Capitolo 3: Breaking the law
Betato
da Gina <3
È noto che
spesso l’inazione venga scambiata per pace.
Krakatoa viveva da tempo avvolta da un alone di calma e
tranquillità.
I soldati trascorrevano le loro giornate ridendo e
giocando a carte, le veglie notturne dormicchiando e bevendo in
compagnia.
La noia regnava sovrana.
Noia.
Il giovane Herb Graig Snider, quando si era arruolato,
pensava ad una vita piena di
avventure.
Si immaginava di solcare i mari e dare la caccia a
pericolosi pirati.
Sognava di combattere, stringendo nelle mani il suo
fucile di ordinanza, di fare carriera e magari, un giorno, diventare
famoso.
Si immaginava tutto, tranne che essere confinato in
quell’isola a fare la guardia a un edificio.
Una stupida costruzione di pietre e metallo che conteneva
chissà che cosa.
Forse se l’avesse saputo sarebbe stato in pace con
sé
stesso, ma non ne era del tutto certo.
La verità era che nessuno, tranne i pochi addetti che vi
lavoravano all’interno, sapeva cosa ci fosse nella base
militare di Krakatoa.
Qualcuno penava vi nascondessero delle potenti armi che
avrebbero garantito loro la vittoria in qualsiasi guerra.
Altri credevano che vi facessero esperimenti scientifici
di alto livello.
Molti se ne sbattevano allegramente le balle, felici di
potersi guadagnare la pagnotta senza rischiare la pelle.
Nessuno si sarebbe mai aspettato che fosse la sede dei
principali archivi governativi.
Certo, in molti erano a conoscenza del fatto che gli
archivi del governo erano molti ed erano sparsi per gran parte delle
isole
dell’oceano… ma
a Krakatoa?
No, quella era un’isola dimenticata da Dio e dagli
uomini.
Quella sera il povero soldato semplice Snider stava
giocando a poker con i suoi colleghi e a dirla tutta stava pure
vincendo.
- Cazzo Herb, devi piantarla di barare a ‘sto modo!
– sbottò
il suo collega, Roger Petersson – di questo passo finisco in
mutande prima
delle due! –
Mezzanotte e mezza era passata da poco e il loro turno di
guardia sarebbe durato fino delle cinque di quella mattina.
- Stai buono Roger, tanto mica può continuare a vincere
–
disse il terzo genio del gruppetto, un tale di nome Wes Fowler,
arruolatosi un
paio di anni prima in un’isola dalla parte opposto del mondo.
- Dài ragazzi,
per una volta che vinco! – celiò Herb tutto
allegro.
- Per una volta che vinci ti riempiano di botte –
asserì
Wes.
- E perché? Mica sto barando, tu bari e perdi! –
- Piantatela cretini! – esclamò Roger esibendo le
carte –
poker d’assi, signori. Sganciate la grana –
I due lo fissarono inebetiti.
- No – disse Snider leggermente contraddetto –
Guarda che
stavo vincendo io –
- Roger, quando bari, aspetta di essere l’ultimo, non ci
sono cinque assi in un mazzo di carte – Fowler gli
sventolò sotto il naso un
asso di picche – Coglione –
Petersson li fissò per un attimo, quindi alzò le
spalle.
- Cambiamo gioco? –
Wes stava per proporre il ramino, ma non fece in tempo a
dirlo che un enorme boato fece saltare in aria il cancello principale.
Schegge di legno e pezzi di ferro volarono per tutto il
cortile, investendo in pieno la prima linea di guardie mezze
rincoglionite.
- Fatto – esclamò un uomo dall’aspetto davvero ambiguo apparendo sulla soglia
del cortile.
- Che schifo! È in
mutande! – esclamò Herb prima di venire buttato a
terra da un pezzo di muro.
Nessuno, mai, in duecento anni, aveva assaltato Krakatoa.
E se l’aveva fatto, non era tornato per raccontarlo.
Non perché la base dell’isola fosse dotata di armi
ultrasoniche ammazza pirati o perché i soldati della
guarnigione fossero tutti
eccellenti uomini d’arme, no, si trattava di qualcosa che si
trovava sotto
l’isola.
Un essere antico.
Leggendario.
Poi, certo, i soldati di guardia erano molti, moltissimi,
ma per pirati addestrati alla battaglia, quegli stessi pirati che
avevano
assalito Eneis Lobby, qualche misero marine non era certo un ostacolo.
Rufy, allegro come una pasqua, si mise a menare colpi a
destra e a manca, cercando di colpire qualsiasi cosa si muovesse.
