CAPITOLO
1. HENRICH BAUER
“Dopo
giorni e notti di un lavoro e di una fatica incredibili, riuscii a
scoprire la causa della generazione e della vita; anzi, di
più
ancora, divenni io stesso capace di dare animazione alla materia
morta.”
Mary
Shelley, Frankenstein
Il senso di
colpa ha uno strano effetto sulle persone. Può far
riavvicinare chi
a causa dell'orgoglio si è allontanato da chi amava,
può far fare
cose che nessuno, tanto meno tu, ti saresti aspettato di compiere o
dire. Può logorarti, distruggerti. Può essere la
tua ancora di
salvezza dopo una vita passata a fare errori su errori. Oppure puoi
esserne del tutto privo. Puoi non sentirlo, non percepirlo nemmeno.
Persone che hanno il lusso di non doversene preoccupare e di poter
vivere serenamente senza mai concepire nemmeno per un istante cosa
significhi averlo, persone che la polizia a volte classifica come
sociopatici, apatici, incapaci di provare rimorso, non tutte
naturalmente, gli attori migliori sono in grado di simularle portando
delle maschere, maschere che con il tempo che passa sono sempre
più
integrate con il resto del corpo, diventando un tutt'uno. Persone che
finiscono con il non vivere davvero, che nei film vengono definite
“cattive” da tutti, ma che se le incontri per
strada le trovi
amichevoli e gentili, o peggio, finisci col diventare come
loro.
Henrich lo sapeva bene, ne aveva conosciute tante, e col
tempo, alcune era anche riuscito a riconoscerle. E le riteneva
fortunate. Fortunate perché non dovevano preoccuparsi
dell'enorme
peso del senso di colpa, e lui lo sapeva bene, quel peso lo portava
da tutta una vita, e il passare degli anni non l'aveva aiutato a
rendere il tutto più sopportabile e meno pesante.
Quel peso
che era come un'ombra, che non lo lasciava mai da solo, che gli
ricordava sempre che era lì per lui, per
quello che aveva fatto,
e per
non farglielo dimenticare mai.
E lui non avrebbe mai dimenticato. Non fino a quando avrebbe avuto un
cuore che batteva, anche se vecchio e dolorante come lo era lui, del
resto.
Si
grattò la fronte incerto sul dà farsi, ma poi
sospirò e si alzò. Era tardi, aveva dormito anche
troppo, già era
deprimente alla sua età rimuginare sugli sbagli del passato,
ma
passare i pochi anni che gli rimanevano in un pulcioso letto era
fuori discussione.
Prima di lasciare la camera da letto, si
guardò nello specchio che teneva vicino alla porta. I suoi
settantacinque anni li dimostrava tutti, forse anche un paio di
più.
Era piuttosto alto e snello come lo era giovane, il viso magro come
il resto del corpo, e due occhi azzurri scavati sul viso che
apparivano stanchi, ma ancora vivi di qualcosa, come se in mezzo alla
stanchezza ci fosse anche una piccola e flebile fiammella dentro lui,
anche se Henrich non sapeva come mai fosse ancora accesa. I capelli
bianchi, un tempo biondi, corti e leggermente mossi, erano gli stessi
della sera prima. Ma aveva davvero dormito quella notte? Non lo
sapeva, anche perché se l'aveva fatto, erano stati sogni
tormentati.
Si cambiò, sostituendo un vecchio pigiama a tinta
unita con una polo blu, una maglia a cappuccio grigia, dei jeans e
due scarpe da ginnastica color marrone scuro. Poi, finalmente,
lasciò
la stanza per raggiungere Frank, la ragione principale per cui si era
cambiato. Non voleva che si preoccupasse per lui, cosa che avrebbe
fatto se lo avesse visto in pigiama.
Lo trovò inerte sulla
sua poltrona come se fossero una sola cosa, e i cavi elettrici e i
circuiti che collegavano l'impianto lì accanto alla
poltrona, e a
Frank, non facevano che confermare quest'idea.
Henrich buttò
una rapida occhiata al monitor, e fece un piccolo sorriso.
“Tre
minuti.”
Ne
approfittò per dargli una rapida occhiata con il computer.
Sistemi
vitali ottimali. Resistenza accettabile. Energia in caricamento.
Tutto sembrava normale.
Quando sentì i circuiti e i cavi
elettrici staccarsi dalla poltrona, e da Frank, constatò che
i tre
minuti dovevano essere passati.
