Note
iniziali: Solitamente
non metto note all’inizio, ma volevo
chiarire che questa storia è ambientata
nell’universo creato da Kubo, quindi
non c’è alcuna discriminazione e Otabek e Yuri
possono vivere insieme e
adottare una bambina.
Come nelle
Favole
[Day
Three: Future and Childhood Memories]
Per
Otabek, l’estate era il periodo migliore dell’anno;
quando pattinava era
l’unico momento in cui poteva prendere un po’ di
respiro, adesso, ritiratosi
dalla vita agonistica ormai quasi tre anni prima, era l’unico
momento in cui
poteva godersi la propria famiglia senza che Yuri, ancora competitivo,
dovesse
allenarsi tutti i giorni per via delle gare.
Sin
dall’inizio della loro relazione era sempre stato un
privilegio raro potersi
svegliare con Yuri accanto e Otabek continuava a considerarlo tale,
ringraziando per una volta che l’odiosa sveglia di suo marito
non fosse
scattata alle sei e mezza della mattina.
Vide
che Yuri era ancora addormentato dall’altra parte del letto e
decise di non
svegliarlo subito, dopotutto sapeva benissimo quanto fosse stanco;
quando fece
per alzarsi, si accorse di un peso caldo sulla propria gamba destra e
non ebbe
nemmeno bisogno di guardare per sapere che Kira, ultima arrivata in
famiglia,
gli si era accoccolata addosso. Quella palla di pelo tigrato era
così piccola
da riuscire a prenderla in braccio con una mano sola, nonostante avesse
ormai
qualche mese.
La
gattina miagolò piano, facendo delle fusa basse e
sonnolenti, gli occhi ancora
chiusi, e raggomitolandosi di più contro il suo petto.
«Va bene, torna a
dormire.» le disse prima di depositarla nuovamente sul
materasso; Kira si
sistemò accanto al braccio di Yuri e non si mosse
più.
Uscì
dalla camera tentando di far meno rumore possibile con
l’intenzione di recarsi
in cucina e cominciare a preparare la colazione, ma si fermò
a metà strada a
causa di un suono sospetto proveniente dalla seconda stanza che si
affacciava
sul corridoio. La porta bianca era adornata con delle lettere violette
che
formavano il nome “Nataliya”; Otabek la socchiuse
piano, sorprendendosi nel
trovare la luce accesa.
Dopo
essersi sposati, sia lui che Yuri avevano voluto aspettare che almeno
uno dei
due si ritirasse, prima prendere in considerazione davvero
l’idea di un figlio;
concordavano sul fatto che un bambino avesse bisogno di cure e di una
casa
fissa, con una famiglia presente, e se entrambi fossero stati impegnati
con
allenamenti, competizioni in giro per il mondo e conferenze non
avrebbero
potuto garantire quelle condizioni. Dopo il ritiro di Otabek ne avevano
riparlato e Otabek aveva deciso di trasferirsi a San Pietroburgo con
Yuri; solo
a quel punto il loro desiderio era diventato realtà.
Nataliya
aveva due anni quando l’avevano adottata, ed era la bambina
più bella che
Otabek avesse mai visto. I suoi occhioni vispi e attenti
l’avevano catturato
dal primo momento e, a distanza di tre anni, non avrebbe saputo
immaginare la
propria vita senza di lei.
L’amava
con tutto se stesso, anche quando faceva i capricci, anche quando lei e
Yuri si
erano presentati a casa con la piccola cucciola randagia che era Kira,
e anche
adesso, mentre era seduta per terra con le gambe stese davanti a
sé, cercando
di toccarsi le punte dei piedi, come spesso vedeva fare a Yuri e come
la sua
maestra di danza le aveva insegnato. Leon, il loro primo gatto, la
fissava
accucciato sulla scrivania.
Quando
si accorse di lui, Nataliya si tirò in piedi nel tempo di un
respiro, con un
sorriso sdentato (aveva perso il primo incisivo qualche giorno prima,
dopo una
lunga settimana in cui aveva mostrato a tutti il suo dentino
penzolante). «Ake!»
esclamò lei nell’avvicinarsi.
«Buongiorno,
zhanym.» le sorrise,
scompigliandole
i capelli con la mano prima di aprire le persiane della stanza, facendo
entrare
la luce naturale.