Zoro dal canto suo sembrava divertirsi moltissimo a far
volare per aria la gente e a distruggere le certezze di quei poveracci
che gli
sparavano addosso.
Sì, esistevano uomini a prova di proiettile.
No, quello che vi hanno fatto credere in marina, ovvero
che gli uomini sono mortali, non è sempre vero.
I due, a cui Nami aveva concesso carta bianca, stavano
letteralmente facendo volare i nemici.
Questa era la prima parte del famoso piano della
navigatrice.
Distraeteli.
-
Il piano è questo – aveva detto Nami passandosi
una ciocca di capelli
ribelle dietro l’orecchio sinistro.
- Ci divederemo in tre gruppi: il primo
sarà composto da Rufy e Zoro,
il secondo da me, Robin e Franky e il terzo da Sanji e Chopper
–
Quindi aveva mostrato loro la cartina, che
rappresentava la base
militare.
- Franky, tu farai saltare il cancello,
dopodiché Rufy e Zoro li
terranno impegnati mentre io, te e Robin entreremo nella porta sulla
destra. Al
primo piano ci sono gli archivi, dovremo arrivare lì senza
fare troppo casino,
Franky a te il compito. Una volta arrivati, apriremo la porta con
questo pass
elettronico, intestato a… - Nami lesse il nome sul
cartellino – Capitano Alonso
Gonzales? Che nome di merda! -
- Sarà bello il tuo –
borbottò Rasky – Questo è quello posso
offrirti,
bella –
- Primo – sibilò Nami
– Il mio nome è stupendo. Secondo, nessuno
leggerà il nome sul cartellino. Terzo, stia zitto, ok?
–
L’uomo aveva alzato le spalle.
- Sì, Naminuccia mia, il tuo piano
è brillante e geniale… - iniziò
Sanji.
- Ma noi cosa facciamo in tutto questo?
– finì Chopper per lui.
- È
palese, voi due resterete qui.
Questa sarà la nostra base operativa e
la difenderete in caso di attacco. Sarà un lavoro semplice,
non c’è bisogno di
esporci tutti quanti. –
- Tantomeno avremo bisogno di qualcuno che ci
impicci – esordì Zoro dal
nulla.
- Cosa vorresti dire, Marimo? –
ringhiò Sanji che, pur non essendo
esattamente soddisfatto della decisione della rossa, non osava dire
nulla.
- Intendo dire…-
- Un cazzo! – si intromise la
navigatrice – Roronoa se non la pianti
mollo qui anche te. Andiamo in pochi perché non dobbiamo
attirare troppo
l’attenzione, idioti! E subito dopo ce la daremo a gambe.
–
- E che diamine! Quante cavolo di porte ci sono? –
sbraitò Franky arrivato all’inizio di un lungo
corridoio.
Robin si guardò in giro.
Doveva ammettere che i due ebeti là fuori stavano facendo
un ottimo lavoro, ma loro tre avrebbero dovuto darsi una mossa.
- Secondo questa cartina, la porta è quella in fondo al
corridoio – esclamò Nami indicando dritto davanti
a sé.
Su ogni lato si aprivano una serie di innumerevoli porte
in mogano nero, ma solo quella in fondo era di metallo.
- Andiamo allora, che poi devo andare a bermi una cola. –
- Pensi sempre a quello – borbottò la rossa
armeggiando
davanti alla porta di ferro.
- Che vuoi farci, ognuno ha le sue priorità. –
- Le tue sono insulse – berciò la navigatrice, che
in
quel momento era più seccata del solito.
La porta di acciaio risaltava in fondo al corridoio. Il
pass che era stato dato loro, doveva essere inserito in uno spiraglio
laterale,
quando Nami lo fece, apparve
una
tastiera metallica sulla quale avrebbe dovuto digitare un codice
numerico segreto.
- Se è sbagliato, lo uccido –
La porta si aprì cigolando.
Centinaia di scaffali, schedari, pile di fogli apparvero
ai loro occhi. Quella stanza era eccezionalmente disordinata, ma
soprattutto
era immensa.
- E poi quello disordinato sarei io – borbottò
Franky
spalancando gli occhi.
- Stai zitto, vediamo di darci una mossa –
- Ehi Zoro, io sono a 208 – esclamò Rufy ridendo
come un
idiota.
- Io a 210, sei rimasto indietro, eh!
–
I due ebeti stavano giocando con i soldati della marina
che avevano preso alla sprovvista e si stavano pure divertendo.
