★ Iniziativa:
Questa storia partecipa al contest “Caffè o
Tè?” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero
Parole: 2767
★ Prompt/Traccia:
#34. A ha avuto una pessima giornata e B prepara a entrambi/e la
rispettiva bevanda preferita per aiutare un po'.
The
hardest part
La
porta si chiuse alle sue spalle con un colpo secco.
Akaashi
sospirò, mestamente. Non avrebbe mai immaginato che trovare
un lavoro per permettersi gli studi potesse essere così
difficile.
D’altronde,
quale figlio diligente lascerebbe ai propri genitori l’onere
di sostenerlo economicamente anche dopo aver raggiunto la maggiore
età?
Peccato
che fosse praticamente impossibile trovare un impiego part-time per un
giovane studente universitario, intento a destreggiarsi tra lezioni e
sessioni universitarie. Con solo il diploma liceale e nessuna
esperienza lavorativa da inserire in un eventuale curriculum, poi, la
situazione si faceva sempre più dura.
All’inizio
si era presentato a diversi colloqui, quasi senza nemmeno aver prima
controllato che tipo di mansione fosse richiesta; vedersi ogni volta
sbattere la porta in faccia per mancanza d’esperienza era
stata una frustrazione sempre crescente, tuttavia Keiji non
s’era perso d’animo, nascondendo quelle delusioni
dietro ad un’espressione stanca.
S’era
detto che anche quelle sarebbero dovute arrivare, prima o poi; non
poteva certo pretendere di restare per sempre protetto
all’interno della bolla sicura che la sua famiglia
rappresentava, no?
«Sicuro
che vada tutto bene?» gli aveva domandato una sera Bokuto,
davanti ad una scodella di miso che Akaashi non aveva praticamente
toccato. Koutaro aveva valutato che, in effetti, quella era proprio
una strana situazione: a sua memoria, non aveva mai visto Keiji
lasciare del cibo.
Akaashi
aveva annuito appena, senza troppa convinzione.
«Vedrai
che presto si risolverà tutto» lo aveva
rincuorato, sforzandosi di tirare fuori il miglior sorriso
incoraggiante che gli fosse riuscito in quel momento.
Solo
che le cose non erano migliorate.
Akaashi
aveva trovato un lavoro, come cameriere in un bar non particolarmente
frequentato, in una zona un po’ defilata di Tokyo. Non era un
locale alla moda, né un pub per giovani universitari, quanto
una vecchia attività aperta ormai da anni per inerzia dove
si recavano solo clienti abituali. Servire ai tavoli non era, pertanto,
la parte principale dell’impiego, bensì
ciò che occupava la maggior parte del suo tempo era tenere a
lucido quel luogo pressoché abbandonato.
Tutto
ciò per tremila miseri yen al mese; Akaashi, tuttavia, era
deciso a non chiedere un aumento del salario, pur di non rischiare
l’unico posto di lavoro che fosse riuscito a trovare, inoltre
per le mansioni di cui si occupava forse non era neanche un salario poi
così incongruo.
Quella
era stata una giornata particolarmente dura: per evitare di colpire un
cliente alla testa con il vassoio ricolmo di caffè bollenti
che stava tenendo in mano, Keiji era stato costretto ad assumere delle
posizioni non particolarmente comode, il braccio sollevato fin troppo
verso l’alto aveva finito per perdere stabilità a
causa del peso che era stato costretto a sostenere e, nel giro di pochi
secondi, ben sei tazzine di caffè erano cadute,
infrangendosi istantaneamente al suolo.
Per
quell’inconveniente, Akaashi s’era beccato una
bella ramanzina da parte del suo – non troppo simpatico
– capo, che aveva minacciato di togliergli il lavoro al
prossimo errore che avrebbe commesso. Era stato difficile non
rispondere a tono, tuttavia forse in quel modo avrebbe perso
nell’immediato l’ultima possibilità di
avere un lavoro che ancora gli rimaneva, inoltre in quel momento gli
era venuto in mente il sorriso incoraggiante di Bokuto, al che si era
detto che forse sì, evitare di ribattere gli avrebbe fatto
comodo.