Nataliya
spense l’abat-jour e andò a prendere in braccio
Leon, che nel mentre aveva
cominciato a grattare la porta. Otabek la tenne aperta per entrambi. Il
gatto
era una grossa palla di pelo rosso e il suo muso assonnato spuntava
accanto
alla testolina scura della bambina; Nataliya aveva i capelli castani e
la
carnagione chiara quasi quanto quella di Yuri, era minuta e qualche
volta, ad
esempio quando aveva espresso il desiderio di prendere lezioni di
danza, gli ricordava
suo marito.
Zampettò
fino alla cucina, i piedi nudi che lasciavano delle stampe sul
pavimento, e lì
lasciò andare Leon, che decise bene di acciambellarsi su una
delle sedie;
Nataliya si arrampicò su quella accanto, allungando una mano
per afferrare il
pacco di biscotti lì vicino.
«Quando
ti sei svegliata?» le chiese Otabek, aprendo il frigo per
prenderle del succo
di frutta. Con la bocca ancora piena, Nataliya provò a
rispondergli e provocò
una pioggia di briciole sul tavolo. «Non tanto presto. Leon
miagolava fuori
dalla porta e mi ha svegliato.» accarezzò la testa
del gatto. «Fa sempre i
capricci.» borbottò, ma stava sorridendo.
«Ainalaiyn che ne dici di andare a
svegliare papa mentre faccio il
tè?»
non ebbe nemmeno il tempo di finire, che Nataliya si era infilata in
bocca un
ultimo biscotto ed era corsa lungo il corridoio; il tonfo attutito di
un corpo
che cadeva sul materasso e il consequenziale miagolio irritato di Kira
lo
avvisarono che era giunta a destinazione. Sorrise quando la voce roca e
ancora
insonnolita di Yuri gracchiò qualcosa di inintelligibile da
quella distanza e
con il fischio del bollitore che si intensificava ogni secondo di
più.
Versò
l’acqua calda nelle tazze e vi mise in infusione le bustine
di tè, alzando lo
sguardo in tempo per vedere Nataliya che trascinava per la mano uno
Yuri con i
capelli arruffati e l’espressione di chi non avrebbe voluto
altro che tornare a
dormire, Kira li seguiva a distanza, probabilmente ancora innervosita
per
essere stata svegliata in quel modo traumatico. Otabek credeva che in
realtà la
gatta fosse la sorella gemella perduta di Yuri.
«Buongiorno,
Yura.» lo salutò con un altro sorriso a cui Yuri
rispose con un grugnito. Portò
piano le mani verso la tazza di tè, cominciando a berlo. I
suoi lineamenti si
sciolsero, e finalmente aprì del tutto gli occhi; non
importava quanti anni
fossero passati, non passava giorno senza che Otabek si sentisse
incredibilmente fortunato del fatto di poter guardare quegli occhi ogni
mattina
e ogni sera.
Gli
passò una mano sulla testa, districando qualche nodo, prima
di piegarsi in
avanti e baciargli la guancia. Yuri fece una smorfia, ma poi sorrise e
voltò il
viso per ricambiare brevemente il bacio.
«Hai
già chiamato l’agenzia?» gli chiese
Yuri, mentre lui si allontanava, con tutta
l’intenzione di togliere i biscotti dalla portata di
Nataliya: ne aveva già
mangiati troppi. Rifilando un’occhiata severa a sua figlia
che smise di
lamentarsi e mise un piccolo broncio adorabile, scosse la testa e
spinse la
tazza di tè verso di lei. «Non ancora, mi sono
svegliato da poco anch’io.»
Yuri
si stava riferendo all’agenzia di viaggi cui si erano rivolti
per organizzare
la vacanza che entrambi volevano fare da qualche mese. I viaggi erano
sempre
stati motivo di stress, per loro, perché erano sempre a fini
agonistici e
quando Otabek si era ritirato riscoprire i viaggi di piacere era stata
una
gioia; era anche un modo per mostrare il mondo a Nataliya e la bambina
ne era
entusiasta. Conosceva già i luoghi a loro cari: Mosca, ad
esempio, era sempre
la loro meta preferita per il Natale; visitavano anche Almaty, specie
per i
compleanni, e qualche volta Hasetsu, poiché dopo essersi
ritirati entrambi anni
prima, Viktor e Yuuri si erano definitivamente trasferiti in Giappone.
Nataliya
adorava quei due, e ancor più adorava Haru e Beatrisa, i
loro figli, entrambi
più grandi di lei.
Quell’anno
avrebbero passato una settimana a Barcellona, un po’
perché quella città
conteneva parecchi ricordi per loro, un po’ perché
Nataliya aveva insistito sul
voler andar a mare dove l’acqua non era troppo fredda.
