26.
Feels like the end.
"Don't wait...
," you say.
You say "... they've gone home."
Sleep with the lights off when you're alone.
Silence so mighty you go deaf;
Bombs are going off inside your chest.
I know you wanted to be loved,
But you're bleeding left alone... so, so, so
alone...
Singing where does time go from here?
[Mikky Ekko - Feels like the end]
La zazzera di capelli rossi, insoliti in quella parte del
mondo, era stato il primo dettaglio a catturare la sua attenzione.
Molti dei
suoi nuovi compagni erano biondicci come lui, o con i capelli scuri.
Uno di
loro aveva persino i capelli bianchi come quelli degli anziani che a
Rodorio
intrecciavano i vimini e bevevano ouzo
la sera, tra una partita a carte e un passo di syrtos.
Ma rossi, di quel rosso intenso che alla luce del sole ricordava le
ciliegie
mature, mai.
Aveva l'aria compita e seria, mentre seguiva il maestro
verso la tredicesima casa, dove, ad aspettarlo, avrebbe sicuramente
trovato
Shion.
"Molto bene,
ne manca solo più uno, poi il Santuario sarà al
completo."
"Ho sentito dire che ha seri
problemi a relazionarsi e che probabilmente è autistico o
cose così."
"Non è bello
ciò che hai detto, Saga, e i bambini potrebbero averti
sentito. Il rapporto del
Maestro Volya dice che è un bambino schivo e riservato, che
dà poca confidenza,
ma è tranquillo e studioso e con uno spiccato senso ad
apprendere in fretta:
dice che ha imparato a parlare fluentemente anche il russo e il greco
in poco
tempo."
Si chiamava Camus, proveniva dalla Francia ma aveva
trascorso gli anni dell'addestramento in Russia ed era il Saint
dell'Acquario,
quindi avrebbe occupato l'undicesima casa –aveva spiegato
Aiolos, introducendo
ai giovanissimi Gold Saint il loro parigrado-.
"Ti ci vorrà
qualche giorno per abituarti a questo nuovo ambiente, ma sono certo che
tutti i
tuoi compagni faranno del loro meglio per farti sentire a casa."
si
era raccomandato infine Aiolos, lanciando un paio di significative
occhiate
ammonitrici a un paio di loro "mi
aspetto educazione e collaborazione da tutti voi, ragazzi, e che
soprattutto
non si ripeta quanto successo all'arrivo di Shaka: anche Camus
è un bambino
riservato, vi toccherà sudare per avere la sua amicizia."
E in effetti, quanto pronosticato da Aiolos era vero.
Aveva sudato le proverbiali sette camicie prima di poter fare breccia
nel
carattere introverso di Camus e conquistarsi così la sua
fiducia, ma una volta
dentro il suo ristrettissimo cerchio, si era reso conto che c'era ben
altro
dietro la sua faccina seria -beh, a essere sinceri l'aveva tormentato
così
tanto che Camus si era arreso, ma era una cosa, questa, che non avrebbe
mai
ammesso con nessuno-.
Superata l'infanzia, erano sopraggiunti gli anni dello
studio e dell'insegnamento, Camus si era trasferito temporaneamente in
Siberia
per seguire i due allievi e poi ancora gli esami scolastici
–all'epoca si era
domandato come diamine avrebbero superato facilmente in pochi mesi
quanto i
ragazzi normali studiavano in anni-, la patente, il motorino, le
ragazze,
persino una figlia. Niente e nessuno era mai stato in grado di
interferire, per
qualche tempo aveva creduto che un'amicizia come la loro sarebbe stata
capace
di affrontare e vincere il mondo.
Ma non aveva fatto i conti con la morte, che si era
presentata nelle vesti del suo più caro allievo.
A distanza di quasi ventiquattr'ore riusciva ancora a
sentire le braccia intorpidite dal gelo emanato dal corpo esanime di
Camus,
mentre le tempie martellavano impietose e una strana sensazione gli
serrava il
petto in una morsa. Si trovò suo malgrado a ridere
nervosamente: custodiva
moltissimi ricordi con Camus, ricordi di situazioni tragicomiche e
serie,
legati all'allenamento, allo studio, a stupidaggini o faccende gravi
ma...
quello era il solo che riusciva a richiamare alla memoria in quel
momento.
Fino al giorno prima era andato tutto bene, Camus era
vivo, avevano parlato e scherzato per spezzare la tensione e ora... ora
il suo
cadavere giaceva su un letto di marmo.
"Milo?"
Aiolia avanzò piano verso l'amico, immobile nella sala
principale dell'ottavo tempio in piedi e con lo sguardo fisso su un
punto
imprecisato. Sembrava in trance, persino le palpebre parevano fisse.
"Seiya e i suoi compagni hanno dato
dimostrazione, con le loro azioni, che ciò che io pensavo
era giusto. A questo
punto credo che chiunque di voi sappia che tredici anni orsono, Aiolos,
fratello maggiore di Aiolia, fu indegnamente etichettato come
traditore, reo
d'aver rapito, dal Santuario, una neonata in fasce… quella
stessa bambina, la
futura Saori Kido, che è senza dubbio Athena e che oggi per
un soffio è
scampata alla morte grazie al sacrificio dei suoi Saints."
Non appena Dohko aveva iniziato a spiegare, il suo primo
impulso era stato quello di fermarlo: chiunque era a conoscenza di
quella
famosa notte e nessuno di loro, soprattutto Aiolia, amava sentirla
ripetere.
Poi però Dohko aveva continuato con particolari del tutto
sconosciuti che
avevano gelato loro il sangue nelle vene.
"Tuttavia
all'epoca, Aiolos a parte, un'altra persona era al corrente della
verità, la
stessa che aveva appena ucciso, in segreto, il Pontefice del Santuario
e ne
aveva usurpato il posto: in quella stessa notte tentò di
assassinare anche la
piccola Athena, ma nel tentativo di fermarlo, Aiolos scoprì
che quell'uomo
altri non era che Saga, Gold Saint dei Gemelli. È stato
allora che, nel timore
d'esser smascherato, Saga accusò Aiolos di tradimento. Shura
poi, fece il
resto, convinto come tutti voi d'esser nel giusto."
Già, Shura aveva fatto il resto.
A dire il vero tutti loro in quella storia avevano avuto
la loro parte di responsabilità, lui compreso. Per tredici
anni aveva servito
quell'uomo dalla doppia faccia, uccidendo in suo nome senza porre
alcuna
domanda, per tredici anni aveva giurato assoluta lealtà a un
essere che aveva
approfittato della loro buona fede e che senza pensarci due volte aveva
versato
il sangue del Pontefice, quasi commesso infanticidio e infangato un
innocente
nella memoria di tutti loro.
