Goccia di pioggia
Passando accanto al tavolino del salotto scorsi un
sacchetto colorato
dall’aspetto invitante. Vi infilai la mano e presi una
manciata di caramelle gommose che infilai in bocca. Masticando con
metodo e gusto, mi avviai verso la mia stanza.
Stavo
fantasticando di un riposo nella mia vasca, e sussultai nel
trovarla già occupata.
«Jessi?!»
esclamai, sbalordito.
Subito
dopo, la mia stessa domanda mi parve totalmente stupida. Il suo
viso era così inconfondibile, incorniciato dai suoi capelli,
scuri e ondulati. E i suoi occhi verde smeraldo si alzarono su di me
quando mi sorrise con timidezza. «Nicole mi ha fatta
entrare» spiegò, vedendo la mia
perplessità. «Mi ha detto che eri in camera tua,
così sono venuta qua, e visto che non
c’eri...» Lasciò che la sua voce si
spegnesse.
Io
sorrisi, quasi un riflesso istintivo. «La prima volta che
abbiamo parlato ti avevo trovata qui dentro, ricordi?»
domandai, un poco divertito.
Lei
sorrise. «“Tu sei Kyle?”»
citò. Mi guardò di traverso e aggiunse, imitando
il mio tono: «“Tu sei nella mia
vasca”».
Non
riuscii a non sorridere di nuovo. «E così il
flash back è perfetto e completo, vero?» domandai,
entrando nella vasca e sedendomi di fronte a lei.
La
osservai per qualche attimo, poi domandai: «Come vanno le
cose?»
Lei
scrollò le spalle. Effettivamente non era poi tanto
tempo che non ci vedevamo. «Bene. E a te?»
«Bene»
replicai, e sorrisi.
Jessi mi
guardò e sembrò farsi coraggio. Mi
chiesi perché fosse così. «Ecco... A
dire il vero non va tutto bene...» mormorò,
allarmandomi.
«Perché?»
domandai. «Taylor si
è fatto meno gentile?» Nonostante lei avesse
ribadito più volte che l’uomo la trattava bene non
potei fare a meno di sospettarlo.
Ma Jessi
sorrise e io tirai un sospiro di sollievo. Non sarebbe apparsa
così rilassata se l’uomo con il quale viveva fosse
diventato improvvisamente sgradevole.
«Ricordi»
iniziò lei, esitante, poi si
fece più sicura, «quando hai detto che Sarah
sembrava davvero felice, là nella foto?»
Annuii e
lei proseguì: «E poi, quando ho detto che
però io non ero lei, tu hai detto che sarei potuta
esserla...»
Non
sapevo perché, ma improvvisamente non riuscivo a
distogliere gli occhi dal suo viso. «Sì»
sussurrai.
«Ci
ho pensato» mormorò lei.
«Io voglio davvero essere come Sarah... Ma soprattutto, spero
che tu capisca... Soprattutto, io... voglio chi aveva
lei»
aggiunse, guardandomi.
Io
iniziavo a capire. In qualche modo, avvertivo che le parole di Jessi
preannunciavano un cambiamento che non mi avrebbe dato scampo, volente
o nolente. Eppure non riuscii a muovere un muscolo, e improvvisamente
osavo a malapena respirare.
E poi
Jessi si sporse in avanti, verso di me, socchiudendo appena la
bocca. Come al rallentatore – ma in qualche modo quella
lentezza rendeva più implacabile il suo avvicinarsi
– vidi le sue palpebre abbassarsi sui suoi occhi verde
scuro... La luce creava riflessi sui suoi capelli ondulati, in un
disegno che seppi non avrei mai dimenticato... Sentii sul viso il fiato
caldo di Jessi, e prima che potessi reagire compiendo una qualsiasi
azione, giunsero anche le sue labbra calde.
Premettero
contro le mie, delicate e un poco impacciate. Mi sembrava di
avere la mente congelata, il cuore mi palpitava tra le costole,
battendo all’impazzata. La sua bocca era calda, morbida e
dolce.
