Da
quando aveva avuto la febbre, Demelza era diventata più
gentile con
lui e anche le loro conversazioni erano più distese, tanto
che in
certi momenti la sua mente, ancora annebbiata dall'incidente, si
rifugiava nella fantasia che quella lunga separazione non fosse mai
avvenuta e che fossero ancora felici insieme, a Nampara. Ma poi la
guardava muoversi in quella stanza, in quella casa che a lui era
sconosciuta, avvertendo, oltre al forzato muro di cortesia che
Demelza si era imposta di avere con lui, un muro alto e possente
posto fra loro. Era vero, si era fatta abbracciare quella notte e
aveva dormito fra le sue braccia, accanto a lui, ma la
verità era
che Demelza era lontana, persa a causa dei suoi errori e non
più
sua. Non avevano mai parlato, da quando si era svegliato, di quanto
successo fra loro, di come il loro matrimonio fosse naufragato, delle
disastrose conseguenze della sua notte con Elizabeth. Voleva parlarne
ma avvertiva chiaramente che lei non desiderava farlo e allora stava
zitto, la guardava, la osservava cercando di capire cosa facesse, le
sue nuove abitudini e quanto fosse realmente cambiata. "Cosa
stai facendo con quei libri?" - le chiese, mentre lei se ne
stava seduta accanto al letto sulla sedia a dondolo, intenta a
scrivere su dei grossi tomi.
Demelza
sbuffò sconsolata. "Sto sistemando la contabilità
annuale
della locanda e sono già in ritardo con i termini di
consegna. Credo
che prenderò una multa...".
Era
talmente strano vederla in quelle vesti di donna lavoratrice e
dirigente di un'attività, che ne rimase colpito,
affascinato. Era
stata la sua domestica tanti anni prima, ma mai l'aveva immaginata
nei panni di una donna libera, indipendente ed economicamente ricca.
Ma in fondo l'aveva sempre saputo che era in gamba, intelligente e
piena di risorse e che sarebbe stata capace di avere successo in ogni
cosa. "Vuoi una mano? So farlo, i libri contabili della Wheal
Grace li gestisco io".
"Lascia
stare, ti tornerebbe il mal di testa. Sta venendo persino a me".
"E
la multa?". Non riusciva a capire come facesse ad essere
così
tranquilla, aveva ben presente quanto potessero essere salate le
sanzioni degli esattori, con chi non rispettava i termini.
A
Demelza, invece, pareva che la cosa non la tangesse. "La
pagherò" – disse, alzando le spalle. "Comunque ho
ancora
un po' di tempo, magari riesco ad evitarla".
La
guardò senza sapere che cosa risponderle, rendendosi conto
che non
aveva affatto problemi di denaro. Gli aveva detto che aveva azzeccato
degli investimenti e che non aveva problemi di denaro, ma non era
stata troppo chiara a riguardo. Ricordò le parole di Prudie,
quando
gli aveva raccontato che era stata a Nampara l'anno prima, di quanto
l'avesse trovata raffinata ed elegante, curata e tanto simile alle
lady di città. Ora invece sembrava tanto simile alla Demelza
che
ricordava lui a Nampara, vestita con abiti semplici, con capelli
raccolti in una mezza coda come sempre e anche quell'appartamento
benché gradevole e ben tenuto, pareva piuttosto modesto.
Certo, la
sua vera casa era un'altra, glielo aveva detto, ma...
Un
modesto bussare alla porta, interruppe i suoi pensieri.
Leslie,
la lavorante di Demelza che più di tutti la aveva aiutata a
prendersi cura di lui, entrò, esibendosi in un inchino.
"Signora,
alla locanda è arrivato lord Philippe Hidding".
Demelza
alzò gli occhi su di lei. "Oh, ha bisogno espressamente di
me?".
"Non
proprio. Vuole solo sapere se stasera, per la riunione alla borsa,
gradireste un passaggio in carrozza, che tanto deve passare da qui".
Guardò
sua moglie che, confusa, fissava pensierosa il soffitto.
Demelza
si accasciò sulla sedia, sbuffando. "Quale riunione?".
