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Autore: Lady Aquaria    05/07/2017    2 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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26.
Feels like the end.
 
"Don't wait... ," you say.
You say "... they've gone home."
Sleep with the lights off when you're alone.
Silence so mighty you go deaf;
Bombs are going off inside your chest.
I know you wanted to be loved,
But you're bleeding left alone... so, so, so alone...
Singing where does time go from here?
[Mikky Ekko - Feels like the end]
 

 

La zazzera di capelli rossi, insoliti in quella parte del mondo, era stato il primo dettaglio a catturare la sua attenzione. Molti dei suoi nuovi compagni erano biondicci come lui, o con i capelli scuri. Uno di loro aveva persino i capelli bianchi come quelli degli anziani che a Rodorio intrecciavano i vimini e bevevano ouzo la sera, tra una partita a carte e un passo di syrtos.
Ma rossi, di quel rosso intenso che alla luce del sole ricordava le ciliegie mature, mai.
Aveva l'aria compita e seria, mentre seguiva il maestro verso la tredicesima casa, dove, ad aspettarlo, avrebbe sicuramente trovato Shion.
"Molto bene, ne manca solo più uno, poi il Santuario sarà al completo."
"Ho sentito dire che ha seri problemi a relazionarsi e che probabilmente è autistico o cose così."
"Non è bello ciò che hai detto, Saga, e i bambini potrebbero averti sentito. Il rapporto del Maestro Volya dice che è un bambino schivo e riservato, che dà poca confidenza, ma è tranquillo e studioso e con uno spiccato senso ad apprendere in fretta: dice che ha imparato a parlare fluentemente anche il russo e il greco in poco tempo."
Si chiamava Camus, proveniva dalla Francia ma aveva trascorso gli anni dell'addestramento in Russia ed era il Saint dell'Acquario, quindi avrebbe occupato l'undicesima casa –aveva spiegato Aiolos, introducendo ai giovanissimi Gold Saint il loro parigrado-.
"Ti ci vorrà qualche giorno per abituarti a questo nuovo ambiente, ma sono certo che tutti i tuoi compagni faranno del loro meglio per farti sentire a casa." si era raccomandato infine Aiolos, lanciando un paio di significative occhiate ammonitrici a un paio di loro "mi aspetto educazione e collaborazione da tutti voi, ragazzi, e che soprattutto non si ripeta quanto successo all'arrivo di Shaka: anche Camus è un bambino riservato, vi toccherà sudare per avere la sua amicizia."
E in effetti, quanto pronosticato da Aiolos era vero. Aveva sudato le proverbiali sette camicie prima di poter fare breccia nel carattere introverso di Camus e conquistarsi così la sua fiducia, ma una volta dentro il suo ristrettissimo cerchio, si era reso conto che c'era ben altro dietro la sua faccina seria -beh, a essere sinceri l'aveva tormentato così tanto che Camus si era arreso, ma era una cosa, questa, che non avrebbe mai ammesso con nessuno-.
Superata l'infanzia, erano sopraggiunti gli anni dello studio e dell'insegnamento, Camus si era trasferito temporaneamente in Siberia per seguire i due allievi e poi ancora gli esami scolastici –all'epoca si era domandato come diamine avrebbero superato facilmente in pochi mesi quanto i ragazzi normali studiavano in anni-, la patente, il motorino, le ragazze, persino una figlia. Niente e nessuno era mai stato in grado di interferire, per qualche tempo aveva creduto che un'amicizia come la loro sarebbe stata capace di affrontare e vincere il mondo.
Ma non aveva fatto i conti con la morte, che si era presentata nelle vesti del suo più caro allievo.
A distanza di quasi ventiquattr'ore riusciva ancora a sentire le braccia intorpidite dal gelo emanato dal corpo esanime di Camus, mentre le tempie martellavano impietose e una strana sensazione gli serrava il petto in una morsa. Si trovò suo malgrado a ridere nervosamente: custodiva moltissimi ricordi con Camus, ricordi di situazioni tragicomiche e serie, legati all'allenamento, allo studio, a stupidaggini o faccende gravi ma... quello era il solo che riusciva a richiamare alla memoria in quel momento.
Fino al giorno prima era andato tutto bene, Camus era vivo, avevano parlato e scherzato per spezzare la tensione e ora... ora il suo cadavere giaceva su un letto di marmo.

