6_Primi Passi
6
PRIMI PASSI
*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Come nel capitolo
precedente vi allego
link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto
di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei
tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa
risultare comodo. Stavolta l'ho messo qua in cima perchè
penso che sia più comodo e molto più visibile.
Grazie ancora a chiunque
sia arrivato fin qui a leggere.
E non fatevi scrupoli a criticarmi se trovate qualcosa si sbagliato o
troppo incoerente. In fin dei conti è dalla critiche che si
impara di più.
Alberto entrò a passo lento nel giardino. Il cancello si
chiuse dietro di lui con un rumore metallico. Nonostante fosse stato
lì un bel po’ di volte non riusciva a scrollarsi
di dosso la sensazione che quel suono avesse qualcosa di oscuro e
definitivo, come una bara che si chiudeva.
Attraverso il giardino stando sul vialetto di ghiaia che conduceva fino
alla casa. I vari alberi spuntavano tetri qua e là nel
prato, ancora scheletrici e privi di foglie per il freddo. Qualche
chiazza di neve completava il quadro. Quello appena passato era stato
un inverno strano, le temperature erano state abbastanza alte, faceva
comunque un freddo cane a parer suo, e poca neve era caduta. Erano
brutti segni. O almeno questo è quello che aveva sentito
dire Alberto. “Inverno freddo, estate calda. Inverno caldo e
guai in arrivo” dicevano i vecchi. Per quanto lo riguardava
era ben felice di quel clima. Meno neve e meno ghiaccio significavano
furti più facili, strade e tetti più puliti dove
scappare e muri meno scivolosi dove arrampicarsi. Di certo non avrebbe
perso tempo a credere che un inverno più mite sarebbe stato
portatrice di sventura per qualche vecchia stupida superstizione o
proverbio. Per conto suo c’era solo da guadagnarci.
La casa della famiglia Polnoc era un edificio stupendo, specie se
confrontato allo squallore del resto delle costruzioni degli Slums. Si
trattava di una vecchia villa pre Guerra, completamente ricostruita e
ristrutturata. Aveva i muri bianchi perfettamente intonacati e ampie
finestre si intervallavano per tutta la loro lunghezza. Al primo piano
un grande terrazzo faceva il giro di buona parte della casa e da
lì sopra alcuni uomini con dei fucili da cecchino
pattugliavano costantemente la zona. Alberto si accorse che uno di loro
lo stava tenendo d’occhio, con il fucile già
pronto in caso di necessità. Finse di non vederlo e
continuò a camminare con una calma quasi forzata.
L’ultima volta che era stato lì non
c’erano così tante guardie. Se c’erano
persino dei cecchini sulla terrazza significava che il vecchio Polnoc
era davvero preoccupato, e questo certamente non era un buon segno.
Una piccola scalinata portava al portico davanti
all’ingresso. Qui due uomini armati di fucile facevano la
guardia davanti alla porta a due ante di legno massiccio,
l’ingresso principale alla casa. Almeno questi li conosceva
ed erano sempre stati li.
-Vasilij, Grimcka- lì saluto con un cenno.
I due erano fratelli gemelli, praticamente identici. Le uniche
differenze tra i due si riscontravano nelle cicatrici che coprivano i
loro visi. Grossi, con i capelli biondi tagliati corti in stile
militare e occhi azzurro chiaro che ti fulminavano con uno sguardo
davano chiaramente l’impressione di uomini molto pericolosi
che era meglio non disturbare. Luenam li chiamava scherzosamente
“i suoi angeli custodi”, in quanto ogni volta che
usciva di casa loro due lo accompagnavano, volente o nolente che fosse.
-Alberto- rispose Vasilij, il più socievole dei due.
L’altro si limitò a un grugnito.
-Sai già la procedura, lascia qui le armi e fatti
ispezionare-
Consegnò loro la spada e i pugnali. Dopodiché
lasciò che le due guardie facessero il loro lavoro. Come al
solito furono rapide ed efficienti. Una volta finito Vasilij si
avvicinò al citofono e schiacciò un pulsante.
Scambio qualche parola con una guardia all’interno e la porta
facendo fuoriuscire una folata d’aria calda.
Saluto le due guardie ed entrò nell’ampio salone
d’ingresso. Il maggiordomo della casa, un cretino borioso che
Alberto proprio non sopportava, si fece avanti per prendergli il
mantello e invitarlo a togliersi gli stivali, con la sua solita aria
tronfia e di superiorità. Qualche volta Alberto aveva
pensato di ricordargli che lavorava solo per un criminale, e che tale
rimaneva per quanto influente e potente fosse. Poi però
aveva anche pensato che era meglio subire le critiche di quello stupido
maggiordomo piuttosto che insultare i Polnoc in casa loro. Decise
quindi di rimangiarsi ancora una volta le sue parole e di seguire in
silenzio l'odiosa figura.
L'interno della residenza era stupendo. L'entrata era un enorme salone
in stile classico con una scalinata di marmo al centro che portava ai
piani superiori. Le pareti della stanza erano intonacate di bianco e
lungo di esse si trovavano quadri famosi, frutto di generazioni di
attività criminali. Un grande lampadario di cristallo
completava il tutto. A ben pensarci quel posto sembrava più
la villa di un conte che quella di un criminale.
Salirono le scale e presero il primo corridoio a destra. Passarono
davanti a una porta socchiusa da cui provenivano delle voci, anzi una
voce, e parecchio incazzata. Era il vecchio Polnoc che stava urlando
qualcosa –Non è possibile. Quel dannato magistrato
stia causando…
Problemi…Urge…risposta…- la voce
divenne più debole e confusa man mano che si allontanavano
dalla porta.
