iv.
Il giorno dopo
è Nadir che deve tirarlo fuori dal letto, praticamente di
forza.
«Erik,
svegliati!» Mormora qualche imprecazione in farsi, la sua
lingua natia, e lo solleva di peso aiutandolo a infilarsi nella doccia.
Vestito. Non è comunque un bello spettacolo,
perché non ha indosso la maschera.
«La
masch—» farfuglia con l'alito che sa di vino.
Nadir scuote il capo.
«A quella pensiamo dopo, d'accordo? Prima ti riprendi dalla
sbornia e ti concedi un aspetto vagamente umano, poi ne
riparliamo.»
Il getto d'acqua sulla
faccia gli rischiara la mente annebbiata dall'alcol. Con gesti lenti e
maledizioni sussurrate, si sfila gli abiti ormai bagnati e, dopo
qualche altro minuto di benessere sotto la doccia fredda, esce e si
stringe nell'accappatoio. Poi corre in camera e si infila la maschera
sul viso, come una prigione di cuoio dietro le cui sbarre lui si
rinchiude volontariamente. Nadir lo ha già visto senza, e
più di una volta, ma lui odia ricordare agli altri la
dannazione della sua esistenza. È uno dei motivi per cui,
dopo tanti tentativi, ha rinunciato ai cinquantamila interventi che
sarebbero stati necessari per rendergli la faccia vagamente rassomigliante a quella di
una persona normale. Non ci sarebbe stato altro da fare, comunque
— ha studiato un po' di anatomia in gioventù, e lo
sa anche lui. No, non c'è mai stata soluzione a quello.
Nadir gli concede
sufficiente spazio per vestirsi da solo — in caso contrario
sarebbe oltremodo imbarazzante — ed Erik è
contento di aver dormito senza coltello sotto il cuscino, quella notte.
Lo fa sempre, da quando in gioventù è andato in
guerra come mercenario… per poi diventare molto peggio.
Non
pensarci, non pensarci, si ribadisce con veemenza.
Nadir è comunque lì per aiutarlo a reggersi in
piedi mentre scende le scale — già se la immagina,
l'intestazione sui giornali: “Deceduto
genio musicale, caduto dalle scale di casa sua, vittima dell'ubriachezza” — e lo
fa sedere in cucina, dove ha preparato una tazza di tè e
disposto l'usuale mostra di pillole per il mal di testa.
«Dovrei
pagarti per farmi da badante» ha la forza di dire Erik,
strascicando le parole mentre si siede, massaggiandosi le tempie. Ha
un'emicrania terribile, e se lo è meritato.
Nadir ignora il
sarcasmo e incrocia le braccia al petto in un posa che dovrebbe
risultare severa. Sì, è proprio come un fratello
maggiore che rimprovera il più piccolo per una delle sue
pessime (e usuali) marachelle, per la quale i genitori non daranno
più loro caramelle per un mese intero.
«Quante
bottiglie di vino ti sei scolato?»
«Una.»
«Non
mentire.»
«D'accordo,
due. Non un goccio di più.» Si ferma un attimo,
pensoso. «Non sono costretto a dirti nulla. Non sei mia
madre.» Sogghigna all'idea. Nadir sarebbe comunque una madre
migliore di quella che la sorte gli ha destinato in realtà.
«Molto
divertente. Erik, cos'è successo? Ti ho chiamato e non
rispondevi, e tu di solito rispondi sempre, così sono venuto
a dare un'occhiata alla casa, con le chiavi di
riserva…»
«Come vedi,
non vi ho appiccato fuoco. Le mie tendenze piromane non mi hanno
soverchiato.»
Nadir emette un lungo
sospiro. «Erik, tu non sei un alcolista. Beh, non tanto da
preoccuparmi, se non anni fa, nel periodo in cui—»
Arresta il flusso di parole, conscio che Erik sa a cosa si riferisce.
Il periodo subito successivo alla partenza di Christine. Erik sogghigna
ancora, compiendo un debole gesto con la mano, come per invitarlo a
continuare. Nadir aggrotta le sopracciglia.
«Quando lei se n'è andata.
Sì, lo so che non è più qui, Daroga.
Non sono arrivato al punto da avere allucinazioni di lei che canta
gironzolando per casa mia.»
Nadir sembra quasi
sollevato.
«In ogni
caso, spiegami perché ti sei ubriacato. Hai un'ottima
resistenza all'alcol, dunque sospetto che tu l'abbia fatto di
proposito…»
Erik scuote il capo.
