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Autore: lady lina 77    22/01/2017    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Da quando aveva avuto la febbre, Demelza era diventata più gentile con lui e anche le loro conversazioni erano più distese, tanto che in certi momenti la sua mente, ancora annebbiata dall'incidente, si rifugiava nella fantasia che quella lunga separazione non fosse mai avvenuta e che fossero ancora felici insieme, a Nampara. Ma poi la guardava muoversi in quella stanza, in quella casa che a lui era sconosciuta, avvertendo, oltre al forzato muro di cortesia che Demelza si era imposta di avere con lui, un muro alto e possente posto fra loro. Era vero, si era fatta abbracciare quella notte e aveva dormito fra le sue braccia, accanto a lui, ma la verità era che Demelza era lontana, persa a causa dei suoi errori e non più sua. Non avevano mai parlato, da quando si era svegliato, di quanto successo fra loro, di come il loro matrimonio fosse naufragato, delle disastrose conseguenze della sua notte con Elizabeth. Voleva parlarne ma avvertiva chiaramente che lei non desiderava farlo e allora stava zitto, la guardava, la osservava cercando di capire cosa facesse, le sue nuove abitudini e quanto fosse realmente cambiata. "Cosa stai facendo con quei libri?" - le chiese, mentre lei se ne stava seduta accanto al letto sulla sedia a dondolo, intenta a scrivere su dei grossi tomi.

Demelza sbuffò sconsolata. "Sto sistemando la contabilità annuale della locanda e sono già in ritardo con i termini di consegna. Credo che prenderò una multa...".

Era talmente strano vederla in quelle vesti di donna lavoratrice e dirigente di un'attività, che ne rimase colpito, affascinato. Era stata la sua domestica tanti anni prima, ma mai l'aveva immaginata nei panni di una donna libera, indipendente ed economicamente ricca. Ma in fondo l'aveva sempre saputo che era in gamba, intelligente e piena di risorse e che sarebbe stata capace di avere successo in ogni cosa. "Vuoi una mano? So farlo, i libri contabili della Wheal Grace li gestisco io".

"Lascia stare, ti tornerebbe il mal di testa. Sta venendo persino a me".

"E la multa?". Non riusciva a capire come facesse ad essere così tranquilla, aveva ben presente quanto potessero essere salate le sanzioni degli esattori, con chi non rispettava i termini.

A Demelza, invece, pareva che la cosa non la tangesse. "La pagherò" – disse, alzando le spalle. "Comunque ho ancora un po' di tempo, magari riesco ad evitarla".

La guardò senza sapere che cosa risponderle, rendendosi conto che non aveva affatto problemi di denaro. Gli aveva detto che aveva azzeccato degli investimenti e che non aveva problemi di denaro, ma non era stata troppo chiara a riguardo. Ricordò le parole di Prudie, quando gli aveva raccontato che era stata a Nampara l'anno prima, di quanto l'avesse trovata raffinata ed elegante, curata e tanto simile alle lady di città. Ora invece sembrava tanto simile alla Demelza che ricordava lui a Nampara, vestita con abiti semplici, con capelli raccolti in una mezza coda come sempre e anche quell'appartamento benché gradevole e ben tenuto, pareva piuttosto modesto. Certo, la sua vera casa era un'altra, glielo aveva detto, ma...

Un modesto bussare alla porta, interruppe i suoi pensieri.

Leslie, la lavorante di Demelza che più di tutti la aveva aiutata a prendersi cura di lui, entrò, esibendosi in un inchino. "Signora, alla locanda è arrivato lord Philippe Hidding".

Demelza alzò gli occhi su di lei. "Oh, ha bisogno espressamente di me?".

"Non proprio. Vuole solo sapere se stasera, per la riunione alla borsa, gradireste un passaggio in carrozza, che tanto deve passare da qui".

Guardò sua moglie che, confusa, fissava pensierosa il soffitto.

