Capitolo 7
L’ombra
avanzò attraverso il letto di cenere e ossa e sul
suo cammino lasciò scie di fuoco e caos; era la morte e
stava venendo a
prenderli tutti. Le ossa che frantumava divennero una bestia, e la
bestia cercò
di fermarla, ma dalle mani dell’ombra uscirono fiamme, e la
bestia d’ossa fu
distrutta in un vortice di ardente distruzione. Le ceneri liquide
presero la
forma di un gigantesco golem, ma il potere dell’ombra era
cresciuto. Si sollevò
dal lago di morte come tentacoli di fumo nero. Il fuoco che si era
acceso nelle
sue mani era divampato sulle braccia e sul suo corpo, finché
non ci fu più
ombra: c’era solo fuoco. Il Dio di fuoco baciò la
cenere e baciò le ossa e
baciò il cielo stesso. Presero tutti fuoco e il mondo stava
bruciando. Il volto
del Dio di fuoco lo guardò ed era il volto di lei per un
istante, poi un altro,
poi di nuovo il primo, poi un altro ancora.
“Ana!” urlò
Lautrec. I suoi occhi si spalancarono mentre si alzava a sedere dal
freddo
letto di neve sotto di lui, annaspando. La sua pelle era calda e
appiccicosa
sotto i suoi abiti, ma le sue mani erano ghiacciate. Se le
infilò sotto le
ascelle e ci mise un attimo a capire dov’era.
L’oscurità
lo circondava, avvolgendo ancora le terre di
Lordran nel buio. Il fuoco che avevano acceso prima che si
addormentasse era
spento, e le sagome confuse dei suoi compagni di viaggio erano masse
immobili
in semicerchio. Le ombre diventano fiamme,
pensò per un attimo prima di cacciare quella folle idea
dalla mente. “Patches”
sussurrò oltre il falò; si ricordava fosse
compito dell’uomo calvo stare di
sentinella.
Quando
Patches non rispose, Lautrec fu colto da un altro
folle pensiero. Sono morti. Sono tutti
morti e congelati ed io sono l’ultimo uomo rimasto al mondo.
“Patches!”
disse di nuovo.
Una delle
masse immobili si mosse nel buio e grugnì.
“Mmh…fanculo.”
“Ti
sei addormentato durante il tuo turno di guardia” lo
rimproverò Lautrec. “Saremo potuti essere tutti
sgozzati nel sonno.”
Il fagotto
si alzò improvvisamente. “Maledetti gli
Dei…Io,
ehm, non stavo dormendo. Stavo solo…riposando gli occhi,
ecco tutto.” Patches
stette in silenzio per un momento, poi aggiunse “Comunque,
c’è un buio dannato
qua fuori senza il falò. Dubito che qualunque assalitore
avrebbe potuto trovare
le nostre gole da sgozzare in ogni caso.”
“Scommetto
che riuscirei a trovare la tua” gli disse
Lautrec.
L’unica
risposta fu la risata nervosa di Patches.
“Non
ti sembra…sbagliato?” gli chiese Lautrec.
Fissò l’orizzonte
lontano, le vette delle montagne, vagamente illuminate dalla pallida
luna.
“Questa notte, intendo. Sembra stranamente lunga. Il sole
dovrebbe essere già
sorto a quest’ora.”
“Forse
abbiamo cancellato il sole dall’esistenza chiudendo
gli occhi? Ha!” rise Patches.
La battuta
non piacque a Lautrec. Il sole sembrava già
morente quando erano arrivati a Lordran. L’ipotesi che ora
fosse morto non era così
azzardata come
avrebbe preferito. Aveva smesso di nevicare, ma era persino
più freddo, e non
sembrava che il sole avesse intenzione di sorgere presto.
“Dobbiamo riaccendere
il fuoco” disse Lautrec.
“Su
questo, amico mio, mi trovi d’accordo” disse
Patches.
Lautrec si
alzò, stiracchiandosi la schiena rigida come non
lo era mai stata quando aveva vent’anni, ma dieci passati
sotto il peso della
sua armatura dorata avevano lasciato il segno, così aveva
bisogno di un po’
d’esercizio dopo la notte. Prese la sua armatura dietro di
lui, trovò i suoi
stivali e se li infilò ai piedi. Afferrò un ramo
spesso dal falò e si diresse
verso Quelana.