A chi o a cosa serviva, ora, essere a conoscenza di
quella verità nascosta per così tanto tempo? A
nulla. E certo non era di alcuna
utilità ai quattro uomini che nella sala accanto giacevano
in attesa d'essere
degnamente sepolti, quattro uomini che, come lui, avevano speso gran
parte
delle loro esistenze al servizio di un commediante abile nel distorcere
la
realtà e nel tessere inganni.
Possibile che il comportamento di Saga non avesse mai
insospettito nessuno? Eppure, a ripensarci adesso, c'erano stati, nel
tempo,
segnali sulla dubbia integrità del Sacerdote… la
vera domanda era: perché non ci ho
mai fatto caso?
Incredibile pensare con quanta vergognosa facilità tutti,
lui compreso, avevano creduto a Saga, abbandonando Aiolos al suo
destino.
"Milo?"
ripeté Aiolia, cercando di attirare la sua attenzione. "Stai
bene?"
Milo parve riscuotersi di colpo.
"No.Vorrei poter riaprire gli occhi domattina e
scoprire che è stato tutto un incubo."
Oltrepassò Aiolia dirigendosi verso le salme distese sui
loro letti di pietra: il suo sguardo corse rapidamente all'elmo di
Shura, che
in tutta quella storia aveva contribuito forse più di
chiunque altro al destino
del loro compagno; chissà se aveva mai avuto un momento
d'esitazione, se aveva
mai pensato a cosa stesse facendo mentre feriva a morte l'uomo che
aveva
cercato di salvare tutti loro.
Preso un gran respiro, scostò il lenzuolo che copriva
Camus e guardò il suo volto livido.
"E tu, amico mio, ci hai mai pensato?" domandò,
seguendo il filo dei propri pensieri.
Almeno lui, tra loro due, aveva avuto un'esitazione nei
confronti del Grande Sacerdote? A
differenza sua Camus era stato meno impulsivo in vita e magari qualche
sospetto
l'aveva avuto.
"Temo non possa risponderti."
Si rese conto d'aver pensato a voce alta solo quando si
trovò faccia a faccia con Mu.
"Stavo ancora pensando alle parole del Maestro."
rispose, a mo' di spiegazione. "Saga è stato davvero bravo a
ingannarci
per tutti questi anni. Abbiamo scoperto la verità ora che
è troppo tardi per i
nostri compagni."
L'altro annuì.
"Sì, è vero, ma tutto ciò ci
servirà da monito per
il futuro." osservò Mu. "Non possiamo sapere che cosa
sarebbe
successo se tutto ciò fosse uscito allo scoperto molto
prima."
Beh, sicuramente Saga non avrebbe avuto vita facile.
"Se soltanto avessi avuto un sospetto, uno solo.
Invece non ho mai dubitato della buona fede del Grande Sacerdote,
eseguivo
tutto ciò che mi ordinava senza domandarmi se fosse giusto o
no." disse
Milo. "Avrei potuto fare qualcosa."
"Sono solo supposizioni, Milo, non possiamo tornare
indietro." replicò Mu, guardandolo sedersi accanto alla
salma di Camus,
prima di prendersi la testa tra le mani. "Pensare adesso non serve.
Dovresti dormire, prima dei funerali c'è ancora tempo."
E chi riusciva a farlo? Mu non aveva idea di quanti
pensieri e sensi di colpa affollavano la sua mente, così
tanti che gli era
difficile perfino riposare.
"Non ho intenzione di disertare la veglia funebre
del mio più caro amico, e poi...ho una faccenda delicata da
sistemare."
replicò, prima di scomparire verso oriente.
Shaka smosse le ceneri nell'incensiere e accese dei nuovi
bastoncini, in attesa dei rituali in uso in occasioni come quelle: i
corpi
sarebbero stati lavati e avvolti nei sudari, sarebbero stati vegliati
nelle
loro rispettive case –quantomeno, in quelle ancora in piedi-
e, infine,
seppelliti prima del sorgere del nuovo giorno.
"Temo di sapere dov'è andato Milo." sospirò,
guardando Mu.
*
Al Goro-ho era già sera quando Milo si presentò
alla
pagoda.
La notte precedente era stata travagliata e difficile,
spiegò Shunrei, parlando
in un greco che alle sue orecchie risultava un po' grezzo. Lei e il
Maestro
avevano dormito molto poco, l'unica che pareva aver dormito un po' era
la
piccola Lixue.
"E Mei?"
"Lei ha avuto un tracollo nervoso." rispose Shunrei. "Io e il
Maestro l'abbiamo trascinata dentro con la forza, e nonostante le abbia
preparato un potente infuso, ha trascorso la notte gridando e invocando
il suo nome nel sonno. Non ha quasi
più
voce e ho paura che possa commettere delle sciocchezze."
Annuì. Era stata una notte difficile per tutt'e due,
nemmeno lui aveva riposato sereno, anzi.
"Sono qui per accompagnarvi al Santuario: Shiryu ha
bisogno di cure e riposo e Mei... beh... dov'è ora?"
Lo accompagnò fino alla porta della Stanza degli Avi, da
dietro la quale filtrava un penetrante odore d'incenso.
"È qui da stamattina, a malapena ha toccato cibo ed
è uscita solo per badare a Lixue."
"Va bene, ci penso io. Preparati e prepara anche la
bambina." le disse, prima di bussare ed entrare.
All'interno della piccola stanza il fumo degli incensi
era quasi insopportabile; Mei era inginocchiata su un grande cuscino,
mentre
pregava silenziosamente davanti a un piccolo altare colmo di fotografie
e
tavolette di legno.
La oltrepassò, aprendo la finestra e prendendo una lunga
boccata d'aria fresca.
"So che stai pregando e mi dispiace per i miei modi
bruschi." esordì, notando che Mei non si era praticamente
mossa. "Prima
dell'alba ci saranno i funerali e tra poche ore inizierà la
veglia. So che stai
male, provo le tue stesse cose. Ma... dobbiamo dirgli addio."
Sollevò su di lui uno sguardo stanco, provato dalla notte
insonne e dal dolore.
"Non posso." mormorò, la voce roca.
"So che stai male, davvero." ripeté Milo.
"Non so se posso farcela."
"Ascolta, non posso obbligarti a fare qualcosa, se
non vuoi. Ma so che se non verrai con me, se non gli dirai addio,
finirai col
pentirtene."
Mei si mise a sedere, stanca della posizione.
"Mi ha parlato prima che iniziasse l'undicesima ora...
lui mi ha già detto addio ma... io non sono pronta a dirlo a
lui. Non ce la
faccio."