Demelza si accasciò sulla sedia, sbuffando. "Quale riunione?". Scosse la testa, mettendosi una mano fra i capelli, scompigliandoseli. "Ahh accidenti, ora ricordo, la fusione delle banche...".

"Che gli dico?" - chiese Leslie, sull'uscio.

Sua moglie guardò fuori dalla finestra, distrattamente. "Fa freddo, troppo persino per i miei gusti. Digli che accetto l'invito, non ho davvero voglia di uscire a piedi, stasera".

Leslie sorrise. "Sembra che vi dispiaccia!".

"Certo che mi dispiace! Avevo dimenticato questa cosa e con questo freddo sarei rimasta volentieri qui davanti al camino acceso. Invece dovrò uscire al buio, al freddo, per mettere una semplice firma".

"Si, però...".

"Però cosa, Leslie?".

La ragazza arrossì. "Lord Philippe è così giovane, bello ed affascinante, con quei suoi capelli biondi e quegli occhi azzurri come ghiaccio... E voi sarete sola soletta con lui su quella carrozza e credo che ogni donna della capitale vi invidierà per questo".

Demelza scoppiò a ridere. "Ah Leslie, se vuoi ti cedo volentieri il mio posto".

"Oh signora, so a malapena leggere, però...".

"Su, vai a dirgli che accetto l'invito" – concluse sua moglie, chiudendo i libri che stava sfogliando. "E poi torna qui, devo prepararmi e ho bisogno che ci sia qualcuno insieme a mio marito, nel caso avesse bisogno".

"Certo signora".

Ross guardò Leslie correre via e poi guardò Demelza, in un misto fra stupore, confusione e irritazione. Chi diavolo era questo affascinante lord tanto impudente da chiedere a sua moglie di uscire con lui di sera? E perché Demelza aveva accettato così, su due piedi? E soprattutto, cosa diavolo c'entrava sua moglie con la borsa e con una fusione fra banche? Voleva farle mille domande ma la sua lingua sembrava bloccata.

La guardò sistemare i registri sul comodino, alzarsi, stiracchiarsi e poi avviarsi verso la porta. "Come hai sentito, dovrò uscire un paio d'ore. Ti lascio alle cure di Leslie, ormai dovresti conoscerla e ti troverai bene con lei".

"Non uscire, non di sera..." - riuscì a mugugnare, sentendosi ridicolo a dire quelle parole, quando era palese che Demelza ci fosse abituata.

Lei sorrise. "E' una cosa breve, sarò di ritorno prima della mezzanotte. Ed uscire col buio è una cosa che faccio spesso, l'unica scocciatura è che stasera non ne avevo voglia. Accidenti, che cosa assurda concordare una riunione in borsa a pochi giorni dal Natale!" - sbottò, prima di uscire dalla stanza.

Ross rimase lì, in silenzio, senza riuscire a muoversi, senza avere la possibilità di alzarsi e di seguirla per chiederle spiegazioni a cui sapeva di non aver diritto. Non riusciva a sopportare che uscisse da sola per andare chissà dove, chissà con chi... Non lei, che ricordava sempre a casa ad attenderlo, pronta ad accoglierlo a braccia aperte. Era come se le posizioni si fossero invertite, era come realizzare davvero che tutto era cambiato.

Leslie fu da lui alcuni minuti dopo e per un paio d'ore non vide più Demelza. Fuori si fece buio, scese un nebbione fortissimo e i vetri della stanza si incrostarono di ghiaccio.

L'aiutante di sua moglie, seduta su una sedia, era tranquilla ed intenta a lavorare a maglia e forse avrebbe potuto fare due chiacchiere con lei per scoprire qualcosa, pensò. Era poco più di una ragazzina, Leslie, poteva avere forse vent'anni, un viso simpatico cosparso di lentiggini e dei capelli castani dritti come fusi che le arrivavano alle spalle. E soprattutto, era molto chiacchierona...

