Era
tornato a Londra, come promesso mesi prima, per saldare il suo
debito. Non aveva annunciato il suo arrivo ma sapeva da Dwight che
Caroline si trovava in città per cominciare a pensare a come
organizzare il loro matrimonio e quindi sapeva per certo che
l'avrebbe trovata. Gli pareva così strano pensare che certe
persone
avessero bisogno di quasi un anno per prepararsi a una cerimonia a
cui, a lui e Demelza, erano serviti solo due giorni, quando si erano
sposati. Ma forse era diverso, lui e sua moglie non si erano
corteggiati, sposarla era stato un qualcosa di irrazionale ed
istintivo, dettato dalla necessità di non farla vivere nello
scandalo, dopo quanto successo fra loro. Nessuno dei due, quel
giorno, pretendeva chissà che dall'altro e solo in seguito,
piano
piano, il loro rapporto era diventato così forte e
indissolubile,
d'amore e passione. Sembravano passati secoli da allora e in un certo
senso era così... Era cambiato tutto, aveva perso tutto e si
sentiva
come invecchiato di colpo di vent'anni, ogni volta che pensava a lei.
Il
maggiordomo lo accompagnò nella consueta saletta dove
Caroline usava
riceverlo.
Ross
si sedette sulla sedia, godendosi la calda brezza estiva che arrivava
dalla finestra aperta che dava sul giardino. Era un'estate splendida
e con un clima meraviglioso, quella. Anche Londra, di solito grigia e
nebbiosa, sembrava aver preso colore e vita, in quei mesi.
Caroline
giunse all'improvviso, vestita di un sobrio abito rosa. Stranamente i
capelli erano lasciati liberi, senza boccoli o fronzoli ad ornarli,
ed era evidente che non aspettasse visite per quella giornata.
"Capitano Poldark, mi riuscite sempre a cogliere di sorpresa"
– commentò, stranamente nervosa.
"Vi
disturbo? Sono solo passato per saldare il mio debito e poi
andrò
via subito, vorrei essere a casa quanto prima possibile".
Caroline
si sedette sulla sedia, sventolando il ventaglio. "Nessun
disturbo, siete il mio salvatore, dopo tutto. Non avete debiti con
me, per quanto mi riguarda, mi avete aiutata a ritrovare il mio uomo
e l'amore e dovrei essere io a essere in debito nei vostri
confronti".
Ross
sorrise, mettendo sul tavolo i documenti relativi al prestito.
"Finanziariamente, sono io il debitore. Ma da oggi, salderemo
ogni cosa e ci dedicheremo solo al vostro matrimonio".
"Dwight
vi vuole come suo testimone, lo sapete?".
Ross
annuì. "Sì, me lo ha chiesto".
Caroline,
firmando i documenti che Ross gli aveva posto, lo guardò di
sottecchi. "Preparatevi, sarà una giornata interessante e
particolare".
Ross
scoppiò a ridere. "Sì, immagino. Li conosco gli
sfarzi dei
vostri matrimoni da ricconi".
Caroline
gli strizzò l'occhio. "Niente di troppo sfarzoso, Dwight
sarebbe in imbarazzo. Sarà una cosa elegante ma sobria".
Piegò
i documenti e poi sospirò, appoggiando il mento alla mano.
"Non
vedo l'ora".
"Lo
immagino".
Improvvisamente
la porta si aprì quasi con violenza e davanti a loro
comparve una
bimbetta di circa un anno e mezzo-due, dai boccoli rossi, che corse
nella stanza lanciandosi verso Horace che, tranquillo, stava dormendo
davanti al camino spento.
Ross
osservò la piccoletta e poi Caroline, sorpeso. "E questa da
dove spunta?" - disse, indicando la piccola che, incurante di
loro, cercava di svegliare il cane.
Caroline
osservò la bambina e poi lui, passando lo sguardo fra loro
più e
più volte. "Lei è Clowance, la figlia di una cara
amica. La
mia migliore amica, a dire il vero. Me la lascia ogni tanto e ne
approfitto per insegnarle a portare gli anelli, sarà la mia
piccola
damigella alla cerimonia e porterà le fedi a me e a Dwight".
Ross
spalancò gli occhi. "Quella bambina? Siete sicura? Mi sembra
così piccola".
