Epilogo
Wir
durchbrechen die Zeit
Neither
a sky
can divide
two lovers.
Shy and sweets feelings
overcome distance.
When it rains an angel is crying;
the sun shines, someone’s smilin’.
Unusual and rare rainbow
connect them.
Even the earth
bows before two hearts
which are beating
together,
after lots of time.
Love is immortal.
2009
Ho sempre odiato i
cimiteri, li trovavo inquietanti, troppo silenziosi. Le persone vi si
recavano con lo sguardo basso, gli unici rumori udibili erano i tacchi
delle signore e il fruscio dei fiori che venivano sostituiti per
posizionare un mazzo più bello e nuovo.
Come se ai
morti importasse qualcosa dei fiori sopra le loro tombe fredde.
Facevo di tutto per non doverci andare da piccola assieme
ai genitori, durante la festa dei morti. Al massimo
c’avrò messo piede due - tre volte.
Questa volta però avevo messo da parte la
repulsione verso quei luoghi e sostavo davanti all’entrata,
fissando quell’imponente cancello di ferro e il cartello che
vi sostava sopra.
“Cimitero di Venezia.
Aperto dalle 8 alle 19,
tutti i giorni.
Siano rispettati i
defunti mantenendo il silenzio”
Avevo
una conoscenza parziale dell’italiano, ciò che era
scritto però non mi interessava. Ero salita su un aereo che
m’aveva portato da Amburgo a Venezia per visitare una
persona. Sentivo di doverglielo.
L’aria di ottobre era tiepida rispetto a quella che soffiava
in Germania, tuttavia fu istintivo chiudermi nel mio cappotto, come a
cercare protezione.
Odiavo i cimiteri anche
perché, per quanto forte potessi essere, trovarmi davanti
alla tomba di un conoscente faceva sempre male.
Un colpo di vento mi fece traballare, mentre i capelli uscirono dal
cappuccio per sventolare in tutte le direzioni. Con gesto secco li
riportai dietro alle orecchie. Mossi i primi passi verso la tomba,
cercando di ricordare le indicazioni ricevute per arrivarci.
L’unico suono in quel posto opaco era il ticchettare della
suola delle scarpe sulla ghiaia bagnata dalla pioggerellina che
scendeva ininterrottamente da un paio d’ore.
Vagai con lo sguardo finché non trovai ciò che
cercavo. Mi ero sempre domandata perché avesse scelto di
farsi seppellire in Italia e non nella sua patria, la Germania. Ci
arrivai col tempo: amava l’arte, lo spettacolo e la penisola
racchiudeva tutto ciò che più adorava, da qui il
desiderio di rimanere vicino alle sue passioni, nella città
in cui il tempo s’era fermato, con il teatro che tanto amava
– La Fenice.
Con delicatezza posai un girasole sopra la tomba, accarezzandola con
delicatezza.
-Scusa se ci ho messo tanto per venire a trovarti- non c’era
nessuno quel giorno, eppure parlavo piano, in soggezione.
-Come saprai in quel
periodo sono stata sopraffatta dagli eventi. Non voglio
giustificarmi.. non sono neanche venuta al tuo funerale. Stavolta non
perché avessi altro da fare, sinceramente non me la sono
sentita- confessai.
-Non so se c’è vita dopo la morte, non so se mi
ascolti- continuai io, intrappolata in una conversazione forzatamente unilaterale, -Spero
di sì. Sono venuta qua per scusarmi, potevo esserti vicina
di più, forse ti ho delusa- sospirai.
-Inoltre volevo dirti che ce l’abbiamo fatta, il sogno
creduto irrealizzabile alla fine si è realizzato, sai?
È uscito il libro, ho due copie in borsa. Le altre saranno
rilasciate nei negozi il 6 ottobre. Per ora le recensioni di chi
l’ha letto in anteprima sono tutte buone, anzi ottime! Ci
sono già delle prenotazioni, sarà un gran
successo a quanto pare- sorrisi.
-Sono in Italia da una settimana, inizialmente dovevo restare solo un
giorno, il tempo di venire qua e tornare.. poi però dopo lo
stress per l’uscita del libro, tutti gli incontri con la casa
editrice, ho pensato fosse bene prendermi una vacanza. Questo paese
è bellissimo, hai fatto bene a scegliere questo posto per
dormire- chiusi un momento gli occhi, -Si sta facendo tardi,
è meglio che vada. Sai quanto mi inquietino i cimiteri-
rabbrividì.
Lasciai un’ultima occhiata alla tomba grigia con sopra un
girasole giallo e uscì frettolosamente, alla ricerca di un
taxi che mi portasse all’aeroporto.
Una volta in volo riuscì a rilassarmi, mi sentivo
più leggera ora che anche quella visita era fatta.
Atterrai ad Amburgo che
era sera, l’aria fresca mi fece colorare le guance, mi ero
già disabituata al clima tedesco. Presi il trolley e lo
posai nel bagagliaio della mia macchina, la quale giaceva nel
parcheggio del terminal dalla partenza. Avevo un’altra cosa
importante da fare.
Per distrarmi accesi la radio.
-Buonasera
ascoltatori! Un avviso per le fan dei Tokio Hotel, restate
sincronizzate perché domani i ragazzi verranno a trovarci in
studio per parlare del loro nuovo album! Humanoid, che
uscirà il sei di questo mese! E ora godetevi “With
me” dei Sum41!-
La voce dello speaker si dissolse per lasciar spazio alla
canzone. Spensi la radio; ero rimasta ferma alle parole
“Tokio Hotel” che rimbombavano nella mia testa.
Destino voleva mi stessi recando proprio all’Universal.
Giunta alla sede tirai fuori un bigliettino scritto quasi due anni
prima, ormai sbiadito da quanto era stato maneggiato. Estrassi poi la
copia del libro incartata alla perfezione e la lasciai sul luogo
indicato dal foglietto.