Era
consapevole del fatto che quella mansione fosse piuttosto squallida,
però il pensiero che ci fosse sempre l’altro
ragazzo ad attenderlo, una volta arrivato a casa, l’aveva
convinto che forse non tutto era perduto.
Akaashi
sospirò mestamente, gli occhi che saettavano nel buio
dell’ingresso. Non avrebbe neanche saputo spiegare come fosse
iniziata tra di loro. Forse non era mai iniziato niente, come se il
loro rapporto non avesse né inizi né fini:
semplicemente, s’erano incontrati, e avevano saputo di essere
destinati a incrociarsi da tutta la vita.
Erano
stati compagni, amici e poi, forse, amanti: Akaashi metteva ancora le
mani avanti, tuttavia non avrebbe potuto spiegare in altro modo i baci
che si scambiavano.
Ce
l’aveva con se stesso perché avrebbe voluto essere
una persona migliore, per Bokuto, in grado di dargli qualsiasi cosa
desiderasse, invece riuscivano a stento a tirare a fine mese e, ogni
volta, Koutaro era costretto a chiedere dei prestiti ai suoi genitori,
in modo da riuscire a pagare l’affitto del minuscolo
appartamento in cui abitavano. Bokuto lo rincuorava ogni volta,
assicurandogli che per lui non era un problema chiedere dei soldi ai
suoi genitori e che questi erano sempre ben lieti di poterglieli
fornire, tuttavia Akaashi si rendeva conto che, se avessero continuato
ad andare avanti così, non avrebbero mai raggiunto
l’indipendenza che tanto dicevano di desiderare.
Keiji
scosse sconsolato il capo per un’ultima volta,
dopodiché si avviò mestamente lungo il corridoio.
A causa dei dissapori di quel pomeriggio, il suo capo lo aveva
costretto a svolgere degli straordinari sfiancanti,
tant’è che era riuscito a fare ritorno a casa solo
ormai a notte inoltrata. Con ogni probabilità, ormai, a
quell’ora Bokuto doveva essersi addormentato già
da un bel po’, per cui non avrebbe dovuto far altro che
limitarsi a raggiungerlo, infilandosi sotto le coperte senza fare il
minimo rumore e il gioco sarebbe stato fatto.
Prima
che riuscisse tuttavia a mettere in pratica anche solo la
metà dei suoi piani, un odore singolare lo attrasse.
Avrebbe
riconosciuto quel profumo tra milioni, visto che, seppur controvoglia,
aveva dovuto essere a contatto con quest’ultimo fino a pochi
minuti prima.
Caffè.
Akaashi
voltò la testa di scatto, accorgendosi solo in quel momento
della luce soffusa che proveniva dalla cucina.
«Akaashi»
lo salutò Bokuto, comparendo sulla soglia della loro
microscopica cucina con il suo solito sorriso gioviale stampato in
volto; in una mano teneva stretta l’impugnatura di una tazza
di porcellana, evidentemente colma di caffè fumante.
Keiji
non era mai stato un grande appassionato di caffè, a dirla
tutta. Aveva sempre preferito di gran lunga un buon tè
caldo, trovandolo un pacifico rimedio per rimettersi in sesto dopo una
giornata storta. In effetti non aveva mai particolarmente apprezzato la
passione del suo ragazzo per quella bevanda, trovando anzi che gli
effetti che aveva su di lui fossero fin troppo esasperanti: Bokuto era
già di per sé un ragazzo estremamente allegro ed
energico, se tuttavia ci si mettevano di mezzo anche gli effetti della
caffeina allora si poteva dire di avere a che fare con un vero e
proprio vulcano.
D’altro
canto, Akaashi era sempre stato abituato fin da piccolo a consumare
piccole dosi di tè, seguendo soprattutto una tradizione che
veniva portata avanti da generazioni nella sua famiglia.