Quando il campanile rintoccò le otto, quando era convinto che Demelza fosse già uscita, a sopresa la vide tornare nella sua stanza. E rimase senza fiato, attonito, a bocca aperta... Stentava a riconoscerla... Della donna di poche ore prima vestita con abiti semplici, coi capelli un po' spettinati e l'aria tranquilla, non c'era più traccia. Era bellissima, altera, distante. Indossava un lungo ed elegantissimo abito blu, ornato di una pelliccia al collo e alle maniche, i capelli erano pettinati in perfetti boccoli che le ricadevano sulla schiena, era truccata in modo leggero ma visibile, indossava orecchini e un ciondolo di diamanti e fra le braccia aveva un mantello di lana dalle finiture raffinate. Era la sua Demelza, quella ma era come se non la conoscesse... Non l'aveva mai vista così, lo lasciava senza fiato. Eppure era proprio quella bellezza che lo disturbava, che gliela faceva apparire quasi estranea, distante, fredda e sconosciuta. Demelza non era così, quel modo di essere tanto raffinato, elegante e altero non gli apparteneva, lei era una persona semplice, solare, gentile, dolce, che non aveva paura di fare lavori umili e mettersi dalla parte delle persone più in difficoltà quando serviva. Cosa ci faceva con quegli abiti, in mezzo agli avvoltoi della borsa? Dov'era finita quella ragazzina che giocava con il suo cane nelle campagne della Cornovaglia?

"Ci vediamo dopo, Leslie" – disse, alla ragazza. Poi lo fissò, senza avvicinarsi. "Cerca di dormire Ross, devi riposare".

Annuì e rimase in silenzio mentre lei andava via, lasciandolo da solo con Leslie.

La ragazza sospirò, ammirata. "La signora è sempre così bella, mi lascia senza fiato ogni volta che va a questi incontri così importanti".

Prese la palla al balzo. "Ci va spesso, a questi incontri importanti?".

"Beh si, va a questi incontri importanti con gente importante perché lei è importante, qui a Londra".

Quel discorso gli era davvero incomprensibile ma al momento c'era un'altra faccenda che lo preoccupava. "Ci va sempre con quel lord biondo, a queste riunioni importanti?".

Leslie rise. "Lord Philippe? No, non credo. Però lo vede spesso perché hanno molti affari in comune. E poi lui ha un grande maneggio di cavalli da corsa fuori Londra e so che in estate la signora passa alcuni fine settimana da quelle parti per portare il signorino Jeremy a vedere le corse, visto che il bambino adora i purosangue. E lord Philippe ne è ben contento, a lui credo che lei piaccia molto e io la invidio per questo".

Ross alzò gli occhi al cielo, nervosamente. Era strano sentir parlare di quella Demelza a lui sconosciuta da altri e ancor più strano era sentir raccontare Jeremy da quella ragazzina che conosceva suo figlio meglio di lui. Il suo bambino amava i cavalli, pensò, come lui... "Da quanto lavori per mia moglie?".

"Da sei mesi. Sapete, mia sorella maggiore è la sua cameriera personale nella sua dimora e quando ha saputo che cercava una lavorante per la locanda gli ha parlato di me e la signora è stata ben felice di assumermi. Ha fatto molto per la mia famiglia, permettendo a me e a Dorys di lavorare. E siamo fortunate ad avere una padrona come lei, è sempre così gentile, dolce e non si pone mai come una persona di rango superiore, sembra una di noi. Io la ammiro molto perché non ha mai avuto paura di lavorare e di sporcarsi le mani, se necessario".

Ross chiuse gli occhi, felice che Demelza non avesse perso la dolcezza e l'umiltà che la contraddistingueva da sempre, nonostante tutto. "Lei è così...". Però, non capiva comunque tante cose. "Perché dici che è una persona importante? Perché doveva presenziare a questa riunione? Da che so, lei mi ha detto che ha solo fatto qualche investimento azzeccato".