Caroline
sorrise. "E' sveglia e avrà tempo di crescere, prima che
arrivi
il giorno del matrimonio. E poi, non la trovate carinissima? Pensate
che amore che sarà, con il suo vestitino da damigella".
Ross
osservò la bimbetta. Era molto graziosa in effetti, con quei
boccoli
lucenti e morbidi, quel visino vispo e furbo, quegli occhi
azzurro-verdi e quelle guance rosse e piene. Indossava un abitino
azzurro di pizzo e fra i capelli aveva un nastrino del medesimo
colore mentre ai piedi aveva delle eleganti scarpine di vernice che
la rendevano simile a una bambolina. Doveva appartenere all'alta
aristocrazia londinese, di certo non era figlia di popolani,
pensò...
"Carina, molto. Ma secondo me troppo piccola per portare gli
anelli, si distrarrà".
Caroline
si voltò verso la bimba. "Clowance, vero che sarai capace di
essere la mia damigella?".
La
bimba si voltò verso di lei, imbronciata e arrabbiata per
essere
stata distratta dai suoi giochi. "Sì" – rispose,
di
malavoglia.
A
Ross venne da ridere. Doveva avere un gran bel caratterino, quella
piccoletta, Caroline si sarebbe pentita presto di averla scelta come
damigella. "Beh, istruitela bene" – disse, alzandosi.
"Ve
ne andate già?" - chiese Caroline, sorpresa.
"Beh,
ho fatto quel che dovevo e non vorrei disturbare oltre. Avete da
fare, a quanto vedo" – disse, indicando la bimba.
L'ereditierà
rimase in silenzio alcuni istanti, pensierosa. Poi si alzò
dalla
sedia. "Vi fermereste due minuti in più? Ho bisogno di un
favore".
"Quale
favore?".
"La
bimba... Devo assentarmi un attimo perché attendo il mio
banchiere
che dovrebbe arrivare a momenti per farmi firmare dei documenti.
Questione di pochi minuti, potete dare un occhio a Clowance mentre
vado a riceverlo?".
Ross
spalancò gli occhi, guardandola come se fosse stata pazza.
"Io?
Ma non la conosco, non ho idea di...".
"E'
una bimba, mica morde".
"Ma
se piange? Se vi cercasse...? Se... Se...".
Caroline
sbuffò. "Perché dovrebbe piangere? Non vorrete
mica trattarla
male, no?".
Ross
arrossì. "Certo che no, ma...".
La
donna scosse la testa, quasi esasperata. "Capitano Poldark,
siete sopravvissuto a un anno sui campi di battaglia e dubito che una
bambinetta vi ucciderà. Gioca col cane, nemmeno vi guarda.
State
seduto, datele un occhio e io sarò subito da voi".
"Ma
non avete domestiche che possano farlo?" - chiese lui,
esasperato.
"No,
hanno il pomeriggio libero, oggi". Si avviò verso la porta,
senza attendere la sua risposta. "A dopo e grazie" –
disse, col più amabile dei sorrisi. "E tu Clowance, fai la
brava".
"Brava..."
- ripeté la bimba, continuando a tormentare il povero Horace.
Ross,
deglutendo, osservò sgomento la porta che si chiudeva. E
adesso?
Santo cielo, lui insieme a una bimbetta da curare, da solo!
Guardò
la piccola, sperando non smettesse di giocare col cane e pregando al
contempo che quell'irresponsabile di Caroline tornasse presto.
La
bimba, nonostante tutto, pareva non far caso a lui, intenta a giocare
col povero Horace che, in silenzio e non troppo felice, subiva la sua
irruenza infantile.
Si
chiese come era stato possibile. Era venuto a Londra per saldare un
vecchio debito e parlare d'affari e si era trovato, senza quasi
accorgersene, a fare da bambinaio a una scalmanata bimbetta dai
capelli rossi. La osservò, senza muoversi, dalla sedia su
cui era
seduto. Stava tormentanto quel povero cane, tirandogli coda e
orecchie, e il povero animale iniziava a dare segni di insofferenza
con delle sommesse ringhiate. Fu però quando la vide
allontanarsi,
prendere la rincorsa e lanciarsi sul cane, che decise di intervenire
prima che l'animale la mordesse. "Hei, no" – disse,
prendendola al volo e sollevandola di peso da terra. Non aveva voglia
di sentirla strillare per un morso di cane che, fra l'altro, si
sarebbe pure meritata.
