Quella
era la prima volta che metteva effettivamente piede nella Casa della
Mezzanotte, e la seconda in linea cronologica sul cupo pianeta Aladaar.
Un
posto decisamente esotico, ma non si poteva certamente definire il
preferito
dell’arciduchessa Nihil Nahema Aldebaran che era ben
più abituata ai paesaggi
desertici del suo pianeta natale. Ecco, per certi versi la Residenza
del
Crepuscolo, luogo in cui la “famiglia” di Darius
Adaar V soggiornava – anche se
le malelingue dei nobili avrebbero esternato in modo sprezzante quel
suo
manipolo di concubine e figli bastardi – era decisamente
molto più rilassante e
piacevole da visitare proprio come il vento caldo che sfiora le guance
infreddolite da una notte passata nel deserto.
Quella
aveva avuto modo di visitarla la prima volta che era atterrata con la
propria
navetta sul pianeta, e lo aveva fatto da sola… senza dire
niente a nessuno.
Molto probabilmente aveva commesso una autentica follia ad addentrarsi
negli
oscuri territori degli (ex) Andromeda da sola –
perché gli illithid possono
essere alquanto imprevedibili dato che non sono alleati con nessuna
grande casa
– e ancor più imprudente fu la sua visita nel
luogo di piacere del sovrano del
posto, anche se non si poteva certo dire che fu piuttosto contrariato
di essere
interrotto, qualunque cosa stesse facendo, da una donna affascinante
quanto lo
era lei.
Adaar
l’aveva definita così: affascinante. Per quanto
l’arciduchessa non fosse mai
stata una donna altezzosa o particolarmente avvezza ad atteggiarsi da
nobildonna pettegola e amante della moda, era invece una di quelle che
preferiva la spada alle boccette di profumo tanto da voler fare
carriera
nell’esercito reale. Magari fu proprio questo suo lato poco
“femminile” – per
quanto fosse comunque una bella donna – ad aver incuriosito
tanto Darius, ma
sorpresa a parte dovette ammettere che fu una piacevole chiacchierata.
L’illithid
non aveva mai avuto modo, fino all’arrivo della nobildonna,
di poter parlare
con qualcuno che facesse parte del regno delle grandi costellazioni.
Fino a
quel momento si era sempre occupato dei suoi fronti interni –
sia metaforici
che fisici – ma a parte questa piccola mancanza diplomatica
la donna aveva
intuito che fosse un uomo che puntava in alto.
Quasi sicuramente aveva delle mire ben più sinistre di
quante ne aveva lei – e
la sua congiura di nobiluomini – nei confronti del loro
attuale regnante, Tsar
Lunanoff XI, ma doveva ammettere che era un uomo troppo furbo per
lasciar
trapelare qualcosa che portasse lei medesima sul chi vive. O
addirittura agire
di conseguenza.
Adaar
era un uomo astuto, ben consapevole che dichiarare apertamente guerra
ad un
regno potente equivaleva gettarsi in una impresa ardua e logorante
– per quanto
lui e la sua gente possedessero poteri psichici non indifferenti
c’era da dire
che l’armata dorata non era da meno – dunque le era
chiaro che puntasse ad una
alleanza più sullo stile dei nobili pomposi che tanto
disprezzava piuttosto che
tagliar loro la testa. Perché mai volesse allinearsi con
loro non era ben
chiaro, ma in molti avrebbero sicuramente puntato il dito alla sua
volontà di
aprire una “falla” nel sistema delle costellazioni
unite per poi attaccarle a
tempo debito.
Un
dubbio legittimo, ma rimaneva per l’appunto un dubbio. E per
il resto la
chiacchierata fatta in un gazebo dalle colonne contornate da fiori
luminescenti
rampicanti – davanti ad una bottiglia di pregiato vino rosso
– era stata
diplomaticamente piacevole. Avevano trovato un accordo, ed ora
bisognava solo
mantenere la promessa.
“Sei
la donna più irresponsabile che io conosca…
Prendere e partire da sola per
incontrare un pazzo sanguinario! E tutto per cosa? Per dei giochi di
potere?!”