Scosse la testa, mettendosi una mano fra i capelli,
scompigliandoseli. "Ahh accidenti, ora ricordo, la fusione delle
banche...".
"Che
gli dico?" - chiese Leslie, sull'uscio.
Sua
moglie guardò fuori dalla finestra, distrattamente. "Fa
freddo,
troppo persino per i miei gusti. Digli che accetto l'invito, non ho
davvero voglia di uscire a piedi, stasera".
Leslie
sorrise. "Sembra che vi dispiaccia!".
"Certo
che mi dispiace! Avevo dimenticato questa cosa e con questo freddo
sarei rimasta volentieri qui davanti al camino acceso. Invece
dovrò
uscire al buio, al freddo, per mettere una semplice firma".
"Si,
però...".
"Però
cosa, Leslie?".
La
ragazza arrossì. "Lord Philippe è così
giovane, bello ed
affascinante, con quei suoi capelli biondi e quegli occhi azzurri
come ghiaccio... E voi sarete sola soletta con lui su quella carrozza
e credo che ogni donna della capitale vi invidierà per
questo".
Demelza
scoppiò a ridere. "Ah Leslie, se vuoi ti cedo volentieri il
mio
posto".
"Oh
signora, so a malapena leggere, però...".
"Su,
vai a dirgli che accetto l'invito" – concluse sua moglie,
chiudendo i libri che stava sfogliando. "E poi torna qui, devo
prepararmi e ho bisogno che ci sia qualcuno insieme a mio marito, nel
caso avesse bisogno".
"Certo
signora".
Ross
guardò Leslie correre via e poi guardò Demelza,
in un misto fra
stupore, confusione e irritazione. Chi diavolo era questo
affascinante lord tanto impudente da chiedere a sua moglie di uscire
con lui di sera? E perché Demelza aveva accettato
così, su due
piedi? E soprattutto, cosa diavolo c'entrava sua moglie con la borsa
e con una fusione fra banche? Voleva farle mille domande ma la sua
lingua sembrava bloccata.
La
guardò sistemare i registri sul comodino, alzarsi,
stiracchiarsi e
poi avviarsi verso la porta. "Come hai sentito, dovrò uscire
un
paio d'ore. Ti lascio alle cure di Leslie, ormai dovresti conoscerla
e ti troverai bene con lei".
"Non
uscire, non di sera..." - riuscì a mugugnare, sentendosi
ridicolo a dire quelle parole, quando era palese che Demelza ci fosse
abituata.
Lei
sorrise. "E' una cosa breve, sarò di ritorno prima della
mezzanotte. Ed uscire col buio è una cosa che faccio spesso,
l'unica
scocciatura è che stasera non ne avevo voglia. Accidenti,
che cosa
assurda concordare una riunione in borsa a pochi giorni dal Natale!"
- sbottò, prima di uscire dalla stanza.
Ross
rimase lì, in silenzio, senza riuscire a muoversi, senza
avere la
possibilità di alzarsi e di seguirla per chiederle
spiegazioni a cui
sapeva di non aver diritto. Non riusciva a sopportare che uscisse da
sola per andare chissà dove, chissà con chi...
Non lei, che
ricordava sempre a casa ad attenderlo, pronta ad accoglierlo a
braccia aperte. Era come se le posizioni si fossero invertite, era
come realizzare davvero che tutto era cambiato.
Leslie
fu da lui alcuni minuti dopo e per un paio d'ore non vide
più
Demelza. Fuori si fece buio, scese un nebbione fortissimo e i vetri
della stanza si incrostarono di ghiaccio.
L'aiutante
di sua moglie, seduta su una sedia, era tranquilla ed intenta a
lavorare a maglia e forse avrebbe potuto fare due chiacchiere con lei
per scoprire qualcosa, pensò. Era poco più di una
ragazzina,
Leslie, poteva avere forse vent'anni, un viso simpatico cosparso di
lentiggini e dei capelli castani dritti come fusi che le arrivavano
alle spalle. E soprattutto, era molto chiacchierona...
Quando
il campanile rintoccò le otto, quando era convinto che
Demelza fosse
già uscita, a sopresa la vide tornare nella sua stanza. E
rimase
senza fiato, attonito, a bocca aperta... Stentava a riconoscerla...