«Volevo solo dimenticare.»
«Cosa?
Qualche altro incubo su… beh, uno dei tanti?»
«No, no.
È che… sono stato un idiota, Daroga. Un perfetto
idiota.»
Gli spiega del litigio
con Meg, e Nadir deve farsi forza per non schiaffeggiarlo.
«Sei un emerito… Ah, lascia perdere.»
L'iraniano scuote la testa, forzandolo ad ingoiare un'aspirina e a
trangugiare un po' di tè.
«E
così la tua nuova pupilla ha una figlia.»
«Non
è la mia pupilla, per carità. E sì.
Immagino che sia piccola… a differenza della mia testa di
cazzo.» Erik sorbisce il tè mentre Nadir solleva
un sopracciglio, perplesso. Di solito il genio noto a livello mondiale
non si lascia andare a simili espressioni volgari.
«Così direbbe Meg» precisa lui, con un
gesto esemplare delle lunghe dita sottili. A Christine piacevano
— diceva che somigliavano in tutto e per tutto a quelle di un
pianista, ma Erik le vede diversamente: sono ossute e morte quanto il
resto di lui, niente di più.
«Sono stato
inutilmente duro con lei. Un vero stupido, a non trattarla da pari,
come merita di essere trattata.»
«E allora
scusati. Dille ciò che pensi davvero, invece di ubriacarti
come un adolescente immaturo.»
«Tu non la
conosci. Mi chiuderebbe il telefono in faccia.» Erik
già riesce a immaginarlo.
«Provaci»
insiste il Daroga con gentilezza e fermezza insieme. Non è
suo amico, no — questo Erik lo ha capito da una vita.
È il suo badante e baby sitter insieme. Altro che terapista.
Questo grillo parlante è pure gratis.
Ci vogliono almeno
dieci tentativi prima che Meg risponda al telefono —
esattamente come Erik ha predetto. In fondo, ha spesso ragione, e su
molte cose. Hai un ego
più grosso di Parigi, gli sussurra una vocina
malevola all'orecchio che suona tanto come quella di Meg. Erik si
limita a sorridere e a ignorarla, per udire la voce della Meg in carne
e ossa dall'altra parte della cornetta.
«Che vuoi,
stronzo?»
Appunto.
Erik sospira. Deve
prendere a calci il suo orgoglio per questo, ma ce la può
fare. Se lo ripete mentalmente: ce la
posso fare.
«Dirti che sono un imbecille.»
«Ah,
finalmente ti esce di bocca qualcosa di intelligente.»
«No, io — Intendevo
dire, con te in particolare mi sono
comportato da stupido. E l'heavy metal non è
un'oscenità musicale.»
«Cosa ti
importa?» sussurra Meg, e sembra seria, non furiosa, dalla
prima volta che ha sollevato la cornetta per rispondergli
(metaforicamente, visto che sta utilizzando un cellulare. Con ogni
probabilità ha il suo numero registrato nella rubrica come Grande
stronzo o
qualcosa di simile).
«Mi importa.
Penso che tu abbia talento, Marguerite. E non farmelo
ripetere.»
«No,
aspetta, cosa? Non ho afferrato.»
«Hai afferrato benissimo. Penso anche che tu
sia la persona più insopportabile, sfacciata, maleducata che
io abbia mai avuto la sfortuna di incontrare—»
«Ehi, ora
datti una calmata!»
«E anche
intelligente, affascinante, brillante…»
«Ecco,
bravo. Ora puoi continuare.»
Erik sorride.
«Stavo parlando di me.»
«Sei proprio
un cretino.» Meg ha capito che sta scherzando, e il suo tono
divertito lo dimostra.
«Non sapevo
avessi una figlia piccola.»
«Sì,
lunga storia. Un giorno te la racconterò.»
«Deve essere
un piccolo demonio, se ha i tuoi geni.»
«In
realtà ha preso dal padre, quindi è un angelo, ma
tu sta' ben attento a ciò che dici.»
Erik ridacchia con
voce sommessa e — lo sa — suadente. Non sa
corteggiare una donna, (non saprebbe nemmeno da dove iniziare), ma
è in grado di farla liquefare sul pavimento con la sua voce
da serafino. Sente Meg brontolare qualcosa come subdolo dall'altro lato della
cornetta.