Stava
ancora dormendo quando arrivò da lei, legata dalle
spalle alla vita a un pilastro di pietra dietro di lei. Si
accucciò al suo
fianco e le scosse la spalla. “Svegliati, strega. Mi servono
le tue fiamme.”
Quando non rispose, la scosse più forte.
“Svegliati” disse ad alta voce.
Nuovamente, non rispose allora le sollevò il cappuccio dalla
testa e-
-sussultò.
Nella fioca luce della luna, vide che il suo
volto era più pallido del solito, e che gli occhi le erano
ruotati indietro,
lasciando due cerchi bianchi al loro posto. Tremava violentemente e i
denti
erano serrati sul bavaglio nella sua bocca. “Ehi!”
urlò Lautrec, strappando il
bavaglio. La sua bocca si chiuse immediatamente, ma riusciva a sentire
i denti
tremare l’uno contro l’altro al suo interno.
“Che
succede?” disse Patches dal falò.
“Sta
avendo…un attacco o qualcosa del genere” disse
Lautrec.
“Attento,
Lautrec” lo mise in guardia Patches; la sua voce
era più vicina. “È una strega, non lo
dimenticare. Forse è un trucco. Potrebbe essere
un tentativo di prenderti alla sprovvista.”
“Non
è un trucco,
idiota, portami qualcosa con cui coprirla - sta tremando”
ordinò Lautrec, e
l’agitazione nella sua voce sorprese se
stesso. La strega gli aveva salvato la vita, più o
meno, e voleva saldare
il debito, se possibile.
Patches fu
dietro di lui un attimo dopo. Lautrec allungò la
mano e Patches ci appoggiò sopra un piccolo fagotto di
stoffa. “È tutto qiqjocndmssssssssssssssqui?
Cosa diavolo sarebbe
questo?”
“È
la veste di un uomo che ho ucciso. Era proprio un
piccolo bastardo di un chierico” disse Patches.
“È tutto quello che abbiamo,
Lautrec. Non eravamo esattamente preparati
all’arrivo su Lordran di una maledetta tormenta.”
“Non
eravamo preparati a niente di tutto ciò. Questo è
il
problema” ammise Lautrec. Slegò il nodo che legava
la strega al pilastro e lei
cadde tra le sue braccia l’istante in cui fu liberata.
Controllò che i polsi
fossero ancora legati prima di avvolgere la veste da chierico stretta
attorno
al suo corpo e alle sue spalle. Oltre a quello, non sapeva che altro
fare per
lei.
“Assicurati
che non si strozzi con la lingua” disse
Patches. “Diamine…sta davvero
tremando come una dannata foglia al vento.”
Stette
così seduto accanto a lei per un po’, aprendole
ogni
tanto le labbra con le dita per assicurarsi che la lingua fosse ancora
al
proprio posto. Lautrec si era quasi dimenticato come fosse stringere
una donna,
e quanto potesse essere piacevole, ma ricordò a se stesso
che Quelana non era
una donna, e nemmeno umana, e che
la
cosa tremante che stringeva tra le braccia era una strega nata dalle
fiamme che
lo odiava.
L’alba
non era ancora arrivata quando lei parlò, “Sto
morendo.”
La sua voce
fioca colse Lautrec di sorpresa. Allungò il
collo in avanti per guardarla in viso. Gli occhi erano ritornati al
loro posto,
ma tremava ancora tra le sue braccia, e il suo volto era pallido e
solcato da
rughe di sofferenza. “Non stai morendo, strega. Hai
avuto…una crisi di qualche
tipo” le disse Lautrec.
“Non
mi sono mai sentita così” sussurrò
Quelana, la voce
tremante come il suo corpo. “Tutto il calore del
mondo...è svanito. È fuggito
dal mio corpo ed è stato sostituito da uno strato di pietra
e morte. Mi fa
tremare.”
“Hai
solo freddo” le disse Lautrec.