L’aveva sempre trovata un’usanza raffinata
– forse un po’ antiquata, certo, tuttavia riusciva
pur sempre a mantenere intatto il suo fascino –
perciò gli era stato difficile abbandonarla anche una volta
cresciuto. I primi tempi Bokuto l’aveva schernito un
po’ – “non dirmi che bevi quella
roba”
– tuttavia l’amore che nutriva per
quel ragazzo avevano ben presto permesso a Koutaro di assecondare
quella faccenda senza troppe complicazioni.
In
fondo, se quelli erano i gusti della persona che amava, non vedeva
perché avrebbe dovuto remargli contro.
Lo
amava comunque, indipendentemente da che cosa amasse bere.
«Bokuto»
Keiji lo osservò attentamente, accigliato «non
pensavo che ti avrei trovato ancora sveglio, a
quest’ora.»
«Non
l’avrei detto neppure io, in un’altra
situazione» ammise Koutaro, inarcando entrambe le
sopracciglia nel mimare un’espressione impensierita
«solo che non ti ho sentito tornare, così
cominciavo ad essere preoccupato.»
Akaashi
scrollò le spalle, come a volersi togliere di dosso un peso
più opprimente del dovuto.
«Beh,
mi dispiace di averti fatto preoccupare» commentò
poco dopo, stancamente «ho avuto dei problemi al lavoro e
sono stato costretto a sobbarcarmi degli straordinari in
più. Avrei dovuto avvertirti, lo so, solo che non ne ho
avuto il tempo materiale…»
Con
ciò, Keiji fece per rimettersi in cammino lungo il
corridoio, probabilmente diretto verso la loro camera da letto; Bokuto,
tuttavia, gli afferrò prontamente il braccio, costringendolo
a voltarsi e a guardarlo negli occhi.
«Akaashi,
aspetta!» lo richiamò infatti, nella sua voce la
solita allegria era mista ad una nota di preoccupazione. «Ho
preparato il tuo tè preferito, quello alla menta.»
Akaashi
lo fissò intensamente, senza riuscire a comprendere le sue
parole. Bokuto aveva ragione, il tè alla menta era
assolutamente il suo preferito; tuttavia, non riusciva a vedere il
nesso tra la bevanda e la sua situazione. Era stanchissimo,
l’unica cosa che desiderava in quel momento era rifugiarsi
tra le lenzuola fresche e accoglienti del suo letto.
Bokuto,
notando la confusione sul volto dell’amico, colse
l’occasione al volo per esporgli i suoi piani.
«Ho
preparato il tuo tè preferito» spiegò
infatti, decidendolo di ripetere data la confusione che campeggiava
ancora sul volto dell’altro «e anche il
caffè con la miscela arabica, quello che piace a me. Visto
che eri in ritardo ho immaginato che dovessi aver avuto una giornata
più dura del solito, così mi sono detto:
“perché non preparo le nostre bevande preferite e
poi ci sediamo a un tavolo a raccontarci cos’è
successo?”»
Akaashi
si lasciò sfuggire un lieve sorriso. Il malcelato entusiasmo
di Bokuto finiva sempre per travolgerlo, in un modo o
nell’altro.
«Dai,
vieni!» esclamò Koutaro, rituffandosi in cucina.
A Keiji non rimase altra scelta che seguirlo, a passi lenti e incerti.
C’era
una panca per sedersi, appoggiata al muro. Era stata infilata
nell’unica nicchia di spazio disponibile: tra la soglia della
porta e la stanza successiva, il soggiorno, avanzava ancora qualche
metro, così – visti le dimensioni ristrette a loro
disposizione – avevano pensato di ottimizzare lo spazio
incastrando lì una panca ad angolo e un piccolo tavolo.
Sopra lo schienale correva una vetrata, ora colpita impietosamente da
quelle gocce di pioggia sottili che avevano cominciato a cadere da
qualche minuto a quella parte, che offriva una visuale piuttosto
generosa sulle mille luci della notte di Tokyo.