«Ascolta»
abbozza lei, ed è chiaro da quest'unico, esitante appello
che è a suo agio quanto lui nel mostrarsi più
accomodante — ossia, per nulla. «Anch'io sono
stata… crudele. Ero molto restia alle lezioni fin dal
principio, e la tua accoglienza lasciava piuttosto a
desiderare.» Emette un piccolo sbuffo, e per un attimo
è di nuovo la Meg che ha imparato a conoscere in quelle
settimane. «Ma… tu non sapevi nulla della mia
vita, come io della tua, e le mie accuse—»
«Non avevi
tutti i torti» concede Erik.
«Ero
stressata, e arrabbiata, e… Suppongo che per te non fosse
diverso.»
«Supponi
bene.» Erik si ferma a ponderare le parole più
adatte, reggendosi il mento con una mano in una posa piuttosto cliché, ma che lei non potrebbe
comunque vedere. «Cerchiamo di far funzionare questa cosa. So
perché tua madre ha avuto per prima l'idea di farti venire
qui. Hai menzionato anche una terapista, l'altra volta.»
«Sì.
Idea brillante. Perché proprio te, tra i tanti? Non era
disponibile uno meno irritante?»
Erik decide di
ignorare la frecciatina. «Perché non
c'è confronto tra me e i tanti. Inoltre, dovevo un favore a
tua madre, e anche uno di una certa portata. Non mi dispiace ripagare i
debiti ad Antoinette, è un'ottima persona. E tiene a
te.»
«Lo
so.» Meg sospira. «A volte anche troppo, per il suo
bene. Mi chiedo quante volte le abbia fatto alzare la pressione
sanguigna negli anni.»
«Immagino,
sì. Ma non sentirti in colpa per questo.»
«Grazie…
ma rimani un po' stronzo, non si può negare.» Lo
dice quasi con affetto. Erik sbuffa, ma stranamente non è
offeso dall'ennesima volgarità.
«Allora
possiamo ritentare.» Erik può quasi percepire il
suo sorriso sghembo, seppure in lontananza. «Solo che la
prossima volta mi offri una pizza.»
«Prego?»
«Porto un
DVD, così non mi abbuffo mentre tu te ne stai lì
a guardarmi senza volere — o potere — toglierti la
maschera. Non so se l'hai notato, ma hai un fantastico schermo a
cristalli liquidi nel tuo salotto. È un peccato lasciarlo
impolverato.»
«In
realtà mi ha convinto il Daroga a comprarlo. Io non lo
volevo neanche, un televisore di quella qualità.»
«Chi sarebbe
il Daroga?»
«Te ne
parlerò sabato sera.»
E così
è tutto accordato. Perfetto.
Il ragazzo della pizza
lancia a Meg un'occhiata spiritata — quasi avesse avuto
un'esperienza religiosa della portata dei tre pastorelli di Fatima
— quando le consegna ben due cartoni di pizza fumante ai
peperoni che la giovane donna ripaga con i soldi di Erik e un sorriso.
Il ragazzo di certo non ha mai fatto consegne in una villa
così splendida e isolata dal mondo civile.
Poi Meg si dirige nel
salotto di casa Danton e poggia sul tavolino i cartoni con la birra che
il geniale e deforme virtuoso ha fatto comprare da Giovanna, che gli fa
la spesa, appositamente per lei. Dopodiché fa partire il
lettore DVD e si siede a gambe incrociate sul costoso divano in pelle
nera, scalciandosi via gli anfibi dai piedi minuscoli e delicati, da
ballerina — ma Erik scommette che un loro calcio farebbe male
sul serio. Ha gambe magre e ossute, ma muscoli nervosi e rifiniti. Non
dovrebbe notarlo, ma lo nota, e questo lo turba.
«Cosa
sarebbe questo… come si chiama?»
«Il trono
di spade.
È un telefilm.»
«E di cosa
parla?»
«Sangue e
tette, per la maggior parte. I libri sono migliori.»
Erik sbatte le
palpebre, fingendo di non capire. «Cosa stai cercando di
farmi guardare, stasera?»
Meg sogghigna,
addentando una generosa porzione di pizza. «Roba
interessante.»
Dopo qualche minuto
del primo episodio, già compare la prima donna nuda. Erik
emette un singulto e si copre gli occhi. «Ma è
osceno!»
«Sei
così pudico» scherza Meg, pizzicandogli un
braccio. «Proprio un bravo ragazzo.»
«Ma
smettila.» Lui scuote la testa. Se sapesse di cosa
è stato capace negli anni passati, non lo definirebbe
più tale, certamente.