Della donna di poche ore prima vestita con abiti semplici, coi
capelli un po' spettinati e l'aria tranquilla, non c'era più
traccia. Era bellissima, altera, distante. Indossava un lungo ed
elegantissimo abito blu, ornato di una pelliccia al collo e alle
maniche, i capelli erano pettinati in perfetti boccoli che le
ricadevano sulla schiena, era truccata in modo leggero ma visibile,
indossava orecchini e un ciondolo di diamanti e fra le braccia aveva
un mantello di lana dalle finiture raffinate. Era la sua Demelza,
quella ma era come se non la conoscesse... Non l'aveva mai vista
così, lo lasciava senza fiato. Eppure era proprio quella
bellezza
che lo disturbava, che gliela faceva apparire quasi estranea,
distante, fredda e sconosciuta. Demelza non era così, quel
modo di
essere tanto raffinato, elegante e altero non gli apparteneva, lei
era una persona semplice, solare, gentile, dolce, che non aveva paura
di fare lavori umili e mettersi dalla parte delle persone
più in
difficoltà quando serviva. Cosa ci faceva con quegli abiti,
in mezzo
agli avvoltoi della borsa? Dov'era finita quella ragazzina che
giocava con il suo cane nelle campagne della Cornovaglia?
"Ci
vediamo dopo, Leslie" – disse, alla ragazza. Poi lo
fissò,
senza avvicinarsi. "Cerca di dormire Ross, devi riposare".
Annuì
e rimase in silenzio mentre lei andava via, lasciandolo da solo con
Leslie.
La
ragazza sospirò, ammirata. "La signora è sempre
così bella,
mi lascia senza fiato ogni volta che va a questi incontri
così
importanti".
Prese
la palla al balzo. "Ci va spesso, a questi incontri
importanti?".
"Beh
si, va a questi incontri importanti con gente importante
perché lei
è importante, qui a Londra".
Quel
discorso gli era davvero incomprensibile ma al momento c'era un'altra
faccenda che lo preoccupava. "Ci va sempre con quel lord biondo,
a queste riunioni importanti?".
Leslie
rise. "Lord Philippe? No, non credo. Però lo vede spesso
perché
hanno molti affari in comune. E poi lui ha un grande maneggio di
cavalli da corsa fuori Londra e so che in estate la signora passa
alcuni fine settimana da quelle parti per portare il signorino Jeremy
a vedere le corse, visto che il bambino adora i purosangue. E lord
Philippe ne è ben contento, a lui credo che lei piaccia
molto e io
la invidio per questo".
Ross
alzò gli occhi al cielo, nervosamente. Era strano sentir
parlare di
quella Demelza a lui sconosciuta da altri e ancor più strano
era
sentir raccontare Jeremy da quella ragazzina che conosceva suo figlio
meglio di lui. Il suo bambino amava i cavalli, pensò, come
lui...
"Da quanto lavori per mia moglie?".
"Da
sei mesi. Sapete, mia sorella maggiore è la sua cameriera
personale
nella sua dimora e quando ha saputo che cercava una lavorante per la
locanda gli ha parlato di me e la signora è stata ben felice
di
assumermi. Ha fatto molto per la mia famiglia, permettendo a me e a
Dorys di lavorare. E siamo fortunate ad avere una padrona come lei,
è
sempre così gentile, dolce e non si pone mai come una
persona di
rango superiore, sembra una di noi. Io la ammiro molto
perché non ha
mai avuto paura di lavorare e di sporcarsi le mani, se necessario".
Ross
chiuse gli occhi, felice che Demelza non avesse perso la dolcezza e
l'umiltà che la contraddistingueva da sempre, nonostante
tutto. "Lei
è così...". Però, non capiva comunque
tante cose. "Perché
dici che è una persona importante? Perché doveva
presenziare a
questa riunione? Da che so, lei mi ha detto che ha solo fatto qualche
investimento azzeccato".