“Sei
stato tu a mettermi la pulce nell’orecchio parlandomi di lui,
zio Krem” la donna
sorrise, pur
continuando a non osservare il proprio accompagnatore, sentendolo
sbuffare
seccato “e per quanto riguarda i cosiddetti giochi di potere
è in ballo il
benessere dell’intero regno, oltre che i tuoi interessi da
mercante”
“Tzk…
non bastava semplicemente uccidere quell’ingenuo di
Pitchiner? Ti saresti
risparmiata un sacco di grane”
Nahema
non aveva degli zii degni di nota – chi morto per il tempo o
per le congiure –
e per quell’occasione si era fatta accompagnare da una
creatura tanto
insistente quanto ormai piuttosto nota nell’ambito familiare
degli Aldebaran.
Krem Oloong Ventrum era un illithid proprio come lo era il padrone
della dimora
in cui erano giunti quel giorno, ma facente parte di
tutt’altra fazione.
Oltre
a conoscere il padre di Nahema da una vita – erano amici di
gioventù – era il
mercante di fiducia della famiglia più ricca tra le casate
nobiliari, nonché divenuto
di recente membro di spicco della confederazione dei mercanti. E
già con questo
ultimo punto in elenco si poteva comprendere che lo snello cefalopode
non era
particolarmente felice di essere in una dimora di guerrieri.
Impacchettato
nella sua preziosa tunica nera e viola, dagli intricati ricami in fili
d’argento che partivano dall’alto colletto simile
ad una ragnatela, il mercante
si mosse a disagio nel piccolo tempio circolare in cui erano stati
indirizzati
dalle guardie umane al loro arrivo in quella villa maledetta. Adaar era
stato
particolarmente accorto nell’ospitare un mercante nella sala
che celebrava una
delle vittorie degli illithid sulla ormai estinta casata Andromeda, la
cosiddetta Guerra degli Ultimi Giorni, lasciando ben intendere che Krem
non era
esattamente il benvenuto e che Darius era quello con il coltello dalla
parte del
manico.
“Ne
abbiamo già parlato…”
commentò pazientemente la donna, avvolta nel suo ricco
mantello viola scuro. Non aveva voglia di affrontare
l’argomento Pitchiner, in
quanto aveva piani ben precisi a riguardo, seppur poco piacevoli e lo
ammetteva
a se stessa “piuttosto, perché non mi ricordi chi
è questo gran signore qui? Se
non ricordo male ti si sono arricciati un po’ i tentacoli
alla sua vista”
Madame
Aldebaran sapeva esattamente chi fosse la statua in marmo al centro di
quel
piccolo tempio – il cui piedistallo era avvolto da candele
ormai fuse tra loro
– ma le sfuggiva il senso cronologico dei bassorilievi che si
posizionavano tra
una colonna e l’altra illuminati a loro volta da file di
candele. In tutta la
stanza si respirava una certa atmosfera suggestiva, tra il solenne e il
religioso, ma a Krem poco importava.
Aveva
deciso di accompagnarla sia per la sua sicurezza – una volta
che era riuscito
ad estorcerle con insistenza i suoi foschi piani – sia
perché in ballo c’era
una possibile crisi di alleanze. La ragazza a suo avviso la prendeva
troppo
alla leggera le antipatie tra guerrieri e mercanti, ma contrariamente a
quanto
istintivamente pensava era al corrente che si trattava pur sempre di
una
stratega con un piano ben preciso in mente.
“Uff…
se questa è la tua idea di passare il tempo allora ti
accontento subito. Ti
presento Marduk van de Kain, un condottiero feroce, generale massimo
delle
armate illithid che, circa mille anni fa, ha dato lo scacco definitivo
alla
casa Andromeda”
Con
passo elegante – tipico dei membri della confederazione
mercantile – il Ventrum
si avvicinò di più alla statua del proprio simile
e la ispezionò meglio nella
sua fierezza e malvagità. Poi con un cenno della mano
consigliò alla propria
“nipote” acquisita di osservare i bassorilievi
presenti.
“Durante
la Guerra degli Ultimi Giorni braccò i restanti superstiti
della casa Andromeda
fino alla loro dimora fortificata. Il re barbaro Logain, marito della
nobile
Valindra Andromeda, era quel genere di individui che non andavano molto
per il
sottile, sia per quanto riguarda gli insulti sia per la sua resistenza
ai
nostri attacchi psichici”
Stando
a quanto veniva mostrato dagli statici bassorilievi gli Andromeda
persero molte
colonie non solo combattendo contro gli invasori, ma anche cadendo
succubi dei
loro poteri psichici venendo letteralmente stravolti nella
personalità e
nell’animo. Da impavidi guerrieri a cagnolini servizievoli
dei loro amati
padroni. Tutti ad eccezion fatta del marito di Valindra che, essendo un
barbaro, aveva più capacità di resistere assieme
ai suoi guerrieri testardi
come lui.