Sul
tavolo faceva bella mostra di sé una tazza di tè
fumante: Akaashi
riusciva quasi già a percepire il profumo di menta dai
vapori caldi che superavano le pareti di candida ceramica e salivano in
alto, verso il soffitto.
Appena
si fu accomodato, le sue mani circondarono in automatico la tazza. In
un primo momento ebbe il timore di ustionarsi a causa del calore
sprigionato dal materiale, ben presto tuttavia la sua pelle
finì per abituarsi a quest’ultimo.
I
suoi occhi s’immersero nel liquido ambrato, quasi come se vi
volessero annegare; la verità era che, d’un
tratto, ricambiare lo sguardo di Bokuto gli sembrava così
immensamente doloroso. Temeva che, quando gli avrebbe raccontato tutto
quello che era successo, lo avrebbe deluso immensamente: sì,
forse non lo avrebbe dato a vedere, dopotutto era sempre stato
così bravo a mascherare i suoi veri sentimenti dietro a quel
sorriso perennemente allegro; d’altra parte, tuttavia,
Akaashi sapeva ormai di essere la persona che meglio lo conosceva al
mondo, per cui era in grado di notare ogni minima emozione che lo
pervadeva. Si sarebbe accorto senza il minimo sforzo se quel volto
allegro non fosse stato in realtà nient’altro che
una maschera per nascondere rabbia, delusione o, peggio ancora, dolore.
L’unica cosa che si augurava era che quest’ultime
non albergassero davvero l’animo della persona che aveva
davanti, dopo che avrebbe finito di raccontargli ciò che
aveva da dirgli.
«Allora»
esordì Bokuto, sottraendolo ai suoi mille pensieri
«cos’è questa storia che hai avuto dei
problemi al lavoro?»
Akaashi
sorrise lievemente, portandosi la tazza di tè alle labbra:
la capacità di Bokuto di arrivare subito dritto al nocciolo
della questione non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.
L’aroma
di menta gli riempì ora anche la bocca, dopo aver invaso
già da un bel pezzo i polmoni: come ogni altra volta, non
riuscì a non trovarlo delizioso. Bokuto diceva sempre che
quella bevanda lo rispecchiava perfettamente: il sapore deciso e fresco
della menta, immerso nel gusto ben più caldo e rassicurante
del tè; quel tocco deciso finiva sempre per prevalere sulla
dolcezza, stemperando il tutto in una calma apparente, che
sottintendeva tuttavia una miriade di emozioni che, sfortunatamente,
per il più delle volte restavano celate agli occhi degli
altri. Bokuto era l’unico in grado di tirare fuori il meglio
di Akaashi, e di questo Keiji non gliene sarebbe mai stato grato
abbastanza, lo sapeva già.
Poi,
ogni volta, Akaashi ne approfittava per ribattere che, se quel
tè lo descriveva alla perfezione, lo stesso si poteva dire
di Bokuto e del suo caffè: forte, deciso, nonché
un concentrato di energia allo stato puro. Non avrebbe potuto trovare
parole migliori per poter descrivere quel ragazzo, sul serio.
«Per
sbaglio ho fatto cadere delle tazze di caffè a terra e, per
punirmi, il proprietario del locale ha preteso che restassi fino a ben
oltre l’orario di chiusura per ripulire tutto»
spiegò Akaashi, soffiando delicatamente sopra il suo
tè, la superficie che s’increspava in maniera
leggera «ovviamente lo straordinario non è
retribuito.»
Per
poco Bokuto non rischiò di strozzarsi con il
caffè.
«Ma
è un despota!» protestò infatti poco
dopo, indignato. «Akaashi, non puoi permettere ad una persona
del genere di farti mettere i piedi in testa!»
«Tecnicamente
gliel’ho già permesso, Bokuto»
replicò Keiji, la sua solita calma che non si scompose in
alcun modo «ma in fondo a me va bene anche così,
pur di non perdere questo lavoro.»
«Beh,
io invece se fossi in te preferirei di gran lunga perdere il posto di
lavoro, piuttosto che continuare a farmi trattare
così» commentò ancora Koutaro,
inarcando un sopracciglio.
