capitolo
75 – Nero e Oro
2028
d.c. – marzo
«Katherine!
Katherine, dove sei?».
La
voce allarmata della donna raggiunge velocemente la bambina,
distogliendola dai suoi pensieri e costringendola a tornare con la
mente al presente.
«Sono
qui, in camera mia, nonna» si affretta a risponderle,
così da non
farla inutilmente preoccupare.
È
difficile, da un anno a questa parte, riuscire a rimanere sola con i
propri pensieri, senza che la nonna corra presto a cercarla.
Katherine la comprende: sa che non dev’essere stata una bella
esperienza, per lei, rimanere giorni interi sola in casa, senza avere
idea di dove potesse trovarsi né se stesse bene, senza poter
fare
nulla per cambiare le cose. E no, Katherine in effetti non stava per
niente bene, a quel tempo. A dire il vero, nemmeno ora sente di
riuscire a stare davvero bene; e in fondo, la costante presenza della
nonna fa sì che non possa mai realmente perdersi nei propri
ricordi.
La
donna si affaccia alla porta della sua stanza e le sorride,
rassicurata.
«Fra
un’oretta sarà pronta la cena» le
ricorda gentilmente. «È tutto
a posto?» si accerta, come sempre.
Katherine
stiracchia un sorriso per lei.
«Sì,
nonna, è tutto a posto. Tra poco scendo» promette,
sospirando
quando lei lascia la camera e torna al piano inferiore.
No
che non è tutto a posto. Affatto. È
così tanto tempo che non lo è,
troppo.
Katherine
volta le spalle all’entrata e si appoggia al davanzale della
finestra, osservando il cielo imbrunire e le prime stelle comparire
contro il blu che va infittendosi. Poggia la fronte sul vetro freddo
e chiude gli occhi. Dietro le sue palpebre serrate può
ancora vedere
polvere e pietre, la cenere grigia che imbratta le sue piccole mani.
Qualcosa graffia, nel suo petto. È gelo, e poi il fuoco che
lo
spazza via, bruciando e ricoprendo tutto di cenere, di nuovo.
Una
lacrima scivola lungo la sua guancia e Katherine riapre gli occhi,
ora leggermente appannati.
«Io…
io ci credo» soffia con voce tremante. «Ci credo,
ci credo, ci
credo» mormora, gli occhi puntati con decisione sul cielo
ormai buio
e adorno di milioni di stelle.
Un
angolo delle sue labbra si curva verso l’alto, mentre le sue
mani
poggiano brevemente sul proprio petto. Annuisce e infine esce dalla
camera, scendendo per la cena come ha promesso alla nonna.
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Un
minuscolo frammento luminoso compare fra gli alberi fitti della
foresta. Sembra una lucciola, ma la sua luce è dorata e
fluttua,
quasi incerta, a mezz’aria nell’oscurità
impenetrabile della
notte priva di Luna.
Non
sembra sapere cosa fare, né dove andare. Rimane
lì, come in
ascolto, nell’attesa di qualcosa, o forse di qualcuno.
Aspetta.
Il tempo non sembra mancargli, e neppure la pazienza.
Aspetta.
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Gli
occhi blu di Akh si spalancano sulla nera volta celeste. È
notte,
nessuno spirito è in vista da mesi, ormai. Che cosa lo ha
risvegliato? Si guarda intorno. Niente.
Ha
deciso di cambiare aria, per un po’. Ha pensato che, per
distrarsi,
la vecchia Europa potesse fare al caso suo. Ma nulla, in fondo,
è
cambiato. A niente è davvero servito cambiare
città, paese,
continente. I pensieri, i ricordi, sono tutti ancora lì. No,
nulla
sembra cambiato.
Eppure,
qualcosa lo ha ridestato. Inspira a fondo l’aria fredda e
salmastra
della costa scozzese. Che cosa è stato? Akh è da
solo, nessuno è
più andato a disturbarlo da circa sei mesi, ovvero
dall’ultima
occasione nella quale ha quasi preso a pugni uno scocciatore che si
ostinava a seguirlo per cercare di attaccare bottone. Preso
a pugni?
