Scena IV.
[ Studio medico. Un silenzio di
piombo grava nell'aria tra le due donne che si fronteggiano.
]
MEG: Non ci posso
credere. Stavo per fargli conoscere mia figlia. Mia
figlia, capite? (scuote
il capo dolorosamente) Mi fidavo di lui. Grazie al lavoro
che svolgevamo insieme, mi sono tornati in mente i bei momenti vissuti
con mio padre. Suonare il pianoforte era un balsamo dolce e amaro al
contempo.
DOTTORESSA LAURENT: E
tuttavia ti ha detto la verità. Questo dovrà pur
significare qualcosa.
MEG: Che è
un uomo diverso, ora? Io non lo credo. Non credo che la natura di una
persona possa cambiare così, senza preavviso.
DOTTORESSA LAURENT:
Forse l'amore ha il potere di farlo. È stata sicuramente
un'evoluzione lenta, la sua… E poi, era davvero quella, la
sua natura? (si ferma,
ma Meg non la interrompe. Rimane lì a fissarla con occhi
vitrei) La terapia stava funzionando, Meg. Non hai
più incubi, vero?
MEG: (farfugliando) No,
sono diminuiti di molto. Poi penso a tutte le cazzate che ho fatto in
vita mia e che ho Dany, adesso, e mi ripeto che devo essere forte. Ma
sono stanca, così
stanca.
DOTTORESSA LAURENT:
Credo sia inutile proporti di cambiare insegnante. Non c'è
nessuno al mondo migliore di lui, ed eravate… (cerca la parola giusta)
affiatati.
MEG: Battibeccavamo in
continuazione.
DOTTORESSA LAURENT:
Appunto. Tutto ti ricorderebbe lui, vero?
MEG: (vagamente esitante)
Me lo ricorda già. E io che ero sul punto di…
di… Ah! (si
prende la testa fra le mani, quasi le dolga) Aiutatemi a
dimenticarlo. Aiutatemi.
vi.
Ad Erik non piace
essere osservato, e per un buon motivo. Conciato in quel modo,
tuttavia, attira come un magnete gli sguardi della gente, che si ritrae
dinanzi alla sua figura imponente, rivestita di nero. Sembra un uomo
invisibile, un uomo senza faccia — Dio solo sa quanto ha
desiderato diventarlo davvero, invisibile, dal fatale giorno in cui
vide per la prima volta il suo viso, se tale si può
definire, allo specchio. Con un gesto quasi istintivo, si sfiora i
polsi su cui porta ancora le cicatrici del ricordo…
Accomodata sul divano
dinanzi al suo, nella sala d'attesa, c'è una coppia di
giovani sposini che fa di tutto per evitare il suo sguardo. Portano con
loro una peste di infante, e quella vista gli ricorda ciò
che non potrà mai avere: una famiglia tutta sua.
È un pensiero deprimente, ma ormai si è
rassegnato al suo destino. Il bambino lo guarda fisso e poi sussurra
alla madre, senza preoccuparsi di abbassare la voce — ah,
l'innocenza infantile: «Mamma, cos'ha alla faccia?»
Erik fa una smorfia e
trattiene a malapena un mugugno di disapprovazione.
La giovane madre fa
segno al figlio di tacere, e perlomeno ha la decenza di apparire
imbarazzata. Bene.
Quando arriva il suo
turno, Erik si alza in piedi di scatto e svanisce oltre la porta che
conduce alla sala d'attesa, lasciandosi dietro la scia del suo lungo
soprabito nero. Le scarpe italiane ticchettano sul parquet tirato a
lucido. La stanza che trova al termine del corridoio è
piccola ma confortevole, la luce del sole calante infrange i vetri
dell'unica, alta finestra che dà sul cortile del condominio.
La donna che lo attende seduta su una poltrona di velluto è
all'incirca sua coetanea, trasparenti occhi verdi che gli trapassano il
cranio.
«É
un onore conoscervi, Monsieur Danton.» Lei gli tende una
mano, ma Erik non ricambia. La donna non appare turbata. Gli fa cenno,
come nulla fosse, di occupare il posto dinanzi a lei. Non
c'è neanche una scrivania a dividerli: sembra in tutto e per
tutto un salottino, sui colori del rosso e dell'arancio che spiccano
come raggi di sole.
Erik si siede,
rammentando la chiacchierata che ha avuto con quella donna il giorno
prima, al telefono. Come si sia procurata il suo numero, non lo
scoprirà mai, anche se scommette che ci sia sotto lo zampino
di Madame Giry.
«Credo che
sappiate chi io sia, quindi sono vane le presentazioni.»
Hélène Laurent si apre in un sorriso che dovrebbe
sembrare rassicurante, ma fallisce nel tentativo. Erik non
può sorridere, con la sciarpa a coprirgli metà
del volto devastato, e sarebbe comunque uno spettacolo poco attraente,
quindi rimane sulle sue.
«A cosa devo
l'onore di conoscere la terapista della mia… ex
allieva?»
La Laurent cerca di
metterlo a suo agio, o almeno ci sta provando — è
difficile che Erik lasci cadere quello scudo di diffidenza che si
è costruito negli anni.