Le scene di violenza
non lo toccano affatto, ma quelle di nudo sì, pertanto
chiude gli occhi ogni volta che compare un seno più o meno
generoso sullo schermo. Si chiede come faccia Meg a non scandalizzarsi,
soprattutto quando il primo episodio si conclude con una scena di
incesto e un bambino che viene gettato giù da una torre.
«Ma che
razza di fantasy è mai questo?»
«Molto
diverso da Il signore
degli anelli.»
Erik non è
un esperto del genere, ma quella particolare opera la conosce, e gli va
persino a genio. «Come si chiama la saga di libri da cui
è tratto il telefilm?»
«Cronache
del ghiaccio e del fuoco. Bella roba. Io ho cominciato
a leggerla dopo aver divorato la prima stagione in TV, altrimenti non
sarei mai arrivata a comprare dei libri così
enormi.» Si ferma per un attimo, pensosa, la lingua tra i
denti. «In realtà non leggo molto. Solo Harry
Potter.
Qualche horror, a volte.» Ride nervosamente. Sembra
consapevole di star parlando di libri per
ragazzi
con un uomo adulto, colto e letterato, e questo la imbarazza un po',
anche se non lo ammetterebbe mai. Erik se ne rende conto,
perché le sorride gentilmente — per quanto il suo
sorriso possa essere gentile, perlomeno — e dice:
«La trama sembra interessante. Mi procurerò il
primo volume.»
Al che Meg risponde
con un'espressione radiosa che le illumina il viso, e per un attimo gli
appare bellissima e deve sbattere le palpebre
per non rimanerne accecato. Sì, è davvero
graziosa quando è felice in quel modo. Vorrebbe essere
capace di renderla tale per molto tempo, ma sa che non è
possibile. Ogni cosa che lui attrae a sé si distrugge, quasi
il suo tocco sia un'eco imprendibile di morte e decadimento.
Così è stato per sua madre, così
è stato per Christine, e così sarà
anche per Meg, se sarà tanto stupido da cadere preda di quel
sorriso e affezionarvisi troppo.
Le lezioni continuano
per qualche settimana. Meg è testarda ma capace, ed Erik
è autoritario ma più paziente di quanto pensasse
di poter mai essere. Sembra quasi che sappia esattamente come operare
sulle sue abilità arrugginite da anni di dolore e ricordi di
polvere, e Meg si lascia guidare più facilmente, questa
volta. Erik non pretende molto, se non l'attenzione necessaria durante
le lezioni. Sa che ha una vita al di fuori del loro mondo di musica e
note, e non la biasima per questo. Anzi: quando lei aumenta il numero
delle lezioni a due volte a settimana, quasi si spaventa, e arretra.
Questo vuol dire che le piacciono. E che piacciono anche a lui
— non può negarlo. Quell'unica serata trascorsa
insieme, sul divano di casa sua, è stata la migliore
da… beh, da una vita intera. È così
facile parlare con lei, per quanto possa essere grezza e poco
sensibile; d'altronde neanche lui è un maestro di tatto. Si
somigliano in modo pauroso, malgrado le apparenze. Erik lo nota dalle
difficoltà che Meg ha nel parlare del suo passato, anche se
gli racconta volentieri di sua figlia, Dany. All'inizio non riesce a
credere che abbia soprannominato la piccola Danielle in quel modo per
via di una saga fantasy, ma sarebbe così da lei — sono una
nerd senza speranza,
gli dice con un sorriso nella voce durante una delle loro lunghe
chiacchierate al telefono. Trascorrono circa un paio d'ore a parlare in
quel modo, dopo che Meg ha messo a letto la bambina ed è
pronta lei stessa per andare a dormire. Poi sgattaiola nella sua stanza
e gli augura la buonanotte via WhatsApp (glielo ha appena fatto
installare sull'Iphone nuovo di zecca e mai davvero usato). E
così cominciano interminabili discussioni sugli argomenti
più disparati.
«Avevo
diciott'anni quando ho avuto Dany» gli spiega durante una di
queste telefonate. La sua voce roca è calda e…
seducente, in un certo senso. Non come quella di Erik, capace di far
piangere gli angeli — assolutamente no. Ma ha un suo
perché. Lo si apprende solo dopo che la si conosce bene, con
le intonazioni che Erik nota subito — gli alti e bassi della
sua vita. («Frutto di un'adolescenza trascorsa a fumare come
un turco, senza farsi beccare da Maman prima dei diciotto. Dopo, non
ha potuto fare altro che accettare» gli spiega con le braccia
incrociate al petto, dopo avergli chiesto il permesso di farsi una
cicca,
come dice lei, in veranda. Almeno
questa volta ha chiesto il permesso.)