Infatti,
alla sola menzione del viaggio, la bambina scattò. Scese
dalla propria sedia e
si intrufolò sotto il braccio di Yuri. «Papa!
Partiamo davvero tra due giorni!?» esclamò felice.
Yuri le pizzicò una
guanciotta piena. «Come promesso, zvyozdochka.»
Nataliya rise felice, andando a recuperare Kira dall’angolino
in cui si era
ritirata e raccontandole la cosa.
Otabek
la guardò dalla sua posizione appoggiata al bancone, poi
spostò gli occhi su
Yuri, ancora impegnato a guardare loro figlia. «Sono contento
di tornare a
Barcellona insieme.» gli disse, con un sorriso sghembo. Yuri
ghignò, e stirò le
braccia verso l’alto, nel suo modo di chiedere un abbraccio,
ma troppo pigro
per alzarsi effettivamente dalla sedia. Quando finalmente
sentì Otabek tra le
sue braccia, lo tirò verso giù; gli
sfiorò l’orecchio col naso. «Anche io,
sarebbe la prima volta. Insieme e non per qualche gara.»
Otabek
ridacchiò a quelle parole.«E poi dici di non
essere un tipo romantico, Yura.»
gli piazzò un altro bacio sulla guancia, allontanandosi
prima che Yuri potesse
protestare, cosa che avrebbe assolutamente fatto, se non fosse stato
per
Nataliya la quale, accortasi di quelle effusioni, si era avvicinata di
nuovo al
tavolo con Kira accucciata sulla spalla. «Ake,
papa, perché siete così contenti di
andare a Barcellona?» chiese.
Dal
modo in cui Nataliya ridacchiò, la velocità con
cui i loro sguardi s’erano
cercati doveva essere stata vicina quella della luce. Otabek
incrociò le
braccia, passando il testimone a Yuri. Questi si schiarì la
voce e si voltò con
il busto verso Nataliya, facendole cenno di avvicinarsi. La prese in
braccio e
cominciò a raccontare, la voce che non nascondeva la sua
reale emozione.
«È
la città in cui ci siamo conosciuti, quando ancora eravamo
ragazzi.» le disse,
e Nataliya si fece seria, ascoltandolo con attenzione, la guancia
poggiata
contro la sua spalla.
«Era
la finale del Grand Prix, il mio primo anno nei senior, e stavo
passeggiando
per schiarirmi un po’ le idee. Poi, all’improvviso,
è apparso un gruppo di mie
fan.» Nataliya annuì e aggiunse. «Sono
quelle signore che ci sono sempre quando
pattini?»
Otabek
dovette trattenere una risata al termine “signore”,
perché ovviamente Nataliya
non poteva sapere che il modo corretto per parlare delle fan di Yuri era
“pazze”.
Suo
marito doveva pensarla allo stesso modo, perché rise.
«Sì sì, loro. E tu lo sai
che non mi piacciono tanto, quindi stavo cercando di scappare e
nascondermi.»
abbassò il tono, come se le stesse raccontando un segreto e
strappandole una
risatina, poi continuò. «Stavano per trovarmi, ma
sai cosa è successo?» Nataliya
scosse la testa e cominciò a saltellargli sul ginocchio.
«Cosa? Cosa?» squittì,
presa dalla storia.
«Ake è arrivato a prendermi,
con la moto,
mi ha dato un casco e mi ha detto di saltare su.» lo disse
con tanto entusiasmo
che Nataliya strillò felice, spaventando Leon. «E
poi?» incalzò.
«Poi
mi ha portato a fare un giro per Barcellona e mi ha rivelato che quella
non era
la prima volta che ci incontravamo.» i suoi occhi lasciarono
quelli chiari
della figlia per spostarsi in quelli più scuri e caldi di
Otabek, il quale capì
che era arrivato il suo turno.
Nataliya
spostò la propria attenzione su Otabek e lo
guardò trepidante. «In realtà ci
eravamo incontrati ancora cinque anni prima, ad un campo estivo di
balletto.»
«Ma
ake, tu
non balli.» sua figlia lo squadrò sospettosa.
«Non
ero molto bravo infatti. Però papa
lo
era! Era il più bravo di tutti.» Le disse allora e
Yuri ghignò, quel sorrisetto
pericoloso che Otabek non sapeva ancora se amare o odiare (ovviamente
lo
amava).