Milo si tolse l'armatura, sedendosi poi sul cuscino
accanto al suo.
"Anche io preferisco ricordarlo com'era quando era
qui con noi, ma ne abbiamo fatte così tante insieme che non
posso voltargli le
spalle proprio ora." proseguì. "Sai, ho moltissimi ricordi
legati
alla nostra amicizia, molte cose belle e com'è normale,
anche cose brutte.
Eppure il solo ricordo che il mio cervello ha riportato a galla
è legato alla
nostra infanzia, al momento in cui Camus arrivò al
Santuario. Avresti dovuto
vederlo, pallido da far paura, i capelli così rossi che
potevano vederli
persino a Sparta, il visetto tutto serio con il suo solito cipiglio...
impiegò
due giorni netti per prendersi la prima scottatura, era pieno di
lentiggini e
sulle spalle erano comparse certe bolle..."
"Efelidi." lo corresse Mei, impulsivamente.
"Giusto." convenne Milo, sorridendo. "Il
che lo indusse a non scendere più in spiaggia per diverso
tempo e, una volta
diventato adulto, a coprirsi durante quelle rare volte in cui si
convinceva a
scendere con noi. Lo prendevamo sempre in giro, io e Shura, per questo.
Pensa,
una volta si avventurò in spiaggia con infradito, bermuda e
felpa... ah, e con
uno dei suoi mattoni russi tra le mani, ovviamente."
"Mi sarebbe piaciuto vederlo."
"Beh, purtroppo non si può tornare indietro, ma... puoi
vederlo
adesso." Milo ritornò sul discorso di partenza. "Non fargli
questo,
Mei. Non fargli questo."
*
Era strano ripercorrere quelle scale dopo tanto tempo,
soprattutto ora che le case erano metà danneggiate e
disabitate: la sala del
tredicesimo tempio, ora che Ares era stato sconfitto, aveva perso molti
di
quegli elementi cupi e inquietanti che aveva visto tempo prima, ma i
segni
della lotta consumata in quel luogo erano ancora ben visibili, Milo le
aveva
raccontato che la lotta tra Seiya e il Sacerdote impostore, Saga, era
stata
lunga e atroce.
Attraverso il portone doppio, aperto, intravide i cinque
letti di pietra dov'erano stati sistemati i resti dei Gold Saint
deceduti in
quell'impresa, in attesa di essere composti e sepolti; in un angolo,
intenti a
parlottare tra loro, Seiya e i suoi amici.
Shunrei quasi impazzì dalla gioia nel vedere Shiryu,
correndogli poi incontro e piangendo per il sollievo.
Abbozzò un sorriso quando incrociò lo sguardo del
fratello, ma decise di
oltrepassare lui e Shunrei, pensando che avrebbe dato tutto
ciò che possedeva
per poter fare la stessa cosa con Camus.
"Ah, lo sapevo." sbottò Shaka, freddando Milo
con uno sguardo di ghiaccio. "Per tutti gli Dèi, Milo,
perché l'hai
portata qui?"
Mu guardò i due, quindi circondò le spalle di Mei.
"Vieni, ti accompagno." le sorrise,
rassicurante.
"Mu, no." lo fermò Milo. "Aspetta un
attimo."
Shaka s'avvicinò a Milo e l'afferrò per un
braccio.
"Ho detto: perché
l'hai portata qui?" ripeté.
"Perché l'ho ritenuto giusto. Ha sentito Camus
morire e voleva vederlo. Punto." ribatté Milo, gelido.
L'altro abbassò la voce di due toni.
"C'è il giovane Saint del Cigno, di là."
Questo poteva essere un problema, in effetti.
"Ebbene? Ha la bambina con sé e ben altro cui
pensare "
"Ebbene,
potrebbe comunque fare una scenata."
Mei si voltò e lo guardò con astio.
"Oh, tranquillo, nessuna scenata. Non mi strapperò i
capelli o graffiarmi a sangue la faccia, se è quello che speri. Non darò mai a nessuno
questa soddisfazione, men che meno a
uno come te." replicò Mei.
Shaka inspirò profondamente.
"Ringrazia la tua buona stella se ne hai una, per la
mia clemenza. Altrimenti avrei già usato il Tenbu Hōrin per
il tuo ardire."
"Per quel che mi riguarda, potresti anche usarlo."
ribatté Mei. "Non ci provo nemmeno a difendermi.
Così vediamo quanto onore
possiede l'uomo più vicino ad
Athena."
Shaka mosse un passo avanti e si trovò la mano di Aldebaran
sulla spalla.
"Misura bene le tue parole, donna:
potrei dimenticarmi dei giuramenti fatti!"
"Già solo a pensare a una cosa del genere ti rende
uguale, se non peggiore, dell'uomo
che ha dato vita a tutto questo." sbottò Mei.
"Milo, vedi di tenere a freno la sua lingua
biforcuta o sarai tu a rispondere per lei."
"Calmiamo gli animi ragazzi, siamo tutti agitati e
sconvolti e diciamo cose che non dovremmo nemmeno pensare."
interloquì Aldebaran, mentre Milo scortava Mei nella
sala accanto.
Shaka si scrollò di dosso la mano dell'amico.
"È giovane e sconvolta." gli disse Aiolia.
"Non è in sé, altrimenti…"
"Altrimenti nulla, quella vipera arrogante avrebbe risposto
così
comunque."
"Questa cosa non mi piace nemmeno un po'."
l'ammonì Milo, serio.
"Cosa, il fatto che ho risposto male a Shaka?"
"Ascoltami attentamente, adesso. Abbiamo entrambi
perso persone importanti, d'accordo? Oggi ho perso degli amici, ho
perso l'uomo
che per me non era solo il mio migliore amico, ma un fratello.
Posso immaginare che cosa provi, perché il tuo dolore
è
anche il mio, e so che come me spesso reagisci al dolore con
l'aggressività. So
che stai male da morire adesso e ti comprendo. Ma per nessun motivo al
mondo ti
puoi permettere di parlare in questo modo con uno di noi, a maggior
ragione
adesso che Camus non è più in grado di
proteggerti come prima."
"Non ho bisogno di protezione."
"Sì invece, non ne hai idea." obiettò Milo. "Mi
ha chiesto di proteggere te e vostra figlia, ma non posso farlo se ti
ostini a
cacciarti nei guai."
"Ho solo risposto a tono, non l'ho aggredito con una scure."
"Ebbene, non lo devi fare! Apprezzo il tuo carattere
forte, ma qui certe azioni hanno un peso che tu non saresti in grado di
sopportare: non dureresti una settimana a Capo Sounio."