Trovarmi lì mi costava parecchia fatica, venivo
tempestata da flashback che rappresentavano i momenti più
felici della mia vita, tuttavia sapevano portarmi ulteriore sofferenza
e dolore.
Me ne andai in fretta, tenendo lo sguardo basso, neanche avessi fatto un reato.
Erano le nove quando tornai a casa, fu un sollievo
rimettere piede nella mia dimora e potermi finalmente buttare sul
divano.
-Ehi!- neanche il tempo di appoggiare la testa sul cuscino
che fui circondata dalle braccia della mia coinquilina
nonché migliore amica.
-Non saluti?- mi rimproverò.
-Credevo dormissi- feci spallucce.
-Com’è andata in Italia? Non ti sei
fatta sentire!- mi ammonì severa, si preoccupava sempre ogni
volta che andavo via; -mi hai fatto stare in pensiero.. Mel-
proseguì poi con tono più rilassato.
-Scusami- risposi, -Ero talmente impegnata che mi sono
scordata di accendere il telefono- mi giustificai, -Sono stata a Roma,
ho visitato un sacco di posti, poi gli ultimi due giorni gli ho
trascorsi a Venezia. Prima di partire sono riuscita ad andare al
cimitero- mi sorrise orgogliosa, sapeva la repulsione verso quel luogo.
La persona per la quale avevo fatto quel lungo viaggio era
mia nonna, deceduta quando avevo poco più di quindici anni.
Eravamo molto legate, era lei che mi accudiva ogni volta mancavano i
miei genitori, è grazie a lei se avevo sviluppato
l’amore per la scrittura fin da piccola. Mi leggeva sempre
favole e storie, per poi passare a libri più impegnati. A
dieci anni mi regalò la raccolta delle opere di Jane Austen,
poi ogni volta che l’andavo a trovare aveva qualche nuova
lettura per me, da Freud a Emily Dickinson, da poesie a tragedie. La
prima persona a conoscere il desiderio di diventare scrittrice, la
prima ad incoraggiarmi. Una volta entrata in scena la leucemia
però, i rapporti si raffreddarono: la clinica era a Colonia
e non aveva la possibilità di venirmi a trovare, d'altronde
neanche io volevo faticasse per raggiungermi e poi vedermi in
condizioni che sicuramente l’avrebbero fatta star male. La
notizia della sua morte fu una doccia fredda per me, non me
l’aspettavo. Nonostante non ci vedessimo sempre le volevo
davvero bene, e soffrì molto in quel periodo. Non
riuscì a partecipare al funerale, sia perché la
malattia mi aveva debilitata molto e non mi era permesso lasciare la
struttura, sia perché non ne avevo fatto richiesta: non ero
pronta a assistere al suo funerale.
Leggere mi aiutava a sentirla vicina, inoltre se non avevo
mai mollato il mio sogno era grazie a lei.
-Per questa volta passi- riferì lei per poi
scrutarmi attenta, la conoscevo bene per capire volesse dirmi qualcosa,
la mia Julia. Da quando si era presentata in camera mia, neanche due
anni prima, per chiedermi come stavo non ci eravamo più
separate. Mi aveva aiutato moltissimo, aveva il compito di essere la
mia “coscienza”. Mi era stata accanto anche nel
periodo successivo alla separazione da lui, se non fosse stato per lei
non ne sarei uscita viva. Non mi aveva abbandonato dopo il concerto,
quando la malattia aveva preso il sopravvento e sembrava sarei morta.
Invece il mio cuore smise di battere per qualche istante, qualche
scossa di defibrillatore e riprese la sua attività. Quattro a zero per me.
Alla fine eravamo uscite insieme dalla
“Kölner Klinick”. Dopo quattro anni di
lotta contro la leucemia riuscì a sconfiggerla.
Definitivamente.
Così come Julia era tornata a mangiare regolarmente, senza
preoccuparsi del suo aspetto.
-Cosa vuoi chiedermi Ju?- l’anticipai vedendola in
difficoltà.
-Hai intenzione di dare una copia del libro a lui?-
domandò con cautela, scrutando ogni mia reazione.
Lui.
Dal giugno dell’anno prima il suo nome non era mai stato
nominato, sostituito da quella particella che pronunciata faceva meno
male.
Lui,
colui che era entrato nella mia vita sconvolgendola per uscirne troppo
presto.
Lui,
colui che in un paio di mesi era entrato nel mio cuore per non uscirci
più.
Lui,
colui che m’aveva insegnato ad amare e a essere felice
nonostante tutto.
Lui,
l’innominabile
che, nonostante fosse passato più di un anno, non aveva
abbandonato i miei pensieri.
Lui,
la persona più bella che avessi mai conosciuto.
Lui,
che
continuavo ad amare.
Non averlo affianco faceva dannatamente male, più cercavo di
non pensarci, più il suo volto si presentava nella mia mente
portando con sé una marea di ricordi. Da quando aveva
oltrepassato i cancelli della clinica per tornare al tour la mia vita
era diventata piatta. Era impossibile provare le sensazioni che lui mi
faceva sentire, i brividi che solo il suono della sua voce provocava
lungo la mia schiena.
Ero guarita, eppure non trovavo il senso a un’esistenza senza
la mia superstar.
Avrei voluto, avrei potuto cercarlo, il suo numero l’avevo
cancellato dalla rubrica, però rimaneva impresso nel mio
cervello. Non l’avrei fatto, era troppo egoistico presentarsi
da lui dopo un anno: come potevo sapere qualcuna non avesse preso il
mio posto nel suo cuore? E se mi avesse dimenticata? Era la cosa
migliore, era quello che speravo facesse..