La
bimba si voltò verso di lui con un'espressione piccata ed
imbronciata, guardandolo con l'eloquente espressione di chi si sta
chiedendo cosa voglia da lei lo sconosciuto che ha davanti.
Rimase
stordito da quel viso, non se n'era accorto fino a quel momento,
finché l'aveva guardata da lontano. Aveva quei capelli rossi
e mossi
così simili a quelli di Demelza e anche quell'espressione
corrucciata le ricordava tanto sua moglie. Probabilmente era un segno
distintivo delle rosse di capelli, pensò.
La
bimba fece per dimenarsi e Ross maledì Caroline che non si
sbrigava
a tornare. "Agitati quanto vuoi ma non ti lascerò tormentare
ancora quel povero cane" – le disse, serio.
Clowance
fece per strillare ma, incurante, la portò al tavolo,
sedendosi
sulla sedia e mettendosela sulle ginocchia. La piccola faceva
resistenza, dimenandosi e dimostrando un caratterino già
notevole,
per la sua età. Guardò il tavolo, cercando
un'idea per tenerla
impegnata nell'attesa che Caroline tornasse . Alla fine la sua
attenzione cadde su una pila di fogli e gli venne in mente che,
quando era piccolo, suo padre gli aveva insegnato a fare forme di
draghi ed animali piegando la carta. "Sai, io so fare i draghi!
Vuoi vedere?".
La
bimba si voltò verso di lui, apparentemente incuriosita e
più
tranquilla. "Si".
Prese
un foglio in mano, lo piegò e ripiegò
finché davvero, non ne uscì
la forma di un drago. "Visto?".
"Bello!".
La bimba spalancò gli occhi stupita, sfiorando la sua
creazione. Poi
sorrise, finalmente contenta. E anche in questo le parve tanto simile
a Demelza, che gli si contorse lo stomaco. Era identica... Quasi
senza accorgersene, mentre la piccola gli prendeva il drago dalle
mani, le accarezzò quei lucenti boccoli rossi, morbidi come
seta.
"Sai, tu somigli tanto alla mia Demelza" – le
sussurrò.
Clowance,
a quelle parole, alzò lo sguardo su di lui. "Mamma"
–
eclamò.
Ross
tornò a guardarla e sorrise. Doveva essere una bambina molto
amata e
curata, si vedeva da quanto fosse serena, ben vestita con abiti
eleganti e di pregio e dai suoi capelli, tenuti a bada da quel
grazioso nastrino che sua madre, probabilmente, le aveva sistemato
con cura. "Vuoi la mamma? Ah, sta serena, arriverà presto,
credo. O almeno, te lo auguro, altrimenti dovrai sorbirti
quell'irresponsabile di Caroline fino a stasera".
Clowance
lo fissò ancora per alcuni istanti e poi, dopo un'alzata di
spalle,
si sporse verso il tavolo, prendendo gli altri fogli. "Ancora!"
- disse, mettendoglieli in mano e facendogli capire che voleva altri
draghi.
E
suo malgrado dovette ubbidire, davanti al tono perentorio che la
bambina aveva usato. "Tu sei abituata ad avere tutto quello che
vuoi, è?".
"Si".
Gli
venne da sorridere, era piuttosto buffa e sicuramente simpatica nelle
sue espressioni e nei modi di fare. Un po' gli spiaceva che
appartenesse all'aristocrazia, un mondo che, crescendo, avrebbe
finito per rovinarla.
Piegò
altri fogli, perdendo la cognizione del tempo, mentre Clowance, sulle
sue ginocchia, sembrava catturata dai movimenti delle sue mani e
stava ferma e in silenzio ad aspettare che finisse il suo lavoro.
Quando ebbe fatto dieci draghi, decise che forse erano abbastanza.
"Basta?".
"No".
"Ma
guarda, abbiamo una famiglia di draghi, adesso. Ci sono il
papà
drago, la mamma drago e i figli drago... Devi scegliergli dei nomi,
non possiamo farne altri"... Dove diavolo si era cacciata
Caroline???