Il comandante della base, quando aveva saputo
dell’attacco, era
stato indeciso se
nascondersi in un angolino a piangere, conscio della
disparità di forze, o se
fare qualcosa di concreto per contrastarli.
Alla fine aveva prevalso il suo buon senso e, nonostante
le proteste dei suoi
uomini, aveva cercato, vanamente,
di
organizzare un’offensiva.
- Li prenderemo in mare – aveva detto al suo sergente
maggiore.
Aveva organizzato un gruppo di volontari che intrattenessero
i pirati, un altro lo aveva mandato a cercare la loro nave e
informazioni nella
città.
Poi scese nei sotterranei.
Sanji e Chopper erano rimasti alla locanda e,
mentre il primo stava decantando le
lodi della bella Ariel e il secondo era impegnato a giocare con Kira, la botola che dava sulla locanda si
spalancò, lasciando
passare una
cameriera trafelata, con i capelli scomposti e il fiato corto, segno
che aveva
corso fino a lì.
- Ariel, stanno arrivando! – esclamò tirando la
ragazza
per un braccio.
- Calmati, chi sta arrivando? -
- La marina. Hanno scoperto che i pirati che li hanno
attaccati hanno alloggiato qui e forse ci sono ancora e stanno venendo
in massa.
–
- Fico! – rispose Kira, che trovava le situazioni spinose
particolarmente divertenti.
- Fico un cazzo! – Ariel si morse un labbro –
Uscite
tutti, chiudi il locale, fingeremo non ci sia nessuno. –E
avrebbe anche potuto
funzionare come piano, se i marine non fossero
stati guidati da Felicia
Doom.
Il sottotenente Doom e Ariel non erano mai andate molto
d’accordo, forse per il fatto che erano entrambe donne, forse
per il fatto che
la prima era invidiosa della bellezza della seconda o,
più semplicemente, perché
Felicia aveva sempre sospettato che la bella locandiera svolgesse
attività
illegali.
- Ehi, capelli celesti, esci fuori! – urlò in un
megafono
quasi più grande di lei.
Ariel, ovviamente, non ci pensava nemmeno.
- Si stuferà – borbottò caricando un
fucile a pompa.
E Felicia si stufò davvero, non era mai stata un tipo
paziente.
- Ho sempre odiato questo posto – sbraitò ai suoi
sottoposti – Dategli fuoco, vedrete come usciranno i conigli!
–
I soldati, che avevano circondato la locanda, eseguirono
velocemente l’ordine gettando sulla locanda fiaccole accese,
rompendo le
finestre e buttando all’interno del locale, bottiglie di
alcool pronte a
prendere fuoco.
- Pasticcino – disse Sanji sentendo odore di legno
bruciato – Ci danno fuoco –
La ragazza spalancò gli occhi, le stavano bruciando la
locanda.
Quella figlia di mignotta della Doom le stava davvero
dando fuoco alla locanda!
- Troia – esclamò facendo per uscire.
- Aspetta! Se esci
ti spareranno contro – Sanji la trattene per un braccio
– Non fare cazzate. –
Le fiamme avevano oramai avvolto i piani superiori e lo
scantinato stava iniziando a riempirsi di fumo.
- Sanji, se restiamo qui, soffocheremo – fece notare
Chopper preoccupato.
Ariel poggiò il fucile contro la parete.
- Lo sapevo, lo sapevo che non mi avreste portato altro
che guai. –
I due pirati abbassarono lo sguardo, in effetti,
era colpa loro se la sua locanda
stava bruciando come carta.
- Andiamo forza – borbottò quindi, legandosi i
capelli
celesti sul capo.
Facendosi aiutare dal cuoco, spostò una pesante credenza
di legno rivelando uno stretto e polveroso passaggio.
- Un tunnel carpale! – esclamò Kira estasiata.
- Un cosa? – domandò la sorella, sconvolta
– Oh, lasciamo
perdere –
Prese una torcia e l’accese.
- Muoviamoci prima di finire arrosto –
Sanji annuì, prese una seconda torcia ed entrò
per primo
dentro al passaggio.
- Certo che per essere una semplice locanda, ne ha di
passaggi segreti e vie di fuga, amore
della mia vita! –
Ariel scostò una ragnatela e alzò le spalle.
- In origine era una casa da gioco gestita da
contrabbandieri, mi ci sono voluti anni per trovare i passaggi e
memorizzarli –
- E questo dove porta? – domandò Chopper
incuriosito.
- Fuori dalla città, sulla costa –
- Yohoho, quindici uomini sulla cassa del morto e una
bottiglia di Rum! –
- Vuoi tacere, stupido
scheletro?! – sbraitò Eve,
comodamente
stravaccata sul ponte della nave – Sto cercando di dormire!