“si
dice che il primo incontro tra Marduk e Logain avvenne su di un ponte
che
portava alla capitale degli Andromeda. In quel luogo Marduk perse una
importante battaglia quando il barbaro fece saltare in aria il ponte di
pietra
su cui stavano passando i suoi soldati, trovandosi dunque soggetto ai
suoi
coloriti sberleffi”
Il
bassorilievo mostrava un illithid in armatura piuttosto calmo
nonostante sotto
di lui rocce e altri suoi simili cadevano nel vuoto, mentre
dall’altra parte
dell’abisso gli esseri umani esultavano alzando le loro armi.
Gli sguardi dei
personaggi raffigurati era quello tipico dell’arte di queste
creature aliene –
indecifrabile – ma la donna avrebbe mentito a se stessa se
non avesse detto che
in quel Marduk covasse una certa vendetta.
“Fammi
indovinare, Logain ha esultato ancora per poco”
“forse
non lo sai, ma la capitale degli Andromeda era circondata da un
profondo abisso
continentale, percorso dalle acque dell’oceano perennemente
in tumulto
piuttosto difficili da guadare. Marduk aspettò dunque
l’arrivo della primavera,
quando le acque si sarebbero calmate abbastanza da permettere il
passaggio dei
serpenti marini per il loro esodo riproduttivo. Stando alle spie che
aveva a
palazzo, sotto la capitale c’erano delle gallerie sotterranee
che arrivavano
fino alle scogliere, ed essendo gli illithid abili nuotatori decise di
sfruttare le bestie marine come copertura al suo piano”
Il
fregio in pietra grigia mostrava gli alieni umanoidi nuotare con la
stessa
grazia di quelle grosse anguille dai denti affilati –
cavalcandole addirittura
– eludendo così lo sguardo degli attenti arcieri
posti sopra i ripidi pendii.
Naehma non aveva mai visto un illithid nuotare prima d’ora, e
la curiosità di
sapere se fossero davvero così abili come voleva far vedere
quel bassorilievo
era piuttosto discreta. Ma mai quanto venire al corrente se Darius
Adaar V era
fermamente convinto di stipulare definitivamente l’accordo
con lei. Aveva
sentito che era un individuo tanto arrogante quanto prevedibile, per
quanto
piuttosto gentile nei suoi confronti, e tutta quella lugubre storiella
era un
buon modo per stendere la tensione. A suo dire.
“la
città era protetta da una barriera magica. Una bolla eretta
da maghi potenti
che non permetteva attacchi aerei o psichici da parte dei miei
simili… ma non
si aspettarono un attacco proprio al suo interno”
Come
previsto il fregio successivo mostrava una violenta battaglia tra le
due
fazioni rivali, e a quanto pare il condottiero illithid non si
risparmiò
atrocità gratuite stando a quanto mostrò
l’ultimo pannello decorativo.
Piuttosto esplicito nei contenuti, come spesso mostrava
l’arte di
quell’inquietante razza aliena.
“e
come puoi ben intuire da quello che successe, il generale van de Kain
non ci
andò per il sottile. Decapitando i figli di Logain e
violentandogli la moglie
sotto gli occhi. Dopo averle alienato la mente, si
intende…”
“Si
amarono… mio caro mercante.
Secondo gli storici dell’epoca il generale Marduk fu
decisamente un marito più
comprensivo di Logain, dunque dobbiamo per forza ritenere
l’amore un sentimento
così iniquo anche se rende due persone felici?”
La
chiacchierata tra i due forestieri venne interrotta da una voce
decisamente più
profonda di quella del Ventrum, ed entrambi notarono l’ombra
del proprietario
di casa avvicinarsi con passo silenzioso ai due.
Krem
sfigurava davanti ad Adaar – alto “solo”
un metro e ottanta, come in molti
nella confederazione dei mercanti – ma il generale non ebbe
praticamente occhi
per lui, in quanto la sua attenzione venne catturata da una Nihil
Nahema ora
decisamente più sollevata del suo arrivo. Arrivando a
concedergli un
diplomatico sorriso.