Frank si alzò con la rigidità
di un militare, ed Henrich non si aspettava niente di
diverso.
“Buongiorno, Henrich. Sei già sveglio.”
fece
Frank con voce meccanica.
“Beh direi. Sono le undici di
mattina. Ho dormito anche troppo.”
“Le
undici? Confermo. Sono le undici e nove minuti e trentadue virgola
ottantacinque secondi.” continuò Frank, iniziando
a camminare a
tratti.
“Preciso come sempre.”
“Sto
solo adempiendo ai miei compiti, signore.”
Henrich
sbuffò.
“Frank, ne abbiamo già parlato. Niente signore.
Henrich.”
“Lei
mi ha programmato. Mi ha creato. Sono frutto del suo lavoro e delle
sue ricerche. Non esisterei senza di lei. La mia esistenza è
legata
a lei. Ogni cosa che sono, e che sono in grado di fare, è
merito
suo, perché lei mi ha dato le informazioni necessarie per
poter
adempiere ai miei compiti. Io sono stato creato per servirla. Dunque
la sua intenzione di rendermi informale nei suoi confronti è
illogica. Frank non capisce.”
“Io
ti ho creato perché necessitavo di un assistente, qualcuno
che
potesse aiutarmi in quello che sto facendo, ma ciò non
significa che
sei il mio domestico o il mio servitore. Tu non sei il mio schiavo.
Sei un abile collaboratore.. e un amico.”
“Se è questo
che desidera, potrebbe apportare le dovute modifiche al mio
programma. Posso suggerirle..”
“Non
importa, Frank. La verità è che non sono
così sveglio e
intelligente come una volta, e temo che se apportassi delle modifiche
al tuo programma, beh, ho paura di fare più male che bene.
Non
voglio danneggiarti. Sei perfetto così, come lo sei stato
negli
ultimi quarantacinque anni.”
“Perfetto? La perfezione è
illogica. Inoltre vorrei ricordarle che anche lei..”
“Frank,
era solo un modo di dire. Intendevo che.. vai bene così. Che
apprezzo ciò che sei.”
“Secondo
i miei dati, quello che ha detto era un complimento. Il mio database
dice che quando si riceve un complimento si ringrazia. Frank
ringrazia.”
Henrich
rise divertito e si diresse verso una terza stanza nell'angolo della
casa, ma qualcosa gli impedì di proseguire.
Un dolore
lancinante, insopportabile a dire poco, partì dal suo cuore
e si
diffuse per tutto il suo corpo, come un virus, come un veleno che si
era attivato dentro di sé, intenzionato a danneggiargli
tutti gli
organi interni. Si strinse con le braccia, come se volesse
abbracciarsi da solo, nel folle ed inutile tentativo di porre fine a
quel dolore, che aveva raggiunto anche il cervello.
Frank lo
aveva chiamato. Oppure no? Era tutto così confuso, anche la
vista
era annebbiata. Lottava per resistere, per restare in piedi, ma il
dolore era troppo, e si rese conto che a poco a poco le ginocchia si
erano piegate, fino a quando non si stese sul pavimento,
contorcendosi dal dolore.
Sentì la voce meccanica del suo
assistente, questa volta ne era certo. Si sforzò di aguzzare
la
vista e lo vide accanto a lui. Non capii ogni cosa che diceva, solo
qualche parola. Parlò di infarto. Ictus. Ospedali. Voleva
portarlo
all'ospedale. Facendo appello alla forza che gli restava, Henrich
scosse la testa.
Nessun infarto. Nessun ictus. Nessun
ospedale. Non ce n'era bisogno. Sapeva benissimo cos'era. Cosa stava
avendo. E perché.
E
il saperlo rendeva tutto più difficile. Perché
sapeva cosa
significava. Cosa avrebbe dovuto fare. Sperava che quel giorno non
sarebbe mai arrivato. Gli ritornò alla mente l'ultima volta
che
aveva avuto quell'attacco. Come dimenticarlo? Aveva cambiato la sua
vita.
A poco a poco il dolore scomparve, e con il passare dei
minuti, Henrich prese consapevolezza della situazione. La sua testa
era nel caos, tanti pensieri, troppi. Pensieri su di lui, su cosa
avrebbe fatto non appena si fosse alzato dal pavimento, pensieri su
cosa stava accadendo là fuori, pensieri su cosa sarebbe
successo
negli anni a venire, pensieri sulle sei persone che lo avrebbero
aiutato a portare quel peso enorme, quelle sei persone che ancora non
avevano né volto né nome, persone che presto
avrebbero visto la
loro vita sconvolta, da
lui.