Clowance
si imbronciò, saltò giù dalle sue
gambe, si mise le mani sui
fianchi e poi batté il piedino per terra. "No, ancora!".
Ross
la guardò, un po' divertito, un po' in
difficoltà. Era dannatamente
cocciuta! "Sai che sei davvero testarda? Però ti dico un
segreto, fai bene! Bisogna sempre affermare le proprie idee e non
farsi schiacchiare da quelle degli altri...". Le accarezzò
la
guancia. "Solo, potresti farmi un favore? Questa tua
affermazione della tua personalità, potresti farla con
qualcun altro
e non con me? Non sono troppo abituato ad avere a che fare con dei
bambini". Già, suo malgrado era così. Julia era
morta prima
che fosse abbastanza grande per costruire un rapporto vero e proprio
con lei e Jeremy... beh, per suo figlio lui non c'era mai stato e si
era perso mille cose di cui ora, che era troppo tardi, si pentiva.
Prese un drago fra le mani, guardandolo e mettendoglielo davanti agli
occhi. "Sai che fanno? Volano?".
"Oh".
Clowance ne prese uno da terra, lo guardò e poi, con uno
scatto che
lo colse di sorpresa, si lanciò di corsa verso la finestra
aperta.
"Nooo".
Ross balzò in piedi, prevedendo le mosse della piccola,
prendendola
al volo prima che, eventualmente, si lanciasse giù dalla
finestra
cercando di volare col suo drago. La prese in braccio, col cuore che
gli balzava nel petto. Aveva perso forse dieci anni di vita, in
quegli ultimi secondi. "Non farlo mai più".
Davanti
al suo tono di voce brusco, la bimba spalancò gli occhi che
poi,
dopo pochi istanti, divennero lucidi.
"No...
Non piangere". Santo cielo, Caroline quando tornava?
Clowance
si stropicciò gli occhi con le manine, frignando. "Vola,
vola..." - ripeté.
Ross
sbuffò, rimettendola a terra. La prese per mano,
accompagnandola
verso il tavolo, ma la bimba fece resistenza. "Noooo, non
vollo...".
"Non
vuoi?".
"No".
Alzando
gli occhi al cielo, cercando un modo per tenerla lontana dalla
finestra, gli venne in mente una storiella che poteva tenerla
occupata. "Sai, non puoi farli volare, sono troppo piccoli
questi draghi, non sanno farlo. Ma sanno sputare fuoco e fare le
battaglie, vuoi vedere?".
Non
troppo convinta, Clowance annuì. "Sì". Lo prese
per mano
e lo tirò fino al camino, facendogli segno di sedersi per
terra
accanto a lei. "Vollo vedere".
Ross
si sedette sul pavimento, sentendosi davvero ridicolo. Se i suoi
minatori l'avessero visto, gli avrebbero riso dietro per anni.
"Prenderemo tutti e dieci i draghi, adesso, poi faremo due
schieramenti da cinque e faremo una guerra fra loro. Ti intendi di
strategie militari?".
Clowance
lo guardò storto, malissimo, grattandosi la guancia,
pensierosa. E
si accorse di essere davvero ridicolo, davanti a quella reazione! Che
diavolo stava facendo, stava raccontando di guerra e strategie
belliche a una bambina di nemmeno due anni? Sospirò,
arrendendosi al
fatto che era davvero goffo... "Lascia stare, facciamo altro, ti
va?".
Clowance
ci pensò un po' su e poi si portò le mani alla
testa, sciogliendo
il nastrino che le teneva in ordine i capelli. "Toh" –
gli disse, mettendoglielo in mano.
A
quel gesto, Ross sorrise. "Ti ringrazio, sei gentile. Ma credo
stia meglio a te".
"No,
non vollo. Tuo!".
"La
tua mamma non si arrabbierà se non te lo vede addosso,
stasera?".
"Sì".
Scoppiò
a ridere, era davvero fenomenale discutere con lei. "E non ti
importa?".
"No".