Che assurdità! Non ha mai davvero fatto a botte con nessuno,
durante
la sua lunga esistenza; non è mai servito: la sua Luce ha
sempre
egregiamente lavorato al suo posto. La sua Luce…
Akh
serra le palpebre e si concentra sul suo nucleo. È
irrequieto,
quella notte. Sente che c’è qualcosa di strano.
Forse un
cambiamento all’orizzonte? Vuole capire, deve
capire. Sente che la risposta è lì, molto vicina,
e lui intende
trovarla. La risposta è… I suoi occhi si sgranano
improvvisamente
nel vuoto.
«Questo
non… È impossibile» esclama incredulo.
Ma,
possibile o meno che sia, è necessario che se ne accerti di
persona.
Per questo motivo, poco dopo, si alza in volo abbandonando il suo
momentaneo isolamento e librandosi leggero nel cielo notturno,
portato dal vento sempre più in alto, le ali blu frementi di
smania
ed eccitazione.
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Un
fruscio tra le fitte fronde richiama l’attenzione di Emily
Jane.
Quando si volta scorge, incredula, la figura di Akh, che non vede da
quasi un anno ormai e che, francamente, credeva non avrebbe
più
rivisto. E invece eccolo lì, proprio di fronte al suo
sguardo
attonito. Ma qualcosa non va; se ne rende conto presto, ancora prima
di avere il tempo per salutarlo in modo appropriato. Sta tremando e i
suoi occhi sono enormi e smarriti. Gli si fa incontro, preoccupata.
«Akh!
Cosa succede? Come mai sei qui?» gli chiede con voce tesa.
Il
comportamento dello spirito della Luce diviene, se possibile, ancora
più strano. Le sue ali si spalancano e si richiudono
più volte,
quasi febbrilmente, e i suoi occhi la guardano palesemente stravolti.
Per qualche motivo a lei ignoto, tiene le braccia raccolte al petto,
come a volersi proteggere da qualcosa.
«Akh?»
ritenta, ormai a pochi passi da lui.
«C’è…
qualcosa che devi vedere» soffia lui, aprendo bocca per la
prima
volta e facendo un paio di incerti passi avanti.
«Di
che cosa si tratta? È accaduto qualcosa di
brutto?» si accerta
Emily Jane, sempre più preoccupata.
«No»
soffia Akh, anche se, a ben vedere, è un no
veramente poco persuasivo.
Emily
Jane non riesce a comprendere cosa gli stia succedendo. Ma, vedendolo
vacillare, si affretta a sostenerlo per le spalle e a condurlo vicino
ad alcuni grossi tronchi d’albero caduti.
«Vieni,
siedi qui» lo istruisce, paziente. «Ecco, bene.
Vuoi che ti porti
qualcosa di caldo da bere?» domanda gentile.
«Io…
N-no, grazie» balbetta.
Sta
ancora tremando. Lo nota mentre si rende conto che è anche
completamente fradicio d’acqua e mezzo congelato. Sembra
anche
esausto, come se avesse trascorso molto tempo in volo sotto un
acquazzone.
«Cos’è
accaduto?» riprova a chiedere, sperando di ottenere qualche
risposta
degna di questo nome, stavolta.
Così
non è. Tuttavia, al posto dell’attesa spiegazione,
Akh rilassa
faticosamente le braccia, allontanandole finalmente dal petto, e
mostra con visibile ansia ciò che trattiene nelle proprie
mani.
Emily
Jane aggrotta le sopracciglia, confusa. A una prima occhiata, giudica
possa trattarsi di una piccola, ignota fonte di luce, forse
appartenente a qualche creatura magica? Eppure, in quel piccolo
bagliore, avverte un che di strano.
«Akh,
che cosa…?» tenta incerta.
«Non…
n-non so come sia potuto accadere» soffia sgomento.
«L’ho…
t-trovato nella foresta. Era l-lì, aspettava.
As-aspettava» ripete,
in un fievole balbettio costernato.
Una
parte della sua mente sconvolta si chiede da quanto tempo,
esattamente, potesse trovarsi lì ad attendere. Un fremito
più
violento lo coglie al solo pensiero.
«Akh,
io non capisco» prova a far presente Emily Jane.
