4.
L'amico di sempre
Knock,
knock, knock
Emma
mugugnò qualcosa nel
sonno, lievemente infastidita da quel rumore che aveva cominciato ad
insidiarsi tra i suoi sogni, mentre volgeva la testa dall'altra
parte.
Knock,
knock, knock
Il rumore
cominciava a risuonare
più forte, seppur le appariva lo stesso abbastanza ovattato
da non
farle capire se fosse solamente l'ennesimo frutto della sua
immaginazione o se stesse accadendo nella realtà. Il mal di
testa
provocato da un bicchierino di troppo prima di mettersi a letto, la
sera prima, non l'aiutava decisamente a capire.
Knock,
knock, knock
Era
sveglia, adesso. Strinse
forte gli occhi e arricciò il naso; era certa di aver messo
la
sveglia: alcolici o meno, la teneva impostata sempre sulla stessa ora
da settimane e il fatto che non fosse ancora suonata la mandava su
tutte le furie. Odiava essere svegliata prima del dovuto. Strinse
forte il cuscino tra le mani, prima di sollevarlo così da
potervi
infilare la testa sotto, sperando di lasciare qualsiasi tipo di
rumore fuori.
Knock,
knock, knock, knock, knock
Questa
volta quel continuo
battere divenne più veloce e più violento. Emma
lanciò via il
cuscino, scocciata. Si tirò su nello stesso istante, i
capelli
biondi le ricaddero sul volto, se li scostò portandoli
all'indietro senza aspettare
troppo con un rapido gesto della mano. Sbatté un paio di
volte le
ciglia, afferrò il cellulare e osservò l'ora:
erano le 6:47. Chi
era il folle che si presentava a casa di una persona prima delle 7 di
mattina? Pensò che dovesse trattarsi di un'emergenza e
andò nel
panico per qualche secondo. Realizzò presto,
però, che davvero in
pochi erano a conoscenza del suo indirizzo e che tutti loro avevano
il suo numero, ergo se fosse successo davvero qualcosa di grave
l'avrebbero senz'altra chiamata, prima di presentarsi a casa sua.
Doveva
trattarsi di qualcuno il
cui unico scopo era quello di farla irritare, decisamente.
«Un
momento!» Urlò con tutto
il fiato che aveva in corpo, prevenendo un'altra ondata di
quell'odioso battere alla sua porta.
Afferrò al volo la
vestaglia nera abbandonata su una sedia e la indossò,
escludendo
qualsiasi possibilità di andare ad accogliere chiunque
vestita
soltanto con una canottiera e delle mutande. Passò a piedi
nudi
davanti lo specchio, si osservò al volo notando il mascara
leggermente sbavato sotto l'occhio destro e i capelli scompigliati.
Vi passò una mano sopra, cercando di sistemarli come poteva,
spostandoli tutti sulla spalla sinistra – non che apparissero
più
ordinati. Arrivò davanti alla porta pronta ad aggredire con
numerose
parolacce chiunque l'avesse disturbata così di prima
mattina,
privandola addirittura della sua ultima ora di sonno. Le si
mozzò il
fiato, comunque, una volta aver sbirciato dallo spioncino; con il
cuore in gola si affretto ad aprire. «August!»
L'uomo
rimase ad osservarla per
qualche istante, senza dire una parola né muovere un solo
passo, con
un sorrisetto divertito dipinto sul volto. I loro occhi correvano
rapidi da una parte all'altra, si studiavano a vicenda quasi
volessero individuare al primo colpo tutte le differenze che
quell'anno e mezzo di lontananza aveva messo in piedi. Emma si disse
di non averlo mai visto così abbronzato in tutta la sua
vita:
indossava una camicia rosso porpora, i primi due bottini lasciati
aperti, infilata ordinatamente dentro un paio di jeans scuri; sopra
l'immancabile giacca di pelle dalla quale non si separava mai, faceva
parte del suo abbigliamento da quando era bambino, Emma molte volte
pensava che se la sarebbe portata perfino sull'altare – se
mai si
fosse sposato, ovvio. I tratti del viso erano sempre gli stessi, gli
occhi curiosi e arroganti che l'avevano osservata e messa in
soggezione parecchie volte non la lasciavano andare neanche per un
istante; poté giurare di intravedere delle piccole rughe
sulla
fronte, ma per il resto appariva più che rilassato e,
soprattutto,
felice. Aveva in mano un vassoio con due tazze di caffè da
asporto,
più una busta contenente probabilmente il resto della
colazione
nell'altra.
«Sorpresa!»
Esclamò, infine,
dopo un secondo di silenzio che appariva come un'eternità.
Distese
la bocca in un sorriso più grande, contento di rivederla
dopo tutto
quel tempo, e aprì le braccia invitandola a farsi stringere.
La
bionda non se lo fece ripetere due volte e, seppure ancora
visibilmente scossa, mosse quei pochi passi che li separavano,
mettendogli le braccia intorno al collo. Riuscì a catturare
l'odore
del solito dopobarba, mentre si rendeva conto della massa muscolosa
che aveva messo su il suo amico. O forse era lei che non ricordava
più come fosse la sensazione del suo corpo contro il suo,
non sapeva
dirlo. Lo lasciò andare subito, le mani sulle spalle,
l'espressione
ebete in pieno volto che non riusciva proprio ad abbandonarla.