Tutto ciò che me lo ricordava era stato archiviato in una
scatola sotto al letto; le foto, i vestiti che m’aveva
comprato, i vari oggetti che aveva dimenticato in camera mia;
ciò di cui non ero riuscita a sbarazzarmi era la collana con
l’anello come ciondolo, con inciso “Heilige
Muse”. Era sempre al suo posto, non sarei riuscita a
separarmene, anche se forse sarebbe stato meglio.
Il fatto che i Tokio Hotel fossero spariti dalla scene per un
po’ m’aveva aiutata, almeno non correvo il rischio
di trovarmeli davanti ogni volta accesa la tv. Ora però le
registrazioni dell’album erano terminate, e scherzo del
destino.. sarebbe uscito in contemporanea al mio libro.
-Uh, ci sei?- mi riportò alla realtà Julia.
-Si scusami, stavo pensando..- a
lui, lo capì senza che specificassi;
-Comunque.. fatto anche questo. Gliel’avevo promesso-
Tempo prima quando confessai sarebbe uscito sotto “falso
nome” mi aveva fatto promettere gli avrei inviato una copia,
altrimenti non era sicuro sarebbe riuscito a leggerlo. E io, incantata
da quegli occhi da Bambi, non riuscì a fare altro che
annuire.
-Come gliel’hai fatto avere?- si agitò, sapevo
sperava trovassi il coraggio di portaglielo di persona. Mai.
-Mi aveva lasciato un bigliettino con le indicazioni per farglielo
avere. L’ho consegnato a Natalie, la truccatrice.. non credo
abbia capito cosa sia, però sono certa glielo
farà avere perché prima di trovare lei ho dovuto
fare un giro.. sai tutti i controlli di sicurezza, le varie porte.. ti
giuro sembrava un labirinto! Comunque una fan che non avesse avuto
delle informazioni precise non sarebbe mai riuscita a raggiungerla- le
spiegai.
-Ah..- mormorò, -Posso vedere il libro ora?-
cambiò argomento velocemente, curiosa.
Non l’aveva mai visto, non sapeva com’era la
copertina, non sapeva il titolo. Era un progetto solamente mio, mi
aveva visto scriverlo ma non sapeva di cosa trattasse, mistero.
Annuì e lo estrassi con calma dalla borsa.
-Ecco BILL- pronunciai l’ultima parola in un sussurro.
-Bill?- mi squadrò interrogativa.
-B.I.L.L- indicai il titolo sulla copertina, -Beh, ich liebe leider- il
nome che avevo scelto accuratamente.
Nulla era casuale, né le lettera che formavano il suo nome,
né la lunghezza; la formattazione era stata curata da me,
così che in totale le pagine risultassero quattrocentoottantatre.
-Sei un piccolo genio- sorrise affettuosamente, concentrandosi
sull’immagine di copertina, -Ma questa non è..?-
la riconobbe.
Già- assentì, -comunque questa copia è
per te, così puoi leggere e darmi un tuo parere-
-Oddio, grazie! Non sai quanto fossi curiosa di sapere ciò
che scrivevi!- esclamò, -E non sai la tentazione di frugare
nel tuo computer e leggere ciò che avevi buttato
giù!- confessò.
-A parte il fatto che è tutto protetto da password-
ridacchia di fronte alla sua espressione imbronciata, -Ti avrei
spezzato le manine se lo avessi fatto- aggiunsi.
-Ma guarda te che gente!- mugugnò, per poi tornare seria.
-Hai lasciato un recapito sul libro? O una dedica, almeno?- mi
fissò circospetta.
-No. Ho solo mantenuto una promessa, nient’altro. Non
gliel’ho dato con la speranza tornasse da me, è
una persona famosa che vive in un mondo fatto di soldi e ragazze. Mi
avrà dimenticata, ne sono certa- ammisi, sentendo il dolore
che ogni parola causava al mio cuore.
-Non ti ha dimenticata- esclamò certa e sicura, mentre
scuotevo le spalle. Che
ne sapeva lei?
-Se non ti ostinassi a tagliarlo fuori dalla vita capiresti che non
è così-
-Non lo taglio fuori dalla mia vita!- rimbeccai piccata, -Non puoi
escludere qualcuno che non ne fa parte! È passato un anno,
io mi sono rifatta una vita e anche lui di sicuro! Ho smesso di
pensarci- bugia,
grande e grossa bugia. Una volta uscita dalla clinica mi ero buttata a
capofitto nel progetto del libro, così da tenere la mente
occupata. Ciò che me lo ricordava era stato segregato in un
angolo. Non avevo più ascoltato un loro cd, non avevo
più preso in mano la moleskine regalo del fratello,
né indossato i vestiti. Si vedevano in tv e cambiavo canale,
in radio la spegnevo, un giornale lo buttavo.
-Non puoi mentire a me Mel. Soffri, si vede distante un miglio, sai da
quando non vedo un tuo sorriso vero? Troppo. E non riesci neanche a
pronunciare il suo nome, è sempre lui- mi sgridò
severa, non osai replicare, aveva ragione.
-Guarda questa intervista, è fresca di oggi- mi porse un cd
che teneva nascosto in mezzo a dei libri, -e ragionaci su-
Mi lasciò così da sola, con in mano quel
dischetto, mentre nella mia testa si facevano spazio tante domande e
interrogativi.
Conteneva delle risposte quell’oggetto?
Lo inserì.
Play.
* * *
E anche settembre era
finito, lasciandosi alle spalle l’estate e il calore. Sarei
dovuto essere rilassato dopo la vacanza trascorsa assieme a Tom alle
Maldive, invece ero ancora più teso di quando fossi partito.
Era stato un anno duro, il tour estivo per rimediare alle
date cancellate a causa dell’operazione alle corde vocali era
stato impegnativo, ogni giorno in una città diversa, senza
un attimo di pausa. Eppure non mi ero lamentato per gli orari, per le
date così vicine, per la stanchezza.