“Mia
cara Arciduchessa… perdonate l’attesa –
si concesse un mezzo inchino per lei,
portando lo “zio” della donna a roteare gli occhi
annoiato pur non visto – ho
da poco concluso un briefing con i miei comandanti. Purtroppo il lavoro
chiama
anche durante una festa, ma ora…”
Il
possente condottiero – tra l’altro vestito con
nient’altro che una tunica color
vinaccia legata alla vita – invitò i suoi ospiti a
seguirlo fuori dalla
cappella, decretando dunque fine ad ogni possibile polemica scomoda.
Nahema
tuttavia conosceva la storia degli ultimi giorni di Andromeda, sapendo
perfettamente che le gesta del generale Marduk portarono alla
definitiva
scissione tra casta dei guerrieri e quella dei mercanti. I primi
rivendicavano
legittima la conquista dello spietato generale per dare un segnale
concreto a
tutti i regnanti delle costellazioni, mentre i secondi videro solo una
“cattiva
pubblicità” e una possibile ritorsione da parte di
un re potente che tuttavia
non arrivò. Qualunque cosa fosse successa era forse il caso
di non rigirare
troppo il coltello nella piaga, e questo era il pensiero di entrambi
gli
ospiti.
“è
un piacere poterla nuovamente incontrare, generale Adaar. Spero di non
aver
interrotto la vostra festa”
“Oh,
non si preoccupi… la festa è anche per voi”
Una
volta usciti dal piccolo tempio percorsero
pochi metri, e al comando telepatico del loro signore le guardie umane
spalancarono
il portone di bronzo che dava al grande giardino della Casa della
Mezzanotte.
Il posto era arredato a festa, con lanterne di carta appese a fili di
ferro che
passavano da un porticato all’altro e regalavano una
atmosfera rilassante
nonostante l’ambiente tetro della villa – arrivando
quasi a oscurare il cielo
eternamente notturno con la loro luce – e svariati tavoli
imbanditi a festa
fornivano ogni delizia agli ospiti presenti. Non si trattavano di
portate
raffinate in quanto molti degli ospiti presenti erano guerrieri di
spicco
alleati di Adaar – lo si poteva intuire dagli stemmi
differenti sulle loro
armature leggere in cuoio – dunque nessun’ostrica
con ripieno di caviale e
aglio, o budino di ciliegie contornato da menta rossa, ma in compenso
svariate
portate di arrosti e verdure grigliate; spiedini di anguille e
calamaretti; e
una fontanella che spillava vino rosso di qualità abbastanza
buona… se si era
di stomaci audaci per bere una bevanda calda e speziata. Un banchetto
per
guerrieri – sia umani che illithid – in cui
bisognava usare più le mani che le
posate, e che la Aldebaran onestamente parlando non dispiaceva affatto.
L’arciduchessa
amava le cose pratiche, abituata com’era a impugnare una
spada pur sapendo come
destreggiarsi in una serata di gala, ed accettò di buon
grado la coppa
traboccante di vino rosso che il signore del palazzo le
allungò. Le loro mani
si sfiorarono, bagnate lievemente di quel fluido rosso come il sangue,
e
nonostante Adaar indugiò un attimo in quella posizione un
po’ intima, le mani
legate a quella coppa come a sancire la loro unione, per Nahema fu come
essere
sottoposta alla prova del nove.
Aveva
molti occhi su di se, sia quelli bianchi degli illithid che di quelli
dei loro
alleati umani, e quando decise di prendere per se la coppa volle
dimostrare a
tutti che di lei ci si poteva fidare. Bevve un buon sorso di quella
bevanda
molto forte – il vino dei guerrieri – tenendo
saggiamente a bada i tremiti
corporei dovuti all’ovvia digestione di
quell’intruglio alcoolico. Stessa sorte
toccò al mercante di nome Krem, ed una ancella dagli abiti
semitrasparenti gli
offrì una coppa su un vassoio d’argento. Le dita
affusolate dell’illithid si
chiusero sul manico di quel calice in metallo, osservato pure lui dai
sospettosi uomini di Adaar, e tenendo severamente d’occhio il
generale
malizioso volle dare pure lui il suo contributo alla festa.