Pensò
che era davvero fantastica, benché all'inizio non l'avesse
entusiasmato l'idea di prendersene cura. Stranamente stava bene, la
spontaneità di quella bambina lo divertiva e lo faceva
sentire
sereno come non gli capitava da anni. Le accarezzò la
testolina,
piegando il nastrino e mettendoselo in tasca. Lei glielo stava
regalando e forse stare al gioco le avrebbe fatto piacere. Lo avrebbe
restituito più tardi, senza farsi vedere, a Caroline, nel
caso si
fosse decisa a tornare.
Clowance
gli saltò in braccio, ridendo. "Draghi".
Ross
sospirò. "Draghi". Si alzò in piedi, prendendola
in
braccio e tornando con lei al tavolo. Prese altri fogli e
iniziò a
piegarli, costruendo altri draghi di carta. La bimba lo osservava
rapita, canticchiando una canzoncina che gli pareva davvero
incomprensibile, piena di parole ancora sgrammaticate, vista
l'età.
Anche in questo gli ricordava Demelza e stare con lei gli
sembrò
talmente piacevole che il tempo parve dilatarsi piacevolmente, in sua
compagnia, tanto che, quando diversi minuti dopo la porta si
aprì e
ricomparve Caroline, provò uno strano dispiacere. La donna
entrò,
seguita da un uomo un po' in la con gli anni.
"Capitano
Poldark, siete sopravvissuto!".
Ross
sorrise. "Dove diavolo siete stata? Non dovevano essere due
minuti?".
"Le
cose si sono dilungate". Si avvicinò a loro, strizzando un
occhio a Clowance. "Guarda chi è venuto a prenderti?".
La
bimba osservò l'uomo e poi le si illuminò il viso
in uno splendido
sorriso. "Nonno Martin!" - esclamò, correndo incontro
all'uomo che, evidentemente abituato, la prese al volo fra le
braccia.
Ross
sentì una strana fitta al cuore, quando la piccola si
allontanò da
lui. Non ne capì il motivo, non era che una bimbetta come
tante,
eppure l'idea di separarsene lo intristiva. Ma nonostante tutto era
giusto così, era arrivato suo nonno e lei si era dimenticata
subito
di lui e dei draghi, attirata dal calore della sua famiglia.
"Clowance!"
- esclamò l'uomo, baciandola sulla guancia. Poi si rivolse a
lui,
chinando il capo. "Vi ringrazio per esservene preso cura".
"Di
nulla".
Caroline
diede un bacio alla bimba. "E ora, dove vai?".
Nonno
Martin la mise a terra, prendendola per mano. "Prima di andare a
casa, andiamo a comprare le carote e poi andiamo al parco a dare da
mangiare ai pony, vero?".
Clowance
annuì. "Vero!".
L'uomo
sorrise alla piccola. "Saluta Clowance! E ringrazia quel signore
per aver giocato con te".
Clowance
si voltò verso di lui poi, staccando la sua mano da quella
del
nonno, gli corse incontro, gli saltò fra le braccia e gli
diede un
bacio sulla guancia. "Glassie signore" – sussurrò.
Poi
si rialzò in piedi e, dopo un goffo tentativo di inchino,
corse da
suo nonno, lo riprese per mano e scomparve con lui dietro la porta.
Caroline
li osservò uscire e poi, finalmente, tornò a
rivolgergli le sue
attenzioni. "Carina, vero?".
Ancora
stordito da quel bacio, Ross annuì. "Molto! E con un gran
bel
caratterino". Era strano, Clowance era riuscita a scalfire, per
un breve attimo, il ghiaccio che si sentiva addosso dal giorno in cui
aveva perso la sua famiglia. Forse era il candore infantile, la sua
allegria, la sua testardaggine o quanto fosse buffa nei modi di fare
ma, qualunque cosa fosse, lo aveva fatto star bene. Era da tanto che
qualcuno non gli rivolgeva un gesto di affetto spontaneo e sincero
come quel bacio e attraverso Clowance, ancora di più, si
rese conto
di quanto aveva perso. Anche lui aveva un figlio, altrettanto
simpatico e bello, che avrebbe potuto donargli le stesse emozioni di
Clowance, se lui fosse stato meno idiota e superficiale e se non
avesse fatto tanto male alla donna che amava, fino a spingerla ad
andarsene per sempre.
"Somiglia
a sua madre" – disse Caroline, vaga.