Arrivarono davanti una scala a chiocciola. La stanza di Luenam era
all’ultimo piano della casa, ricavata dalla vecchia mansarda.
-Il signorino è stato avvisato del suo arrivo- disse il
maggiordomo -Appena sarà pronto ad andarsene basta che lei
mi avvisi e la riaccompagnerò alla porta-
-Non mancherò di farlo- rispose Alberto, quasi digrignando i
denti. Quanto odiava quel tipo.
Salì le scale. La camera era ampia, illuminata da un grande
lucernario sul soffitto. Di fronte alla scale una porta finestra
conduceva a un piccolo terrazzino sul tetto, da dove si poteva godere
di una vista sopraelevata degli Slums e del loro squallore. Il letto a
due piazze occupava il centro della stanza, insieme a un piccolo
divano, un tavolino e due poltrone. La parete destra era occupata da un
sacco di scaffali e librerie mentre sulla sinistra, sotto un finestra,
c’erano una scrivania e un tavolo da lavoro. Ed è
proprio lì che Alberto trovò Luenam. Era chino su
un qualcosa che da lì non riusciva a vedere, un qualche
aggeggio elettronico conoscendolo. Non si era accorto della sua
presenza.
Fece un colpo di tosse.
Luenam si girò e lo fissò. Dopodiché
si alzò di scatto e corse in contro ad abbracciarlo.
-Alberto, vecchio mio. Sono mesi che non ti vedo. Dov’eri
finito? – la sua voce aveva il solito timbro leggermente
acuto ma solare.
Luenam era alto circa un metro e ottantacinque, qualche centimetro in
più di Alberto ma era anche decisamente più
grassottello. Il viso tondo era incorniciato da due guance paffute e
lineamenti morbidi. I cappelli erano marrone nocciola e probabilmente
anche barba e baffi avrebbero avuto lo stesso colore se mai gli fossero
cresciute. Gli occhi, della stessa tonalità dei capelli,
erano pieni di energia e voglia di vivere.
-Ad occhio e croce direi a cercare un tetto sopra la testa e un piatto
caldo per rifocillarmi- replicò il ladro, con un leggero
sarcasmo ma rispondendo però all’abbraccio.
-Dai scemo, ti ho già detto un sacco di volte che se ti
serve qualcosa basta chiedere. Scommetto che il nonno ti troverebbe
anche un lavoro-
-Ehm…Se possibile preferirei evitare- l’idea di
lavorare per una famiglia criminale non aveva mai entusiasmato troppo
Alberto. Conosceva bene quel mondo e preferiva non nuotare in acque
torbide. Non che le sue non lo fossero naturalmente ma i Polnoc
trattavamo affari assai più discutibili dei suoi, per dirla
in maniera gentile.
-Come vuoi- il tono di Luenam non era cambiato di una virgola. Era
abituato a questi scambi di battute e alla fine comprendeva le
motivazioni dell’amico -Accomodati comunque, fai come al
solito. Vuoi caffè? O tè? Qualcosa di
più forte?-
Alberto si buttò sulla poltrona più vicina. Le
adorava, erano comodissime e ci sprofondava ogni volta che andava
lì.
-No, no. Grazie lo stesso. Per quanto vorrei che fosse una visita di
piacere sono venuto per parlarti d’altro. Diciamo che sono in
una situazione “leggermente” complicata e mi
serverebbe un aiuto. Un grosso aiuto-
-Dimmi tutto- Luenam si fece subito serio. Sapeva che il suo amico era
avventato qualche volta, ma mai troppo nel suo lavoro e soprattutto si
era sempre rifiutato di chiedergli aiuto, qualsiasi cosa dovesse fare.
Alberto si mise a raccontargli gli avvenimenti del giorno prima.
L’incontro col servitore, il lavoro che doveva compiere e le
minacce velate che aveva ricevuto. Tralascio naturalmente lo spiacevole
incontro con i due stupratori, quello era stato solo un evento
imprevisto.
-E quindi questo è tutto- concluse –Tu cosa ne
pensi?-
Luenam si prese il suo tempo per pensare.
-Che sei in un bel guaio. Un gran bel guaio. Pero penso che la mia
famiglia…-
Alberto lo interruppe subito-Preferirei evitare, lo sai. Ho chiesto
aiuto a te, non a loro. So già che non ce la posso fare da
solo ma onestamente non mi va di finire immischiato anche in altri
guai. Questa cosa può non arrivare a loro?-
-Mmm… quindi tu vuoi organizzare un furto impossibile senza
che mio nonno e mio padre, i più potenti e influenti
criminali della città, lo vengano a sapere sfruttando
però parte delle loro risorse tramite me?-
-Detta così suona male. Cioè se non te la senti
lo capisco benissimo. Anzi non è neanche giusto che chieda
il tuo aiuto così-
Luenam lo guardò e poi scoppiò a ridere
–Mio dio sei sempre così orgoglioso e scemo.
Guarda che è normale chiedere aiuto a un amico se serve,
prima o poi dovresti ficcartelo in testa-
Alberto guardo l’amico confuso –Questo sarebbe un
si?-
-Certo che è un sì. La mia famiglia mi tratta
sempre come un poppante. Pensano sempre che sia troppo piccolo per
tutto. Questa è la mia cazzo di occasione per dimostrare a
tutti quanto valgo-
Il giovane ladro quasi non ci credeva. Se l’era immaginata
molto più difficile anche solo ottenere un minimo di aiuto.
Guardò l’amico riconoscente -Grazie Len, grazie
davvero-
-Beh direi che è ora di iniziare questa impresa folle amico
mio-
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