Stavo
rispondendo al bacio, mi resi conto passivamente, prima che
qualcosa scattasse nel mio cervello. Scostai bruscamente Jessi.
«Che cosa fai?» domandai, fissandola.
Lei
batté le palpebre e in silenzio si morse il labbro.
Io
deglutii a vuoto. C’era una parte di me totalmente
convinta che avessi la lingua paralizzata. «Jessi,
io...» Le parole mi sembravano inutili. Tutte quelle che
conoscevo suonavano banali ed assurde, e per un attimo mi chiesi se non
sarebbe stato meglio tacere. Però dovevo spiegarle...
«Io non posso... Non voglio»
mi corressi con forza,
mentre sentivo una specie di formicolio invadermi la nuca.
«Io sto con Amanda» aggiunsi di colpo. Inghiottii.
«Non possiamo fare così, è sbagliato,
non è giusto. Non... mi piace».
Mi faceva
sentire impotente udire quelle parole – che
apparivano così stupidamente inutili – uscire
dalla mia bocca. Ma ciò che mi fece davvero male fu vedere
Jessi incassare tutto senza fiatare, senza muovere un muscolo. Dopo
qualche istante – non più di un minuto, con ogni
probabilità – che a me parve un tempo infinito, si
alzò e, rigida, scavalcò il bordo della vasca,
poggiando i piedi sul pavimento.
Si volse
verso di me, ma i suoi occhi non incontrarono i miei. Quando
cercai il suo sguardo, dovetti accontentarmi della vista delle sue
ciglia scure.
«Ciao,
Kyle» mormorò in tono piatto. La
seguii con lo sguardo mentre usciva dalla porta e scompariva dalla mia
vista. Ammutolito, rimasi immobile nella vasca, le mani contro i bordi
gelidi, che non mi erano mai parsi così freddi.
Lentamente,
mi lasciai scivolare sul fondo della vasca. In basso.
Quasi
senza rendermene conto, alzai la mano a sfiorarmi la guancia
laddove i capelli di Jessi avevano toccato la mia pelle.
Solitamente
avevo una percezione piuttosto precisa dello scorrere del
tempo, ma in quel momento non avrei saputo dire per quanto rimasi
immobile sul fondo della vasca, respirando piano. Mi riscossi quando
udii il trillo del cellulare.
Per un
attimo pensai di lasciar perdere, che suonasse quanto voleva...
Alla
fine, però, riemersi dalla vasca ed allungai la mano
verso il telefonino. Lo avvicinai alla bocca solo per rendermi conto di
avere la gola secca. Inghiottii. «Pronto?»
«Ciao,
Kyle!» La voce entusiasta di Amanda mi
giunse all’orecchio.
«Ciao»
replicai laconico, passando un dito sul
bordo della vasca.
«Giù
di morale?» domandò la
voce di Amanda, loquace. Dal suo tono si capiva benissimo quanto avesse
voglia di parlare a lungo. Ma io, al contrario, desideravo solo
starmene in silenzio.
«Un
poco» risposi.
«Oh,
mi dispiace!» esclamò accorata la
voce di lei. «Sai, io penso a te praticamente tutto il
giorno, non posso farne a meno! Qui è bellissimo, davvero,
ma allo stesso tempo mi manchi veramente».
Sospirai
piano e passai il cellulare da un orecchio all’altro.
«Stavo
pensando al nostro primo bacio»
continuò Amanda. «Quasi mi pare ancora di sentire
le tue mani...»
Per un
breve momento, quasi ci riuscii. Provai a rammendare la curva
dorata dei capelli di Amanda che le sfiorava la guancia, le sue labbra
carnose... Poi mi resi conto di star pensando a lievi boccoli castani,
alla luce che risplendeva ramata sui capelli di Jessi, alle labbra
inesperte ma dolci della ragazza.
«Che
succede?» chiese ansiosa Amanda, sentendo il
mio silenzio farsi prolungato.
«Niente»
dissi. «Niente»
ripetei, più piano.
Ma la mia
mano si muoveva lieve ad immaginare l’incavo
tiepido della spalla di Jessi.