«Perché
sono qui?» incalza lui, già immaginando la
risposta.
«Perché
il biasimo è vostro se la mia paziente ha interrotto la sua
terapia.»
Ma certo, Meg deve
averle raccontato di lui. Il segreto professionale della dottoressa
è però infrangibile.
«Le ho detto
la verità. L'ho
salvata.»
«Da cosa, se
mi è concesso di sapere?»
«Da
me.» Il troppo amore lo ha già ucciso una volta;
non vuole che accada di nuovo.
«Non deve
per forza interrompere le lezioni. Può facilmente trovare un
altro insegnante.»
«Non come
voi.»
Erik scuote il capo in
un moto doloroso. «Non sono degno della sua
compagnia.» Si guarda fissamente le scarpe.
«Credo che
voi stesso abbiate bisogno di aiuto.»
«Non voglio
altri medici. Erano tutti più interessati al mio
aspetto… bizzarro
che alla mia sanità mentale. Per la fragilità di
quest'ultima, mi sono lasciato andare ad orribili scenografie di
morte… Lasciavo solo distruzione ad ogni mio
passo.»
«Poi siete
riuscito a uscirne.»
«Sì,
ma mi sono serviti anni e anni di penitenza per quanto avevo
fatto.» Qui si ferma, pensoso. «Non so se esista un
Dio o meno: quel che so è che l'inferno sulla terra esiste,
è in mezzo a noi. Cumuli di macerie, odore di polvere da
sparo, ossa bruciate e sangue ovunque. Guerra. Non voglio che Meg si
perda in questo mondo che non mi ha mai abbandonato.»
«É
una decisione che spetta a lei.»
Una pausa terribile.
Poi la dottoressa scatta in piedi e gli offre dei biscotti al burro
danesi dall'aspetto delizioso. «Prendetene uno.»
«Non
posso.»
«Non siate
ridicolo.»
Erik sceglie un
biscotto, ma non solleva i bordi della sciarpa per mangiarlo. Rimane
lì a sbriciolarsi tra le sue lunghe dita — in
effetti, troppo lunghe e sottili per essere normali.
«Siete
affezionato a quella ragazza. Non è forse
così?»
La domanda lo spiazza,
e decide di rispondere con fermezza, senza tradire il cuore incrinato
nel suo petto. «Non sono io il vostro paziente.
Perché mi trovo qui?»
La Laurent non appare
affatto intimidita dal gelo nella sua voce.
«Siete qui
per assicurarmi che a Meg non venga fatto alcun male. Ne ha passate
tante, ben più di quanto voi crediate.»
«Posso
immaginare.»
«No, non
potete. Io non vi dirò niente — ho un giuramento
professionale da mantenere. Se e quando vorrà condividere il
suo passato con voi, sarà una sua decisione.»
«Non
condividerà niente con me. Ora mi vede come un
mostro.»
La donna scuote il
capo, divertita in maniera irritante. È come se sapesse
qualcosa che lui non sa, e lui odia non sapere. Fin da
piccolo, si è immerso negli studi, tra le pagine dei libri,
per imparare il più possibile su un mondo che non lo avrebbe
mai accettato per com'era veramente. La maschera è un
simbolo, tutto qui; dietro di essa vi è un uomo di carne e
sangue, e a non pochi accade di dimenticarlo. Talvolta anche lui non
riconosce più il proprio corpo, quasi sentisse di non
appartenergli.
«Tenete a
Meg, come presumo?»
«Presumete
molto.»
«Rispondetemi.
È importante.»
Un attimo di silenzio
in cui Erik raccoglie ogni briciola del suo coraggio. «L'ho
lasciata andare. Non diventerò che un fantasma nella sua
vita, e non merito altro. Non merito la sua compagnia, la sua amicizia.
Pertanto mi sono messo da parte.» Come sono riuscito a fare con
Christine solo alla fine di tutto, ed è colpa mia se se
n'è andata, andata via per sempre… Meg…
Meg è il
nome che gli sale alla labbra in ogni suo sogno — o incubo.
Rabbrividisce per le implicazioni che tutto ciò evoca, per
quanto questo affetto costerà caro a entrambi.
«Ho risposto
bene alla vostra domanda, Madame?»
La dottoressa sorride.
«Sì, avete chiarito ogni mio dubbio. A volte
lasciare andare una persona che ci è cara è
l'unico modo per dimostrarle il nostro amore. Lo sapete
bene.» Erik lascia che il biscotto gli si sbricioli tra le
dita, dimenticato. Dimenticato come lui.
Note dell'Autrice:
Un altro capitolo “di passaggio”, ma qui si
capiscono meglio i motivi della “confessione” di
Erik. Un altro uomo avrebbe potuto tacere riguardo il suo passato; ma
lui – considerato anche l'odio che prova per se stesso
– non l'ha fatto. Sembra davvero aver imparato qualcosa
dall'altruismo di Christine…
Jessica24: Che bello
ritrovarti anche qui! Sono contenta che ti piaccia l'andamento di
questa storia e, come nell'altra, sembra che i dialoghi tra i due
protagonisti siano il “punto forte” (non me ne
stupisco). Spero che continuerai a seguirmi! Un bacio <3
|