«E
avevo deciso che volevo riuscire ad affrontarlo, perché
volevo essere il
migliore. Però avevo anche deciso che volevo diventare suo
amico. Così quando
ho saputo che avremmo gareggiato insieme, ero impaziente di incontrarlo
di
nuovo.» I suoi occhi indugiarono per un attimo sul viso di
Yuri. «E poi gli ho
chiesto se voleva essere mio amico, e lui ha accettato.»
Concluse, e Nataliya
batté le mani, tutta eccitata da quelle nuove scoperte.
«È
come le storie che mi racconti prima di dormire, ake!»
sospirò, scivolando giù dal ginocchio di Yuri per
avvicinarsi
a lui e tendere le braccine nude per farsi sollevare. Otabek se la
issò su di
un fianco e le baciò la fronte. «Adesso sei
contenta anche tu?» le chiese.
Nataliya
annuì solennemente, con gli occhi chiusi. Li
riaprì di scatto, e Otabek si
fermò per un attimo a contemplare la genuina gioia nelle
iridi grigiazzurre di
sua figlia. «Possiamo andare nel posto dove siete diventati
amici?» gli chiese,
a bassa voce, come se si vergognasse di quella richiesta.
Scambiò
un altro sguardo affettuoso con Yuri, poi le sorrise. «Ma
certo, zhanym.» Nataliya
gli gettò le braccia
al collo. «Rakhmet, ake!»
Non
appena la riportò con i piedi sul pavimento, Nataliya corse
via nella sua
stanza, blaterando qualcosa sul dover preparare la valigia in fretta,
perché era
un’occasione speciale, o almeno questo era ciò che
era riuscito a captare della
confusione di russo e kazako che sua figlia parlava, misto a gridolini
di
gioia.
Non
ebbe tempo di preoccuparsene però, perché Yuri si
era finalmente alzato dalla
sedia e gli aveva passato le braccia attorno ai fianchi. Gli
baciò il collo,
sotto l’orecchio. «Perché non le hai
detto dei miei “indimenticabili
occhi da soldato”?» lo prese in giro.
Otabek
lasciò fuoriuscire una risata sospirata. «Ho
pensato che fosse un dettaglio che
volessi tenere solo per te. E per me.» gli rispose, distratto
dalla sensazione
delle labbra di Yuri che si facevano strada lungo la mascella e verso
la sua
bocca.
«Hai
pensato bene, come sempre.» Yuri lo baciò
profondamente, lasciando sgusciare la
lingua ad accarezzare la sua, e si staccò con un suono umido e
ben familiare.
Otabek gli spostò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. «Ti amo.» Yuri
voltò
la testa, baciandogli il palmo. Non gli rispose, ma gli diede un ultimo
bacio a
stampo, prima di allontanarsi per evitare che Nataliya si facesse
cadere la
valigia addosso e sorridergli furbo. «Chiama
l’agenzia.»
Traduzione
dei termini stranieri:
Zhanym:
dal kazako
“anima mia”
Ainalaiyn:
dal kazako
“tesoro”
Ake:
dal kazako
“papà”
Rakhmet:
dal kazako
“grazie”
Zvyozdochka:
dal russo
“stellina”
Papa:
dal russo
“papà”
(È un vezzeggiativo)
Note della pseudo
autrice:
Facciamo
finta che da qualche parte nel mondo sia ancora il 22
febbraio…
E
siamo anche alla terza!! Non mi sembra vero, se è
un sogno non svegliatemi!
Allora,
questa storia è praticamente FWP (Fluff without Plot), per
il semplice motivo
che volevo continuare a dar gioie a questi due bellissimi personaggi e
che una
loro famiglia mi fa sciogliere come neve al sole. Sono debole
Ovviamente,
Nataliya è tutta mia invenzione, così come Kira e
Leon, i gatti di famiglia :3
L’unico
termine russo utilizzato mi è costato lunghi minuti di vita
perché google in
italiano è inutile, e ho dovuto cercare in inglese; per
quanto riguarda i
termini in kazako, vengono da questo
post, aka How To Otabek, e mia salvezza.
Ringrazio
chiunque abbia letto e mi farebbe molto felice sapere cosa ne pensate,
anche se
fosse una critica (purché sia costruttiva)!!
Un
grazie speciale va sempre a _Lady di
inchiostro_, la mia fantastica beta!
(Per
chi ha recensito le altre storie di questa serie, sappiate che vi adoro
e che
vi risponderò al più presto! Scusate per
l’attesa!)
LysL
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