Leslie
spalancò gli occhi e per un attimo parve incerta e timorosa
di
avergli raccontato troppo. Poi si morse il labbro, abbassando il
viso. "Beh... Qualche investimento azzeccato? La signora è
in
società con degli importanti azionisti di Londra, i fratelli
Devrille. Gestiscono un giro di denaro immenso, sono tutti molto
ricchi e detengono le quote azionarie di maggioranza di alcune fra le
più importanti banche del paese. Vostra moglie è
una delle donne
più ricche e potenti di Londra, signore".
Spalancò
gli occhi a quell'ammissione, gli sembrò che il terreno gli
crollasse sotto i piedi. Come poteva essere, come ci era riuscita?
Leslie,
rossa in viso, parve andare in panico davanti alla sua espressione.
"Forse non dovevo dirvi queste cose, vi prego non fate parola
con la signora delle mie confidenze".
Annuì,
con fare assente. "Certo, tranquilla".
Leslie
sprofondò sulla sedia. "Grazie".
Ross
chiuse gli occhi, mentre sentiva il mal di testa tornare
prepotentemente. Era annichilito, senza parole... Era strano pensare
a lei, a sua moglie, come a una lady della Londra più
potente e
aristocratica, immaginare il rispetto e il timore che poteva incutere
nelle persone e l'enorme potere nelle sue mani, se quello che Leslie
aveva detto, corrispondeva a verità.
Non
aprì più bocca, nella stanza piombò il
silenzio e per ore nessuno
parlò.
Pensò
che forse doveva dormire, ma non ce la faceva. Doveva vederla, doveva
parlarle, doveva capire... Era pur sempre sua moglie, la madre di suo
figlio e si era messa in affari con quella parte di aristocrazia
contro cui lui aveva sempre combattuto. Faceva parte anche lei,
adesso, di quel ristretto gruppo di persone che si ergono a padroni e
giudici dei più poveri? Era questa la vita che faceva adesso
e che
avrebbe atteso anche suo figlio, una volta diventato adulto?
Demelza
tornò ben dopo la mezzanotte e Leslie, appena la vide, la
salutò
frettolosamente e corse via, come se avesse paura che lui la potesse
tradire.
La
camera era illuminata dal chiarore del camino acceso e da una candela
posta sul comodino accanto al letto.
Sua
moglie si mosse per la stanza piano, in punta di piedi per non
svegliarlo. Per questo sussultò spaventata, quando le
rivolse la
parola, spezzando il silenzio della notte. "Non sto dormendo".
"Dovresti
farlo, è molto tardi" – rispose lei, scrutandolo
in viso.
"E'
molto tardi anche per te".
"Vero,
ma io ci sono abituata e non sono convalescente da un incidente".
Si
voltò verso di lei, terribilmente irritato. "Sei abituata ad
uscire la sera coi lord?".
A
quella domanda, l'espressione di Demelza si incrinò,
diventando
vagamente sospettosa e irritata. "Credo che non siano cose che
ti riguardano".
Non
si sarebbe fatto intimorire da quel tono e si sentiva abbastanza in
forze per affrontare una discussione seria con lei, in quel momento.
"Molte persone comprano qualche azione che poi si rileva un
ottimo affare, proprio come mi hai detto di aver fatto tu. Ma nessuna
di quelle persone viene invitata in Borsa per firmare la fusione di
due banche, sai? Molte persone che hanno fra le mani azioni
fruttuose, non possono permettersi case lussuose o di pagare multe
come se niente fosse, così come non possono permettersi di
avere al
proprio servizio così tanto personale come te.
Così come non
possono permettersi abiti eleganti e amicizie così
altolocate".
Demelza
si appoggiò alla finestra, fissando distrattamente il mondo
fuori di
essa. "Come ti ho detto, la mia vita non è più
affar tuo.
Quasi tre anni fa mi hai detto di togliermi di mezzo e io l'ho fatto,
ora accettane le conseguenze".
Quelle
parole lo ferirono perché a quanto pareva, oltre al muro di
finta
cortesia che Demelza stava usando con lui in quei giorni, la ferita
per quanto successo fra lui ed Elizabeth in quella notte maledetta,
era ancora aperta. "Voglio solo sapere chi è Demelza Poldark
quando è fuori da questa locanda".