"Milo?"
Aiolia avanzò piano verso l'amico, immobile nella sala principale dell'ottavo tempio in piedi e con lo sguardo fisso su un punto imprecisato. Sembrava in trance, persino le palpebre parevano fisse.
"Seiya e i suoi compagni hanno dato dimostrazione, con le loro azioni, che ciò che io pensavo era giusto. A questo punto credo che chiunque di voi sappia che tredici anni orsono, Aiolos, fratello maggiore di Aiolia, fu indegnamente etichettato come traditore, reo d'aver rapito, dal Santuario, una neonata in fasce… quella stessa bambina, la futura Saori Kido, che è senza dubbio Athena e che oggi per un soffio è scampata alla morte grazie al sacrificio dei suoi Saints."
Non appena Dohko aveva iniziato a spiegare, il suo primo impulso era stato quello di fermarlo: chiunque era a conoscenza di quella famosa notte e nessuno di loro, soprattutto Aiolia, amava sentirla ripetere. Poi però Dohko aveva continuato con particolari del tutto sconosciuti che avevano gelato loro il sangue nelle vene.
"Tuttavia all'epoca, Aiolos a parte, un'altra persona era al corrente della verità, la stessa che aveva appena ucciso, in segreto, il Pontefice del Santuario e ne aveva usurpato il posto: in quella stessa notte tentò di assassinare anche la piccola Athena, ma nel tentativo di fermarlo, Aiolos scoprì che quell'uomo altri non era che Saga, Gold Saint dei Gemelli. È stato allora che, nel timore d'esser smascherato, Saga accusò Aiolos di tradimento. Shura poi, fece il resto, convinto come tutti voi d'esser nel giusto."
Già, Shura aveva fatto il resto.
A dire il vero tutti loro in quella storia avevano avuto la loro parte di responsabilità, lui compreso. Per tredici anni aveva servito quell'uomo dalla doppia faccia, uccidendo in suo nome senza porre alcuna domanda, per tredici anni aveva giurato assoluta lealtà a un essere che aveva approfittato della loro buona fede e che senza pensarci due volte aveva versato il sangue del Pontefice, quasi commesso infanticidio e infangato un innocente nella memoria di tutti loro.
A chi o a cosa serviva, ora, essere a conoscenza di quella verità nascosta per così tanto tempo? A nulla. E certo non era di alcuna utilità ai quattro uomini che nella sala accanto giacevano in attesa d'essere degnamente sepolti, quattro uomini che, come lui, avevano speso gran parte delle loro esistenze al servizio di un commediante abile nel distorcere la realtà e nel tessere inganni.
Possibile che il comportamento di Saga non avesse mai insospettito nessuno? Eppure, a ripensarci adesso, c'erano stati, nel tempo, segnali sulla dubbia integrità del Sacerdote… la vera domanda era: perché non ci ho mai fatto caso?
Incredibile pensare con quanta vergognosa facilità tutti, lui compreso, avevano creduto a Saga, abbandonando Aiolos al suo destino.
"Milo?" ripeté Aiolia, cercando di attirare la sua attenzione. "Stai bene?"
Milo parve riscuotersi di colpo.
"No.Vorrei poter riaprire gli occhi domattina e scoprire che è stato tutto un incubo."
Oltrepassò Aiolia dirigendosi verso le salme distese sui loro letti di pietra: il suo sguardo corse rapidamente all'elmo di Shura, che in tutta quella storia aveva contribuito forse più di chiunque altro al destino del loro compagno; chissà se aveva mai avuto un momento d'esitazione, se aveva mai pensato a cosa stesse facendo mentre feriva a morte l'uomo che aveva cercato di salvare tutti loro.
Preso un gran respiro, scostò il lenzuolo che copriva Camus e guardò il suo volto livido.
"E tu, amico mio, ci hai mai pensato?" domandò, seguendo il filo dei propri pensieri.
Almeno lui, tra loro due, aveva avuto un'esitazione nei confronti del Grande Sacerdote?  A differenza sua Camus era stato meno impulsivo in vita e magari qualche sospetto l'aveva avuto.
"Temo non possa risponderti."
Si rese conto d'aver pensato a voce alta solo quando si trovò faccia a faccia con Mu.
"Stavo ancora pensando alle parole del Maestro." rispose, a mo' di spiegazione. "Saga è stato davvero bravo a ingannarci per tutti questi anni. Abbiamo scoperto la verità ora che è troppo tardi per i nostri compagni."
L'altro annuì.
"Sì, è vero, ma tutto ciò ci servirà da monito per il futuro." osservò Mu. "Non possiamo sapere che cosa sarebbe successo se tutto ciò fosse uscito allo scoperto molto prima."
Beh, sicuramente Saga non avrebbe avuto vita facile.
"Se soltanto avessi avuto un sospetto, uno solo. Invece non ho mai dubitato della buona fede del Grande Sacerdote, eseguivo tutto ciò che mi ordinava senza domandarmi se fosse giusto o no." disse Milo. "Avrei potuto fare qualcosa."
"Sono solo supposizioni, Milo, non possiamo tornare indietro." replicò Mu, guardandolo sedersi accanto alla salma di Camus, prima di prendersi la testa tra le mani. "Pensare adesso non serve. Dovresti dormire, prima dei funerali c'è ancora tempo."
E chi riusciva a farlo? Mu non aveva idea di quanti pensieri e sensi di colpa affollavano la sua mente, così tanti che gli era difficile perfino riposare.
"Non ho intenzione di disertare la veglia funebre del mio più caro amico, e poi...ho una faccenda delicata da sistemare." replicò, prima di scomparire verso oriente.
Shaka smosse le ceneri nell'incensiere e accese dei nuovi bastoncini, in attesa dei rituali in uso in occasioni come quelle: i corpi sarebbero stati lavati e avvolti nei sudari, sarebbero stati vegliati nelle loro rispettive case –quantomeno, in quelle ancora in piedi- e, infine, seppelliti prima del sorgere del nuovo giorno.
"Temo di sapere dov'è andato Milo." sospirò, guardando Mu.

*
 
Al Goro-ho era già sera quando Milo si presentò alla pagoda.
La notte precedente era stata travagliata e difficile, spiegò Shunrei, parlando in un greco che alle sue orecchie risultava un po' grezzo. Lei e il Maestro avevano dormito molto poco, l'unica che pareva aver dormito un po' era la piccola Lixue.
"E Mei?"
"Lei ha avuto un tracollo nervoso." rispose Shunrei. "Io e il Maestro l'abbiamo trascinata dentro con la forza, e nonostante le abbia preparato un potente infuso, ha trascorso la notte gridando e invocando il suo nome nel sonno. Non ha quasi più voce e ho paura che possa commettere delle sciocchezze."
Annuì. Era stata una notte difficile per tutt'e due, nemmeno lui aveva riposato sereno, anzi.
"Sono qui per accompagnarvi al Santuario: Shiryu ha bisogno di cure e riposo e Mei... beh... dov'è ora?"
Lo accompagnò fino alla porta della Stanza degli Avi, da dietro la quale filtrava un penetrante odore d'incenso.
"È qui da stamattina, a malapena ha toccato cibo ed è uscita solo per badare a Lixue."
"Va bene, ci penso io. Preparati e prepara anche la bambina." le disse, prima di bussare ed entrare.
All'interno della piccola stanza il fumo degli incensi era quasi insopportabile; Mei era inginocchiata su un grande cuscino, mentre pregava silenziosamente davanti a un piccolo altare colmo di fotografie e tavolette di legno.
La oltrepassò, aprendo la finestra e prendendo una lunga boccata d'aria fresca.
"So che stai pregando e mi dispiace per i miei modi bruschi." esordì, notando che Mei non si era praticamente mossa. "Prima dell'alba ci saranno i funerali e tra poche ore inizierà la veglia. So che stai male, provo le tue stesse cose. Ma... dobbiamo dirgli addio."
Sollevò su di lui uno sguardo stanco, provato dalla notte insonne e dal dolore.
"Non posso." mormorò, la voce roca.
"So che stai male, davvero." ripeté Milo.
"Non so se posso farcela."
"Ascolta, non posso obbligarti a fare qualcosa, se non vuoi. Ma so che se non verrai con me, se non gli dirai addio, finirai col pentirtene."
Mei si mise a sedere, stanca della posizione.
"Mi ha parlato prima che iniziasse l'undicesima ora... lui mi ha già detto addio ma... io non sono pronta a dirlo a lui. Non ce la faccio."
Milo si tolse l'armatura, sedendosi poi sul cuscino accanto al suo.
"Anche io preferisco ricordarlo com'era quando era qui con noi, ma ne abbiamo fatte così tante insieme che non posso voltargli le spalle proprio ora." proseguì. "Sai, ho moltissimi ricordi legati alla nostra amicizia, molte cose belle e com'è normale, anche cose brutte. Eppure il solo ricordo che il mio cervello ha riportato a galla è legato alla nostra infanzia, al momento in cui Camus arrivò al Santuario. Avresti dovuto vederlo, pallido da far paura, i capelli così rossi che potevano vederli persino a Sparta, il visetto tutto serio con il suo solito cipiglio... impiegò due giorni netti per prendersi la prima scottatura, era pieno di lentiggini e sulle spalle erano comparse certe bolle..."
"Efelidi." lo corresse Mei, impulsivamente.
"Giusto." convenne Milo, sorridendo. "Il che lo indusse a non scendere più in spiaggia per diverso tempo e, una volta diventato adulto, a coprirsi durante quelle rare volte in cui si convinceva a scendere con noi. Lo prendevamo sempre in giro, io e Shura, per questo. Pensa, una volta si avventurò in spiaggia con infradito, bermuda e felpa... ah, e con uno dei suoi mattoni russi tra le mani, ovviamente."
"Mi sarebbe piaciuto vederlo."
"Beh, purtroppo non si può tornare indietro, ma... puoi vederlo adesso." Milo ritornò sul discorso di partenza. "Non fargli questo, Mei. Non fargli questo."
 