“Ho
trascorso tutta la mia esistenza senza provare mai
questo ‘freddo’ del quale la tua gente
parla” disse Quelana. “Mi stai dicendo
che lo sto provando solo adesso?”
“Ho
visto una ragazza convincere un demone a inginocchiarsi
a parole ieri” disse
Lautrec. “Ho
visto una bestia con due teste. Ho visto una tormenta rovesciare il mondo in un batter d’occhi, ed
ho
assistito a due giovani che morivano e risorgevano dalle fiamme. Le
cose sono
cambiate, strega. Forse questa è una di quelle.”
“Non
mi sentivo così prima di addormentarmi” disse
Quelana,
ancora tremante tra le sue braccia. “E poi ho fatto un
sogno…o forse era un
incubo.”
“Ehi,
anche tu hai sognato, strega del fuoco?” chiese
Patches. Lautrec si voltò verso la sua figura
nell’ombra, un paio di metri più
in là; si era persino dimenticato che l’uomo fosse
lì. “Anch’io.”
Lautrec si
accigliò mentre un nodo di ansia gli si
stringeva nello stomaco. “…pure io.”
“Ah
sì?” chiese Patches. “Nel mio
c’era mia madre. È buffo,
però: la vecchia è morta
da vent’anni
ormai. Non ho sognato di lei una singola
volta. Era avvolta nelle fiamme e combatteva tutti questi
mostri e queste
creature. Tipo, forse mi stava proteggendo? Troppo poco, troppo tardi,
dolce
madre. Ha.”
“Anche
nel mio sogno c’era un guerriero in fiamme” disse
Quelana, e Lautrec notò che i suoi brividi si calmarono
leggermente. “Solo che
il guerriero aveva il volto della ragazza Prescelta. Di Abby.”
“Fare
lo stesso sogno di una strega?” disse Patches. “Non
può venirne niente di buono. A meno che tu non abbia sognato
la stessa
maledetta cosa, Lautrec.”
“No”
mentì lui. Il volto di lei era ancora nella sua mente,
sorridente un attimo, in lacrime quello dopo, e infine implorante.
Implorandolo
per ciò che si meritava. “Ho sognato di vincere un
torneo.”
Quelana lo
fissò per un momento prima di dire “È
una bugia.
Ma non voglio parlare oltre di questi sogni, in ogni caso. I sogni
parlano per
mezzo di indovinelli, e mi piacerebbe riflettere sul mio.”
E
d’un tratto, i suoi brividi cessarono. La sua calma
improvvisa tra le sue braccia era quasi destabilizzante.
“Era
ora” disse Patches alzandosi. “È
l’alba.”
Lautrec
alzò lo sguardo verso il lontano orizzonte a est ed
era vero: quello smorto, azzurro, ovale di luce stava sorgendo,
ghermendo le
cime delle montagne con dita di luce.
“Liberami”
disse Quelana.
“Non
c’è di che” rispose Lautrec seccamente e
le tolse la
veste del chierico.
“Ti
ringrazierò quando
terrai fede alla tua parola e mi riporterai alla Città
Infame così che io possa
scoprire cos’è accaduto alle mie
sorelle” gli disse Quelana.
“Col
tempo” disse Lautrec, stancandosi della sua insistenza
nel ritornare in quel posto malato. “Prima di tutto, devo
trovare qualcuno.
Devo scoprire cos’è successo
a
Lordran da quando ce ne siamo andati. Sembra che siamo stati via per
poco
tempo, ma…il tempo potrebbe essere stato distorto. La notte
mi è sembrata strana
e fin troppo lunga. Chi può sapere quanto tempo è
passato mentre eravamo
stretti negli artigli del corvo.”
“Potrebbero
essere passati giorni”
disse Patches.
“Potrebbero
essere passati anni” lo
corresse Lautrec. “Chi lo sa? Ecco perché dobbiamo
trovare
qualcuno.”
“Oppure
sarai trovato
da qualcuno…” aggiunse Quelana, e i tre si
scambiarono un silenzio sgradevole
mentre veniva mattina a Lordran. Patches fece un gesto con le mani,
scosse la
testa, e se andò verso il falò. Anche Lautrec
stava per voltarsi per andarsene
quando le parole della strega lo fermarono. “Voglio prendere
la ragazza come
mia alunna.”