–
- Potrei – celiò Brook – se mi dicessi
di che colore sono
le tue mutandine oggi –
Cinque secondi dopo si ritrovò inspiegabilmente
spiaccicato contro l’albero maestro.
- Per fortuna che sei già morto – fece notare Usop
guardandolo.
L’alba sarebbe sorta di lì a poco e loro stavano
ancora
aspettando i compagni.
Eve si era palesemente rotta le scatole e aveva iniziato
a rompere le scatole ai due membri della ciurma rimasti; Usop,
sentendosi preso
in considerazione, le aveva raccontato di quella volta che aveva ucciso
duecento mostri marini con tre proiettili, mentre Brook,
come risultato, aveva iniziato a cantare e ancora non aveva
smesso.
- Yohoho, vado a consegnare il liquore di Binks –
La giovane cominciava seriamente a meditare il suicidio.
I casi erano due: o il suo capitano la odiava e l’aveva
mandata lì con lo scopo di farla uscire di testa, oppure lo
aveva fatto
sperando che li uccidesse tutti.
Quando cominciava a perdere ogni speranza, arrivò il
primo gruppo di sfollati.
Sanji era pieno di ragnatele e il suo vestito da becchino
era rovinato in più punti, dietro di lui veniva una ragazza
molto bella con
lunghi capelli celesti e una bambina molto simile a lei in braccio, a
chiudere
la fila c’era Chopper sul cui cappello spiccava un bel ragno
spiaccicato.
- Cos’è, vi siete dati al barboneggiamento?
– domandò
sarcastica.
Ariel le lanciò un’occhiata astiosa, ma non venne
nemmeno
minimamente calcolata dalla piratessa che aveva già perso
ogni interesse per il
gruppo e aspettava l’arrivo degli elementi restarti per
portarsene andare.
Rufy non aveva mai prestato troppa attenzione alle parole
degli altri. Più generalmente non era quel tipo di persona
che ascoltava quando
la gente parlava, semplicemente spegneva il cervello e si limitava ad
annuire;
inoltre, non era portato a prendere per oro colato tutte le minacce che
gli
venivano lanciate, soprattutto quando a minacciarlo era un nemico
evidentemente
più debole di lui, sia per forza che per mezzi.
Così quando il comandante della base gli urlò
minacciosamente che ben presto il tempo di giocare sarebbe finito e che
avrebbe
avuto la sua testa, Rufy non se ne curò più di
tanto, anzi la frase gli entrò
da un orecchio e gli uscì dall’altro.
In quel momento poi, il gruppetto che aveva fatto
incursione all’interno dell’edificio, era appena
uscito e Nami gli aveva fatto
eloquentemente gesto di seguirla, così il giovane pirata
aveva mollato il
poveretto che stava menando e se l’era data a gambe insieme
agli altri.
Avevano corso senza fermarsi mai per una buona mezz’ora,
oramai potevano considerarsi allenati per la Maratona annuale di Rogue
Town, non
che qualcuno di loro avesse intenzione di parteciparvi, ma sembrava che
darsela
a gambe fosse diventata la seconda attività del gruppo.
La Sunny risplendeva sotto il pallido sole del mattino,
cullata dalla marea. Una brezza leggera gonfiava le vele e il canto di
Brook
arrivava fino alle orecchie dei pirati che oramai camminavano
tranquillamente
verso l’imbarcazione.
Fu Chopper, ansimante sul ponte della nave, il primo a
sentire il vocio dei compagni e, prese sembianze semiumane,
iniziò a
sbracciarsi facendo loro cenno di aumentare il passo.
Nami e il suo gruppo non erano ancora a conoscenza di
quanto avvenuto alla locanda di Ariel e la cosa non avrebbe certamente
fatto
loro piacere, tuttavia la piccola renna era convinta che dovessero
essere
informati dell’evento al più presto. Inoltre, la
marina dell’isola era già
sulle loro tracce e si preparava a colpirli in mare, anche se questo
ancora non
lo sapevano.
Mentre Sanji aggiornava il suoi dolci angeli e gli altri
zotici degli eventi di quella mattina, nei sotterranei
dell’isola il
comandante della base si accingeva a
scatenare l’arma X della guarnigione di Krakatoa.