*
 
Era strano ripercorrere quelle scale dopo tanto tempo, soprattutto ora che le case erano metà danneggiate e disabitate: la sala del tredicesimo tempio, ora che Ares era stato sconfitto, aveva perso molti di quegli elementi cupi e inquietanti che aveva visto tempo prima, ma i segni della lotta consumata in quel luogo erano ancora ben visibili, Milo le aveva raccontato che la lotta tra Seiya e il Sacerdote impostore, Saga, era stata lunga e atroce.
Attraverso il portone doppio, aperto, intravide i cinque letti di pietra dov'erano stati sistemati i resti dei Gold Saint deceduti in quell'impresa, in attesa di essere composti e sepolti; in un angolo, intenti a parlottare tra loro, Seiya e i suoi amici.
Shunrei quasi impazzì dalla gioia nel vedere Shiryu, correndogli poi incontro e piangendo per il sollievo.
Abbozzò un sorriso quando incrociò lo sguardo del fratello, ma decise di oltrepassare lui e Shunrei, pensando che avrebbe dato tutto ciò che possedeva per poter fare la stessa cosa con Camus.
"Ah, lo sapevo." sbottò Shaka, freddando Milo con uno sguardo di ghiaccio. "Per tutti gli Dèi, Milo, perché l'hai portata qui?"
Mu guardò i due, quindi circondò le spalle di Mei.
"Vieni, ti accompagno." le sorrise, rassicurante.
"Mu, no." lo fermò Milo. "Aspetta un attimo."
Shaka s'avvicinò a Milo e l'afferrò per un braccio.
"Ho detto: perché l'hai portata qui?" ripeté.
"Perché l'ho ritenuto giusto. Ha sentito Camus morire e voleva vederlo. Punto." ribatté Milo, gelido.
L'altro abbassò la voce di due toni.
"C'è il giovane Saint del Cigno, di là."
Questo poteva essere un problema, in effetti.  
"Ebbene? Ha la bambina con sé e ben altro cui pensare "
"Ebbene, potrebbe comunque fare una scenata."
Mei si voltò e lo guardò con astio.
"Oh, tranquillo, nessuna scenata. Non mi strapperò i capelli o graffiarmi a sangue la faccia, se è quello che speri. Non darò mai a nessuno questa soddisfazione, men che meno a uno come te." replicò Mei.
Shaka inspirò profondamente.
"Ringrazia la tua buona stella se ne hai una, per la mia clemenza. Altrimenti avrei già usato il Tenbu Hōrin per il tuo ardire."
"Per quel che mi riguarda, potresti anche usarlo." ribatté Mei. "Non ci provo nemmeno a difendermi. Così vediamo quanto onore possiede l'uomo più vicino ad Athena."
Shaka mosse un passo avanti e si trovò la mano di Aldebaran sulla spalla.
"Misura bene le tue parole, donna: potrei dimenticarmi dei giuramenti fatti!"
"Già solo a pensare a una cosa del genere ti rende uguale, se non peggiore, dell'uomo che ha dato vita a tutto questo." sbottò Mei.
"Milo, vedi di tenere a freno la sua lingua biforcuta o sarai tu a rispondere per lei."
"Calmiamo gli animi ragazzi, siamo tutti agitati e sconvolti e diciamo cose che non dovremmo nemmeno pensare." interloquì Aldebaran, mentre Milo scortava Mei nella sala accanto.
Shaka si scrollò di dosso la mano dell'amico.
"È giovane e sconvolta." gli disse Aiolia. "Non è in sé, altrimenti…"
"Altrimenti nulla, quella vipera arrogante avrebbe risposto così comunque."