Alzò
un sopracciglio e la guardò. “La ragazza?”
Quelana
aveva un’espressione dura in volto. Annuì.
“Sì.
Abby. Voglio insegnarle le arti della piromanzia.”
“Mi
hai appena detto che vuoi essere riportata nella Città
Infame.”
“È
così. Con la
ragazza.” Quelana si mosse un po’ nelle corde e lo
fissò con gli occhi
socchiusi. “Anche se non mi aspetto di essere liberata
così facilmente. Ti
accompagnerò senza lamentarmi o tentare di scappare
finché non avrai raggiunto
qualunque luogo vorrai. In cambio, quando avremo finito…la
ragazza è mia.”
Un sorriso
increspò le labbra di Lautrec. “Rivendichi la
proprietà sulla nostra piccola monaca Prescelta, non
è così? Trasformerai
quella poveretta in una piromante e dovrò preoccuparmi che due di voi non mi incendino.”
“Le
darò forza. Le darò consigli e uno scopo. Sarebbe
un
potente alleato per entrambi.”
“E,
certamente, ti stai basando sul trucchetto di ieri con
il Demone Toro?” chiese Lautrec.
“Quello”
ammise Quelana “e altro. E ovviamente
c’è anche il
fatto che abbiamo sognato entrambi questa notte.”
Ridendo, piangendo,
implorando; il suo volto, poi quello di Abby, poi di nuovo il suo.
“E tu
come fai a saperlo?” chiese Lautrec.
Fu il turno
di Quelana di sorridere. “Non lo sapevo fino ad
ora.” Quando Lautrec si accigliò, il suo sorriso
si allargò soltanto. “Puoi
tenermi prigioniera per il resto dei tuoi giorni, cavaliere, ma
indebolirai
solo il tuo gruppo, mettendo in pericolo tutte
le nostre vite. Liberami e starò con te e
prenderò la ragazza come mia alunna
fino a che non avrai più bisogno di noi. Questa è
la mia offerta.”
Lautrec
soppesò le parole della strega, grattandosi la
corta barba che gli stava crescendo sul mento e sulla mandibola.
Quelana lo
fissò con i suoi occhi verde smeraldo, aspettando una
risposta. O dice la verità sul
prendersi cura della
ragazza e restare con noi, pensò Lautrec, o è un’ottima bugiarda.
In nessuno dei due casi si sentiva
tranquillo. “Conosco bene queste terre, strega” le
disse, avvicinandosi con il
suo shotel. “Non farmi sì che ti debba venire a
cercare. Quando ti troverò,
potrei non essere più gentile come sono stato
finora”. Con queste parole,
tagliò l’ultimo pezzo di corda ancora stretto
attorno a lei. Si sedette
massaggiandosi i polsi e fissandolo finché non
rinfoderò la lama e ritornò al
falò.
“Potresti
aver fatto un errore, amico mio” disse Patches
quando fu tornato, puntando il pugnale che aveva appena affilato verso
Quelana.
“Presto ci beccheremo delle palle di fuoco nel culo. Se
dovesse succedere…stai certo
che ucciderò la strega”. Lautrec
gli lanciò un’occhiata fredda e non ritornarono
più sull’argomento.
Abby e
Benjamin si svegliarono poco dopo: il ragazzo
lamentandosi del torcicollo; la ragazza allegra ed entusiasta,
soprattutto quando
Quelana li raggiunse al falò e le disse che sarebbe
diventata la sua maestra. I
grandi occhi azzurri della ragazza si inumidirono e un sorriso le
illuminò il
suo bel volto, ma quando cercò di ringraziare Lautrec, lui
alzò solo la mano,
scosse la testa, e le disse di prepararsi per il cammino. Il gruppo
raccolse
velocemente il poco che avevano, poi lui li condusse verso le colline
ad ovest,
e verso il Borgo dei Non Morti, dove sperava di trovare
qualcuno…e non qualcosa.