"Che cosa potrebbe mai fare, prendersi la mia
vita?" domandò Mei. "Che se la prenda, se lo desidera. Se
non fosse
per mia figlia, mi renderebbe un gran favore."
"Non voglio sentire queste cose e sicuramente
nemmeno Camus."
"Camus non può
più sentire niente." sibilò Mei, con
una luce strana negli occhi, che
Milo non aveva mai visto. "Camus non
può più sentire, o pensare, o parlare.
Perciò, per la miseria, non dire che
cosa avrebbe o no voluto sentire. Non può più
fare niente."
E chi l'ha ucciso è
ancora vivo, aggiunse mentalmente.
"Seiya, Ikki, Shun, mio fratello, Hyoga. Athena li
ha salvati, ma non ha salvato loro."
proseguì, indicando le salme con un ampio gesto del braccio.
"Perché?
Eppure anche loro sono morti in suo nome."
"Nessuno conosce i disegni degli Dèi." rispose
Milo.
"Non prendermi in giro. Athena è come una madre
snaturata che preferisce gli ultimi arrivati, gli scriccioli di casa,
ai figli
più grandi. Mio fratello e i suoi amici sono i preferiti di mamma Athena e per questo motivo
è stata
concessa loro una seconda possibilità."
Parole dettate dalla rabbia, dal dolore, dalla
frustrazione. Sicuramente, in un altro momento, Mei non le avrebbe
neanche
pensate.
Le sorrise triste.
"Shura è morto per Shiryu, per concedergli una
seconda possibilità. Non sei
contenta di questo?"
Lei e Shunrei avevano sentito chiaramente il Cosmo di
Shiryu innalzarsi fino a limiti mai raggiunti: utilizzando la tecnica
proibita,
Shiryu si era sì elevato al di sopra del suo avversario, ma
a scapito della
vita.
Vita che, al contrario delle aspettative, aveva
conservato grazie al sacrificio di Shura.
"C'è un braciere o qualcosa dove posso mettere gli
incensi?" si schiarì la voce, cambiando discorso di punto in
bianco. Milo
annuì, e le mostrò lo stesso braciere pieno di
sabbia dove Shaka aveva già
acceso degli incensi quella mattina.
"Grazie."
Mu nel frattempo si era avvicinato ai due.
"Se vuoi posso tenere io la piccola."
Annuì, posando Lixue tra le sue braccia, e dalla borsa
che portava con sé estrasse un involto con dei bastoncini
d'incenso.
"È il penultimo là in fondo."
Il penultimo, tra i resti di Shura e Aphrodite.
"L'ho visto." rispose, stringata.
"Non sei obbligata a pregare per tutti loro. Se vuoi
puoi andare direttamente da Camus, nessuno ti biasimerà per
questo."
"Le mie usanze mi impongono di onorare
ognuno di loro per evitare che colti
da spirito di vendetta, si trasformino in spettri maligni."
spiegò Mei,
iniziando con l'accendere un bastoncino d'incenso. "Preferirei evitare
la
presenza di DeathMask in casa mia sotto tale forma."
Malgrado la serietà che il luogo imponeva, Milo
ridacchiò
appena.
"Se ben ricordo, non temevi DeathMask."
"Io no. Non l'ho temuto e non lo temerò mai, ma i
miei avi non si meriterebbero la sua sgradevole presenza. Piuttosto,
come… come
procederete? Li seppellirete o…" la voce parve smorzarsi
nella sua gola.
"…perché se così non fosse, non
resterò qui a vedere il suo corpo
bruciare."
Milo le strofinò affettuosamente il braccio.
"No, nessuna pira. Come da tradizione, ognuno di
loro verrà spostato nella propria casa, sarà
lavato, preparato e vegliato tutta
la notte in attesa dei funerali prima dell'alba. Saranno sepolti nel
cimitero
del Santuario."
"Hai qualche richiesta in particolare da fare?"
domandò Mu.
Mei scosse la testa.
"Sono cresciuta in una famiglia mista, in mezzo a
tradizioni diverse tra loro: per mia madre, cristiana, la morte
significava
vestirsi di nero e compiangere il morto. Per mio padre, taoista, la
morte si
accoglieva con vestiti bianchi, incensi e fuochi d'artificio scaccia
spiriti.
Camus non era né cristiano, né taoista quindi non
condividerebbe nessuna delle
mie usanze. Rispetterò le quelle in uso qui al Santuario,
qualunque esse siano,
ma ho solo una richiesta da fare: desidero prender parte alla
preparazione della
salma e alla veglia."
Mu scambiò un'occhiata con Shaka.
"Perché guardi me? È il grande sacerdote che
accorda
questi permessi, non io." rispose quest'ultimo.
Già, il grande sacerdote, che Saga aveva ucciso prima di
prenderne il posto. Il Santuario, si accorse Mu d'improvviso, era
sguarnito
proprio di una figura chiave.
Quasi seguendo lo stesso pensiero, tutti parvero
accorgersene tutt'a un tratto.
"Mu, tu sei discepolo del precedente pope, perciò
credo che dovresti pensarci tu." proseguì Shaka.
"Io?"
"Potresti essere il nuovo grande sacerdote ad interim, in attesa delle
elezioni." interloquì Aldebaran, appoggiando l'idea di
Shaka. "Sei
saggio, comprensivo, paziente ma anche severo quando l'occasione lo
richiede.
Saresti perfetto."
"Sento puzza di sviolinata. Beh, non credo di
esserne all'altezza, comunque credo che non ci siano problemi, no?
Insomma, conosci
già il Santuario, quindi direi che puoi partecipare a quanto
richiesto."
"Vi ringrazio, Maestro." Mei s'inchinò a Mu,
quindi infilò altri bastoncini d'incenso nel braciere e pian
piano l'odore
penetrante della resina invase la sala, sovrapponendosi a quelli
già accesi da
Shaka.
Non spese una sola parola per Saga, stentando ad
associare il volto gentile che stava guardando all'aguzzino che aveva
mandato
quegli uomini a morire, e nemmeno degnò di uno sguardo
DeathMask. Le
dispiaceva, certo, di fronte alla Morte c'era ben poco per cui gioire,
ma non
riusciva a pensare ad alcuna parola buona per loro.
Si soffermò qualche secondo davanti al letto dove erano
stati sistemati i resti di Shura –"Ti
consiglio di non sbirciare sotto il lenzuolo, non è un bello
spettacolo."-
e
sfiorò una mano di Aphrodite: entrambi
le avevano dimostrato una certa amicizia, e il secondo l'aveva anche
aiutata,
settimane prima. Infine, Camus: accanto a lui, la testa china, Hyoga
stava
pregando in una strana lingua, sgranando un rosario.