"Questa cosa non mi piace nemmeno un po'." l'ammonì Milo, serio.
"Cosa, il fatto che ho risposto male a Shaka?"
"Ascoltami attentamente, adesso. Abbiamo entrambi perso persone importanti, d'accordo? Oggi ho perso degli amici, ho perso l'uomo che per me non era solo il mio migliore amico, ma un fratello. Posso immaginare che cosa provi, perché il tuo dolore è anche il mio, e so che come me spesso reagisci al dolore con l'aggressività. So che stai male da morire adesso e ti comprendo. Ma per nessun motivo al mondo ti puoi permettere di parlare in questo modo con uno di noi, a maggior ragione adesso che Camus non è più in grado di proteggerti come prima."
"Non ho bisogno di protezione."
"Sì invece, non ne hai idea." obiettò Milo. "Mi ha chiesto di proteggere te e vostra figlia, ma non posso farlo se ti ostini a cacciarti nei guai."
"Ho solo risposto a tono, non l'ho aggredito con una scure."
"Ebbene, non lo devi fare! Apprezzo il tuo carattere forte, ma qui certe azioni hanno un peso che tu non saresti in grado di sopportare: non dureresti una settimana a Capo Sounio."
"Che cosa potrebbe mai fare, prendersi la mia vita?" domandò Mei. "Che se la prenda, se lo desidera. Se non fosse per mia figlia, mi renderebbe un gran favore."
"Non voglio sentire queste cose e sicuramente nemmeno Camus."
"Camus non può più sentire niente." sibilò Mei, con una luce strana negli occhi, che Milo non aveva mai visto. "Camus non può più sentire, o pensare, o parlare. Perciò, per la miseria, non dire che cosa avrebbe o no voluto sentire. Non può più fare niente."
E chi l'ha ucciso è ancora vivo, aggiunse mentalmente.
"Seiya, Ikki, Shun, mio fratello, Hyoga. Athena li ha salvati, ma non ha salvato loro." proseguì, indicando le salme con un ampio gesto del braccio. "Perché? Eppure anche loro sono morti in suo nome."
"Nessuno conosce i disegni degli Dèi." rispose Milo.
"Non prendermi in giro. Athena è come una madre snaturata che preferisce gli ultimi arrivati, gli scriccioli di casa, ai figli più grandi. Mio fratello e i suoi amici sono i preferiti di mamma Athena e per questo motivo è stata concessa loro una seconda possibilità."
Parole dettate dalla rabbia, dal dolore, dalla frustrazione. Sicuramente, in un altro momento, Mei non le avrebbe neanche pensate.
Le sorrise triste.
"Shura è morto per Shiryu, per concedergli una seconda possibilità. Non sei contenta di questo?"
Lei e Shunrei avevano sentito chiaramente il Cosmo di Shiryu innalzarsi fino a limiti mai raggiunti: utilizzando la tecnica proibita, Shiryu si era sì elevato al di sopra del suo avversario, ma a scapito della vita.
Vita che, al contrario delle aspettative, aveva conservato grazie al sacrificio di Shura.
"C'è un braciere o qualcosa dove posso mettere gli incensi?" si schiarì la voce, cambiando discorso di punto in bianco. Milo annuì, e le mostrò lo stesso braciere pieno di sabbia dove Shaka aveva già acceso degli incensi quella mattina.
"Grazie."
Mu nel frattempo si era avvicinato ai due.
"Se vuoi posso tenere io la piccola."
Annuì, posando Lixue tra le sue braccia, e dalla borsa che portava con sé estrasse un involto con dei bastoncini d'incenso.
"È il penultimo là in fondo."
Il penultimo, tra i resti di Shura e Aphrodite.
"L'ho visto." rispose, stringata.
"Non sei obbligata a pregare per tutti loro. Se vuoi puoi andare direttamente da Camus, nessuno ti biasimerà per questo."
"Le mie usanze mi impongono di  onorare ognuno di loro per evitare che colti da spirito di vendetta, si trasformino in spettri maligni." spiegò Mei, iniziando con l'accendere un bastoncino d'incenso. "Preferirei evitare la presenza di DeathMask in casa mia sotto tale forma."
Malgrado la serietà che il luogo imponeva, Milo ridacchiò appena.
"Se ben ricordo, non temevi DeathMask."
"Io no. Non l'ho temuto e non lo temerò mai, ma i miei avi non si meriterebbero la sua sgradevole presenza. Piuttosto, come… come procederete? Li seppellirete o…" la voce parve smorzarsi nella sua gola. "…perché se così non fosse, non resterò qui a vedere il suo corpo bruciare."
Milo le strofinò affettuosamente il braccio.
"No, nessuna pira. Come da tradizione, ognuno di loro verrà spostato nella propria casa, sarà lavato, preparato e vegliato tutta la notte in attesa dei funerali prima dell'alba. Saranno sepolti nel cimitero del Santuario."
"Hai qualche richiesta in particolare da fare?" domandò Mu.
Mei scosse la testa.
"Sono cresciuta in una famiglia mista, in mezzo a tradizioni diverse tra loro: per mia madre, cristiana, la morte significava vestirsi di nero e compiangere il morto. Per mio padre, taoista, la morte si accoglieva con vestiti bianchi, incensi e fuochi d'artificio scaccia spiriti. Camus non era né cristiano, né taoista quindi non condividerebbe nessuna delle mie usanze. Rispetterò le quelle in uso qui al Santuario, qualunque esse siano, ma ho solo una richiesta da fare: desidero prender parte alla preparazione della salma e alla veglia."
Mu scambiò un'occhiata con Shaka.
"Perché guardi me? È il grande sacerdote che accorda questi permessi, non io." rispose quest'ultimo.
Già, il grande sacerdote, che Saga aveva ucciso prima di prenderne il posto. Il Santuario, si accorse Mu d'improvviso, era sguarnito proprio di una figura chiave.
Quasi seguendo lo stesso pensiero, tutti parvero accorgersene tutt'a un tratto.
"Mu, tu sei discepolo del precedente pope, perciò credo che dovresti pensarci tu." proseguì Shaka.
"Io?"
"Potresti essere il nuovo grande sacerdote ad interim, in attesa delle elezioni." interloquì Aldebaran, appoggiando l'idea di Shaka. "Sei saggio, comprensivo, paziente ma anche severo quando l'occasione lo richiede. Saresti perfetto."
"Sento puzza di sviolinata. Beh, non credo di esserne all'altezza, comunque credo che non ci siano problemi, no? Insomma, conosci già il Santuario, quindi direi che puoi partecipare a quanto richiesto."
"Vi ringrazio, Maestro." Mei s'inchinò a Mu, quindi infilò altri bastoncini d'incenso nel braciere e pian piano l'odore penetrante della resina invase la sala, sovrapponendosi a quelli già accesi da Shaka.
Non spese una sola parola per Saga, stentando ad associare il volto gentile che stava guardando all'aguzzino che aveva mandato quegli uomini a morire, e nemmeno degnò di uno sguardo DeathMask. Le dispiaceva, certo, di fronte alla Morte c'era ben poco per cui gioire, ma non riusciva a pensare ad alcuna parola buona per loro.
Si soffermò qualche secondo davanti al letto dove erano stati sistemati i resti di Shura –"Ti consiglio di non sbirciare sotto il lenzuolo, non è un bello spettacolo."-  e sfiorò una mano di Aphrodite: entrambi le avevano dimostrato una certa amicizia, e il secondo l'aveva anche aiutata, settimane prima. Infine, Camus: accanto a lui, la testa china, Hyoga stava pregando in una strana lingua, sgranando un rosario.
Milo si schiarì la voce, catturando l'attenzione del ragazzo, e con un cenno del capo gli fece capire che era meglio per tutti se lasciava il capezzale del Maestro per qualche istante.
"Prosti." mormorò Hyoga, quando incrociò il suo sguardo. "Lypàme polì." 
"Ti dispiacerà." lo corresse Mei, tagliente. "Eccome se ti dispiacerà. Non infangherò la memoria di Camus nel giorno delle sue esequie, ma un giorno, che sia tra un mese o fra trent'anni, i nostri destini s'incroceranno. Allora che ti dispiacerà."
"Hyoga, vai." l'ammonì Milo.
Si mosse rapido, tornando dagli amici.
"Pare proprio che tu abbia trovato la tua nemesi." osservò Ikki.
"Agisce così spinta dal dolore." interloquì Shun. "Il suo animo soffre, ma non è cattiva. Non credo sia davvero capace di far volontariamente del male a qualcuno."
Anche il mio soffre! avrebbe voluto urlare Hyoga. Anche io soffro, che cosa credi? Che cosa crede quella dannata strega, che sia stato facile?
Shiryu scosse la testa.
"In ogni caso, Hyoga… non gravitarle troppo intorno." lo consigliò.
Mei allungò una mano al volto di Camus, sfiorandoglielo e sorprendendosi dal gelo che, nonostante fossero già trascorse diverse ore dallo scontro con Hyoga, il suo corpo continuava ad emanare.
"Perché è ancora così freddo?"
"Avresti dovuto vedere com'era sistemata l'undicesima casa. Lui... beh, ci è voluto un po' per poterlo sistemare qui." interloquì Aiolia, ricevendo in risposta lo sguardo indecifrabile di Mei e quello di fuoco di Milo.
"Che tatto, i miei complimenti." sibilò Milo, a bassa voce.
"Grazie per la tua esaustiva ed empatica analisi." rispose Mei, atona.
"...mi dispiace, non era mia intenzione deriderti." si scusò Aiolia corrugando la fronte.
Mei però non lo stava già più ascoltando.
"Duìbùqǐ." sussurrò Mei, tornando ad accarezzare il volto di Camus. [Mi dispiace.]  
Sarebbe dovuta rimanere e affrontare il proprio destino. Avrebbe dovuto capire fin da subito che quel pomeriggio lui l'aveva mandata via per proteggerla e salvarle la vita.
Invece di capirlo, gli aveva riversato addosso tutto il rancore del mondo.
Si chinò fino a posare la testa sulla sua, fronte contro fronte, piangendo. 
"Ti prego, perdonami." mormorò, in cinese. "Perdonami per quello che ti ho fatto."
Lo guardò come se sperasse che, da un momento all'altro, Camus potesse aprire gli occhi e risponderle. Qualcosa, nel suo profondo, rifiutava di accettare che quel corpo gelido, dalle labbra livide e coperto da uno strato di brina, non sarebbe mai più tornato caldo come un tempo, rifiutava l'idea che quelle braccia non l'avrebbero più stretta, rifiutava il pensiero che quel cuore, che una volta sentiva battere regolare sotto l'orecchio quando riposava sul suo petto, sarebbe rimasto fermo in eterno.
Reprimendo a fatica le lacrime, Milo allungò una mano e le accarezzò la testa.
"Sei sicura di sentirti bene?"
La risposta le uscì con un filo di voce che Milo riuscì a udire con molta fatica.
"No." Non si sentiva per niente bene.
"Stai tranquilla, sono qui con te." rispose Milo, pronto a sorreggerla: qualcosa gli diceva che non avrebbe retto tanto a lungo.
"Avrei dovuto ignorare le sue parole e restare." mormorò Mei, la voce colma di rimpianto.
"Non avresti potuto fare niente, Mei. Tu saresti morta e con te, tua figlia. Avresti reso vano il suo gesto. Ti ha mandata via per non costringerti a scegliere tra lui e Shiryu e fare qualcosa che ti avrebbe cambiata."
"Quella scelta mi ha cambiata comunque. Non avevi il diritto di scegliere al posto mio."
"E che cosa avresti fatto, se avessi potuto scegliere?"
"Sarei rimasta." rispose, senza esitare.
"E saresti morta."
"Una parte di me è morta comunque. La sola persona che mi tiene ancorata su questa terra è Lixue, altrimenti il mio unico desiderio da quando ho sentito il suo Cosmo spegnersi è quello di addormentarmi e non svegliarmi mai più."
"Non dire così."
Aldebaran si avvicinò ai due, schiarendosi la voce.
"Scusatemi, ragazzi. Le ancelle hanno sistemato le ultime cose e prima della veglia si deve procedere con i rituali."