Sua
moglie sospirò, si appoggiò con le mani al
davanzale e poi,
scuotendo la testa, roteò il viso verso di lui. "Demelza
Poldark non esiste più, Ross". Gli si avvicinò,
sedendosi sul
letto accanto a lui. "Non esiste più dal giorno in cui ho
tolto
la fede dal mio dito".
Spalancò
gli occhi, con un groppo alla gola, guardandole la mano sinistra. Era
vero, non se n'era accorto, ma Demelza non portava più
nessun anello
all'anulare. "L'hai buttata?".
Gli
indicò il cassetto sotto al comodino. "No, sta lì
da quasi tre
anni, chiusa dentro. Non ho più aperto quel cassetto dalla
sera in
cui ho gettato lì dentro quell'anello". Si alzò,
tornando
verso la finestra, un po' spersa nello sguardo. "Vuoi sapere chi
è ora Demelza Carne? D'accordo, te lo dico...". Come in un
racconto senza interruzioni, gli parlò di come, quasi per
gioco,
Martin Devrille le avesse proposto di entrare in società con
lui,
dopo la prima scommessa azzeccata fatta insieme e di come da allora
le cose fossero andate talmente bene da farla diventare molto ricca e
un'esperta di borsa. Gli raccontò pure di George Warleggan e
del suo
ruolo all'interno della Warleggan Bank, rivelandogli il motivo per
cui il suo acerrimo nemico avesse smesso di perseguitarlo per paura
di ripercussioni all'interno del consiglio d'amministrazione della
sua banca. E infine, di come avesse deciso di tenere pure la locanda
perché amava quel posto, perché gli ricordava le
sue origini e di
come avesse iniziato quella sua nuova vita.
Ross
rimase sbalordito, attonito, in silenzio. Sentirla raccontare quelle
cose era un miscuglio di sentimenti strani dentro di lui: ammirazione
perché era arrivata più in alto di lui e allo
stesso tempo rabbia
perché si era mischiata con persone che lui odiava ed era
entrata a
far parte di un mondo ostile, falso, crudele, che cambiava le persone
in peggio, facendole diventare come avvoltoi verso i più
deboli. E
soprattutto, odiava che fosse stata LEI a proteggerlo da George e dai
suoi giochetti di potere e rivalsa. "Sei diventata amica delle
persone che mi hanno perseguitato" – disse, semplicemente,
alla fine del racconto.
"Pensi
che io sia come George?".
"No,
ma corri il rischio di diventarlo".
Demelza
si appoggiò alla parete, incrociando le braccia al petto.
"Io
non desidero denaro e potere, se faccio quel che faccio è
perché
sono sola e voglio garantire un futuro a nostro figlio. Non ha
nessuno a parte me e voglio che, se mi succedesse qualcosa, possa
avere una vita sicura e stabile, senza dover finire a mendicare
all'angolo di una strada".
Si
sentì in colpa, a quelle parole, riconoscendo tutte le sue
mancanze
verso il figlio. "Jeremy ha un padre".
"Non
hai mai voluto essere suo padre e nemmeno mi sognerò mai di
chiederti di esserlo. Fra poco sarai guarito, tornerai a Nampara e ti
dimenticherai che ci siamo incontrati. Non voglio discutere con te
stasera, ma ricordati che a breve te ne andrai da qui".
Si
sedette di scatto, provocandosi una violenta vertigine. Si
accasciò
con le mani sulla fronte, in cerca di equilibrio, e Demelza in un
attimo fu accanto a lui sul letto. "Accidenti, te lo avevo detto
che dovevi riposare! Perché sei tanto testardo e
perché ti
incaponisci a tornare su un argomento già chiuso? Dormi
Ross!".
Alzò
gli occhi su di lei, il suo sguardo prometteva scintille. Poi le
prese il polso, lo strinse e la attirò a se. "Lascia tutto
questo, prendi Jeremy e torna a casa con me".
"Scordatelo,
io non torno a Nampara! Non tornerò a fare la moglie
invisibile di
un uomo che pensa unicamente al suo amore perduto e non ho davvero
voglia di trovarmi Elizabeth e George come vicini di casa. Vivo qui
ora, la mia vita è a Londra e il nostro matrimonio
è finito".