Milo si schiarì la voce, catturando l'attenzione del
ragazzo, e con un cenno del capo gli fece capire che era meglio per
tutti se
lasciava il capezzale del Maestro per qualche istante.
"Prosti."
mormorò Hyoga, quando incrociò il suo sguardo. "Lypàme polì."
"Ti dispiacerà."
lo corresse Mei, tagliente. "Eccome se ti dispiacerà. Non
infangherò la
memoria di Camus nel giorno delle sue esequie, ma un giorno, che sia
tra un
mese o fra trent'anni, i nostri destini s'incroceranno. Allora sì che ti
dispiacerà."
"Hyoga, vai." l'ammonì Milo.
Si mosse rapido, tornando dagli amici.
"Pare proprio che tu abbia trovato la tua
nemesi." osservò Ikki.
"Agisce così spinta dal dolore." interloquì Shun.
"Il suo animo soffre, ma non è cattiva. Non credo sia
davvero capace di
far volontariamente del male a qualcuno."
Anche il mio
soffre! avrebbe voluto urlare Hyoga. Anche
io soffro, che cosa credi? Che cosa crede quella dannata strega, che
sia stato
facile?
Shiryu scosse la testa.
"In ogni caso, Hyoga… non gravitarle troppo
intorno." lo consigliò.
Mei allungò una mano al volto di Camus, sfiorandoglielo e
sorprendendosi dal gelo che, nonostante fossero già
trascorse diverse ore dallo
scontro con Hyoga, il suo corpo continuava ad emanare.
"Perché è ancora così freddo?"
"Avresti dovuto vedere com'era sistemata
l'undicesima casa. Lui... beh, ci è voluto un po' per
poterlo sistemare
qui." interloquì Aiolia, ricevendo in risposta lo sguardo
indecifrabile di
Mei e quello di fuoco di Milo.
"Che tatto, i
miei complimenti." sibilò Milo, a bassa voce.
"Grazie per la tua esaustiva ed empatica
analisi." rispose Mei, atona.
"...mi dispiace, non era mia intenzione
deriderti." si scusò Aiolia corrugando la fronte.
Mei però non lo stava già più
ascoltando.
"Duìbùqǐ." sussurrò
Mei, tornando ad accarezzare il volto di Camus. [Mi dispiace.]
Sarebbe dovuta rimanere e affrontare il
proprio destino. Avrebbe dovuto
capire fin da subito che quel pomeriggio lui l'aveva mandata via per
proteggerla e salvarle la vita.
Invece di capirlo, gli aveva riversato
addosso tutto il rancore del
mondo.
Si chinò fino a posare la testa
sulla sua, fronte contro fronte,
piangendo.
"Ti prego,
perdonami."
mormorò, in cinese. "Perdonami per
quello che ti ho fatto."
Lo guardò come se sperasse che,
da un momento all'altro, Camus potesse
aprire gli occhi e risponderle. Qualcosa, nel suo profondo, rifiutava
di
accettare che quel corpo gelido, dalle labbra livide e coperto da uno
strato di
brina, non sarebbe mai più tornato caldo come un tempo,
rifiutava l'idea che
quelle braccia non l'avrebbero più stretta, rifiutava il
pensiero che quel
cuore, che una volta sentiva battere regolare sotto l'orecchio quando
riposava
sul suo petto, sarebbe rimasto fermo in eterno.
Reprimendo a fatica le lacrime, Milo
allungò una mano e le accarezzò
la testa.
"Sei sicura di sentirti bene?"
La risposta le uscì con un filo di voce che Milo
riuscì a
udire con molta fatica.
"No." Non
si sentiva per niente bene.
"Stai tranquilla, sono qui con te." rispose
Milo, pronto a sorreggerla: qualcosa gli diceva che non avrebbe retto
tanto a
lungo.
"Avrei dovuto ignorare le sue parole e
restare." mormorò Mei, la voce colma di rimpianto.
"Non avresti potuto fare niente, Mei. Tu saresti morta e con te, tua
figlia. Avresti reso vano il suo gesto. Ti ha mandata via per non
costringerti
a scegliere tra lui e Shiryu e fare qualcosa che ti avrebbe cambiata."
"Quella scelta mi ha cambiata comunque. Non
avevi il diritto di scegliere al posto
mio."
"E che cosa avresti fatto, se avessi potuto
scegliere?"
"Sarei rimasta." rispose, senza esitare.
"E saresti morta."
"Una parte di me è morta comunque. La sola persona
che mi tiene ancorata su questa terra è Lixue, altrimenti il
mio unico
desiderio da quando ho sentito il suo Cosmo spegnersi è
quello di addormentarmi
e non svegliarmi mai più."
"Non dire così."
Aldebaran si avvicinò ai due, schiarendosi la voce.
"Scusatemi, ragazzi. Le ancelle hanno sistemato le
ultime cose e prima della veglia si deve procedere con i rituali."
"Al
Santuario si segue
il rito funebre in uso fin dai tempi antichi: onorare un defunto
è un fondamentale
atto di pietà nei suoi confronti, indispensabile per
permettere all'anima di riposare
in pace nell'ade e per evitare che essa sia condannata a vagare e
perseguitare
chi le ha negato l'estremo saluto." le spiegò Mu mentre
accompagnavano la
salma di Camus all'undicesima casa. "Più o meno come nel
taoismo, se gli
onori funebri sono esigui o mancanti, l'anima potrebbe diventare
spirito
maligno e causare danni ai vivi."
"È
per questo che
osserviamo il culto degli antenati." annuì Mei.
"Già.
Come ti abbiamo
già spiegato, abbiamo esposto i corpi, tra poco saranno
lavati e rivestiti
nelle loro case, vegliati e domattina, sepolti."
"E
Shura? La decima casa
è crollata, dove sarà sistemato?"
Mu
sospirò appena.
"Ho
dato ordini di
sistemarlo alla nona, Aiolia mi ha dato il suo benestare dicendo che
Aiolos
avrebbe dato il permesso senza pensarci due volte."
Come
per le rimanenti case,
l'undicesima era stata sistemata affinché potesse accogliere
il suo
proprietario: davanti alla porta un'anfora colma d'acqua accoglieva i
visitatori e lungo il cornicione alcune corone di mirto e alloro
diffondevano
un gradevole profumo.
"Vi
ringrazio per la spiegazione."
*
Ci volle più del dovuto per preparare il corpo di Camus:
sotto l'effetto del gelo intenso dello scontro mortale, gli arti erano
così
rigidi che avevano dovuto applicare il massimo della cautela, ma alla
fine ce
l'avevano fatta: accuratamente lavato e rivestito, i capelli pettinati
e ben
sistemati, il corpo era stato disteso nella sala principale di
Aquarius,
coperto fino al petto da un drappo blu notte.