Akh
non sa davvero come spiegarglielo. Così, invece di cercare
invano le
parole giuste, afferra con delicatezza uno dei suoi sottili polsi,
facendo ben attenzione a non farsi sfuggire la piccola luce
dall’altra mano, e lascia che le dita di lei la sfiorino
appena.
Emily
Jane spalanca gli occhi e un rauco gemito sconvolto scivola fuori
dalle sue labbra tremanti.
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2030
d.c. – giugno
Un
tiepido peso preme sul suo petto. Quando Akh apre pigramente gli
occhi e dà un’occhiata, si trova a incrociare lo
sguardo con
quello di un paio di affilati occhi dorati, che probabilmente lo
fissano insistenti da chissà quanto tempo, ormai. Solleva un
sopracciglio blu e reclina il capo di lato, buffamente imitato dal
nero felino acciambellato su di lui.
«Che
cosa?» mormora Akh, assonnato.
«Meow»
replica il gatto per tutta risposta.
Lo
spirito della Luce storce le labbra in una smorfia esasperata.
«Ah,
certo. Ora sì che è tutto perfettamente
chiaro».
«Meeeowww»
ripete il gatto, con maggior enfasi.
Sembra
proprio che si stia spazientendo.
«Senti,
io non lo capisco quello che stai dicendo» borbotta Akh,
seccato.
«MEOW!»
sbotta il gatto, piantando una zampata fra le costole dello spirito e
facendolo sussultare.
«Okay!
Facciamo quello che vuoi tu, creatura dispotica. Datti una calmata,
però» protesta Akh, turbato.
Nonostante
le sue lamentele, lo spirito della Luce allunga le braccia e
raccoglie delicatamente fra le mani la piccola palla di lucido pelo
nero, sollevandosi a sedere e riportandosela al petto. Infine si
rimette in piedi e permette al gatto di arrampicarsi sulla sua
spalla.
«Qual
è la destinazione?» chiede ironico, senza
aspettarsi una reale
risposta.
Ciò
che ottiene è uno zampettìo nervoso e un soffio
irritato un po’
troppo vicino al suo orecchio.
Akh
sbuffa. «Non cambierai mai, vero? Sempre a
tiranneggiarmi» si
lamenta teatralmente, ricevendo in cambio l’ennesima zampata
di
avvertimento. Sospira. «Molto bene: reggiti»
avverte, un istante
prima di scomparire in un accecante bagliore dorato.
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Il
luogo nel quale atterrano morbidamente non è familiare a
nessuno dei
due. Eppure il piccolo felino, senza più degnare di
un’occhiata
Akh, balza giù dalla sua spalla e trotterella in una precisa
direzione. Perplesso, lo spirito della Luce lo segue in silenzio per
una manciata di minuti, fino a quando le orecchie di entrambi captano
una voce conosciuta.
«…
che non mi interessa di cosa pensi tu. Non sono affari tuoi. Non
puoi… immischiarti in faccende che non ti riguardano.
È la mia
vita, non la tua! Perché non lo vuoi capire?».
Katherine.
Sapeva che l’avrebbero trovata al loro arrivo. Ma pare
proprio non
essere un buon momento per una visita di cortesia, dopo tutto. Akh,
stranito, osserva il gatto che, lungi dal volersi fermare, si
appiattisce al suolo e procede veloce e attento, deciso a raggiungere
la bambina e chi si trova con lei in quel momento.
«Ehi»
sibila, cercando di attirare l’attenzione del gatto senza
farsi
scoprire da Katherine. «Fermati. Dove vai?».
Ma
a nulla valgono i suoi richiami. Pare proprio che la palla di pelo
intenda fare da terzo incomodo.
Non
è la prima volta che il maledetto gattaccio lo trascina fino
a
quella cittadina per osservare Katherine e dare un’occhiata a
come
se la passa. Akh non ha mai obbiettato a quel genere di incursioni.
Nessuno dei due si è mai apertamente mostrato a lei,
d’altronde;
si sono sempre limitati a rimanere a debita distanza e prendersi
qualche ora per accertarsi che tutto andasse bene, per poi tornarsene
dall’altra parte del mondo soddisfatti.