Non ne vedevo motivo, era quello che volevo. Dopo il riposo
forzato l’unica cosa che volevo era tornare a cantare e
immergermi nuovamente nella frenetica vita da tour, comprese le fughe
dalle fan e le alzatacce per interviste e photoshoot. Un altro lato
positivo dell’essere così impegnato era il non
pensare a lei.
L’ultima volta che la vidi risaliva al giugno
2008, da quando lasciai Colonia non ebbi più sue notizie. Mi
ero illuso, speravo in un messaggio, un segno, qualcosa. Era straziante
non sapere se stava bene, se fosse ancora viva.
Da allora non aveva mai abbandonato la mia testa, pensavo a
lei in ogni dannato istante, rischiavo di impazzire. Con
l’andare dei mesi però ho imparato a convivere con
la consapevolezza non sarebbe tornata. Eppure.. l’amavo,
continuavo ad amarla. Il nostro era un legame troppo forte per essere
spezzato così. “Il vero amore dura per sempre,
supera ogni ostacolo e tempo. Ci amiamo e niente potrà
impedirci di stare assieme, un giorno” Era
ciò che le avevo detto prima di partire, allora ne ero
convinto ma con il passare del tempo cominciai a dubitarci. La cosa
più dolorosa era sapere non sarei più riuscito a
innamorarmi di un’altra ragazza, non sarei riuscito ad amare
nessuno come lei, e neanche volevo. Avrei aspettato di rivederla..
sempre.
“Everybody say
that time heals the pain, I’ll be waiting forever.. that day
never come”
Le canzoni del nuovo album erano nate grazie a lei, la musa che mi
dava ispirazione. Contenevano frasi che magari m’aveva detto,
contenevano ciò che provavo per lei.
“Du tust mir
gut , Du tust mir weh
Ich bin im Kampf der Liebe“
Il foglio che mi aveva dato una delle prime volte in cui ci eravamo
incontrati, come le avevo annunciato, era divenuto una canzone,
“lass uns laufen”. Sperai che lo ascoltasse, sperai
avrebbe capito il significato della parole aggiunte da me.
“Ich weiss
nicht was kommt
Ich weiss nicht was war
Ich weiss nur du bist nicht mehr da“
E poi c’era “Zoom”. La nostra canzone. A
suonarla però non era lei, ma Tom. È
stata la canzone più difficile da registrare, la voce
tremava però volevo fosse presente a tutti i costi nel cd,
era la più significativa per me.
“Bist du
irgendwo da draussen
Zu schwach um zu weinen?“
Lei era fuori da qualche
parte, qualcosa dentro di me si rifiutava di pensare fosse morta, ero
convinto fosse viva. Sicuramente Julia mi avrebbe avvertito in caso
contrario, oppure la madre.. avevo ancora i numeri salvati, bastava una
chiamata per sapere qualcosa. Mi mancava il coraggio. Avevo paura di
sapere le fosse successo qualcosa, paura si fosse rifatta una vita con
qualcun altro..
“6 Milliarden
Menschen , wie krieg' ich Kontakt zu dir?”
Avevo provato a vedere altre ragazze, più che altro Tom
coglieva ogni pretesto per presentarmi a qualcuna. Inutilmente. Potevo
vedere tutte quelle che voleva, tanto nel mio cuore rimaneva sempre e
solo lei.
“Wie'n
Geisterfahrer, such ich dich
Wie'n Geisterfahrer
Um endlich bei dir zu sein„
Era un disco personale, era una confessione. Mi ero messo a nudo,
persone esterne non avrebbero capito il significato oltre ogni parole,
tutto era polivalente. Era la mia ultima speranza, altrimenti mi sarei
dovuto mettere il cuore in pace, una volta per tutte. Dovevo smettere
di amarla, impossibile.
“Why do I keep
loving you?
It's so automatic”
Scossi la testa
furiosamente, capitava spesso mi incantavo pensandola, ora
però dovevo lasciare spazio ad altri pensieri per
concentrarmi sull’album e sull’intervista che
avevamo lì a poco.
-Ehi, sei pronto?- domandò Tom sistemandosi la
fascetta che copriva la sua nuova capigliatura.
Album nuovo, stile nuovo, voglia di cambiare, metamorfosi.
Così dopo dieci anni aveva detto addio agli
amati biondi dread per lasciare spazio a delle treccine nere e scure, a
detta degli altri li donavano un aspetto un po’ inquietante,
secondo le ragazze era solamente più figo. Seguì
il suo esempio e abbondai la chioma cotonata, sistemando i capelli in
sottili dread neri, con qualcuno bianco.
-Sì- annuì, mentre Saki ci scortava
nello studio televisivo. Mi era mancato dare interviste, nei mesi
precedenti ne avevamo rilasciate poche, sommersi negli studi di
registrazione tedeschi e americani.
Ci sedemmo tutti e quattro su un divanetto e venne a
presentarsi la giornalista. Chissà perché tutte
donne!
-Allora, oggi come annunciato in studio.. i Tokio Hotel! Ci
parleranno del loro album, in uscita nel fine settimana-
annunciò e il pubblico scoppiò in un sincero
applauso.
-Allora, intanto, tutto bene? Com’è
ritornare alla vita frenetica?-
Il microfono fu passato direttamente a me, come solito.
-Bello- sorrisi sentendo qualche urlo da parte del
pubblico, -In questi mesi abbiamo viaggiato molto, poiché
l’album è stato registrato un po’ in
Germania ma anche a Los Angeles, perciò non siamo stati
tanto fermi, tranne per agosto, siamo andati in vacanza. Nonostante sia
faticoso riprendere certi ritmi, è quello che vogliamo fin
da piccoli, stiamo vivendo il nostro sogno perciò il
“frenetico” non ci spaventa- spiegai.