Akaashi
sospirò pesantemente, mentre lasciava andare giù
un altro sorso abbondante di tè. Possibile che proprio non
ci arrivasse?
«Bokuto,
non posso permettermi di perdere questo lavoro perché
è l’unico che potrei mai trovare, ora come
ora» poggiò di nuovo la tazza davanti a
sé, lo sguardo serio fisso sul tavolo «non ho
ancora una laurea, per cui non posso ambire a posti più
alti. E poi avevamo detto che ci sarebbe piaciuto raggiungere una
nostra indipendenza economica… seriamente, mi dispiace che
ogni mese tu sia costretto a chiedere una mano a tua madre. Avremmo
dovuto riuscire a cavarcela da soli…»
Bokuto
afferrò d’istinto la mano di Akaashi, stringendola
forte nella propria. Gli poggiò pollice e indice sotto il
mento, costringendolo ad alzare il capo e a guardarlo dritto negli
occhi, mentre gli rivolgeva il suo sorriso migliore.
«Akaashi»
cominciò, nel tono più serio che Keiji gli avesse
mai sentito utilizzare «io non ho fretta di riuscire a fare
tutto in maniera autonoma. Certo, nell’entusiasmo del primo
periodo in cui ci siamo trasferiti a vivere da soli potremmo averlo
pensato, però credo che ormai ci saremo resi conto che,
visto che siamo due adulti, dovremmo riuscire a capire che non possiamo
affrontare certe situazioni così, nell’immediato.
Ci vuole tempo, impegno e costanza da parte di tutti e due. Non ci
corre dietro nessuno, per cui io direi che ce la potremmo anche
prendere comoda, no? E poi io ti amo, quindi francamente non
m’importa che tu abbia un lavoro o meno, l’unica
cosa che conta è che tu stia bene.»
Akaashi
lo fissò a lungo, intensamente. Percepiva la
verità delle parole e non vi riusciva a trovare alcuna
traccia di delusione nei suoi confronti. Ne era sinceramente stupito:
certo, sapeva che probabilmente Bokuto l’amava più
di quanto lui stesso non fosse mai riuscito a comprendere, tuttavia una
situazione del genere avrebbe probabilmente avvilito anche il
più irriducibile degli ottimisti.
Evidentemente,
però, Bokuto non faceva parte di questi ultimi.
L’unica
cosa a cui riusciva a pensare, in un momento come quello, era il bene
di Akaashi. Detestava il pensiero che il ragazzo che amava dovesse
passare la giornata intera a spaccarsi la schiena e a ricevere
ingiustizie da parte di un datore di lavoro quantomeno tirannico, per
cui se avesse potuto fare anche solo una piccola cosa pur di aiutarlo,
Bokuto sarebbe stato disposto a lanciarsi in essa, senza alcun dubbio.
«Per
cui adesso cosa dovrei fare, secondo te?» gli
domandò Keiji, sempre più confuso.
«Se
vuoi la mia più sincera opinione, io mi licenzierei
all’istante» rispose Koutaro, senza esitazioni
«però ti conosco fin troppo bene, Akaashi, per cui
so che avrai bisogno di tempo per riflettere su quale sia la scelta
giusta da prendere. Non è assolutamente mia intenzione
forzarti a scegliere qualcosa di cui non ti senti sicuro, per cui
pensaci bene e vedrai che, ben presto, anche tu avrai le idee molto
chiare, in merito.»
Bokuto
buttò giù l’ultimo sorso di
caffè, e Akaashi si chiese distrattamente come avrebbe fatto
a prendere sonno, dopo aver immesso nel corpo una tale
quantità di sostanze eccitanti.
«Che
dici, adesso possiamo andarcene a letto?» propose Koutaro,
con l’inseparabile sorriso raggiante sul volto.
Akaashi
sorrise livemente, di riflesso; era davvero difficile non lasciarsi
contagiare dall’entusiasmo del suo ragazzo.