«Non eri
minorenne, dunque» costata Erik.
«No, ma ero
comunque fottuta. Non potevo avere una figlia se volevo sperare di
entrare nella compagnia dell'Opera. Mia madre lavorava a tempo pieno, e
non poteva prendersi cura di lei. Mio padre… beh, lo
sai.» Grugnisce qualcosa di incomprensibile.
«Non credo
avrei continuato la gravidanza se non fosse stato per la promessa di
Luc.»
Luc era il
suo… scopamico, come lo definisce Meg,
sebbene Erik si senta sempre a disagio con quei termini ai quali
è così poco abituato. Sa tutto di musica,
architettura, letteratura e arte, è fluente in innumerevoli
lingue e ha eseguito numerosi esperimenti scientifici, ma di
sesso… neanche a parlarne. Al solo pensiero gli viene da
piangere, il che è patetico.
«Conosco Luc
da prima che mio padre morisse. La prima volta che l'ho incontrato ci
siamo presi a pugni, ma stringemmo in fretta amicizia. Lui non mi
rideva in faccia se volevo giocare a calcio o mi sporcavo il vestito di
fango o mi sbucciavo le ginocchia o mi disfacevo le trecce. Ho avuto
non poche avventure — e disavventure — prima e dopo di
lui, ma Luc è sempre stato speciale. Solo che non ne sono
mai stata innamorata.» Ride, ma qualcosa nella sua risata
è freddo e lo paralizza. Non
è mai stata innamorata e basta, comprende. «Sono
contenta che Luc sia il padre di Dany, però. È un
ottimo genitore, le sta accanto, le vuole bene. Dany passa il giorno
con lui, dopo la scuola, e la sera da me, se non ho degli spettacoli.
Qualche weekend la tengo con me, in altri è con lui.
È molto presente e premuroso, e tiene a entrambe. Non potevo
chiedere di meglio per mia figlia. Da quando è
nata… l'ho amata istantaneamente. Se mai ho amato qualcosa,
è la mia famiglia.»
E suo padre, il suo
tragico padre suicida, a cui non accenna quasi mai, nemmeno per
sbaglio. C'è qualcosa che non gli ha detto, al riguardo. Un
segreto celato nell'anima come un peccato di chi si vergogna troppo per
confessare.
Ma Erik non la pungola
inutilmente. Gli piace sentirla parlare. Gli piace un po' troppo.
«Stai
diventando sentimentale» lo redarguisce il Daroga, e ha
ragione. L'ultima volta che si è affezionato a qualcuno
è stato un disastro. Ma per ora va bene così. Le
lezioni vanno alla
grande,
come direbbe Meg nel suo gergo giovanile, e anche le loro
chiacchierate. Battibeccano in continuazione, ma è
divertente per entrambi. Erik non ha mai avuto un'amica in vita sua
— forse questa è la volta buona. Forse.
Note
dell'Autrice:
1Dany: Il nomignolo di Daenerys
Targaryen, uno dei personaggi principali de Il trono di spade.
Eccomi tornata con un
nuovo capitolo. Avevo promesso che i nuovi aggiornamenti sarebbero
stati più lunghi. In realtà, questa storia
è un racconto, non una long fic, ma essendo comunque
piuttosto… sostanziosa, non potevo pubblicarla senza
dividerla in capitoli. E così eccoci qua.
Per ora sembrare tutto
filare liscio tra i due idioti protagonisti – che la tensione
si sia placata? Vi avverto che presto ci sarà un po' di
draMMMMa. Beh, perché in fondo si parla di Erik, e io adoro
l'angst. Ma non sarà eccessivo, non temete.
debbythebest: Non preoccuparti per il
ritardo, cara, anzi, è un piacere leggere le tue recensioni.
Spero che questo nuovo sviluppo ti sia gradito.
Erik e Meg si
scontrano perché hanno entrambi una terribile tempra
– in questo senso sono simili – e sì, un
passato tragico, soprattutto nel caso di Erik, è ovvio. Ma
non voglio neanche sminuire i trascorsi di Meg. Nel prossimo capitolo
vi sarà un chiarimento sul passato del nostro uomo
mascherato, e la reazione di Meg sarà… Beh, non
posso dirlo. Ti lascio sulle spine. :)
Ah, mi fa piacere che
Meg ti faccia ridere con il suo sarcasmo becero. XD Un bacio <3
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