«Sei
con la testa tra le nuvole, eh?» fece Amanda,
riportandomi alla realtà.
«Un
po’» risposi.
«Senti,
Kyle, ora devo andare, devo esercitarmi...»
aggiunse Amanda. Sentii lo schiocco di un bacio.
Sapevo
che lei si aspettava che io ricambiassi, ma non ne avevo voglia.
«Ciao» mormorai con voce incolore e, con enorme
sollievo, interruppi la chiamata.
Infilai
in tasca il cellulare e sospirai.
Mi
strofinai le tempie con la punta delle dita. Avrei voluto che Amanda
non avesse chiamato.
Un
ticchettio contro i vetri mi fece voltare verso la finestra. Aveva
iniziato a piovere, e non una pioggerella leggera, decise, grosse gocce
di pioggia schizzavano il vetro.
Stavo
cercando di non pensare quando ancora una volta sentii lo squillo
del cellulare. Sperando non fosse nuovamente Amanda, risposi:
«Pronto?»
«Pronto,
Kyle?»
Mi
irrigidii a quella voce. «Taylor?» sbottai.
«Chi ti ha dato il mio numero?»
Non seppi
mai la risposta. Infatti, mentre ponevo la domanda, Taylor mi
chiese: «Jessi è ancora lì da
voi?»
«Come?!»
esclamai, con un sobbalzo. Strinsi il
cellulare. «Non è ancora rientrata?»
«No».
La voce di Taylor era tesa e apprensiva.
«Pensavo si fosse fermata... Maledizione!»
«Ma...
è andata via da un bel pezzo»
sussurrai, gettando un’occhiata al vetro bagnato di pioggia.
«Ma
allora... dove sarà andata? Esco a
cercarla!»
«No»
dissi.
«Come?»
fece, sbalordita, la voce di Taylor.
«Vado
io, la troverò con maggior
facilità» affermai, deciso, alzandomi dalla vasca.
«D’accordo»
accettò Taylor,
seppur riluttante.
Salutai
in fretta e spensi il cellulare. Afferrai la giacca,
infilandomela più velocemente che potevo, presi su un
giubbotto di jeans. Mi guardai attorno alla ricerca di un ombrello.
Infilato
sotto all’armadio, ce n’era uno blu scuro.
Lo presi e uscii dalla mia stanza. Attraversai di volata il corridoio e
uscii all’aria aperta.
L’aria
era fredda e densa di umidità, il vento
frustava la pioggia e rendeva molto semplice il finire inzuppati anche
avendo l’ombrello. Starnutii. Non osavo immaginare a che
punto fosse Jessi, che con ogni probabilità si trovava fuori
da quando era iniziato il temporale.
Mentre
risalivo il viale, mi venne in mente che non avevo lasciato
detto a nessuno dove sarei andato, ma constatai di avere il cellulare
al sicuro – e a portata di mano – nella tasca dei
jeans.
Le mie
scarpe producevano un cigolio sommesso ad ogni passo a causa
dell’acqua che ricopriva la strada. Per un momento, camminavo
spedito, mi domandai se non fossi stato troppo precipitoso a dire a
Taylor che l’avrei trovata facilmente.
Avevo
appena finito di formulare quel pensiero scoraggiante che udii
una specie di energia sfrigolare nella mia testa, assieme ad uno
stridore che per un momento mi stordì.
«Jessi»
sussurrai, sollevato. Automaticamente,
capii dov’era.
Il parco.
Aumentai
l’andatura. La pioggia continuava a cadere, ma ora
pareva meno convinta.
Eppure il
parco non aveva mai avuto un’aria meno
incoraggiante. Le altalene cigolavano sospinte dal vento, la pioggia
scrosciava sullo scivolo, la terra era diventata fango.
E la
ghiaia del vialetto non era certo meno fradicia. Avrei dovuto
pulire le scarpe, prima di entrare in casa.
E infine
la scorsi.
Una
figura seduta ad una panchina. Mi dava la schiena, ma capivo lo
stesso che guardava dritto davanti a sé. Mi avvicinai
rapidamente. Iniziavo a distinguere i capelli, resi più
scuri dall’acqua, e la felpa bagnata.