Quel
giorno, tuttavia, dev’esserci qualcosa di diverso. Il
gattaccio non
sembra minimamente intenzionato a rimanere, come al solito,
nell’ombra. Tutt’altro, e Akh non ne comprende
granché il
motivo. O per lo meno non lo comprende fino al momento in cui,
allibito, assiste al degenerare della precedente discussione fra
Katherine e il suo interlocutore, che culmina in un tentativo, da
parte di quest’ultimo, di darle uno schiaffo. Tentativo
andato in
fumo all’ultimo momento proprio a causa di una macchia nera
piombata giù da chissà dove direttamente sulla
testa del
malcapitato.
Akh,
suo malgrado, ridacchia osservando il suo gattaccio accanirsi sui
capelli del ragazzino e schivare agilmente un suo presunto tentativo
di scrollarselo di dosso. Alla fine, pieno di graffi e bestemmiante,
l’idiota di turno saggiamente decide di abbandonare
l’impresa e
di darsi a una ritirata
strategica.
Il gatto riguadagna il terreno con un soffice balzo e, dopo
un’ultima
occhiata per controllare che Katherine stia bene, corre via
eclissandosi nel nulla dal quale è venuto.
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Quando
le sue nere e morbide zampe poggiano nuovamente sulla spalla dello
spirito, Akh si concede un sorriso compiaciuto, osservando il musetto
serio ma soddisfatto del felino.
«Ottimo
lavoro» si congratula Akh, allungando lentamente una mano e
grattando morbidamente fra le sue orecchie ritte.
Per
tutta risposta, il gatto reclina il capo verso il suo e fuseggia con
appagamento.
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2038
d.c. – ottobre
«Sei
proprio sicuro di volerlo fare?» domanda la donna con
evidente
nervosismo.
«Sarà
la centesima volta che glielo chiedi. Se continui così, di
questo
passo finirà col passare un altro anno senza riuscire a fare
nulla
di concreto» si lagna Akh.
«Zitto,
tu! Non ho chiesto il tuo parere» bercia lei.
«Sì,
sono sicuro» mormora pacatamente l’interpellato.
«Visto,
che ti dicevo?» si intromette nuovamente lo spirito della
Luce,
guadagnandosi un’occhiata truce e una silenziosa promessa di
rappresaglie future.
Al
contrario, un paio di labbra si incurvano impercettibilmente verso
l’alto, seguendo il rassegnato divertimento del proprietario.
«Va
bene, ho capito» soffia la donna, prendendosi comunque un
lungo
momento per studiare i suoi occhi apparentemente tranquilli.
«Però…
promettimi che farai attenzione, e che…» tentenna,
visibilmente
combattuta, ma infine sembra decidersi a completare la sua richiesta
«che tornerai» soffia, suo malgrado spaventata.
L’accenno
di sorriso diviene più ampio e gentile.
«Sulla
mia anima» replica sicuro.
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Gli
alberi hanno il colore del tramonto, questa volta, e l’aria
è
piacevolmente fresca e profuma di pioggia. Un piccolo scoiattolo
rosseggiante, su un ramo poco lontano, lo osserva con cauta
curiosità
dopo aver momentaneamente interrotto il proprio frenetico lavoro
sulle provviste per l’inverno.
Attende.
Sa che manca poco, ormai. Quando il sole sarà appena
più alto e
abbagliante, otterrà ciò che desidera da anni,
senza tuttavia
essersi potuto permettere alcuna mossa per accelerarne i tempi.
Sospira.
Si sente nervoso e impaziente. L’incertezza, a volte,
è più dura
da gestire rispetto alla delusione.
D’un
tratto, sul suo orizzonte, intravede una figura conosciuta che,
lentamente, si avvicina. Ha lunghi capelli, lucidi e neri, raccolti
in una morbida coda; indossa un paio di jeans e un maglioncino verde;
sulla spalla sinistra porta una borsa di tela dall’aria
consunta e
decisamente pesante; dalle sue orecchie penzolano un paio di fili
bianchi che si uniscono al centro, scomparendo all’interno
della
tasca dei jeans; non ha purtroppo la possibilità di
osservare i suoi
occhi, al momento coperti da scuri occhiali da sole, ma sa bene che
sono verdi come il maglioncino e curiosi come quelli di un gatto.