Patches si mise in testa, Benjamin
dietro di lui, e Lautrec li fece seguire da Quelana e Abby, facendo lui
stesso
da retroguardia mentre teneva d’occhio la strega. Mentre
salivano i gradini
spaccati e consumati, rivolse un ultimo sguardo al santuario, alla
gabbia vuota
scavata nel terreno e al falò che stava al centro di tutto,
senza riuscire a
levarsi di dosso l’inquietante sensazione che non li avrebbe
mai più rivisti.
Arrivarono
alla lunga e stretta galleria delle fogne, che
li avrebbe portati al Borgo dei Non Morti, senza vedere un singolo
essere
vuoto. È come se il mondo fosse
scomparso
lasciando solo i demoni a comandare, pensò Lautrec
mentre scendevano
l’ultima rampa di gradini. I
demoni…e noi.
La galleria
delle fogne era buia, fredda, e puzzava come la
morte stessa. Mentre si spostavano lentamente nella sua gola, Lautrec
osservò
le diverse reazioni dei suoi compagni di viaggio dalla sua posizione
nel retro.
Patches grugnì qualcosa sulla puzza e fece una pessima
battuta sui ratti e
sulle malattie. Ben arrancava dietro di lui, imbronciato, con il suo
arco corto
che dondolava in vita. Quelana continuava a sussultare ad ogni ombra,
ogni
rumore, e Lautrec poteva scorgere piccole fiammelle che minacciavano di
uscire
dalle sua dita ogni volta. Non aveva mai lasciato la Città
Infame ed era giustamente
prudente; dopo quello che aveva visto, Lautrec era contento di avere un
altro
paio di occhi vigili sui pericoli di Lordran. Abby si era svegliata con
il
sorriso, e non era minimamente svanito mentre marciavano nello sporco e
nel
liquame. Accarezzava la parete della galleria, facendo commenti sulla
stupefacente architettura e comparandola alle case di Vinheim. Quelana
le disse
qualcosa sottovoce e la ragazza rise e rispose, anche lei a bassa voce.
Lautrec
si accigliò, capendo che se le due fossero diventate maestra
e allieva, il loro
rapporto si sarebbe rafforzato incredibilmente. E
poi rimarrai solo con un ragazzo inutile e un uomo che prima ti
getterà in un buco e poi te ne tirerà fuori,
pensò Lautrec.
Raggiunse
le due e afferrò il braccio di Abby, allontanandola
dalla strega. Quelana lo fissò con quel suo serio e attento
sguardo, ma Lautrec
aspettò che riprendesse a camminare.
“Che
cosa c’è?” chiese Abby quando si furono
rimessi in
cammino.
“Non
è prudente parlare con una strega standole così
vicino”
le disse Lautrec. “A meno che tu non voglia diventare sua
schiava”.
Abby rise.
“Il suo incantesimo su di me non funziona,
però”.
“Non
funziona? O non l’ha ancora
fatto? Non essere arrogante, ragazza” la ammonì
Lautrec.
“Non sai nulla dei pericoli che ci potrebbero
attendere…o di quelli che
camminano al nostro fianco”.
“Non
ho paura” disse Abby, alzando leggermente il mento.
“È
questo il problema. Non avevi paura nemmeno al Rifugio
dei Non Morti, e ti sei presa una freccia sul petto per questo motivo.
Farai
meglio a imparare che questo mondo è ricoperto di spine, e
se non starai
attenta, ti dilanierà”.
Abby si
voltò a guardarlo e lui notò una scintilla di
intelligenza in quei suoi occhi da cerbiatta. “Se
è come dici, perché dovrei
fidarmi di te?”
Lautrec
annuì. “Ora stai imparando, ragazza”
disse mentre
si avvicinavano alla fine della galleria. “Non
dovresti”.
Il Borgo
dei Non Morti era desolato come il Santuario del
Legame del Fuoco. Gli edifici cadenti e in rovina del passato si
ergevano come
sentinelle attorno a loro; fatiscenti pile di pietra crollata e legno
incurvato
si appoggiavano le une sulle altre. A nord gli antichi bastioni della
città li
osservavano dall’alto, i tetti ricoperti da diversi metri di
neve, i loro merli
e le loro feritoie distrutti. La neve scendeva dal sole smorto nel
pallido
cielo sopra di loro e freddi venti spazzavano le strade.