"Ci è voluto un po', ma finalmente posso rivedere il
colore della sua pelle." mormorò Mei, stanca, posando la
casacca
dell'hanfu su una sedia sistemata accanto a Camus. "Spero di non dover
mai
più fare una cosa del genere, è stato terribile."
"Posso solo immaginare."
Si sfilò una delle due catenine che portava al collo i
cui ciondoli, una volta uniti, formavano il simbolo del Tao, e
agganciò il
ciondolo bianco al collo di Camus, sistemandolo sul suo petto, sotto la
veste
bianca con la quale era stato vestito.
"So che non c'entra niente con la vostra Dea, ma ti
supplico, non lasciare che gliela tolgano. Ti prego."
"Non succederà." annuì Milo. "Ascolta,
Mei. Hyoga vorrebbe prender parte alla veglia, si chiedeva se poteva
entrare o
no."
Si voltò appena, intravedendo il giovane in fondo, sulla
soglia dell'undicesima casa. Certo, per quanta rabbia provasse, per
quanta
voglia avesse di rompergli tutte le ossa, non poteva impedirgli di
vegliare il
suo maestro.
"Per me va bene." rispose. "Farei un torto
a Camus se glielo impedissi. E poi, sia mai che vada in giro a
spacciarsi per
vittima della vipera arrogante."
Mei, ti prego, non
fare così.
"Torno subito, ho bisogno di sciacquarmi la
faccia." disse, prima di addentrarsi negli appartamenti privati che un
tempo aveva condiviso con Camus.
"Come sta?" domandò Hyoga, dopo qualche minuto.
"Come vuoi che stia? Come una donna che ha perso il
padre di sua figlia." rispose Milo. "Sembra forte, ma una volta a
casa, una volta che l'adrenalina avrà terminato il suo
effetto, non so come
reagirà a tutto questo."
"Non doveva finire così." commentò Hyoga.
"Le cose mi sono sfuggite di mano."
"Sai che non me ne sono accorto?" sbottò
l'altro, sarcastico. "Pensa se avessi pianificato tutto, a quest'ora
non
ci sarebbe più nemmeno questa casa."
Hyoga represse un moto di rabbia.
"Cosa credete tutti quanti, che sia facile per me, o
che sia contento di come sono andate le cose? No. Non so nemmeno come
fare
ammenda."
"Non puoi fare ammenda, così come non può farla
Saga
che ha dato vita a questa carneficina. Ci sono errori ai quali
semplicemente
non si può porre rimedio: ci convivi e basta." rispose Milo.
"Cerca
di non combinare altri disastri mentre io vado a vedere se ha bisogno
di
qualcosa."
La trovò in bagno, immobile davanti allo specchio del
lavandino, lo sguardo fisso su un punto imprecisato, come in trance.
Mosse un
passo, palesandosi, e Mei parve riscuotersi, prendendo qualcosa da una
tasca
nascosta nella gonna dell'hanfu.
"...non pensavo di avere gli occhi in questo
stato." disse Mei, a mo' di spiegazione. S'instillò un paio
di gocce di
collirio per ogni occhio e sorrise nervosa. "Tutto a posto, andiamo."
"Tutto bene?"
"Benissimo, non ti preoccupare." lo superò,
fermandosi poi davanti alla porta della camera. "Vorrei dare
un'occhiata,
credo di aver dimenticato qualcosa quando me ne sono andata."
La cassettiera di mogano era sempre lì, così come
l'orologio da polso e la fotografia dei suoi genitori. Il letto era in
ordine, dei
vestiti erano piegati e sistemati accuratamente su un cuscino, come se
fossero
in attesa del loro proprietario. Sul comodino un libro faceva compagnia
al cellulare
di Camus, spento.
"È entrato qualcuno qui, prima di noi?"
Milo corrugò la fronte.
"Non che io sappia, alle ancelle non è permesso
entrare in camera, Camus l'aveva proibito, quindi è tutto
come lui l'ha
lasciato." le rispose. "Perché?"
"Senti anche tu questo odore?"
"Sento solo quello della cera da mobili."
"No, parlo di agrumi e lavanda... come fai a non sentirlo? In questo
punto
è molto forte." insisté Mei. Alla seconda
occhiata interrogativa, trasse
un sospiro. "Lui è qui."
"Certo che è
qui, è in sala." avrebbe voluto risponderle.
Decise di tacere,
guardandola prendere una foto dal cassettone, rigirarsela tra le mani e
sgranare gli occhi.
"È per me." mormorò Mei, mostrandogli una busta
fissata al retro della foto.
"Allora
aprila." la esortò.
"Au milieu de la haine,
j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un
amour invincible.
Dans le milieu des larmes, j’ ai trouvé
qu’il y avait, en moi, un sourire
invincible.
Au milieu du chaos, j’ai trouvé qu’il y
avait, en moi, un calme
invincible.
J’ai réalisé, à travers tout
cela, que… au milieu de l’hiver, j’ai
trouvé qu’il y avait, en moi, un été
invincible.
Et cela me rend heureux.
Car il dit que peu importe comment le monde pousse contre moi, en moi,
il ya
quelque chose plus fort, quelque chose de mieux, poussant de retour.
Bien
à vous, Camus."
"Ma
che significa tutto
questo?"
"Non
lo so, non parlo
francese." Mei dispiegò il foglio, scoprendo che di quelle
parole, Camus
ne aveva anche trascritto la traduzione in greco.
"…continuo
a non
capire." ripeté Milo. "Comunque attenta, c'è un
post scriptum."
"Eftychós
gia mou, i mitéra mou den agapoún Dostoevski."
lesse Mei. E fu come ricevere una doccia
fredda e improvvisa. "Oddèi."
"Per
Athena, Mei, mi
spieghi che cosa sta succedendo?"
"Fortunatamente per me, mia madre non amava
Dostoevskij." ripeté
Mei. "Tu non puoi capire."
Lo
lasciò nella stanza di
Camus insieme ai suoi interrogativi e corse allo studio.
"Mei!!" gridò Milo. "Aspetta!"
All'apparenza,
era una specie
di poesia scritta così, una sorta di ultima dedica, e non
avrebbe fatto caso
agli indizi disseminati in quelle poche righe.
…au milieu de l'hiver, j'ai
trouvé qu'il y avait, en moi, un été
invincibile… Camus
aveva sottolineato due volte, con un tratto
leggero della penna, la parola été, estate, aveva
riportato un aforisma del suo
omonimo e, infine, le aveva ricordato la risposta che le aveva dato il
giorno
in cui si erano conosciuti, mesi prima.