-Capisco. Ora per quanto riguarda l’album,
partiamo dal nome: Humanoid, perché?-
-E’ un termine che viene dal linguaggio
fantascientifico, significa “simile
all’uomo”. Si pronuncia diversamente nella lingua
inglese e tedesca ma si scrive nello stesso modo, e volevo che
l’album avesse un solo nome in tutto il mondo-
La scelta del nome giusto aveva richiesto parecchio tempo,
alla fine ne avevamo trovato uno adatto.
-L’unica traccia per ora rilasciata in rete
è “phantomrider”, intanto vi faccio i
complimenti perché la trovo molto bella e dolce, cosa ci
dici su questa canzone?- si rivolse direttamente a me stavolta,
poiché era scritta da me.
-Sono contenta le piaccia- dissi, -E’ sul come
essere vicini a qualcuno che non hai mai incontrato davvero. Vuoi
scappare da qualcosa e vuoi che quest’anima gemella/fantasma
venga via con te perché è l’unica cosa
in cui hai fiducia-
La scrissi giusto un anno prima, pensando a lei,
ovviamente.
-In che versioni è disponibile?-
-C’è la versione album classico, sia
in inglese che tedesco, poi un “fan pack” e una
edizione “deluxe”- rispose Tom.
-Ho sentito dire ci sono molte collaborazioni-
affermò, annuimmo.
-Esatto, per esempio The Matrix, Guy Chambers, Red Uno,
Desmond Child, e altri-
-Parlaci delle canzoni, il vostro manager mi ha inviato in
anteprima il cd- le fan urlarono, invidiose, facendola ridere. Oca.
-Com’è stato il processo di scrittura?-
-Sono state scritte in tempi diversi, alcune addirittura a
marzo del 2008, come Humanoid, solitamente appunto pezzi di frase che
mi vengono in mente, poi il resto viene da sé, oppure sento
gli altri suonare e penso a qualcosa di adatto per quella musica-
Continuò a fare domande, dalle vecchie
tournée al rapporto con i fan, la nostra famiglia e gli atti
di stalking, finché non arrivò la domanda che mi
mise un po’ più in difficoltà..
-Ho notato leggendo le note dei ringraziamenti e
co-produzioni, mi scusino le fan per lo spoiler, una cosa.. ossia
più volte è presente un nome: Melpomene. Chi
è questa persona?- ammiccò come se avesse scovato
un gran segreto.
Mi irrigidì, mentre Tom capendo il mio stato
d’animo mi prese il microfono di mano.
-Beh, non è propriamente una persona-
annuì d’accordo, poteva sembrare una bugia, ma era
la verità: non era una “persona”, era la
ragazza che amavo.
-Melpomene in mitologia è la musa della musica-
spiegai, l’espressione della giornalista cambiò
capendo non era riuscita a fare uno scoop, -Ci sono stati dei momenti
in cui faticavo a trovare le parole, poi però tutto si
è risolto, e mi piace pensare sia grazie a lei- strizzai
l’occhio, mentre Tom ridacchiava ,-Questo album è
nato grazie a lei- sperai che lei vedesse l’intervista e
capisse il significato della frase.
-Va bene!- si capiva che non era soddisfatta, la mia vita
privata era blindata.
L’intervista durò un’altra
mezz’oretta, fu un sollievo terminare.
-Dio ma quanto parlava quella la!- sbuffò Georg
una volta in auto, diretti a casa.
-Più di Bill- intervenne Gustav, -e questo dice
tutto- fece la linguaccia.
-Non fai ridere- lo rimbeccai.
-E la domanda su Mel.. poteva risparmiarla-
esclamò contrito mio fratello, facendomi sorridere. Sapeva
era un argomento delicato per me.
-Già, però avevo messo in conto
avrebbero potuto chiedere qualcosa, in effetti è un nome
nuovo e mai comparso nei versi cd- scossi le spalle, fingendo
indifferenza. Per quanto scomoda fosse la domanda, dava la
possibilità a lei di capire che non era stata dimenticata.
Per nulla.
-Inutile che fai l’indifferente, ti sei
irrigidito subito non appena l’ha nominata, poi vedi che
è lei, non hai più detto il suo nome.
Abbassai lo sguardo, colpito in pieno dalla sua –
seppur debole – accusa. Non risposi, infilai le cuffiette e
feci partire la musica per abbassare il volume dei pensieri.
Rientrando nell’appartamento notai la presenza di un pacco
regalo poggiato sopra la cassetta della porta, con sopra un biglietto.
“Non so cosa sia,
l’ha portato una ragazza stasera e sembrava piuttosto..
nervosa.
Ho pensato
di portartelo subito, mi sembrava importante! (: Baci, Nat”
Mi recai velocemente in
camera, sedendomi sul letto con l’oggetto fra le
mani. Il pensiero fosse da parte sua mi attraversò
la mente, poi mi diedi del pazzo, non poteva essere.
Scartai con lentezza la confezione, osservando basito il
contenuto.
Un libro.
Era stato incartato in modo che, una volta tolto
l’involucro, la parte visibile fosse il retro e non la
copertina. Non casuale.
Dietro era stampato un pezzo di dialogo, estratto dalla
storia, lessi.
-Cosa vorresti fare prima
di morire?- Mi domandò William, sorridendo.
-Vivere- risposi stoicamente, dando una scrollata alle
spalle.
-Sam! Hai quasi diciotto anni, possibile tu non abbia dei
sogni?- mi fissò sbalordito.
-No, è troppo complicato; implicherebbe aver
un’idea sul futuro, delle certezze che mi mancano,
e la speranza si possano realizzare- Al momento non avevo
nessun motivo per mettermi a fantasticare.