Infine,
svoltai, camminai, e le giunsi di fianco.
«Ehi»
sussurrai.
Lei si
voltò lentamente. Aveva i capelli zuppi,
l’acqua le scorreva sul viso, e per un momento rimasi
immobile a guardarla chiedendomi se avesse anche pianto. Il fatto che
il mio rifiuto al suo bacio potesse averla resa così
infelice mi rendeva ansioso e stranamente euforico allo stesso tempo.
Avanzai
di un passo in modo che l’ombrello riparasse anche
lei. Senza dire nulla, le poggiai la giacca jeans che avevo preso sulle
spalle. Tremava.
«Jessi,
perché sei qui?» chiesi.
Lei
alzò gli occhi – che parevano quasi castani,
al plumbeo del cielo – e disse, così piano che
quasi il vento coprì la sua voce: «Volevo stare
sola».
«Ma
piove» osservai inutilmente.
Lei si
passò la mano tra i capelli bagnati.
«L’avevo notato» replicò,
senza energia.
Avevo la
mano sinistra chiusa attorno al manico
dell’ombrello, ma tesi la destra verso di lei e le toccai la
felpa per constatare quanto fosse fradicia.
Mi
guardai la mano, poi guardai Jessi.
Insieme,
iniziammo a ridere.
Quando
infine tornammo ad essere in silenzio, ci fissammo senza dire
nulla. Mi sporsi verso di lei, sognando le sue labbra. Quando le
trovai, mi parve m’infuocassero le mie, trasmettendomi un
forte calore.
Lei
dapprima restò ferma, sorpresa dal fatto che avessi
cercato quel contatto, poi assecondò i movimenti delle mie
labbra, muovendo la bocca in armonia con la mia.
Senza
accorgermene, lasciai cadere l’ombrello per prendere la
sua nuca fradicia tra le mani e baciarla ancora.
Le mie
emozioni palpitavano al ritmo del mio cuore. Avevo i piedi
infreddoliti, le mani e i capelli bagnati, ma la bocca di Jessi era
calda, ed il suo calore bastava a non farmi sentire più il
gelo della pioggia.
Sembrava
che ogni cosa si fosse fatta distante. Gli alberi, scuri
contro il cielo nuvoloso, le macchine oltre il parco, il viale fangoso.
Anche il rumore della pioggia non era altro che un mormorio indistinto
– in sottofondo.
Poi,
lentamente, separammo piano le labbra.
La
guardai. Il suo viso era pallido, forse mi appariva così
perché i capelli arruffati di pioggia erano quasi neri, ma
sembrava risplendere interiormente, di una luce che mi aveva sempre
catturato.
Sorrise,
e non potei non ricambiare quel sorriso.
Le sue
labbra si incurvarono, scoprendo i denti bianchi, mentre la
felicità le ammorbidiva l’espressione, rendendola
quasi eterea.
Prese le
sue mani nelle mie. Una goccia di pioggia le scivolava su una
guancia come una perla, mentre quelle intrappolate nei suoi capelli
rilucevano tenui sotto un sole che, timidamente, dava
un’occhiata al mondo per assicurarsi dell’andamento
della pioggia.
E la
pioggia continuava a cadere, così l’astro si
rifugiò ancora dietro la cortina di nuvole, ma in me
splendeva qualcosa di più sfolgorante.
Jessi si
chinò a raccogliere l’ombrello, la
attirai contro il mio fianco ed iniziammo a muoverci verso casa, la sua
testa contro la mia spalla.
L’avevo
trovata, eppure mi sentivo come se avessi lasciato
qualcosa a metà...
«Ti
amo, Jessi» mormorai, indistintamente, la voce
coperta dal rumore della pioggia. Lei però mosse il capo, e
compresi che aveva sentito.
Un
“anch’io” si librò un
attimo nell’aria, lieve ma deciso come una goccia di pioggia,
perfetta su una guancia infiammata da nuove emozioni.
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