“È
bellissimo” disse Abby a voce bassa e rispettosa.
“È
merda, ecco
cos’è” la corresse Patches, voltandosi
verso Lautrec. “Dove diavolo sono i
dannati esseri vuoti?”
“Questo
luogo sarebbe dovuto essere infestato, giusto?”
disse Benjamin. “Io e miei amici spesso ci raccontavamo le
storie sul grande
disastro che colpì il Borgo che avevamo sentito dai nostri
genitori e dai
loro.” Saltò sopra il muretto di pietra che dava
sul borgo inferiore e si
schermò gli occhi con la mano sulla fronte. “Ma
non c’è nulla.
Quelle storie erano false…o è questo mondo a esserlo?”
Quelana
sembrava persino più a disagio con tutto quel cielo
sopra di lei. Prese Abby per il gomito e le si avvicinò.
“Non dovremmo essere
qui. Questo posto sembra…sbagliato.”
“Qui
siamo esposti,” disse Lautrec indicando davanti a
sé.
“Se volete sedervi e discuterne, fatelo con la schiena contro
un muro.
Muovetevi.”
Così
si spostarono. Diede istruzioni a Patches, e l’uomo
calvo li portò sopra ponti e sotto arcate, attraverso
edifici e varchi vuoti e
decadenti, salendo scale e scendendo pendii, eppure mentre esploravano
sempre
più a fondo il Borgo, Lautrec non riusciva a ignorare il
presentimento che la
strega avesse ragione: qualcosa in quel posto era
sbagliato.
Fu mentre
si avvicinavano alla torre che portava in cima ai
bastioni che Benjamin disse, “Ci stanno osservando.
L’edificio accanto al ponte
che abbiamo attraversato prima. Ho visto due volte del movimento, una
prima,
una appena adesso.”
Abby e
Patches si voltarono per guardare e Lautrec sentì
salire la rabbia. “E ora sanno che se non altro ne siamo al
corrente,” li
rimproverò prima di rivolgersi al ragazzo, “Ne sei
sicuro?”
Ben
annuì. “Dite tutti che sono inutile, ma ho un
occhio
attento. È per questo che mio padre mi mise tra le mani un
arco quando tutto
ciò che avrei voluto era una penna.”
“Farò
il giro,” disse Patches. “Coglierò quel
bastardo di
sorpresa.”
“Inutile.
Adesso sanno che siamo qui a discuterne,” disse
Lautrec e, dato che non poteva peggiorare la situazione, si
voltò per osservare
lui stesso. L’edificio che aveva indicato il ragazzo sembrava
vuoto e
abbandonato come tutti gli altri, ma diverse finestre segnavano il
muro; molti
posti nascosti da cui spiare. “Voglio parlare con lui. O con
lei.”
“Presumi
sia una persona…e non un altro demone,” disse
Quelana.
“I
demoni sanno solo attaccare. Non pedinano, non
aspettano, non pianificano,” spiegò Lautrec.
“Chiunque ci stia osservando…lo fa
per un motivo.”
“E poi?”
chiese
Abby. “Anche a me piacerebbe parlare con qualcuno. Magari lo
chiamiamo? Dopo
tutto, non ci ha attaccato. Potrebbe non avere intenzioni
ostili,” ma quando
Lautrec la guardò, sospirò, con
un’espressione mortificata. “Ma
immagino…che il
mondo sia malvagio.”
Quelana
notò i loro sguardi e aggrottò la fronte.
“Ti ha
detto questo? Non lasciare che ti privi del tuo ottimismo, Abby. Ti
tiene al
caldo in questo mondo gelido.”
Abby
sorrise. “Grazie.”
“Commovente,”
disse Patches seccamente, “ma se a voi va
bene, preferirei spostarmi prima di beccarmi una freccia nel
culo.”
Lautrec
aveva aperto la bocca per rispondere quando vide
lui stesso il movimento. Però non era stato nel lontano
edificio che aveva
indicato prima Benjamin, ma da una finestra della caserma vicino a
loro. “Abbassatevi,”
ordinò, afferrando Quelana al suo fianco e tirandola
giù vicino al pavimento di
pietra sotto i loro piedi.
