!” sospirò, coprendosi il volto con le mani.
“Piacerebbe anche a me, ma non si può. Dimmi solo
una cosa: tu la ami? Sii sincero, ti prego”
Mi guardò per un istante, poi scosse la testa e fece
spallucce, la voce roca e lo sguardo perso.
“Se me lo avessi chiesto prima di incontrarti, prima di tutto
questo, ti avrei detto di sì. Forse non alla follia, ma
l’amavo. Adesso, invece, non so più che cosa
rispondere. Voglio dire, le sono affezionato, certo, non voglio che
soffra, soprattutto perché sarà la madre
di… di mia figlia, però non so più se
la amo”
In quel momento, una domanda assurda mi balenò nella mente:
è possibile essere innamorati di due persone
contemporaneamente? Si possono provare i medesimi sentimenti di
passione, dedizione ed affetto per donne o uomini differenti con cui
entriamo in contatto nel medesimo periodo?
Non seppi darmi una risposta, anzi, anche adesso non saprei in quale
direzione indirizzare i miei interrogativi.
“Ora è meglio che vada”
Lanciai un'occhiata fintamente concentrata all'orologio a muro del bar,
che segnava le tre e un quarto, mentre un mix di delusione e di rabbia
impotente mi avviluppava le viscere.
Perchè ero
stata così sfortunata? Perché l'amore mi aveva
giocato quel brutto scherzo? Non avrei dovuto illudermi, sarei dovuta
essere maggiormente cauta e riflessiva, come ero sempre stata d'indole.
E invece, quella volta, qualche cosa mi aveva spinto a comportarmi
diversamente.
“Vuoi che ti riaccompagni?” mi propose, alzandosi
con troppa foga.
“No, non ce n’è bisogno. Ci sentiamo
presto, buon lavoro”
Ci sfiorammo per un solo istante, nel momento in cui uscii dal locale e
lui era appoggiato alla cassa, intento a pagare.
Avvertii il suo sguardo accarezzarmi la nuca, ma evitai accuratamente
di voltarmi, perché sapevo quanto mi avrebbe fatto male.
Camminai in direzione della metro, sospesa da una forza invisibile che
mi spronava a proseguire.
Incontravo i passi di dozzine di persone, incrociavo i loro sguardi
distratti, però era come se non li vedessi, come se fossimo
diventati tutti invisibili.
Senza sapere il motivo, all’ultimo minuto decisi di cambiare
itinerario.
Attraversai il marciapiede che mi divideva dalla fermata del tram e,
appena questo arrivò, salii sul mezzo affollato di gente.
Trovai un posto a sedere sul fondo, lasciandomi sprofondare sopra, lo
zaino sulle ginocchia e protetto dalle mie braccia stanche, reduci da
una battaglia interiore.
La testa mi diceva che avevo fatto bene a lasciarlo lì, a
non cedere, però il cuore gridava il contrario.
All'improvviso, passammo davanti all’Hotel Astor, che si
ergeva beffardo ed anonimo nella via parallela a quella che stavamo
percorrendo.
Quasi senza volerlo, mi ritrovai a chiedermi se e quando avrei rivisto
quel posto, e quali emozioni avrebbe suscitato in me, ma non smaniavo
affatto di ritornarci, perlomeno non desideravo farlo con la
predisposizione d'animo che avvertivo in quei momenti ormai lontani
mesi.
Adesso devo pensare solo
alla mia felicita, per tutto il resto c'è tempo.
Anche per noi due, amore
mio. Soprattutto per noi due.
NOTA DELL'AUTRICE
Ecco
che siamo giunti alla fine del racconto.
Da
quando l'ho scritto, mesi fa, era già mia intenzione farlo
così breve, quindi tengo a precisare che non è
stato accorciato in nulla. Tuttavia, mi scuso con i lettori ed i
recensori se, ultimamente, non ho aggiornato di frequente, ma ho
trascorso gli ultimi due mesi in maniera assai difficoltosa e
complicata, essendo stata ricoverata in ospedale.
Ringrazio
di tutto cuore alessandroago_94 per esserci sempre stato ad ogni
capitolo, ringrazio Lady_Sticklethwait per aver saltuariamente
recensito e venere2000 per averlo fatto con un pò
più di assiduità.
Ovviamente,
ringrazio anche coloro che hanno inserito la storia tra le preferite:
1 - angyblu
2 - NothingElseMatters
e le seguite:
1 - alessandroago_94
2 - Claire_Shee_Bright
3 - elspunk93
4 - Fraa1994
5 - ineedofthem
6 - Lady_Sticklethwait
7 - pinkprincess
8 - sil_1971
9 - venere2000
Vi
auguro una buona fine 2016 ed un buon principio 2017.
A
presto con altre mie e vostre storie!
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