-Tu pensi troppo- sentenziò, -Poi una certezza
comunque ce l’hai- mi abbracciò ancora
più forte.
-Quale?- chiesi scettica.
-Io ci sono, puoi contare su di me. Ti amo, lo sai. tu,
ami?- mi parlò come se fossi una bambina.
- Beh, io amo,
purtroppo- sospirai perdendomi in quegli occhi nocciola
che m’avevano fatto innamorare.
-Allora, per quanto tu possa essere cocciuta, voglio stare
con te. È semplice-
Will vedeva tutto positivamente, affrontava la vita con il
sorriso. Mi chiedevo perché si era intestardito con me,
ragazza problematica, abbandonata dal padre e con una madre
assente, brillante ma con cattivo rendimento a scuola
grazie alle assenze dovute al fatto che, la mattina, dopo
aver passato la sera fuori a recuperare qualche dose non riuscivo
ad alzarmi per andare a lezione. Per lui era tutto
semplice, credeva di potermi salvare dall’abisso attorno a me?
Tanto facile
che un mese dopo mi lasciò.
Fissai la trama per
qualche momento, per quanto mascherata non potei non scorgere chiari
riferimenti alla nostra storia, avevo paura di aprire e cominciare a
sfogliare le pagine, c’era sicuramente tanto di noi in quel
libro..
Aprì l’ultima pagina per vedere la
biografia dell’autore, sperando di trovare una foto o, per lo
meno, qualche altra informazione. Ciò che trovai fu, invece,
l’immagine di una moleskine e una stilografica –
non potevo sapere fossero quelle regalatole da Tom – e una
frase: “Un
autore lo si conosce meglio leggendo ciò che scrive che
qualche data della sua vita e le scuole frequentate –
Mel Heiligen”
Scossi la testa, dovevo immaginare una cosa del genere. Poi
inevitabilmente sorrisi notando il cognome.
Sotto quella specie di “biografia”
c’erano i ringraziamenti.
“Beh, ich liebe leider
o – più semplicemente – B.I.L.L.
è il frutto
di anni di
frasi scritte sul mio quaderno, poi messe insieme. Queste
quattrocentoottantatre pagine sono intrise di me e,
se non fosse
stato per la mia famiglia e la mia migliore amica, mai avrei trovato
coraggio per pubblicarlo.
Se
è fra le vostre mani, è merito loro.
Poi
c’è un'altra persona che ha contribuito alla
nascita di questo libro..
Lo dedico a
te,
Grazie,
Superstar.
Ero rimasto bloccato di
fronte alla prima e ultime frasi. Aveva chiamato il suo romanzo in modo
che, abbreviato, risultasse “Bill”, sicuramente non
era una scelta casuale.
Superstar,
mi aveva dedicato il suo libro. A me.
Mi tremavano le mani dall’emozione per la
scoperta: no, non mi aveva dimenticato.
Girai il libro fra le mani e non riuscì a
trattenere le lacrime di fronte alla copertina. Mi riportò
al pomeriggio di un anno e mezzo prima, al parchetto di Berlino, quando
avevo insistito per fare tante foto in posa. L’immagine
stampata era dell’unico scatto uscito per errore, le nostre
mani intrecciate e i corpi vicini, si intravedeva la scritta sulla
maglia “Muse
of the dark angel”.
Il mio corpo era scosso dai singhiozzi, mi venne in mente
la sua frase “Gli
angeli non piangono”.
Eppure non riuscivo a fermarmi, non capivo come mi sentivo:
triste, sollevato, felice?
Dovevo fare qualcosa, al diavolo tutti i pensieri e
preoccupazioni, avevo bisogno di vederla, di sentirla. Magari non
avrebbe voluto rivedermi, magari aveva iniziato a vedersi con qualcun
altro.. neanche sapevo dov’era, era guarita? Si era
trasferita?
Chiamai l’unica persona che poteva rispondere
alle mie domande.
Julia.
* * *
Ero raggomitolata sul
divano, il cuore che batteva all’impazzata dopo aver visto
l’intervista e la testa piena di domande.
Secondo Julia avrebbe dovuto darmi delle rispose, invece i punti
interrogativi nella mia testa erano aumentati. Bill mi aveva
messo nei ringraziamenti, lo stesso avevo fatto io. Sapevo cosa
servisse per chiarire la situazione: il cd.
I testi li scriveva Bill, basandosi su quello che vedeva e su quello
che provava, ascoltarli significava immedesimarsi in lui.
L’album sarebbe uscito cinque giorni dopo, mentre il libro
era già fra le sue mani.
Chissà cosa aveva pensato appena aperto
l’involucro, chissà cosa pensava.
Chissà..
-Mel!- un urlo mi fece sobbalzare e mi tirai su, costando solo in quel
momento d’essermi addormentata sul divano.
-Cosa urli?!- farfugliai indispettita.
-Ti sto chiamando da cinque minuti- spiegò, -Io esco, devo
fare una cosa urgente. Sai che è mezzogiorno? Ha chiamato
l’editore, ha detto d’aver anticipato
l’uscita del libro- mi informò.
-Cosa? Come? Perché?- mi animai.
-Cioè, mi sono spiegata male- ridacchiò, -Ha
detto che siccome sono già pronte parecchie copie le
metterà in vendita sulla libreria, mh non mi ricordo il
nome, quella famosa poco lontana dal centro, ecco e tu devi essere
là per autografare-
Per quanto l’idea potesse avermi sconvolto, ero felice
uscisse prima, non vedevo l’ora. Il mio debutto.
-Quindi stasera dalle sette in libreria- aggiunse.
-Okay.. stasera dalle.. COSA, STASERA?- realizzai.