Se
pensavano che fosse il solito burocrate impacchettato nei propri abiti
sontuosi
e con la puzza sotto il naso si sbagliavano di grosso. Sotto quelle
sete preziose
il mercante nascondeva un fisico tanto snello quanto atletico
– merito degli
allenamenti fatti con il proprio fratello minore, tanto grosso quanto,
a suo
dire, stupido – e per quanto quel vino fu un pugno allo
stomaco non dette
soddisfazione alcuna ad Adaar nel mostrarsi sofferente e tossire di
conseguenza.
“è
come acqua di fuoco nella mia gola” sentenziò
infine l’illithid con voce roca,
nel mentre che proprio tutti lo osservavano in silenzio “il
miglior vino della
costellazione. Sono stupito, Adaar”
Lo
disse con tono volutamente ironico – perché era
chiaro che un mercante non
avrebbe mai strisciato i propri tentacoli sui piedi di un guerriero
– ma tanto
bastò per sciogliere il ghiaccio e lasciare che gli altri
ospiti si
disinteressassero nuovamente dei nuovi arrivati. Poi un rullo di
tamburi attirò
l’attenzione di molti sul piccolo palco allestito per
l’occasione, dove una
commediaccia volgare era stata interrotta dall’arrivo del
padrone di casa, e lo
spettacolo potè dunque tornare ad andare avanti.
“Ora
che abbiamo avuto un assaggio della vostra ospitalità,
vorrei conoscere i
dettagli della vostra missione”
Nahema,
pur sorridendo educatamente e con le guance lievemente imporporate
dall’alto
tasso alcoolico del vino appena bevuto, volle comunque venire al dunque
sulle
motivazioni della sua visita. Adaar non si scompose, anche se avrebbe
preferito
vedere i propri ospiti più rilassati, appoggiando la schiena
su una colonna e
dando pure lui un sorso ad una coppa carica di vino speziato.
“è
fatta, mia signora. Il vostro ingenuo generale costruirà la
sua imponente
prigione affinchè tutti i nemici del regno vengano ospitati
li dentro… ho instillato
in lui una idea che con il tempo potrebbe diventare deleteria,
lo riconosce questo?”
Erano
passati pochi giorni dalla partenza di Kozmotis Pitchiner e a breve
anche Darius
Adaar sarebbe partito per impegni di “lavoro”
– le vacanze erano finite anche
per lui e la festa era stata organizzata proprio per quello –
ma l’idea dell’arciduchessa
di voler stipare in un unico luogo quelle bestie informi dei dream
pirates gli
sembrava piuttosto folle. Ma si trattava di una donna astuta, lo doveva
ammettere, e oltre a questo lato intrigante possedeva una mente blindata quanto lo era quella delle sue
adorate figlie. Già dal loro primo appuntamento aveva
provato a mostrarsi più
irresistibile di quello che in realtà era, sfiorandole quei
lati del cervello
che difficilmente si sarebbero attivati al comando della loro padrona,
ma fu
sorpreso di non riuscire minimamente a entrare in lei se non trovando
solo un
muro nero che gli vietava di
entrare.
Limitandosi dunque alla sola comunicazione telepatica e a sottostare ai
canoni
classici della diplomazia. Che fosse lei stessa figlia di un illithid?
Non poteva
saperlo per certo… e per il momento rimaneva solo un
pettegolezzo inutile.
“So
cosa sto andando incontro, generale. Ma ho già tutto
pronto” disse cortesemente
la donna, sperando che Krem non si indispettisse troppo “e
per quanto riguarda
me, potete star certo che manterrò la promessa che ci siamo
fatti… anche se
attualmente ho solo un fratellino di otto anni disponibile ad un
matrimonio, ci
vorrà dunque del tempo”
Da
una tasca interna del mantello in velluto viola estrasse un astuccio
dorato che
porse al possente illithid, e questi lo prese con cautela dalle mani
della
donna – perché in fin dei conti non era un oggetto
di sua proprietà – ed aprendolo
ne osservò il contenuto. Lo squisito ritratto di un
giovanotto dagli stessi
allineamenti della nobildonna si mostrò ai suoi pallidi
occhi, e per quanto
sembrasse avere un po’ più dei suoi effettivi otto
anni, come recava anche la
didascalia sotto il ritratto, apprezzò in silenzio quella
deliziosa esca che Nihil Nahema gli
aveva appena
lanciato.