Sorride.
La strada verso casa è stata lunga e impegnativa, ma infine
ce l’ha
fatta, e lei è rimasta ad aspettarlo; non lo ha mai
dimenticato,
proprio come gli aveva promesso tanto tempo prima.
Si
scosta dal tronco dell’albero a cui è rimasto
appoggiato fino a
quel momento e fa alcuni passi avanti, così da mostrarsi
chiaramente.
«Katherine»
soffia con voce tranquilla e un poco roca.
Rapidamente,
la ragazza volta il capo nella direzione dalla quale le è
giunta la
voce. Quella voce, che non è mai davvero riuscita a
scordare, e che
ora ha nuovamente una forma concreta.
Sgrana
gli occhi oltre le lenti scure, le sue labbra tremano appena e un
brusco respiro solleva il suo petto.
«Pitch».
"Gli
umani sono schiavi della nostalgia, del dolore che nasce dalla
separazione; soffrono se sono lontano da chi amano. Ma questo non li
indebolisce, semmai li rende sempre più forti,
perché hanno
qualcosa in cui credere." (I Cavalieri dello zodiaco: Le porte
del paradiso)
*
* * * * * * * * * * * * *
"La
speranza è un sogno fatto da svegli." (Aristotele)
*
* * * * * * * * * * * * *
"Dalla
mia oscurità nacque una luce che mi rischiarò il
cammino."
(Khalil Gibran)
*
* * * * * * * * * * * * *
"Mi
fermai, battei le palpebre: non capivo niente. Niente, niente del
tutto: non capivo le ragioni delle cose, degli uomini, era tutto
senza senso, assurdo. E mi misi a ridere." (Italo Calvino, Il
lampo)
*
* * * * * * * * * * * * *
"L’ira
del gatto è bella, bruciante di pura fiamma felina, pelo
irto e
scintille blu, occhi fiammanti e crepitanti." (W. S. Borroughs)
*
* * * * * * * * * * * * *
"Meravigliosa
creatura,
sei
sola al mondo,
meravigliosa
paura
di
averti accanto,
occhi
di sole
mi
bruciano in mezzo al cuore
amo
la vita meravigliosa.
--
Meravigliosa
creatura,
sei
sola al mondo,
meravigliosa
paura
di
averti accanto.
Occhi
di sole,
mi
tremano le parole,
amo
la vita meravigliosa."
(Gianna
Nannini)
Fine…
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L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Salve
^-^
Ho
scritto “fine”, vero? Ho mentito (oh, andiamo, con
tutte le balle
che racconta Pitch, una ogni tanto posso dirla anche io, no?).
Bene,
bene… Detto questo, dato che quest’ultimo capitolo
mi ha dato un
po’ da pensare e quello che ne è sorto
è stato un grosso punto di
domanda, ho deciso di provare a rimpicciolirlo questo punto di
domanda, per quanto mi sia possibile.
In
sostanza ho scritto una storia (una one shot) che spiega, almeno in
parte, i fatti di questo capitolo. Inoltre ho scritto
un’altra
storia (in due parti, perché più di quaranta
pagine in una sola
volta mi parevano eccessive) che invece racconta ciò che
accade
dopo.
Siccome
sono entrambe concluse, ma devono ancora essere revisionate,
è
probabile che mi serva qualche giorno in più per metterle
online.
Credo, se tutto va come deve andare, che la prima vedrà
la luce
domenica prossima e l’altra a seguire.
Spero
che qualcuno sia interessato a leggerle, ovviamente. Se no pace: le
terrò sul mio e-reader e mi diletterò con me
stessa.
Vorrei
infine ringraziare tutti i lettori di questa storia, chiunque abbia
apprezzato il modo in cui amo mettere nei guai Pitch e, soprattutto,
chi ha voluto dirmi qualcosa in proposito: OlzawerBlack,
Emma
Laurence
e in particolare _Anthos_
che dà sempre qualche buon motivo per riflettere (e trovare
soluzioni creative).
Credo
sia tutto, per ora.
Un
saluto,
Roiben
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