"Al Santuario si segue il rito funebre in uso fin dai tempi antichi: onorare un defunto è un fondamentale atto di pietà nei suoi confronti, indispensabile per permettere all'anima di riposare in pace nell'ade e per evitare che essa sia condannata a vagare e perseguitare chi le ha negato l'estremo saluto." le spiegò Mu mentre accompagnavano la salma di Camus all'undicesima casa. "Più o meno come nel taoismo, se gli onori funebri sono esigui o mancanti, l'anima potrebbe diventare spirito maligno e causare danni ai vivi."
"È per questo che osserviamo il culto degli antenati." annuì Mei.
"Già. Come ti abbiamo già spiegato, abbiamo esposto i corpi, tra poco saranno lavati e rivestiti nelle loro case, vegliati e domattina, sepolti."
"E Shura? La decima casa è crollata, dove sarà sistemato?"
Mu sospirò appena.
"Ho dato ordini di sistemarlo alla nona, Aiolia mi ha dato il suo benestare dicendo che Aiolos avrebbe dato il permesso senza pensarci due volte."
Come per le rimanenti case, l'undicesima era stata sistemata affinché potesse accogliere il suo proprietario: davanti alla porta un'anfora colma d'acqua accoglieva i visitatori e lungo il cornicione alcune corone di mirto e alloro diffondevano un gradevole profumo.  
"Vi ringrazio per la spiegazione."
 