“le
presento Nihil Texu Aldebaran, l’ottavo dei miei fratelli,
che sarà ben felice di
incontrare la sua futura sposa”
In
quel momento Krem non disse nulla, anche perché se lo avesse
fatto molto
probabilmente avrebbe nuovamente attirato l’attenzione dei
molti bruti presenti,
pertanto decise di relegare ogni genere di profanazione in lingua madre
in un
angolo remoto del suo subconscio inaccessibile a chiunque. A suo avviso
Nihil
Nahema era stata troppo avventata nel permettere a Darius praticamente
una
porta verso un mondo completamente diverso da quello dei possedimenti
di
Andromeda, avviando dunque ad un futuro possibilmente incerto le
relazioni con
i mercanti e il regno stesso, nel caso Adaar – o la sua
discendenza – avesse deciso
di muovere guerra.
“ne
siete certo, generale? Un matrimonio è una cosa
così borghese…”
Mormorò
quella frase portandosi il calice di vino speziato alle labbra, ben
nascoste
sotto i tentacoli, usando un tono sottilmente velenoso che colse
persino l’arciduchessa
stessa. Ben presagendo che il mercante – di una
età approssima di quarantadue
anni – le avrebbe fatto sicuramente la ramanzina al loro
ritorno verso la
capitale dorata degli Aldebaran, ma per il momento non voleva pensarci.
Anche perché
il lord del luogo sorrise in un modo alquanto strano, come se si stesse
mangiando con gli occhi i suoi
ospiti,
lasciando trasparire una certa malizia seppur provvisoria.
“Oh,
ne sono certo… e a tal
proposito, mia
cara Nihil Nahema, mi perdonerete se non ho un ritratto della mia
preziosa
figliola da mostrarvi, in quanto ho di meglio”
Così
come il suo sorriso durò una fazione di un secondo,
altrettanto l’attesa per i
due ospiti non durò a lungo. Scostandosi dalla colonna su
cui si era appoggiato
il generale si rivolse telepaticamente a due figure all’ombra
del porticato –
rischiarato da lampade in terracotta – che sgusciarono fuori
dalla
conversazione personale in cui si erano intrattenuti obbedendo ad un
ordine
diretto del loro padre e signore.
Un
illithid, alto quanto Darius forse guardia del corpo
dell’umana che
accompagnava, ed una ragazzina si avvicinarono alla figura del
generale. e
questi fu pronto a presentare alla nobildonna quella giovane dai
capelli neri e
dagli abiti dai colori che richiamavano
l’intensità dell’autunno. Era davvero
graziosa, entrambi gli ospiti dovettero ammetterlo – quasi
incredibile che
fosse stata concepita da un mostro
–
e i suoi occhi verdi brillarono di curiosità alla vista di
quella donna così
elegante rispetto ai rozzi guerrieri presenti.
“miei
cari ospiti, e mia cara
arciduchessa
Aldebaran, ho il piacere di presentarvi l’ultima delle mie
figlie, Amarilli
Adaar. Ha compiuto da poco il suo tredicesimo compleanno, ma a conti
fatti è
ancora la mia bambina”
“i
miei rispetti, principessa Adaar” fece l’Aldebaran,
accennando un lieve inchino
e sorridendole in modo cordiale “ero davvero curiosa di
conoscervi, e sono
ancor più colpita di vedervi di persona”
Le
guance della fanciulla si imporporarono di imbarazzo di fronte a quella
nobildonna vestita di un mantello così bello che,
però, nascondeva al di sotto
una leggera armatura dorata che ne proteggeva il busto. Era piuttosto
alta per
essere una tredicenne – con una altezza media di un metro e
sessantacinque – ma
il suo animo e il suo corpo non erano ancora quelli di una donna.
Nahema aveva
sentito dire, per bocca del suo mercante Ventrum, che gli illithid
raggiungevano la maturità sessuale attorno ai sedici o
diciotto anni di vita,
probabilmente per via della loro lunga vita, e a quanto pare
trasmettevano
questo particolare alle loro figlie.
“Arciduchessa…
è un piacere anche per me” indubbiamente le era
stato insegnata l’educazione “avrei
così tante domande da farle! Per esempio è vero
che il vostro pianeta è pieno
di sabbia? Ma proprio pieno, pieno?”