-Già- rise alla mia reazione, -Quindi alle cinque preparati
lavata, sarà il mio compito renderti presentabile- fece
l’occhiolino prima di sparire.
Alla fine avevamo realizzato i nostri progetti entrambe: io avevo
scritto un libro e lei era divenuta la mia stylist.
-Stasera… stasera.. stasera!- ripetevo in agitazione. Non
avevo nulla da fare e scelsi perciò di fare le pulizie,
almeno passavo il tempo e mi rilassavo.
L’appartamento che condividevamo era grande e spazioso, tre
camere da lette, un piccolo studio, due bagni e una lavanderia, salotto
e cucina, perciò impiegai gran parte del pomeriggio
impegnata a spolverare e spazzare. Alle quattro mi fiondai in doccia e
quando uscì Julia era di fronte a me con un sorriso furbo e
vagamente preoccupante, armata di phon, vestiti e trucchi.
-Dai, siediti- mi ordinò per iniziare ad asciugarmi i
capelli. La osservai attentamente.
-Come mai hai quelle occhiaie?- chiesi.
-Colpa tua. Ho passato la notte a leggere il tuo dannato libro!-
-E..?- ero curiosa di sapere cosa ne pensava.
-Lo sai che non amo leggere, però.. non so cosa dirti.
È fantastico. Mi sono trovata quasi innamorata di Will, ti
rendi conto? Hai un modo di descriverlo che ti catapulta nelle
situazioni, mi sono sentita Samantha, ho sofferto quando soffriva e
sorridevo quando era felice, ti rendi conto? Ho sempre saputo fossi
brava.. ma non così!- agitava le mani, mentre io spalancavo
la bocca. –E poi,- non mi lasciò il tempo di
rispondere, -Ho capito tante cose di te grazie a questa storia. Hai
raccontato bene la situazione fra te e lui, invertendo i ruoli.. sono
sicura che, se l’ha letto.. e credimi, l’ha letto-
disse con un tono strano, -Farà di tutto per tornare con te.
E lo stesso farai tu, quando avrai ascoltato il cd-
-Non so cosa dirti.. io.. grazie- sorrisi commossa dalle sue parole,
-per il resto non so, devo smettere di pensare tornerà da
me.. piuttosto, dove sei stata oggi? Non ti sei fatta viva per tutto il
giorno- le domandai, vedendola distogliere lo sguardo.
-Avevo delle cose da fare- rispose vaga, -aspetta- sparì per
tornare due minuti dopo assieme alla radio.
-Perché hai preso la radio?- non capivo cosa le passava per
la testa. Mi zittì per inserire un disco, probabilmente
masterizzato.
-Ora io ti sistemo trucco&parrucco e tu ascolti senza fiatare-
mi impose, annuì confusa.
Prette play, il rumore del phon fu sovrastato da un suono
più dolce ma a me sconosciuto.
Appena alla melodia si aggiunse la voce capì di cosa si
trattava.
Humanoid, l’album dei Tokio Hotel. Fui percorsa da
brividi.
“Der Regen ist laut
Da
draußen und hier drinnen ist es grau..“
Spalancai la bocca
riconoscendo “Lass uns laufen”, il mio pezzo di
“poesia” trasformato da lui in canzone. Il suo tono
era così dolce e elegante, sembrava volesse accarezzarmi.
Riaffioravano emozioni sepolte da troppo tempo. Dopo il concerto avevo
chiuso con i Tokio Hotel e la loro musica. Per il mio bene.
-Aspetta, prima di truccarti è meglio metta la
traccia sei- disse Julia appena la canzone terminò. Non
capivo il perché, ci arrivai appena iniziò.
Se mi avesse truccata in quel momento il trucco si sarebbe
rovinato a causa delle lacrime: era la nostra canzone.
“Bist du
irgendwo da draußen
Alleine mit dir
Hast du irgendwo verlaufen
Und weißt nicht wofür“
Stringevo i denti e
respiravo lentamente, ciò non impedì alle lacrime
di fermarsi e uscire copiose dai miei occhi.
Mi tornò in mente la notte in cui la
sentì per la prima volta e la suonai seduta al suo fianco.
La nostra notte.
Il cuore seguiva il ritmo del pianoforte, lo sentivo
battere chiaramente, come un martello.
Finita la canzone mi asciugai il viso, a ogni nota capivo
che era inutile tentare di nascondere e sopprimere ciò che
provavo, era troppo forte.
Stare lontani ci distruggeva, era tempo di sistemare i
nostri pezzi insieme, perché, come aveva detto lui, eravamo
una cosa sola come lo yin e lo yang. Traccia dopo traccia
capì inoltre un’altra cosa: non mi aveva
dimenticata. Mi amava.
Sorrisi.
-Finito!- esclamò Julia, -indossa questi- mi porse gli
abiti.
-Prima voglio sapere come hai avuto il cd, non è ancora in
commercio- la bloccai, mi nascondeva qualcosa.
-Ho i miei fornitori- rise, -Dai vestiti sennò arriviamo in
ritardo!-
Indossai tutto velocemente, osservandomi allo specchio a partire dal
basso: stivaletti con tacco, jeans a sigaretti neri e stretti, camicia
scozzese. Passai al viso, occhi azzurri con eyeliner e ombretto grigio
perlato, lucidalabbra sulla bocca e guance rese rosata dalla cipria. I
capelli erano stati accuratamente piastrati che arrivavano poco sopra
le spalle. Li accarezzai, ancora non mi ero riabituata a sentirli
lunghi, a poterli pettinare.
Distolsi l’immagine soddisfatta: ero bella.
Raggiungemmo la libreria puntuali alle sette ed entrammo dal retro,
c’era già un piccolo gruppo di persone ferme
davanti all’entrata.