*
 
Ci volle più del dovuto per preparare il corpo di Camus: sotto l'effetto del gelo intenso dello scontro mortale, gli arti erano così rigidi che avevano dovuto applicare il massimo della cautela, ma alla fine ce l'avevano fatta: accuratamente lavato e rivestito, i capelli pettinati e ben sistemati, il corpo era stato disteso nella sala principale di Aquarius, coperto fino al petto da un drappo blu notte.
"Ci è voluto un po', ma finalmente posso rivedere il colore della sua pelle." mormorò Mei, stanca, posando la casacca dell'hanfu su una sedia sistemata accanto a Camus. "Spero di non dover mai più fare una cosa del genere, è stato terribile."
"Posso solo immaginare."
Si sfilò una delle due catenine che portava al collo i cui ciondoli, una volta uniti, formavano il simbolo del Tao, e agganciò il ciondolo bianco al collo di Camus, sistemandolo sul suo petto, sotto la veste bianca con la quale era stato vestito.
"So che non c'entra niente con la vostra Dea, ma ti supplico, non lasciare che gliela tolgano. Ti prego."
"Non succederà." annuì Milo. "Ascolta, Mei. Hyoga vorrebbe prender parte alla veglia, si chiedeva se poteva entrare o no."
Si voltò appena, intravedendo il giovane in fondo, sulla soglia dell'undicesima casa. Certo, per quanta rabbia provasse, per quanta voglia avesse di rompergli tutte le ossa, non poteva impedirgli di vegliare il suo maestro.
"Per me va bene." rispose. "Farei un torto a Camus se glielo impedissi. E poi, sia mai che vada in giro a spacciarsi per vittima della vipera arrogante."
Mei, ti prego, non fare così.
"Torno subito, ho bisogno di sciacquarmi la faccia." disse, prima di addentrarsi negli appartamenti privati che un tempo aveva condiviso con Camus.
"Come sta?" domandò Hyoga, dopo qualche minuto.
"Come vuoi che stia? Come una donna che ha perso il padre di sua figlia." rispose Milo. "Sembra forte, ma una volta a casa, una volta che l'adrenalina avrà terminato il suo effetto, non so come reagirà a tutto questo."
"Non doveva finire così." commentò Hyoga. "Le cose mi sono sfuggite di mano."
"Sai che non me ne sono accorto?" sbottò l'altro, sarcastico. "Pensa se avessi pianificato tutto, a quest'ora non ci sarebbe più nemmeno questa casa."
Hyoga represse un moto di rabbia.
"Cosa credete tutti quanti, che sia facile per me, o che sia contento di come sono andate le cose? No. Non so nemmeno come fare ammenda."
"Non puoi fare ammenda, così come non può farla Saga che ha dato vita a questa carneficina. Ci sono errori ai quali semplicemente non si può porre rimedio: ci convivi e basta." rispose Milo. "Cerca di non combinare altri disastri mentre io vado a vedere se ha bisogno di qualcosa."
La trovò in bagno, immobile davanti allo specchio del lavandino, lo sguardo fisso su un punto imprecisato, come in trance. Mosse un passo, palesandosi, e Mei parve riscuotersi, prendendo qualcosa da una tasca nascosta nella gonna dell'hanfu.
"...non pensavo di avere gli occhi in questo stato." disse Mei, a mo' di spiegazione. S'instillò un paio di gocce di collirio per ogni occhio e sorrise nervosa. "Tutto a posto, andiamo."
"Tutto bene?"
"Benissimo, non ti preoccupare." lo superò, fermandosi poi davanti alla porta della camera. "Vorrei dare un'occhiata, credo di aver dimenticato qualcosa quando me ne sono andata."
La cassettiera di mogano era sempre lì, così come l'orologio da polso e la fotografia dei suoi genitori. Il letto era in ordine, dei vestiti erano piegati e sistemati accuratamente su un cuscino, come se fossero in attesa del loro proprietario. Sul comodino un libro faceva compagnia al cellulare di Camus, spento.
"È entrato qualcuno qui, prima di noi?"
Milo corrugò la fronte.
"Non che io sappia, alle ancelle non è permesso entrare in camera, Camus l'aveva proibito, quindi è tutto come lui l'ha lasciato." le rispose. "Perché?"
"Senti anche tu questo odore?"
"Sento solo quello della cera da mobili."
"No, parlo di agrumi e lavanda... come fai a non sentirlo? In questo punto è molto forte." insisté Mei. Alla seconda occhiata interrogativa, trasse un sospiro. "Lui è qui."
"Certo che è qui, è in sala." avrebbe voluto risponderle. Decise di tacere, guardandola prendere una foto dal cassettone, rigirarsela tra le mani e sgranare gli occhi.
"È per me." mormorò Mei, mostrandogli una busta fissata al retro della foto.
"Allora aprila." la esortò.
"Au milieu de la haine, j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un amour invincible.
Dans le milieu des larmes, j’ ai trouvé qu’il y avait, en moi, un sourire invincible. 
Au milieu du chaos, j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un calme invincible. 
J’ai réalisé, à travers tout cela, que…
 au milieu de l’hiver, j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un été invincible. 
Et cela me rend heureux. 
Car il dit que peu importe comment le monde pousse contre moi, en moi, il ya quelque chose plus fort, quelque chose de mieux, poussant de retour.

Bien à vous, Camus."
"Ma che significa tutto questo?"
"Non lo so, non parlo francese." Mei dispiegò il foglio, scoprendo che di quelle parole, Camus ne aveva anche trascritto la traduzione in greco.
"…continuo a non capire." ripeté Milo. "Comunque attenta, c'è un post scriptum."
"Eftychós gia mou, i mitéra mou den agapoún Dostoevski." lesse Mei. E fu come ricevere una doccia fredda e improvvisa. "Oddèi."
"Per Athena, Mei, mi spieghi che cosa sta succedendo?"
"Fortunatamente per me, mia madre non amava Dostoevskij." ripeté Mei. "Tu non puoi capire."
Lo lasciò nella stanza di Camus insieme ai suoi interrogativi e corse allo studio.
"Mei!!" gridò Milo. "Aspetta!"