«Direi
proprio di sì» concluse allora Keiji, cominciando
ad alzarsi dalla panca. Bokuto si lasciò sfuggire una risata
fragorosa, lui tuttavia vide di non farci troppo caso.
Aveva
ancora un grosso peso sul cuore, tuttavia ora che si erano confrontati
sentiva che arrivare ad una decisione sarebbe stato molto
più facile.
Tra
le lenzuola, mentre si addormentavano, entrambi cercarono
istintivamente la mano dell’altro, stringendola fra le
proprie dita mentre Morfeo li accoglieva tra le sue braccia.
Angolo
autrice
Yay,
sono tornata! **
Ehm,
in realtà non so bene cosa dire, perché questa
sarebbe la prima volta che partecipo ad un’iniziativa del
genere, perciò… uhm, vediamo. Ho iniziato a
scrivere – come forse qualcuno di voi saprà
– sul fandom di Haikyuu!! da due o tre mesi circa, tuttavia
devo dire che mi ha già presa da morire ♥ come se
non bastasse, quando ho adocchiato questo contest di fanwriter.it nella
home di Facebook mi sono detta che avrei dovuto assolutamente
partecipare, se possibile con la mia nuova fissa, ovvero HQ!!. E bum,
eccomi qui ~
Adoro
la BokuAka, è senza dubbio una delle mie coppie preferite,
per cui avere la possibilità di poter partecipare con
quest’ultima è stato un piacere immenso, per me.
Ho amato il prompt fin dal primo momento in cui l’ho visto,
quindi è stato impossibile astenersi dal partecipare, per me.
Spero
che i personaggi siano IC (come al solito, dato che mi sono avvicinata
da poco a questo anime ho sempre il terrore di commettere qualche
strafalcione :’D) e… boh, fondamentalmente mi
auguro di aver reso la vicenda in una maniera quantomeno decente. Nella
mia testa sarebbe una plausibile future!fic, ambientata dopo che i due
personaggi hanno preso il diploma: ora che sono maggiorenni e studiano
all’università, Bokuto e Akaashi decidono che
è arrivato il momento di guadagnarsi la propria
indipendenza, solo che trovare un lavoro senza una laurea è
davvero difficile. Akaashi si fa carico di tutte le
responsabilità, non tanto perché Bokuto sia
incapace di farlo – tutt’altro –
piuttosto immagino che anche questo sia un modo, da parte di Keiji, per
proteggere il suo compagno: non so, lo vedo molto adatto ad un
comportamento del genere—
E
boh, oggi non riesco ad essere logorroica come mio solito, buon per
voi. Ringrazio di nuovo fanwriter.it
per aver creato
quest’iniziativa magnifica, la dolce Gagiord per essersi
presa l’onere di revisionare tutto ciò (grazie, ti
voglio bene ♥) e _Lady
di inchiostro_ per il consiglio sul
titolo. Alla fine ho scelto davvero quello di una canzone, nello
specifico “The hardest part” dei Coldplay,
perché ho trovato che fosse perfettamente a tema con questi
pezzi, sia perché dire quel che è successo al
lavoro per Akaashi è, effettivamente, “la cosa
più difficile”, inoltre i pezzi “And the
hardest part was letting go, not taking part was the hardest
part” e “I could feel it go down
bittersweet, I
could taste in my mouth” trovo che siano
particolarmente
calzanti alle vicende narrate.
Grazie
a chiunque leggerà, a chi dovesse essere arrivato fino a
qui, a coloro che dovessero decidere di inserire la storia tra le
preferite o le ricordate ma, soprattutto, grazie a quelle intrepide
persone che dovessero decidere di lasciare una recensione. Ultimamente
ho qualche problema nel rispondere, tuttavia, nei limiti del possibile,
cercherò di esserci, promesso ♥
Ancora
grazie mille per tutto, siete un fandom magnifico che mi ha accolta con
un calore sorprendente. Vi voglio bene, spero di poter continuare
presto a pubblicare altre storie qui ~
Aria
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