Leslie spalancò gli occhi e per un attimo parve incerta e timorosa di avergli raccontato troppo. Poi si morse il labbro, abbassando il viso. "Beh... Qualche investimento azzeccato? La signora è in società con degli importanti azionisti di Londra, i fratelli Devrille. Gestiscono un giro di denaro immenso, sono tutti molto ricchi e detengono le quote azionarie di maggioranza di alcune fra le più importanti banche del paese. Vostra moglie è una delle donne più ricche e potenti di Londra, signore".

Spalancò gli occhi a quell'ammissione, gli sembrò che il terreno gli crollasse sotto i piedi. Come poteva essere, come ci era riuscita?

Leslie, rossa in viso, parve andare in panico davanti alla sua espressione. "Forse non dovevo dirvi queste cose, vi prego non fate parola con la signora delle mie confidenze".

Annuì, con fare assente. "Certo, tranquilla".

Leslie sprofondò sulla sedia. "Grazie".

Ross chiuse gli occhi, mentre sentiva il mal di testa tornare prepotentemente. Era annichilito, senza parole... Era strano pensare a lei, a sua moglie, come a una lady della Londra più potente e aristocratica, immaginare il rispetto e il timore che poteva incutere nelle persone e l'enorme potere nelle sue mani, se quello che Leslie aveva detto, corrispondeva a verità.

Non aprì più bocca, nella stanza piombò il silenzio e per ore nessuno parlò.

Pensò che forse doveva dormire, ma non ce la faceva. Doveva vederla, doveva parlarle, doveva capire... Era pur sempre sua moglie, la madre di suo figlio e si era messa in affari con quella parte di aristocrazia contro cui lui aveva sempre combattuto. Faceva parte anche lei, adesso, di quel ristretto gruppo di persone che si ergono a padroni e giudici dei più poveri? Era questa la vita che faceva adesso e che avrebbe atteso anche suo figlio, una volta diventato adulto?

Demelza tornò ben dopo la mezzanotte e Leslie, appena la vide, la salutò frettolosamente e corse via, come se avesse paura che lui la potesse tradire.

La camera era illuminata dal chiarore del camino acceso e da una candela posta sul comodino accanto al letto.

Sua moglie si mosse per la stanza piano, in punta di piedi per non svegliarlo. Per questo sussultò spaventata, quando le rivolse la parola, spezzando il silenzio della notte. "Non sto dormendo".

"Dovresti farlo, è molto tardi" – rispose lei, scrutandolo in viso.

"E' molto tardi anche per te".

"Vero, ma io ci sono abituata e non sono convalescente da un incidente".

Si voltò verso di lei, terribilmente irritato. "Sei abituata ad uscire la sera coi lord?".

A quella domanda, l'espressione di Demelza si incrinò, diventando vagamente sospettosa e irritata. "Credo che non siano cose che ti riguardano".

Non si sarebbe fatto intimorire da quel tono e si sentiva abbastanza in forze per affrontare una discussione seria con lei, in quel momento. "Molte persone comprano qualche azione che poi si rileva un ottimo affare, proprio come mi hai detto di aver fatto tu. Ma nessuna di quelle persone viene invitata in Borsa per firmare la fusione di due banche, sai? Molte persone che hanno fra le mani azioni fruttuose, non possono permettersi case lussuose o di pagare multe come se niente fosse, così come non possono permettersi di avere al proprio servizio così tanto personale come te. Così come non possono permettersi abiti eleganti e amicizie così altolocate".

Demelza si appoggiò alla finestra, fissando distrattamente il mondo fuori di essa. "Come ti ho detto, la mia vita non è più affar tuo. Quasi tre anni fa mi hai detto di togliermi di mezzo e io l'ho fatto, ora accettane le conseguenze".

Quelle parole lo ferirono perché a quanto pareva, oltre al muro di finta cortesia che Demelza stava usando con lui in quei giorni, la ferita per quanto successo fra lui ed Elizabeth in quella notte maledetta, era ancora aperta. "Voglio solo sapere chi è Demelza Poldark quando è fuori da questa locanda".