"Tu sai il mio
nome, ma io ancora non so il tuo."
"Non è
importante e… ed è anche un filo banale."
"Ma è un nome,
è la prima cosa che ti rappresenta. Non può
essere così brutto."
Un certo silenzio aveva seguito quelle parole, lo
rammentava come fosse appena accaduto.
"Camus. Mi
chiamo Camus."
"Come lo
scrittore."
"Già. Mia
madre e i suoi nomi assurdi. Fortunatamente non le piaceva Dostoevski."
"Oddèi."
ripeté,
quasi come un mantra, intenta a cercare qualcosa.
"Eccoti!"
esclamò
Milo. "Potresti per favore calmarti e spiegarmi?"
"Dopo.
Un libro, sto
cercando un libro."
"Non
mi dire." Milo
si guardò intorno, demoralizzato: quella stanza era piena
zeppa di libri.
"Potresti darmi un indizio? L'autore, per cominciare? O qui finiamo a
Pasqua."
"Albert
Camus."
rispose Mei.
Milo
si mise di buona lena a
cercare, pur non avendo idea del titolo esatto.
"L'Envers et l'Endroit...Caligula...Le Mythe de Sisyphe... non far caso al
mio francese, è pessimo e Camus mi rimprovera spesso per
questo motivo. Mi rimproverava."
si corresse Milo.
"Anche
fosse non potrei
correggerti, visto che non parlo francese."
"No?"
"No.
Ma sono decisa a
volerlo apprendere, sai, un giorno ci ritroveremo insieme
nell'aldilà."
Milo
si schiarì la voce, non
sapendo come rispondere all'ultima affermazione.
"La Peste...
L'Étranger...
potrebbe essere questo qui?"
Mei
scosse la testa.
"Lo
straniero é tra i
romanzi forse più conosciuti dello scrittore, dubito
fortemente che Camus mi
abbia lasciato qualcosa d'importante proprio in un libro famoso."
"D'accordo... Le
Malentendu...
L'État de siège... L'Homme
révolté...
uffa..."
Ignorando
Milo, Mei cercó
attentamente tra i libri dietro la scrivania, quelli che Camus amava di
più:
dopo la trilogia di Tolkien e vari romanzi epici, saggi e raccolte,
finalmente,
trovó quel che cercava.
L'Été.
"L'ho
trovato,
Milo." gli disse, interrompendo le sue ricerche.
Un
libro dall'aspetto
vissuto, dalla copertina consunta in più punti; sul retro,
appiccicata con un leggero
nastro adesivo, una chiave.
"Sei
sicura di quel che
stai facendo?"
"Credo
di sì. Camus mi
ha lasciato diversi indizi e so che il libro è questo ma..."
Milo
s'avvicinó alla
scrivania e prese il tagliacarte.
"Posso?"
le
domandó, ricevendo poco dopo il libro. Giunto alla terza
pagina di copertina,
infiló la lama nel risguardo e con delicatezza, la
sollevó rivelando una serie
di sottili fogli piegati in tre, zeppi di scritte. "Et
voilà."
"Come
facevi a sapere
dove cercare?" chiese Mei, stupita.
"Che
io sia dannato!
Quel filibustiere... ha copiato un film! E, pur avendolo visto insieme
a lui,
credimi, non ci sarei arrivato: vedi? In Tomb Raider, Lord Croft lascia
un
messaggio a sua figlia Lara in questo stesso modo."
"Un
giorno dovrai
farmelo vedere." rispose Mei.
Dispiegò
i fogli dopo diversi
istanti, scoprendosi agitata.
"Ti
lascio sola."
sorrise Milo. "Io... torno di là, a far compagnia
a Camus."
"Mia cara, se
stai leggendo queste parole significa che hai capito il senso delle
frasi che
ti ho lasciato sul cassettone. Spero
anzitutto di aver sufficiente tempo per scrivere tutto ciò
che ho bisogno di
dirti, perché sento tuo fratello e i suoi amici uscire dalla
prima casa e a
questo punto potrebbe succedere qualunque cosa.
L'ultima volta ci siamo lasciati in malo modo, pieni di rancore e
parole non
dette, trasportati da sentimenti più forti della ragione. Ti
prego di
perdonarmi per ciò che ti ho detto l'altro giorno. Avrei
preferito un altro finale per noi, ma spesso nelle nostre vite, le
cose non vanno come desideriamo.
Desideravo
altre cose per
noi. Una casa, una famiglia, una vita normale, come quella di un uomo
comune,
ma... come sai, io non sono un uomo comune. Okay, prima
le cose più
importanti. Sul dorso del libro dove hai trovato queste carte dovresti
aver
trovato una chiave: apre una scatola che ho provveduto a nascondere
–in maniera
sciocca e forse un po' azzardata- nel piccolo gazebo in giardino,
dietro una
delle grate della struttura. Degél mi odierà per
aver usato qualcosa di suo per
i miei scopi personali, ma è un posto sicuro, o almeno
spero. Ti ho lasciato
delle istruzioni al suo interno, se Ares sopravvive a tutto questo,
vorrei che
tu le seguissi. Milo ti darà una mano, puoi fidarti
ciecamente di lui."
Quasi nove fogli, tanti quante le ore trascorse
nell'attesa di incontrare il suo allievo e donargli l'ultimo
insegnamento,
quello più importante. Fogli sottili, fitti della sua
calligrafia elegante e
affusolata. Fogli nei quali le aveva chiesto perdono, nei quali aveva
sperato
di non essere odiato, di essere capito e di essere perdonato per tutto
il
dolore che aveva causato.
"Camus. Sono io che devo chiederti perdono."
sussurrò.
Sgattaiolò rapida in giardino, recuperò quanto
indicato
da Camus e nascose il cofanetto nella sacca che si era portata
appresso,
tornando poi in sala come se niente fosse, anche se quelle lettere le
avevano
lasciato un tale senso di abbandono e perdita addosso che si
domandò se e come
avrebbe superato tutto.
"Sai..." esordì, dopo attimi di pesante
silenzio, dovuto soprattutto alla presenza di Hyoga. "Secondo la mia
religione, quando un uomo muore nella sua casa, è fatto
obbligo coprire gli
specchi perché si dice che guardare il riflesso della bara
porta sfortuna e per
evitare che l'anima del defunto possa afferrare chiunque si specchi e
possa
portarlo con sé nell'aldilà."
Milo sollevò lo sguardo sull'amica.
"Prima non stavi controllando gli occhi rossi."