L’uomo si chiamava Kristopher Morgenstern e lavorava su
quell’isola da quando aveva preso servizio, la sua famiglia
conosceva ogni
anfratto e ogni segreto della base militare sita in quel luogo, e il
comando della
stessa era tramandato di padre in figlio. Oltrepassò una
pesante porta di
ottone, dopo avere digitato una sequenza di otto numeri segreti, quella
stessa
sequenza che era stata digitata da Nami qualche ore prima sulla
tastiera che
dava accesso all’archivio. Il sergente maggiore che stava con
lui era un
giovanotto di vent’anni appena, che nella sua vita credeva
solo a quello che
vedeva. Pertanto non aveva mai creduto ai fantasmi, tantomeno ai
mostri, e
riguardo alle voci secondo le quali sull’isola era nascosto
un essere di
origini sconosciute, le aveva sempre date per false.
Fu quando seguì il comandante Morgenstern oltre il
portone credeva di vedere cannoni o armi della più avanzata
tecnologia, credeva
di trovare un esercito di cyborg o di ninjia assassini, credeva di
trovare
sottomarini, non lo sapeva bene cosa credeva, ma non quello.
Sicuramente non
quello.
- Ma che diavolo… ?!– biascicò allibito.
- Questa è la nostra arma segreta, Sergente –
ridacchio
Kristhoper sotto i baffi folti e scuri – Questa
sarà la causa della loro fine –
Erano salpati da pochi minuti e la distanza dall’isola
non era che di un solo miglio. Lungo la collina, dove c’era
la città, si vedeva
una striscia di fumo nero salire lento. Ariel osservava la scena con
occhi
mesti, vagamente malinconici. Un tempo in quel luogo c’era la
sua locanda, la
sua casa, ora c’erano solo cenere e fumo. Sentì un
singhiozzo al suo fianco e
abbassò lo sguardo. Accanto a lei stava Kira, i corti
capelli celesti erano
tutti scarmigliati, guardava la striscia di fumo e stringeva le manine
a pugno.
Si accorse che stava piangendo.
Era normale, pensò.
Era solo una bambina, era spaventata. Si chinò su di lei
e la prese in braccio.
- Andrà tutto bene, vedrai tesoro – le disse
piano, senza
smettere di sorridere.
- No – piagnucolò la bambina con aria affranta
– Ho perso
il mio Pluffy, non va bene –
Ariel la guardò storto, rimettendola di colpo
giù.
- Ma se non ti piaceva quel pupazzo –
- Eh invece sì, mi divertivo a saltarci sopra –
borbottò
la bimba oltraggiata dalle parole della sorella.
Mentre le due discutevano sull’affetto che la più
piccola
provava o meno per un pupazzo a forma di puzzola, arrivò il
primo colpo di
cannone.
L’acqua schizzò sul ponte inzuppando
l’intera ciurma.
- Ehi capitano – urlò Franky allegro come un
bambino –
Vieni a vedere! Vogliono affondarci con una sola nave! –
- Ma non imparano mai? – borbotto Roronoa sfoderando la
Wado Ichimonji.
- Evidentemente no – disse Robin sorridendo serafica. Lei
ci aveva fatto l’abitudine oramai, quelli della marina erano
assolutamente dei
testardi. Non si arrendevano mai.
Facevano fuoco e fiamme pur di riuscire ad ottenere ciò
che volevano, qualsiasi mezzo era lecito.
- Cappello di Paglia, sei finito – urlò il
capitano Morgenstern
dall’altoparlante della nave - Come ti avevo già
preannunciato, è finita l’ora
di giocare. Fra pochissimo avverrà qualcosa che ti auguro di
non vedere mai più
nella tua vita. –
E il Kraken emerse dagli abissi.
Note:
Non aggiorno da secoli, lo so ed è colpa mia. Ho avuto dei
problemi, una vita troppo piena di cose da fare, che hanno fatto
passare la fic in secondo piano. Chi mi conosce sa che preferisco non
scrivere che scrivere qualcosa di scadente. Per prima cosa ringrazio la
mia Beta e anche le altre due che betano sempre in ritardo.
Preannuncio che nei prossimi capitoli ci saranno degli spoiler che
riguarderanno la struttura della prigione di Impel Down e chi vi sta
dentro, anche se la fic si discosterà ugualmente da
ciò che succede nel manga.
Per il resto rispondo ai commenti:
A giodan che mi chiede delle coppie: Prima che ios criva una Zoro
Tashigi il mare si asciugherà completamente e mi verranno le
pustole sul naso xD Questa fic sarà una Zoro x Nami,
con una Franky Robin di supporto.
A Ino ti amo <3 forza e coraggio che la maturità
è una bazza.
A Lilly, lo stesso qui sopra e aggiungo che Eve è
per te e sono contenta che ti piaccia tesoro <3
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