All'apparenza, era una specie di poesia scritta così, una sorta di ultima dedica, e non avrebbe fatto caso agli indizi disseminati in quelle poche righe.
…au milieu de l'hiver, j'ai trouvé qu'il y avait, en moi, un été invincibile… Camus aveva sottolineato due volte, con un tratto leggero della penna, la parola été, estate, aveva riportato un aforisma del suo omonimo e, infine, le aveva ricordato la risposta che le aveva dato il giorno in cui si erano conosciuti, mesi prima.
"Tu sai il mio nome, ma io ancora non so il tuo."
"Non è importante e… ed è anche un filo banale."
"Ma è un nome, è la prima cosa che ti rappresenta. Non può essere così brutto."
Un certo silenzio aveva seguito quelle parole, lo rammentava come fosse appena accaduto.
"Camus. Mi chiamo Camus."
"Come lo scrittore."
"Già. Mia madre e i suoi nomi assurdi. Fortunatamente non le piaceva Dostoevski."
"Oddèi." ripeté, quasi come un mantra, intenta a cercare qualcosa.
"Eccoti!" esclamò Milo. "Potresti per favore calmarti e spiegarmi?"
"Dopo. Un libro, sto cercando un libro."
"Non mi dire." Milo si guardò intorno, demoralizzato: quella stanza era piena zeppa di libri. "Potresti darmi un indizio? L'autore, per cominciare? O qui finiamo a Pasqua."
"Albert Camus." rispose Mei.
Milo si mise di buona lena a cercare, pur non avendo idea del titolo esatto.
"L'Envers et l'Endroit...Caligula...Le Mythe de Sisyphe... non far caso al mio francese, è pessimo e Camus mi rimprovera spesso per questo motivo. Mi rimproverava." si corresse Milo.
"Anche fosse non potrei correggerti, visto che non parlo francese."
"No?"
"No. Ma sono decisa a volerlo apprendere, sai, un giorno ci ritroveremo insieme nell'aldilà."
Milo si schiarì la voce, non sapendo come rispondere all'ultima affermazione.
"La Peste... L'Étranger... potrebbe essere questo qui?"
Mei scosse la testa.
"Lo straniero é tra i romanzi forse più conosciuti dello scrittore, dubito fortemente che Camus mi abbia lasciato qualcosa d'importante proprio in un libro famoso."
"D'accordo... Le Malentendu... L'État de siège... L'Homme révolté... uffa..."
Ignorando Milo, Mei cercó attentamente tra i libri dietro la scrivania, quelli che Camus amava di più: dopo la trilogia di Tolkien e vari romanzi epici, saggi e raccolte, finalmente, trovó quel che cercava.
L'Été.
"L'ho trovato, Milo." gli disse, interrompendo le sue ricerche.
Un libro dall'aspetto vissuto, dalla copertina consunta in più punti; sul retro, appiccicata con un leggero nastro adesivo, una chiave.
"Sei sicura di quel che stai facendo?"
"Credo di sì. Camus mi ha lasciato diversi indizi e so che il libro è questo ma..."
Milo s'avvicinó alla scrivania e prese il tagliacarte.
"Posso?" le domandó, ricevendo poco dopo il libro. Giunto alla terza pagina di copertina, infiló la lama nel risguardo e con delicatezza, la sollevó rivelando una serie di sottili fogli piegati in tre, zeppi di scritte. "Et voilà."
"Come facevi a sapere dove cercare?" chiese Mei, stupita.
"Che io sia dannato! Quel filibustiere... ha copiato un film! E, pur avendolo visto insieme a lui, credimi, non ci sarei arrivato: vedi? In Tomb Raider, Lord Croft lascia un messaggio a sua figlia Lara in questo stesso modo."
"Un giorno dovrai farmelo vedere." rispose Mei.
Dispiegò i fogli dopo diversi istanti, scoprendosi agitata.
"Ti lascio sola." sorrise Milo. "Io... torno di là, a far compagnia a Camus."

"Mia cara, se stai leggendo queste parole significa che hai capito il senso delle frasi che ti ho lasciato sul cassettone. Spero anzitutto di aver sufficiente tempo per scrivere tutto ciò che ho bisogno di dirti, perché sento tuo fratello e i suoi amici uscire dalla prima casa e a questo punto potrebbe succedere qualunque cosa.
L'ultima volta ci siamo lasciati in malo modo, pieni di rancore e parole non dette, trasportati da sentimenti più forti della ragione. Ti prego di perdonarmi per ciò che ti ho detto l'altro giorno. Avrei preferito un altro finale per noi, ma spesso nelle nostre vite, le cose non vanno come desideriamo.

Desideravo altre cose per noi. Una casa, una famiglia, una vita normale, come quella di un uomo comune, ma... come sai, io non sono un uomo comune. Okay, prima le cose più importanti. Sul dorso del libro dove hai trovato queste carte dovresti aver trovato una chiave: apre una scatola che ho provveduto a nascondere –in maniera sciocca e forse un po' azzardata- nel piccolo gazebo in giardino, dietro una delle grate della struttura. Degél mi odierà per aver usato qualcosa di suo per i miei scopi personali, ma è un posto sicuro, o almeno spero. Ti ho lasciato delle istruzioni al suo interno, se Ares sopravvive a tutto questo, vorrei che tu le seguissi. Milo ti darà una mano, puoi fidarti ciecamente di lui."
Quasi nove fogli, tanti quante le ore trascorse nell'attesa di incontrare il suo allievo e donargli l'ultimo insegnamento, quello più importante. Fogli sottili, fitti della sua calligrafia elegante e affusolata. Fogli nei quali le aveva chiesto perdono, nei quali aveva sperato di non essere odiato, di essere capito e di essere perdonato per tutto il dolore che aveva causato.
"Camus. Sono io che devo chiederti perdono." sussurrò.
Sgattaiolò rapida in giardino, recuperò quanto indicato da Camus e nascose il cofanetto nella sacca che si era portata appresso, tornando poi in sala come se niente fosse, anche se quelle lettere le avevano lasciato un tale senso di abbandono e perdita addosso che si domandò se e come avrebbe superato tutto.
"Sai..." esordì, dopo attimi di pesante silenzio, dovuto soprattutto alla presenza di Hyoga. "Secondo la mia religione, quando un uomo muore nella sua casa, è fatto obbligo coprire gli specchi perché si dice che guardare il riflesso della bara porta sfortuna e per evitare che l'anima del defunto possa afferrare chiunque si specchi e possa portarlo con sé nell'aldilà."
Milo sollevò lo sguardo sull'amica.
"Prima non stavi controllando gli occhi rossi."
"No." sospirò Mei. "Lo stavo aspettando."
"..."
"Sto impazzendo." Mei scosse la testa. "...dovrebbero ricoverarmi e gettar via la chiave."
"Credo che questo sia il tuo modo per reagire al dolore, l'aggrapparti alla tua fede e le tue credenze, intendo. Io non ho idea di cosa farò quando questo giorno sarà finalmente finito. Non lo so, credimi... forse farei meglio ad attaccarmi alla bottiglia e cercare conforto nell'oblio."
"Fammi sapere se funziona, così magari ci provo anche io."
"Tu hai una bambina da crescere, non dire sciocchezze."
Mei si lasciò andare contro lo schienale.
"Lo so. Ma darei qualunque cosa per non sentire questo dolore."
"Dobbiamo solo aspettare che passi." mormorò Milo.
"Vorrei poterti dire che passerà, ma non è vero." interloquì Hyoga, di punto in bianco. "Magari fosse così facile, ci sono già passato e anche io ho provato a dimenticare, in ogni modo possibile. Provi a fare altro, a tenere la mente occupata ma arriva sempre quel momento in cui stacchi un attimo la spina ed ecco che inevitabilmente ci pensi."
Afferrando la coperta che Milo aveva appoggiato sul bracciolo della poltrona, si alzò, lanciando un'occhiataccia al ragazzo.
"Ho bisogno di prendere una boccata d'aria, non riesco a respirare qui dentro."
Certo che non sarebbe passato, parlava proprio lui che aveva causato tutto quel dolore. E poi, con una bambina che glielo rammentava ogni giorno, dimenticare sarebbe stato impossibile.
Uscì nel giardino sul retro e nell'aria gelida della notte e rabbrividì, guardando in lontananza le luci di Atene e il suo porto.
Il profumo di lavanda e agrumi tornò prepotente e cercò in ogni modo di non cedere ai ricordi che quell'odore le suscitava, fallendo miseramente.
 