Sua moglie sospirò, si appoggiò con le mani al davanzale e poi, scuotendo la testa, roteò il viso verso di lui. "Demelza Poldark non esiste più, Ross". Gli si avvicinò, sedendosi sul letto accanto a lui. "Non esiste più dal giorno in cui ho tolto la fede dal mio dito".

Spalancò gli occhi, con un groppo alla gola, guardandole la mano sinistra. Era vero, non se n'era accorto, ma Demelza non portava più nessun anello all'anulare. "L'hai buttata?".

Gli indicò il cassetto sotto al comodino. "No, sta lì da quasi tre anni, chiusa dentro. Non ho più aperto quel cassetto dalla sera in cui ho gettato lì dentro quell'anello". Si alzò, tornando verso la finestra, un po' spersa nello sguardo. "Vuoi sapere chi è ora Demelza Carne? D'accordo, te lo dico...". Come in un racconto senza interruzioni, gli parlò di come, quasi per gioco, Martin Devrille le avesse proposto di entrare in società con lui, dopo la prima scommessa azzeccata fatta insieme e di come da allora le cose fossero andate talmente bene da farla diventare molto ricca e un'esperta di borsa. Gli raccontò pure di George Warleggan e del suo ruolo all'interno della Warleggan Bank, rivelandogli il motivo per cui il suo acerrimo nemico avesse smesso di perseguitarlo per paura di ripercussioni all'interno del consiglio d'amministrazione della sua banca. E infine, di come avesse deciso di tenere pure la locanda perché amava quel posto, perché gli ricordava le sue origini e di come avesse iniziato quella sua nuova vita.

Ross rimase sbalordito, attonito, in silenzio. Sentirla raccontare quelle cose era un miscuglio di sentimenti strani dentro di lui: ammirazione perché era arrivata più in alto di lui e allo stesso tempo rabbia perché si era mischiata con persone che lui odiava ed era entrata a far parte di un mondo ostile, falso, crudele, che cambiava le persone in peggio, facendole diventare come avvoltoi verso i più deboli. E soprattutto, odiava che fosse stata LEI a proteggerlo da George e dai suoi giochetti di potere e rivalsa. "Sei diventata amica delle persone che mi hanno perseguitato" – disse, semplicemente, alla fine del racconto.

"Pensi che io sia come George?".

"No, ma corri il rischio di diventarlo".

Demelza si appoggiò alla parete, incrociando le braccia al petto. "Io non desidero denaro e potere, se faccio quel che faccio è perché sono sola e voglio garantire un futuro a nostro figlio. Non ha nessuno a parte me e voglio che, se mi succedesse qualcosa, possa avere una vita sicura e stabile, senza dover finire a mendicare all'angolo di una strada".

Si sentì in colpa, a quelle parole, riconoscendo tutte le sue mancanze verso il figlio. "Jeremy ha un padre".

"Non hai mai voluto essere suo padre e nemmeno mi sognerò mai di chiederti di esserlo. Fra poco sarai guarito, tornerai a Nampara e ti dimenticherai che ci siamo incontrati. Non voglio discutere con te stasera, ma ricordati che a breve te ne andrai da qui".

Si sedette di scatto, provocandosi una violenta vertigine. Si accasciò con le mani sulla fronte, in cerca di equilibrio, e Demelza in un attimo fu accanto a lui sul letto. "Accidenti, te lo avevo detto che dovevi riposare! Perché sei tanto testardo e perché ti incaponisci a tornare su un argomento già chiuso? Dormi Ross!".

Alzò gli occhi su di lei, il suo sguardo prometteva scintille. Poi le prese il polso, lo strinse e la attirò a se. "Lascia tutto questo, prendi Jeremy e torna a casa con me".

"Scordatelo, io non torno a Nampara! Non tornerò a fare la moglie invisibile di un uomo che pensa unicamente al suo amore perduto e non ho davvero voglia di trovarmi Elizabeth e George come vicini di casa. Vivo qui ora, la mia vita è a Londra e il nostro matrimonio è finito".