Sentì
pungergli gli occhi a quelle parole, rendendosi conto ancora una
volta di quanto avesse fallito come marito. "Era davvero
così
terribile essere sposata con me?".
"Si,
lo era" – ammise lei, con sincerità. "Non sempre,
ma lo
è stato di certo dopo la morte di Francis, quando di colpo
io e
Jeremy abbiamo smesso di esistere per te e siamo diventati solo un
peso. E forse anche prima, quando comunque eri costretto ad
accontentarti delle seconde scelte".
"Demelza,
non è così! Ogni volta che ti ho detto che ti
amavo, non mentivo".
Scosse la testa, disperato. "Ti prego, non smettere di lottare
per il nostro matrimonio".
Demelza
abbassò lo sguardo. "Ho smesso di lottare tanto tempo fa per
noi, Ross. Non è paura di ritentare o di riprovarci ma...
semplicemente ci ho messo giù il pensiero. Non
sarò mai come
Elizabeth ai tuoi occhi, perfetta come lei, bella quanto lei... Non
risveglierò mai in te la passione che riesce a risvegliare
lei, non
mi desidererai mai come desideri lei. La verità, Ross,
è che non
avremmo dovuto sposarci, non ero io quella che volevi e amavi, era
per lei che dovevi combattere, era per lei che dovevi fare il pazzo
per riprendertela, quando sei tornato dalla Virginia. Era da lei che
avresti voluto dei figli, non da me".
Abbassò
lo sguardo, colpito da quelle parole non rabbiose, non accusatorie ma
piene di tristezza e dolore che lui le aveva inferto.
Ricordò la
lettera che Demelza gli aveva lasciato prima di andarsene,
altrettanto amara, altrettanto disincantata. Non era vero niente,
dannazione! Con Elizabeth non avrebbe trovato né gioia,
né calore,
né una famiglia. Le strinse la mano, accarezzandole le dita
fra le
sue. "Perdere Elizabeth, quando son tornato dalla Virginia,
è
stata la più grossa fortuna della mia vita perché
mi ha permesso di
trovare te, di conoscerti, di sposarti e di formare una famiglia dove
mi sentivo amato, accettato, a casa. Felice... Ho fatto molti errori,
odio quella notte in cui ti ho tradita e odio tutte le volte in cui
ti ho mancato di rispetto per correre dietro a quella che era la
fantasia romantica idealizzata di un bambino. Quella notte con
Elizabeth...".
A
quella frase, Demelza scattò, punta sul vivo. "Non ne voglio
parlare!".
Scosse
la testa, invece ne dovevano parlare! "Cercavo te, quella notte.
Ma lei non era te, non sarebbe mai stata come te e mi ci è
voluto
quell'errore madornale per capire che ciò che mi univa a te,
non
potevo trovarlo da nessuna parte se non con te. Quello che avevamo
noi, non potevo trovarlo con nessun'altra persona perché
è ciò che
ci unisce solo a chi amiamo davvero. Demelza, non posso tornare
indietro, non posso cancellare quella notte, non posso che chiederti
scusa e sperare in un tuo perdono. Ma sappi che non ho mai detto 'ti
amo' a vanvera, che ti ho sempre amata più della mia stessa
vita e
che Julia e Jeremy sono stati la cosa migliore e più
perfetta che io
abbia mai fatto. Mi mancate, darei tutto quello che ho per riavervi
indietro, per tornare ad averti come moglie e per essere il padre di
nostro figlio".
Demelza
abbassò lo sguardo, con gli occhi lucidi. "Tutte le volte
che
ti dicevo di non andare da lei, tu non mi ascoltavi e partivi al
galoppo. Perché ora dovrei crederti? Perché
dovrei tornare a casa?
Perché dovrei rischiare la serenità che abbiamo
ottenuto a Londra
io e Jeremy? La mia vita ormai è qui. Non volevi altri figli
dopo
Julia, non hai mai voluto Jeremy e ora ne parli come se non essere il
padre dei nostri figli sia il tuo più grande rimpianto".
"Pensi
che non abbia mai amato Jeremy e Julia? Santo cielo, la morte di
nostra figlia è il dolore più grande della mia
vita! Come puoi
credere che...?".