Al Santuario, sin dall'epoca dei miti, era d'uso inumare anziché cremare come si faceva nel resto della Grecia: rigorosamente prima dell'alba, una processione seguiva il carro con la salma fino al cimitero, dove veniva sistemata in un feretro insieme a qualche oggetto personale. Di norma si teneva un discorso in suo onore, insieme a una ricca libagione e ai Giochi.
Tuttavia dato che le salme erano cinque e non una sola e il tempo non era sufficiente, si optò per una cerimonia di gruppo, più sobria rispetto ai secoli passati: Mu ne fu dispiaciuto, ma non si poteva fare altrimenti.
Mei si accodò con Milo dietro Camus, notando che dietro le salme di Saga e DeathMask non c'era nessuno. Suo fratello e Seiya seguivano Shura e, voltandosi appena, scoprì che Shun e Ikki accompagnavano la salma di Aphrodite. Al seguito di quel lugubre corteo, il resto dei Gold Saints rimasti.
"Sei silenziosa. Parla, non tenere tutto dentro." sussurrò Milo.
"Meglio di no, in questo momento ho solo voglia di urlare fino a farmi scoppiare la gola." mugugnò Mei in risposta. "Urlare e commettere atti che mi metterebbero nei guai fino al collo. Preferisco tacere e tenere tutto dentro."
Controllò la piccola stretta al suo petto, al sicuro nella sua fascia, e tornò a guardare Camus.
"Vuoi che lo allontani?" le domandò Milo a bassissima voce, indicandole con un cenno Hyoga accanto a lui.
"No."
Mu tenne un breve discorso ricordando quanto successo e ricordando uno a uno i loro compagni; personalmente, pensò Mei, avrebbe usato ben altre parole nei confronti di Saga.
Non batté ciglio durante l'inumazione dei Saints della terza e quarta casa, provò un certo magone quando toccò a Shura (e in seguito, ad Aphrodite) e quando venne il turno di Camus, aiutò Milo a sistemarlo nella bara, mentre il desiderio di urlare svaniva a favore di una cieca rabbia e un istinto omicida che si acuì nel sentire la voce di Hyoga pregare di nuovo in quella sua strana lingua.
"Puoi chiedere perdono quanto vuoi, non servirà a niente." sibilò in sua direzione, la voce colma d'odio mentre si chinava sulla lapide. "Non ho mai odiato così intensamente qualcuno così come odio te. Miei Dèi, dovresti esserci tu, qui sotto. Tu."
Il profumo sentito all'undicesima casa tornò ancora, ma questa volta lo ignorò, troppo furiosa per cogliere qualunque rimprovero.
Vorrei poterti dire che passerà, Camus, ma non è vero. Ti amo, ma questo non posso proprio farlo, e tu non puoi obbligarmi ad accettarlo, nemmeno per amor tuo.

 

***

Lady Aquaria's corner
Come nella vita reale, al dolore ognuno reagisce a modo suo.
A un lutto, personalmente, reagisco chiudendomi nel silenzio e nell'auto isolamento, a piangere finché non mi passa. Quando morì mia nonna, e dopodomani saranno quattro anni, ricordo che insieme a lacrime e silenzio ci fu una fase aggressiva pazzesca, soprattutto contro quelle persone che si fingevano amiche e che invece erano serpi.
Ma non tutti siamo uguali, giusto? C'è chi reagisce gettandosi a capofitto nel lavoro, o in attività adrenaliniche o in qualsivoglia cosa per non doverci pensare.
O chi, come Mei, reagisce così: fingendosi forte fuori, ma crollando dentro. Reagendo con l'aggressività piuttosto che con l'introversione. L'ho descritta così, se la cambiassi non sarebbe più Mei e lei è come una figlia: i figli si possono guidare, non cambiare.
Per esigenze di copione alcune cose sono state cambiate rispetto all'anime e al manga.
By the way, varie spiegazioni lungo il capitolo:
-Prosti e lypàme poli significano mi dispiace in russo e in greco, almeno, secondo i miei frasari. In caso fossero sbagliati, eventuali correzioni sono gradite.
-La citazione che Camus utilizza per indirizzare Mei alle lettere è del suo omonimo, tratta da "Ritorno a Tipasa", da "L'Estate".
-Le varie info riguardanti i riti funebri in uso nella Grecia antica e in Cina le ho tratte da diversi siti.
Grazie a chi recensisce e segue anche con la mia lentezza cronica. Grazie molte.
Alla prossima!

 

Lady Aquaria

   
 
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