"No." sospirò Mei. "Lo stavo
aspettando."
"..."
"Sto impazzendo." Mei scosse la testa. "...dovrebbero
ricoverarmi e gettar via la chiave."
"Credo che questo sia il tuo modo per reagire al
dolore, l'aggrapparti alla tua fede e le tue credenze, intendo. Io non
ho idea
di cosa farò quando questo giorno sarà finalmente
finito. Non lo so, credimi...
forse farei meglio ad attaccarmi alla bottiglia e cercare conforto
nell'oblio."
"Fammi sapere se funziona, così magari ci provo
anche io."
"Tu hai una bambina da crescere, non dire sciocchezze."
Mei si lasciò andare contro lo schienale.
"Lo so. Ma darei qualunque cosa per non sentire
questo dolore."
"Dobbiamo solo aspettare che passi." mormorò
Milo.
"Vorrei poterti dire che passerà, ma non è
vero." interloquì Hyoga, di punto in bianco. "Magari fosse
così
facile, ci sono già passato e anche io ho provato a
dimenticare, in ogni modo possibile.
Provi a fare altro, a tenere la mente occupata ma arriva sempre quel
momento in
cui stacchi un attimo la spina ed ecco che inevitabilmente ci pensi."
Afferrando la coperta che Milo aveva appoggiato sul
bracciolo della poltrona, si alzò, lanciando un'occhiataccia
al ragazzo.
"Ho bisogno di prendere una boccata d'aria, non
riesco a respirare qui dentro."
Certo che non sarebbe passato, parlava proprio lui che
aveva causato tutto quel dolore. E poi, con una bambina che glielo
rammentava
ogni giorno, dimenticare sarebbe stato impossibile.
Uscì nel giardino sul retro e nell'aria gelida della
notte e rabbrividì, guardando in lontananza le luci di Atene
e il suo porto.
Il profumo di lavanda e agrumi tornò prepotente e
cercò in
ogni modo di non cedere ai ricordi che quell'odore le suscitava,
fallendo
miseramente.
Al Santuario, sin dall'epoca dei miti, era d'uso inumare
anziché cremare come si faceva nel resto della Grecia:
rigorosamente prima
dell'alba, una processione seguiva il carro con la salma fino al
cimitero, dove
veniva sistemata in un feretro insieme a qualche oggetto personale. Di
norma si
teneva un discorso in suo onore, insieme a una ricca libagione e ai
Giochi.
Tuttavia dato che le salme erano cinque e non una sola e
il tempo non era sufficiente, si optò per una cerimonia di
gruppo, più sobria
rispetto ai secoli passati: Mu ne fu dispiaciuto, ma non si poteva fare
altrimenti.
Mei si accodò con Milo dietro Camus, notando che dietro
le salme di Saga e DeathMask non c'era nessuno. Suo fratello e Seiya
seguivano
Shura e, voltandosi appena, scoprì che Shun e Ikki
accompagnavano la salma di
Aphrodite. Al seguito di quel lugubre corteo, il resto dei Gold Saints
rimasti.
"Sei silenziosa. Parla, non tenere tutto
dentro." sussurrò Milo.
"Meglio di no, in questo momento ho solo voglia di
urlare fino a farmi scoppiare la gola." mugugnò Mei in
risposta.
"Urlare e commettere atti che mi metterebbero nei guai fino al collo.
Preferisco tacere e tenere tutto dentro."
Controllò la piccola stretta al suo petto, al sicuro nella
sua fascia, e tornò
a guardare Camus.
"Vuoi che lo allontani?" le domandò Milo a
bassissima voce, indicandole con un cenno Hyoga accanto a lui.
"No."
Mu tenne un breve discorso ricordando quanto successo e
ricordando uno a uno i loro compagni; personalmente, pensò
Mei, avrebbe usato
ben altre parole nei confronti di Saga.
Non batté ciglio durante l'inumazione dei Saints della
terza e quarta casa, provò un certo magone quando
toccò a Shura (e in seguito,
ad Aphrodite) e quando venne il turno di Camus, aiutò Milo a
sistemarlo nella
bara, mentre il desiderio di urlare svaniva a favore di una cieca
rabbia e un
istinto omicida che si acuì nel sentire la voce di Hyoga
pregare di nuovo in
quella sua strana lingua.
"Puoi chiedere perdono quanto vuoi, non servirà a
niente." sibilò in sua direzione, la voce colma d'odio
mentre si chinava
sulla lapide. "Non ho mai odiato così intensamente qualcuno
così come odio
te. Miei Dèi, dovresti esserci tu, qui sotto. Tu."
Il profumo sentito all'undicesima casa tornò ancora, ma
questa volta lo ignorò, troppo furiosa per cogliere
qualunque rimprovero.
Vorrei poterti dire
che passerà, Camus, ma non è vero. Ti amo, ma
questo non posso proprio farlo, e
tu non puoi obbligarmi ad accettarlo, nemmeno per amor tuo.
***
Lady Aquaria's corner
Come nella vita reale, al dolore ognuno reagisce a modo
suo.
A un lutto, personalmente, reagisco chiudendomi nel silenzio e
nell'auto
isolamento, a piangere finché non mi passa. Quando
morì mia nonna, e dopodomani
saranno quattro anni, ricordo che insieme a lacrime e silenzio ci fu
una fase
aggressiva pazzesca, soprattutto contro quelle persone che si fingevano
amiche
e che invece erano serpi.
Ma non tutti siamo uguali, giusto? C'è chi reagisce
gettandosi a capofitto nel
lavoro, o in attività adrenaliniche o in qualsivoglia cosa
per non doverci
pensare.
O chi, come Mei, reagisce così: fingendosi forte fuori, ma
crollando dentro.
Reagendo con l'aggressività piuttosto che con
l'introversione. L'ho descritta
così, se la cambiassi non sarebbe più Mei e lei
è come una figlia: i figli si
possono guidare, non cambiare.
Per esigenze di copione alcune cose sono state cambiate rispetto
all'anime e al manga.
By the way, varie spiegazioni lungo il capitolo:
-Prosti e lypàme
poli significano mi dispiace in
russo e in greco, almeno, secondo i miei frasari. In caso fossero
sbagliati,
eventuali correzioni sono gradite.
-La citazione
che Camus utilizza per indirizzare Mei alle lettere è del
suo omonimo, tratta
da "Ritorno a Tipasa", da "L'Estate".
-Le varie info riguardanti i riti funebri in uso nella
Grecia antica e in
Cina
le ho tratte da diversi siti.
Grazie a chi recensisce e segue anche con la mia lentezza
cronica. Grazie molte.
Alla prossima!
Lady Aquaria
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