A
quelle parole si trovò a pensare, stupidamente, a quanto
fosse
fortunato l'uomo che aveva accanto una donna e una figlia
così
belle, riflettendo sul fatto che probabilmente quell'uomo non sarebbe
mai stato idiota quanto lui e non avrebbe mai permesso a niente e a
nessuno di rovinare la sua famiglia. "Bene, se non ci sono altri
bambini da curare, io me ne andrei. E' ormai tardi".
Caroline
ridacchiò. "No, i bambini sono finiti, per oggi! Ci vediamo
settimana prossima, torno in Cornovaglia per passare alcuni giorni
con Dwight".
Ross
si rimise il cappello in testa. "E allora, a presto".
"A
presto".
Uscì
dalla casa di Caroline e si rimise subito sulla carrozza. Due ore
dopo era già in piena campagna inglese, circondato dal
silenzio dei
pascoli.
Si
mise una mano in tasca per cercare un fazzoletto, quando si accorse
che aveva ancora con se il nastrino di Clowance. "Accidenti, mi
sono dimenticato di darlo a Caroline!".
Lo
prese fra le mani, accarezzandolo, mentre il visino della bimba gli
tornava in mente. Sorrise, ricordandola, realizzando che l'avrebbe
rivista al matrimonio, visto che Dwight lo voleva come testimone.
Chissà se si sarebbe ricordata di lui?
Il
pensiero di Clowance, lo riportò ai suoi figli. Avrebbe
pagato oro
per riavere Jeremy, per essere un padre migliore per lui. Quando lo
aveva visto l'ultima volta, aveva pressapoco l'età di
Clowance e ora
probabilmente nemmeno si ricordava più il suo volto...
E
infine pensò a Julia, la sua piccola, stupenda Julia.
L'aveva amata
più della sua stessa vita, la sua morte lo aveva annientato
e forse
non l'avrebbe mai davvero superata del tutto. Era la paura di
affezionarsi e di soffrire ancora che l'aveva allontanato da Jeremy e
da Demelza, pian piano, era quel mondo perfetto e creduto
indistruttibile e rivelatosi poi fragile che l'aveva fatto impazzire
e lo aveva spinto a cercare nuovamente un amore idealizzato, perfetto
e senza sbavature e problemi, senza rendersi conto che la perfezione
era dovuta solo al fatto che era una fantasia. Il vero amore, quello
reale, era quello con Demelza, quello che affrontava gioie e dolori,
le tempeste della vita vera, trovando in sua moglie un porto sicuro,
un rifugio dove rintanarsi e trovare affetto e sostegno quando tutto
attorno a lui crollava. Aveva perso tutto, la gioia di amare, di
essere uomo, marito e padre a causa di un sogno infantile, a causa
della sua arroganza e di tutti gli errori fatti. Strinse a se il
nastrino di Clowance, alzando gli occhi al soffitto della carrozza,
cercando di scorgere il cielo oltre ad esso. "Julia, ti ho
delusa, vero? Ho trattato male la mamma e tuo fratello e ora se ne
sono andati... Sai, oggi ho conosciuto una bimba che mi ricordava
tanto te... Era da tanto che non stavo con una bambina, da quando
c'eri tu... Mi manchi, mi manca la mamma e mi manca tuo fratello,
vorrei poter tornare indietro, darei via tutto quello che ho per
riavervi. Ma non posso, non si puo'. Perdonami per non essere
riuscito a salvarti e non essere stato capace di evitare alla tua
mamma tanto dolore".
Abbassò
lo sguardo, rilasciando la presa sul nastrino che si
appoggiò contro
la sua gamba. E decise. Sapeva che Demelza, prima di partire, aveva
chiesto a Prudie di prendersi cura della tomba di Julia. Beh, da quel
giorno lo avrebbe fatto lui, era suo padre dopo tutto e prendersi
cura di quella tomba era l'unica cosa che, ormai, potesse fare per
ciò che rimaneva della sua famiglia. Erano anni che non
andava al
cimitero, vedere la tomba di sua figlia lo annientava ancora ma se
era davvero un uomo, se voleva ancora sentirsi un padre degno di
questo nome, doveva sforzarsi e farlo.
Il
ricordo di Julia era tutto quello che gli rimaneva...
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