Sentì pungergli gli occhi a quelle parole, rendendosi conto ancora una volta di quanto avesse fallito come marito. "Era davvero così terribile essere sposata con me?".

"Si, lo era" – ammise lei, con sincerità. "Non sempre, ma lo è stato di certo dopo la morte di Francis, quando di colpo io e Jeremy abbiamo smesso di esistere per te e siamo diventati solo un peso. E forse anche prima, quando comunque eri costretto ad accontentarti delle seconde scelte".

"Demelza, non è così! Ogni volta che ti ho detto che ti amavo, non mentivo". Scosse la testa, disperato. "Ti prego, non smettere di lottare per il nostro matrimonio".

Demelza abbassò lo sguardo. "Ho smesso di lottare tanto tempo fa per noi, Ross. Non è paura di ritentare o di riprovarci ma... semplicemente ci ho messo giù il pensiero. Non sarò mai come Elizabeth ai tuoi occhi, perfetta come lei, bella quanto lei... Non risveglierò mai in te la passione che riesce a risvegliare lei, non mi desidererai mai come desideri lei. La verità, Ross, è che non avremmo dovuto sposarci, non ero io quella che volevi e amavi, era per lei che dovevi combattere, era per lei che dovevi fare il pazzo per riprendertela, quando sei tornato dalla Virginia. Era da lei che avresti voluto dei figli, non da me".

Abbassò lo sguardo, colpito da quelle parole non rabbiose, non accusatorie ma piene di tristezza e dolore che lui le aveva inferto. Ricordò la lettera che Demelza gli aveva lasciato prima di andarsene, altrettanto amara, altrettanto disincantata. Non era vero niente, dannazione! Con Elizabeth non avrebbe trovato né gioia, né calore, né una famiglia. Le strinse la mano, accarezzandole le dita fra le sue. "Perdere Elizabeth, quando son tornato dalla Virginia, è stata la più grossa fortuna della mia vita perché mi ha permesso di trovare te, di conoscerti, di sposarti e di formare una famiglia dove mi sentivo amato, accettato, a casa. Felice... Ho fatto molti errori, odio quella notte in cui ti ho tradita e odio tutte le volte in cui ti ho mancato di rispetto per correre dietro a quella che era la fantasia romantica idealizzata di un bambino. Quella notte con Elizabeth...".

A quella frase, Demelza scattò, punta sul vivo. "Non ne voglio parlare!".

Scosse la testa, invece ne dovevano parlare! "Cercavo te, quella notte. Ma lei non era te, non sarebbe mai stata come te e mi ci è voluto quell'errore madornale per capire che ciò che mi univa a te, non potevo trovarlo da nessuna parte se non con te. Quello che avevamo noi, non potevo trovarlo con nessun'altra persona perché è ciò che ci unisce solo a chi amiamo davvero. Demelza, non posso tornare indietro, non posso cancellare quella notte, non posso che chiederti scusa e sperare in un tuo perdono. Ma sappi che non ho mai detto 'ti amo' a vanvera, che ti ho sempre amata più della mia stessa vita e che Julia e Jeremy sono stati la cosa migliore e più perfetta che io abbia mai fatto. Mi mancate, darei tutto quello che ho per riavervi indietro, per tornare ad averti come moglie e per essere il padre di nostro figlio".

Demelza abbassò lo sguardo, con gli occhi lucidi. "Tutte le volte che ti dicevo di non andare da lei, tu non mi ascoltavi e partivi al galoppo. Perché ora dovrei crederti? Perché dovrei tornare a casa? Perché dovrei rischiare la serenità che abbiamo ottenuto a Londra io e Jeremy? La mia vita ormai è qui. Non volevi altri figli dopo Julia, non hai mai voluto Jeremy e ora ne parli come se non essere il padre dei nostri figli sia il tuo più grande rimpianto".

"Pensi che non abbia mai amato Jeremy e Julia? Santo cielo, la morte di nostra figlia è il dolore più grande della mia vita! Come puoi credere che...?".