“non
esattamente ma si… è prevalentemente desertico.
Ci sono tuttavia diversi fiumi e oasi che ne spezzano il paesaggio, e
il
tramonto che si può osservare è simile a quello
che potete vedere nella vostra
dimora del Crepuscolo”
“Suvvia
tesoro, non assillare con le tue domande la nostra ospite…
non sei curiosa di
vedere il posto di persona?”
Il
tono del possente illithid fu gentile nei riguardi della propria
creatura, non
mostrando alcuna malvagità appena velata nei confronti di
Amarilli, lasciando
che uno sbuffo divertito si facesse sentire dall’arciduchessa
stessa. Poi un
coro di ululati eccitati e di tamburi ridondanti interruppe il
piacevole
quadretto che si era creato attorno alle nobili figure, e dai tendoni
del palco
si palesò una succuba dalla pelle violacea e dal palco di
corna ricurvo ricoperto
da foglie d’oro. Probabilmente una cittadina dei territori
degli Scorpio, i cui
demoni erano tra le poche popolazioni a resistere agli attacchi
psichici dei
cefalopodi, e lo scarno abbigliamento fatto di un corpetto in fili
d’oro che
lasciava poco all’immaginazione portò gli uomini
presenti a eccitarsi e ad
allungare minacciosi i tentacoli verso la sua sinuosa figura.
“padre…
vorrei avere il permesso per tornare alla Residenza del Crepuscolo.
C’è una
donna lasciva sul palco…”
La
giovane si mosse a disagio per il modo in cui la demone danzava con una
certa
flessibilità lasciando intravedere ogni centimetro della sua
carne, lasciando
ben intendere che quello non era uno spettacolo degno di una ragazza di
buona
famiglia. Il padre dunque acconsentì, facendo cenno alla
guardia di occuparsi
della sua bambina.
“Ma
certamente, figlia mia. Torna pure a casa, ci vediamo più
tardi”
Congedò
la figlia in modo educato, annuendo al guerriero dallo sguardo severo
di
scortare l’adorata figliola in luoghi meno incomprensibili
per gli occhi di una
bambina. Ma per gli adulti quello era uno spettacolo che con tutta
probabilità
non avrebbero assistito con tanta facilità nei prossimi
mesi, pertanto era il
caso di non andare troppo per il sottile con gli apprezzamenti pesanti
e le
parole audaci ad una femmina che, con tutta probabilità, era
li per sua
spontanea volontà.
Una
volta che la giovane Adaar si fu congedata da quel luogo di perdizione
l’intero
cortile fu nuovamente regno degli uomini, e Nahema constatò
di essere l’unica
donna a cui nessuno avrebbe torto un capello. Non la nobildonna con cui
il
grande capo aveva stipulato un importante accordo, una promessa di
matrimonio
che l’arciduchessa si sarebbe impegna a mantenere, e non con
lui medesimo che
le sarebbe rimasto accanto per tutta la durata della serata.
Gli
occhi di Nahema seguirono senza reale emozioni dalla danza
dell’esotica
femmina, sfiorata da quelle mani callose e da quei tentacoli sinuosi
come le
anguille scolpite nella dura roccia del tempietto di Marduk, notando
appena la
presenza di Darius alle sue spalle e al fatto che si era chinato
lievemente per
poter raggiungere simbolicamente il suo orecchio. Anche se non aveva
bisogno di
sussurrarle a quel modo.
“la
notte sarà lunga, arciduchessa… è
sicura di voler presenziare comunque?”
In
principio la donna non disse nulla, ma si accorse che
l’illithid le allungò un
calice di vino – più leggero rispetto a quello
bevuto in precedenza, in quanto
non voleva che la propria ospite si rovinasse il fegato – e
lo prese tra le
mani nel riserbo più assoluto. Non era più tempo
di farsi i complimenti a
vicenda, e sorridendo lievemente si portò la fresca bevanda
alle labbra per
somma soddisfazione del padrone di casa.
“Abbiamo
da decidere l’agenda dei futuri sposi… si dovranno
pur conoscere, no?”
[…]
Fu
così dunque che la lealtà di un uomo venne
svenduta per una promessa di
matrimonio i cui posteri non riserbano nessun ricordo degno di nota.