Demelza
scosse la testa. "Amavi Julia, lo so questo. Ma so anche che, se
lei non fosse morta, sarebbe diventata invisibile ai tuoi occhi
esattamente come me e Jeremy. Avresti voltato le spalle pure a lei,
dopo che Elizabeth è diventata la vedova di Francis".
Quelle
parole lo ferirono perché forse potevano anche essere vere,
avrebbe
deluso pure Julia, se fosse rimasta. E quel pensiero lo annientava, a
pensare alla sua piccola, perfetta bimba che avrebbe potuto soffrire
a causa dei suoi errori.
Demelza
abbassò lo sguardo. "Io sono fiera di quel che sono
diventata
qui e ho la consapevolezza di agire per il giusto e di essere
circondata da brave persone. Londra è casa mia adesso, non
Nampara!".
A
quelle parole, ricordando quanto gli aveva detto Leslie poco prima e
il racconto di Demelza circa i suoi affari, gli prese una strana
rabbia. No, lei sbagliava! Lei non era così, la sua vita non
era a
Londra e lì non sarebbe mai stata davvero felice! Con un
gesto
veloce le prese il viso fra le mani, la attirò a se e
piantò i suoi
occhi in quelli di lei. "No, tu non sei così, la tua vita
non è
quella che ti sei costruita qui". Le portò una mano fra i
capelli, scompigliando di proposito i boccoli perfetti che le
ricadevano sulla schiena. "Tu sei sempre coi capelli sciolti,
liberi, spettinati, sei quella che corre per aiutare tutti quelli che
ne hanno bisogno e che lotta come una leonessa nelle battaglie della
vita, per il bene della tua famiglia. Tu non sei una da abiti
eleganti e raffinati, da cene di gala o da serate con uomini
d'affari, tu sei la mamma di Jeremy e sono certo che preferiresti
stare con lui la sera, invece che con Lord e banchieri. Puoi negarlo
ma io so che è così, Demelza Poldark".
Scandì il suo nome da
sposata, perché se lo imprimesse in testa, mentre sua moglie
lo
guardava con occhi sgranati, senza trovare il coraggio e la forza per
allontanarlo. E cedette ad ogni suo proposito di rispettare la
richiesta di Demelza di stargli lontano. Era troppo vicina, troppo
bella, troppo perfetta per resistergli ed erano stati lontani troppo
tempo. La desiderava, impazziva dalla voglia di averla, di amarla, di
tornare ad essere davvero suo marito. Si avvicinò, la
attirò a se
spingendola sulla nuca e la baciò sulle labbra,
disperatamente,
sentendosi finalmente a casa, al suo posto, con l'unica persona che
valeva la pane avere a fianco.
Demelza
rispose per un istante al suo bacio, schiudendo le labbra,
illudendolo che anche per lei fosse così. Ma poi, dopo
alcuni
secondi, si allontanò bruscamente da lui, spingendolo sul
cuscino ed
alzandosi di scatto dal letto. Lo guardò con aria
terrorizzata,
furente, pulendosi le labbra col palmo della mano. "Non farlo
mai più. Non mi bacerai, non mi toccherai, non farai
niente... Non
ho intenzione di stare con un uomo che passerebbe la vita a
paragonarmi col fascino delicato e perfetto del suo primo amore. Ora
farai come dico io, dormirai, guarirai e tornerai a casa! E' finita
Ross, non riprovarci mai più".
Rimase
attonito, allibito, odiandosi per quanto aveva appena fatto. Non
voleva spaventarla, non voleva baciarla contro la sua
volontà e
soprattutto, non voleva che pensasse che sarebbe sempre vissuta
all'ombra del ricordo di Elizabeth. Poteva dirle e ripeterle che la
amava, che Elizabeth non contava più nulla, che era lei la
sua
ragione di vita, ma in quel momento Demelza era troppo sconvolta ed
arrabbiata per credergli, per ascoltarlo, per tentare di sistemare le
cose.
E
per la prima volta da quando l'aveva rivista, in quel momento si rese
conto che forse era davvero tutto perso, per lui... E che Demelza
Poldark forse non sarebbe più esistita e non sarebbe stata
più al
suo fianco.
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