“Lasciami,”
scattò lei, voltandosi per assicurarsi che
anche Abby si fosse abbassata.
“È
in quell’edificio,” disse Lautrec, indicando
davanti a
sé.
Patches
condusse Ben più in là, dietro i merli della
città,
dividendo l’obiettivo nemico. Anche Lautrec si
spostò verso destra e Quelana
accese le proprie mani. Abby osservava in silenzio, stupita.
“Sei in inferiorità
numerica!” urlò Lautrec, lanciando uno sguardo
sopra al muro. La caserma era
immobile e silenziosa in risposta; la neve gocciolava dal tetto e dai
davanzali. “Non vogliamo combattere! Voglio solo sapere
cos’è successo a
Lordran!”
Ci fu un
lungo istante di silenzio prima che arrivasse una
risposta, attutita dalla pietra e dal legno del suo nascondiglio,
“In
inferiorità, dici? Non credo.”
La voce
aveva un accento particolare, e a Lautrec suonò
familiare. Guardò i suoi compagni di viaggio, ma nessuno
sembrava più sicuro di
quanto non lo fosse lui. Lanciò un altro sguardo e
urlò, “Che intendi dire?”
Un altro
lungo silenzio, poi, “Il sole tramonta.
Arriveranno i cani. Sono la vostra unica speranza. Fate come vi
dico.”
Patches
sbuffò divertito, allontanatosi ancora lungo la
merlatura. “Non prenderci per idioti, amico! Non è
passata nemmeno un’ora
dall’alba! Abbiamo ancora tutto il giorno per scappare
dall’arrivo di questi
‘cani’ di cui parli.”
Dopo il
solito silenzio, la voce parlò, “Allora forse
siete
davvero viaggiatori da un altro
mondo. I giorni si accorciano e le notti si allungano a Lordran.
Guardate il
cielo e vedrete che ho ragione.”
Lautrec
alzò lo sguardo. La neve gli bagnò la fronte, il
vento soffiò tra i suoi capelli, e un brivido gli corse
lungo la schiena.
L’uomo aveva ragione; il pallido sole aveva già
iniziato la discesa verso
l’orizzonte a occidente.
“…impossibile,” mormorò.
“Fate
come vi dico, viaggiatori, e sopravvivrete alla
notte. O ignoratemi e i cani vi prenderanno, anche se chiamare queste
bestie
‘cani’ potrebbe non essere corretto. Sono mostri,
creazioni dell’oscurità
stessa, desiderano solo devastare e distruggere. Sfidate la sorte
contro di
loro stanotte…o deponete le armi e lanciatele a me. Decidete
in fretta. Giunge
la notte e con essa…la morte.”
Lautrec
guardò alla sua sinistra e vide che i suoi compagni
di viaggio stavano tutti fissando lui. Nonostante tutte le loro
lamentele, i
loro rifiuti e la rabbia per i suoi ordini, quando era il momento di
prendere
decisioni, lo consideravano ancora il loro leader. La sua decisione fu
semplice: aveva bisogno di risposte ed era determinato a trovarle
quindi si
alzò, sguainò i suoi shotel, e li
scagliò sulla piattaforma rialzata fuori
dalla caserma. Patches imprecò, ma fece lo stesso, Ben e
Abby dopo di lui.
Quelana non aveva armi, quindi non gettò nulla, ma lei e
Lautrec si scambiarono
uno sguardo e domò le fiamme nelle sue mani, ritirandole
nella sua veste. Il nostro segreto,
pensò lui, e lei
annuì, sembrando d’accordo.
“Saggia
decisione,” disse la voce. “Ora mettete le mani
sopra la testa e tornate per la strada dalla quale siete arrivati. Fate
in
fretta, se volete sopravvivere.”
Mentre
marciava, Lautrec finalmente riconobbe la strana
voce. Era Domhnall di Zena, il mercante e collezionista di oggetti
rari, e ora
la sua vita era nelle mani di quell’uomo.
E nel
cielo, l’oscurità stava arrivando velocemente.
Venendo a
prenderli tutti.
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