-Vai, buona serata! Io torno a casa, poi mi racconti tutto- mi disse
Julia, sottolineando l’ultima parola in modo sospetto. Era
dal pomeriggio che si comportava in modo strano, come se sapesse
qualcosa di importante.
-Okay..- mormorai poco convinta, andandomi a sedere alla scrivania con
sopra una pila di “BILL”.
Il proprietario andò ad aprire la porta e la stanza di
riempì di persone che vennero a prendere il libro, salutare
e far firmare le copie.Mi sentivo emozionata ed eccitata, quella gente
era lì per me, andate a casa avrebbero iniziato a leggere
quella storia che mi rispecchiava, avrei messo la mia anima a nudo.
Andai avanti per un’ora poi la stanza si
svuotò. Chiusi gli occhi e mi rilassai chiudendo gli occhi
per un momento, credendo di essere sola.
Udì un sospiro e li riaprì di scatto, notando
solo in quel momento qualcuno poggiato a uno scaffale, poco lontano da
me.
Lo osservai curiosa, non riuscivo a vedere bene perché era
nella penombra, alla fine la curiosità vinse e mi avvicinai.
La figura era alta e parecchio magra, volevo vedere il volto ma non ci
riuscì finché non piegò la testa in
alto, togliendo il cappuccio della felpa che indossava.
Mi immobilizzai, non credendo a ciò che vedevo.
Lunghi capelli neri racchiusi in sottili dread, trucco bistrato,
piercing sul sopracciglio, occhi nocciola.
Dopo un anno e mezzo era lì, davanti a me.
Il respiro si fece affannato, il battito cardiaco frenetico.
Le mani tremavano.
Fremetti quando piantò il suo sguardo sul mio. Brividi.
Capì che ogni sforzo fatto per dimenticarlo si era
dimostrato inutile e che, potevo continuarne a fare, tanto non sarebbe
cambiato nulla.
Il mio cuore non avrebbe mai
battuto così forte per un’altra persona,
perché apparteneva a Bill, era fatto per battere in sincrono
con il suo.
Non sapevo cosa dire, la gola mi s’era seccata. Il cervello
staccato. Gli elefanti nello stomaco rinati.
I nostri occhi erano impegnati in una conversazione silenziosa. Non
erano necessarie parole per esprimere ciò che pensavamo.
-Sei cambiato-
-Anche tu-
-Sei bello-
-Ti sei vista? Sei
perfetta-
-Grazie-
-Mi sei mancata-
-Anche tu, tanto..-
-Non ti ho dimenticata,
mai-
-Neppure io-
-Il titolo del libro..- sussurrò piano, per non spezzare
l’atmosfera che s’era creata. Pelle d’oca
alla sua voce.
-Sì.. Beh, ich liebe leider- pronunciai lentamente,
assuefatta dalla sua presenza.
-Ich liebe auch, leider- mormorò avvicinandosi a me, - dich Melpomene.-
“Ci sono sei
miliardi di persone al mondo. Siamo esseri umani, nati per amare e
essere amati.
Non è nel nostro destino stare soli, da qualche
parte c’è la nostra anima gemella, colei che ci
completa e,
nonostante i difetti, ci trova perfetti. Unici.
Il vero amore esiste, basta cercarlo. Una volta trovato, se
è destino, durerà.
Ci possono essere tutte le complicazioni di questo mondo,
litigi, motivi per non stare assieme,
chilometri di distanza, separazioni forzate, decisioni
prese sbagliate.
La forza di due amanti sconfigge qualsiasi cosa, nulla
è impossibile o troppo difficile di fronte
all’amore.
E io lo so bene, ho combattuto con una vita da sempre
troppo ingiusta – stronza per essere sinceri.
Alla fine, ho vinto.”
Una confessione, una carezza incerta, cuori impazziti, due anime che si
ritrovavano, labbra che si sfiorano. Amore.
-Ti amo anche io, superstar-
“I nostri pezzi
sono stati sistemati, insieme.
Ci apparteniamo, per sempre da ora.”
Fine.
* * *
Non so cosa dire, non so
da come cominciare, non so come finire. Ho scritto questa storia
un'estate di qualche anno fa, nel 2011. L'avevo finita in pochissimo
tempo, ho cominciato a pubblicarla.. ma poi ho abbandonato il mondo
delle fanfiction e della scrittura. Come mai ho finito di pubblicarla
solo ora, nel 2017? Beh, la verità è che odio le
storie non concluse e non potevo accettare di lasciarla "in corso",
soprattutto perché la storia l'ho finita tutta da tempo. Non
l'ho mai ricontrollata, perché non riesco a rileggere
ciò che scrivo, è più forte di me. Non
mi ricordo neanche tanto bene come si svolgeva la fanfiction, sono
vergognosa; mi scuso perciò per gli errori che sicuramente
ci sono e per possibili incongruenze nella trama (non mi ricordavo
neanche come si facesse a creare la formattazione dei capitoli, pensate
un po'! Ho dovuto recuperare il vecchio computer per usare il programma
Nvu.....). Però ricordo di averci messo il cuore e, per
questo, meritava di essere pubblicata per intero. Anche per rispetto
vostro, se c'è ancora qualcuno che legge le storie in questa
sezione. E' passato così tanto tempo.. sono cresciuta e
sarete cresciuti anche voi. Vi racconto un po' di me, anche se non
penso interessi a nessuno. Sono al terzo anno di lingue, fra poco la
laurea. Ho passato il primo semestre dell'ultimo anno in Erasmus in
Germania e, che dire? Devo ringraziare i Tokio Hotel per avermi fatto
amare il tedesco. Loro non li seguo più assiduamente, ma
rappresentano e rappresenteranno sempre una parte importante di me.. e
penso sia così per tutti i fans.
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia e mi scuso
ancora con voi per averla lasciata in sospeso così a lungo.
Vi mando un bacio.
La vostra Anna
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