Molte cose
vengono spazzate via dall’incuria del tempo, altre volte
semplicemente per
mezzo di una mano malevola.
Quando
la sua mano carnivora si allungò lungo tutte le
costellazioni alleate non
ricordava di aver incontrato nessun cefalopode che avesse in qualche
modo
cercato di fermarlo, e lui comunque non fu così sciocco da
addentrarsi nei
territori degli Andromeda. Il condottiero che era in lui non temeva di
passare
per determinati settori, ma loro
erano terrorizzati al solo pensiero di camminare tra antiche rovine
così
ancestrali di cui persino gli illithid non riserbavano memoria.
Un
tempo Pitch Black era stato un uomo. Un soldato leale. Un padre e un
marito
devoto. Ora invece era il pupazzo di carne, pece e icore delle creature
che un
tempo si facevano chiamare dai bambini della cosiddetta Golden Age come
dream
pirates. Creature che lui stesso aveva contribuito a catturare vive,
fino a
raggiungere l’orlo della pazzia in quegli anni di solitudine
spesi a fare la
guardia ad un pianeta desolato e alla sua cattedrale nel deserto.
Possedeva
ora una nuova pelle, un nuovo nome, e tutto ciò che lo
riguarda come l’uomo che
era stato un tempo lo ricordava con molta fatica. Nel suo regno
monocrome, in
cui nelle gabbie informi che circondavano il suo trono bruciava
l’invisibile
fiamma dell’eterna vendetta,
un
signore decadente ma ancora potente meditava su ricordi passati
appartenuti ad
un individuo che ormai non era più.
Un
tempo il potente generale di una armata aliena aveva messo in guardia
Kozmotis
Pitchiner dagli intrighi dei nobili che lui serviva con tanta
lealtà, ma invece
di raccogliere i suoi ammonimenti come la più preziose delle
risorse si era
fatto ammaliare dalla più improbabile delle idee.
Colui
che lo aveva ammaliato si era comunque annoverato il diritto di
metterlo in
guardia, poiché furono proprio gli intrighi di corte a
devastare ciò per cui
viveva e spingerlo ad una eterna vendetta contro il mondo conosciuto.
Troppo giovane
per prestare attenzione alla voce della ragione Pitchiner aveva
lasciato
correre, e proprio come Darius Adaar V si era visto annichilire
l’unico motivo
della sua travagliata esistenza.
Pitch
Black non ricordava con l’esattezza i nomi di quelli che un
tempo erano stati i
membri della famiglia del generale Pitchiner, ma l’uomo che
era in lui,
assopito nella bestia che era diventato, ricordava i volti delicati di
due
donne.
La
sabbia nera che ora formava il suo essere si mosse come se stesse
danzando
nella densità del cupo oceano, e con il tocco gentile del
suo signore iniziò a
danzare ai suoi piedi per prendere la forma di una donna inginocchiata
di
fronte ad una bimba piccola. La sabbia cristallina e purulenta si
amalgamò con
delicatezza e maestria, tanto da riuscire a dare giustizia ai volti
sereni delle
due donne.
Un
rimasuglio di ciò che era stato era rimasto ancorato a quei
giorni, proprio
come l’illithid che l’aveva ammaliato quel giorno
di tanto tempo fa,
intrappolato in quel tempo anacronistico di un ricordo che sarebbe
sbiadito
sempre di più ad ogni decade che sarebbe passata sulla sua
pelle pallida. Ma prima
di allora, contro ogni aspettativa, lui avrebbe continuato a plasmare
la
propria materia prima affinchè il proprio subconscio ne
fosse sollevato nello
spirito e nella ragione.
Pitch
Black non aveva quasi idea di chi fossero le due figure femminili
abbracciate
tra loro, per l’appunto, ma avrebbe continuato a plasmare la
sabbia nera per
ricreare quell’intimo quadretto familiare così
come il generale illithid aveva
fatto nello scolpire la roccia grigia della propria dimora. Dette
dunque un
ultimo sguardo alla scultura creata con pochi passaggi di magico
pulviscolo,
sorridendogli lievemente con un volto un tempo appartenuto ad un uomo
vero,
prima di disfarla con un cenno della mano ed osservare i granelli di
sabbia
nera scomparire nell’atmosfera rarefatta del suo tempio
innominabile.