Demelza scosse la testa. "Amavi Julia, lo so questo. Ma so anche che, se lei non fosse morta, sarebbe diventata invisibile ai tuoi occhi esattamente come me e Jeremy. Avresti voltato le spalle pure a lei, dopo che Elizabeth è diventata la vedova di Francis".

Quelle parole lo ferirono perché forse potevano anche essere vere, avrebbe deluso pure Julia, se fosse rimasta. E quel pensiero lo annientava, a pensare alla sua piccola, perfetta bimba che avrebbe potuto soffrire a causa dei suoi errori.

Demelza abbassò lo sguardo. "Io sono fiera di quel che sono diventata qui e ho la consapevolezza di agire per il giusto e di essere circondata da brave persone. Londra è casa mia adesso, non Nampara!".

A quelle parole, ricordando quanto gli aveva detto Leslie poco prima e il racconto di Demelza circa i suoi affari, gli prese una strana rabbia. No, lei sbagliava! Lei non era così, la sua vita non era a Londra e lì non sarebbe mai stata davvero felice! Con un gesto veloce le prese il viso fra le mani, la attirò a se e piantò i suoi occhi in quelli di lei. "No, tu non sei così, la tua vita non è quella che ti sei costruita qui". Le portò una mano fra i capelli, scompigliando di proposito i boccoli perfetti che le ricadevano sulla schiena. "Tu sei sempre coi capelli sciolti, liberi, spettinati, sei quella che corre per aiutare tutti quelli che ne hanno bisogno e che lotta come una leonessa nelle battaglie della vita, per il bene della tua famiglia. Tu non sei una da abiti eleganti e raffinati, da cene di gala o da serate con uomini d'affari, tu sei la mamma di Jeremy e sono certo che preferiresti stare con lui la sera, invece che con Lord e banchieri. Puoi negarlo ma io so che è così, Demelza Poldark". Scandì il suo nome da sposata, perché se lo imprimesse in testa, mentre sua moglie lo guardava con occhi sgranati, senza trovare il coraggio e la forza per allontanarlo. E cedette ad ogni suo proposito di rispettare la richiesta di Demelza di stargli lontano. Era troppo vicina, troppo bella, troppo perfetta per resistergli ed erano stati lontani troppo tempo. La desiderava, impazziva dalla voglia di averla, di amarla, di tornare ad essere davvero suo marito. Si avvicinò, la attirò a se spingendola sulla nuca e la baciò sulle labbra, disperatamente, sentendosi finalmente a casa, al suo posto, con l'unica persona che valeva la pane avere a fianco.

Demelza rispose per un istante al suo bacio, schiudendo le labbra, illudendolo che anche per lei fosse così. Ma poi, dopo alcuni secondi, si allontanò bruscamente da lui, spingendolo sul cuscino ed alzandosi di scatto dal letto. Lo guardò con aria terrorizzata, furente, pulendosi le labbra col palmo della mano. "Non farlo mai più. Non mi bacerai, non mi toccherai, non farai niente... Non ho intenzione di stare con un uomo che passerebbe la vita a paragonarmi col fascino delicato e perfetto del suo primo amore. Ora farai come dico io, dormirai, guarirai e tornerai a casa! E' finita Ross, non riprovarci mai più".

Rimase attonito, allibito, odiandosi per quanto aveva appena fatto. Non voleva spaventarla, non voleva baciarla contro la sua volontà e soprattutto, non voleva che pensasse che sarebbe sempre vissuta all'ombra del ricordo di Elizabeth. Poteva dirle e ripeterle che la amava, che Elizabeth non contava più nulla, che era lei la sua ragione di vita, ma in quel momento Demelza era troppo sconvolta ed arrabbiata per credergli, per ascoltarlo, per tentare di sistemare le cose.

E per la prima volta da quando l'aveva rivista, in quel momento si rese conto che forse era davvero tutto perso, per lui... E che Demelza Poldark forse non sarebbe più esistita e non sarebbe stata più al suo fianco.


  
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