“Frank.”
mormorò, con un filo di voce, ancora stordito da quanto era
successo.
“Frank è qui.”
Henrich lo guardò. Frank
se ne stava chino su di lui, come solo un robot poteva fare, ma non
era un robot. Non era neanche umano. Frank era.. un essere
cibernetico. Metà macchina e metà umano. La sua
pelle era bianca
quanto un pezzo di carta, le labbra viola, e per la metà del
corpo
era circondato da circuiti cibernetici, macchine, cavi, che gli
permettevano di muoversi, parlare, comprendere. Henrich avrebbe
voluto dilungarsi di più a pensare a Frank, al suo passato e
a come
era nato, ma non era quello il momento.
“Aiutami ad
alzarmi.”
L'androide
obbedì, e quando Henrich fu in piedi, entrambi si diressero
verso il
computer, non tanto distante dal luogo in cui Frank si
rigenerava.
“Frank, ho bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo fare
quella
cosa.”
“Signore,
lei aveva detto che l'avremmo dovuta fare solo in caso..”
“Lo
so. Ricordo cosa ho detto. Ma questo è il caso. Quel
caso.”
“Ai
suoi ordini. Sono pronto a procedere.”
“Forza, allora. Dobbiamo
procedere con la selezione,
prima che lo faccia il sistema. Abbiamo un'ora, no, quarantacinque
minuti. Non possiamo permetterci errori. Schema DTDPDA 82 integrato
con il BHHP 176.”
“Eseguito. Ci vorranno dieci
minuti per il registro
dati.”
“Forse possiamo accelerare il
processo con un altro
schema. Aggiungi 945 P. E BHH 136.”
“Sei minuti.”
Henrich
iniziò a sudare freddo. Non riusciva a credere a quello che
stava
facendo. Stava condannando
sei
persone che neanche
conosceva ad una vita pericolosa, movimentata, che forse, anzi
sicuramente,
li avrebbe uccisi.
“Frank ha il permesso di parlare?”
L'uomo anziano annuì, continuando a tenere le mani sul
viso.
“Non aveva altra scelta.”
“Ah, sì?”
“Se non avesse fatto nulla,
sarebbe stato il computer
a scegliere, in modo del tutto casuale. Sei persone sarebbero state
scelte comunque.”
“E che succede se ho scelto le
persone sbagliate? E
non le ho scelte. Abbiamo solo applicato dei parametri per diminuire
la possibilità di scelta, la scelta, quella definitiva,
è stata
fatta dal computer. Di nuovo.”
“Lei è stato scelto dal
computer."
"E ho fallito. E ora, per colpa
mia, per colpa della mia ingenuità, della mia
gioventù e della mia incapacità di adempiere a
ciò per cui sono stato scelto, sei persone dovranno riparare
i miei errori, rischiando la vita."
"Hai dato loro capacità che non avrebbero mai avuto in altre
circostanze."
"Già. Ma a che prezzo?"
NOTE:
Ehm.. *entra in punta di piedi* salve!
Sono nuova in questo fandom, non mai letto romanzi di questo genere
(né libri né racconti pubblicati qui), quindi si
può dire che sono una novellina!
Questa storia mi è entrata in testa da tipo due anni
(già, due anni), e sebbene avessi già in mente la
trama, i personaggi, lo sviluppo etc., non avevo mai scritto un solo
capitolo prima d'ora, perché ero spaventata da non riuscire
a gestire una storia complessa, di fantascienza tra l'altro. Ma ho
deciso di provarci.
Quindi spero che questo inizio vi piaccia (è stato un parto
decidere come iniziare), che vi incuriosisca ad andare avanti e
soprattutto spero di non perdermi lungo il percorso, cercando in ogni
capitolo di tenere alto il livello della storia, per quanto mi
sarà possibile. Spero di non rovinarlo. Lo spero davvero.
So che è presto trattandosi di un solo capitolo, ma fatemi
sapere che ne pensate, se vi ispira, se non vi ispira, se vi
incuriosisce, o se vi sembra una schifezza! Ogni commento
sarà apprezzato e gradito, parola mia!
Cercherò di aggiornare il prima possibile, I promise!
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