«Non
te l'aspettavi, eh?» Mormorò lui, sempre
più divertito.
«Quando
sei tornato?» Domandò
lei per tutta risposta, rendendosi improvvisamente conto di avere la
bocca completamente spalancata oramai da vari secondi. Sicuramente il
suo migliore amico era l'ultima persona che si aspettava di trovarsi
davanti, e lui lo sapeva benissimo a giudicare dalle occhiate
soddisfatte che le lanciava. Si fece da parte per lasciarlo entrare,
chiuse poi la porta alle sue spalle e cominciò a correre da
una
parte all'altra del suo appartamento, recuperando cartacce sparse e
bicchieri sporchi: l'ordine non era mai stato il suo forte.
«Ieri
sera», rispose lui
seguendola in cucina e poggiando la colazione da asporto sul tavolo
che Emma aveva appena liberato dalle più svariate
cianfrusaglie. «A
mezzanotte passata ero in città, ho mandato giù
qualche boccone e,
nel frattempo, papà mi ha detto che ti avrei trovata
qui», le
lanciò uno sguardo eloquente, Emma si sentì
colpita in pieno ed
abbassò gli occhi. «Puoi immaginare il mio
stupore», continuò
quello, «sarei corso qui se non fosse stato tanto tardi, al
diavolo
la stanchezza per il viaggio! Volevo verificare con i miei occhi che
fosse tutto vero», Emma lo ascoltava in silenzio, sentendosi
sempre
più colpevole e mormorando un leggero “Mh
mh” mentre
prendeva ad aprire la bustina e rivelando due brioche alla crema. Ne
afferrò subito una. «Non mi hai detto di essere
tornata a Fort
Kent.»
«E
tu non mi hai detto che
saresti tornato a giorni», ribadì lei, cercando di
rigirare la
frittata neanche avessero di nuovo 12 anni. Si sedette su una sedia,
invitando August ad imitarla e diede un morso alla brioche –
mh,
soffice e profumata. «Comunque contavo sul fatto di trovare
un altro
impiego e un'altra sistemazione prima del tuo ritorno, così
dal non
dover sprecare fiato in queste inutili chiacchiere.»
August
scosse la testa
afferrando la sua tazza di caffè fortunatamente ancora caldo
«Non
sei cambiata per niente in questo ultimo anno»,
commentò,
nascondendosi poi dietro la sua colazione notando l'occhiata funesta
che la donna gli aveva appena rivolto; capì così
che l'ultima cosa
che doveva fare era quella di nominare quell'ultimo anno e,
soprattutto, la sua lontananza. «Allora»,
cominciò poi,
grattandosi appena la testa, imbarazzato «la libreria French.
Appena
mio padre me lo ha detto stavo quasi per strozzarmi: Emma Swan in una
libreria, non è una cosa che si sente tutti i
giorni.»
Emma
alzò gli occhi al cielo,
prima di bere un sorso di caffè, più rilassata.
«Nessuno di noi
due lo avrebbe mai predetto, te lo concedo. Non è il mio
ambiente:
non faccio altro che leggere per passare il tempo e i clienti non
riescono a fidarsi di me, non chiedono mai un consiglio e mi
rivolgono a stento la parola. E' una noia mortale, per questo non
vedo l'ora di andarmene.»
«Aspetta...
tu... che leggi dei
libri?» Esclamò August mostrandosi sorpreso, con
occhi sgranati e
una voce teatrale. Emma accartocciò la busta di carta del
bar e
gliela tirò addosso, ridacchiando e insultandolo teneramente.
*
August gli
aveva parlato della
California senza riprendere fiato neanche per un secondo, Emma lo
aveva lasciato fare, il sorriso sulle labbra e la bocca occupata a
masticare la sua brioche. L'amico l'aveva presa in giro per dei
minuti interi quando, dando l'ennesimo morso, si era fatta cadere
della crema addosso, sporcandosi tutta come una bambina di pochi
anni. Era andata a farsi una doccia, dopo mangiato, e a prepararsi
per il lavoro, nel mentre aveva dato le chiavi del maggiolino ad
August così che lui potesse recuperare gli ultimi scatoloni
che
erano rimasti nel bagagliaio – erano passati così
tanti giorni dal
suo trasloco che non ricordava neanche cosa contenessero, forse
scarpe.
Quando
uscì dal bagno lo
ritrovò a mettere un po' d'ordine in cucina, la bottiglia di
tequila
vuota sopra il tavolo, dove prima non c'era. Appena lo raggiunse,
l'uomo si voltò a guardarla, ammonendola con un'occhiata. La
bionda
alzò gli occhi al cielo, recuperando la bottiglia per
gettarla via.
Aveva bevuto solamente due, o tre bicchieri, prima di andare a letto:
era una delle sue serate no, non riusciva a dormire e tutto
perché,
tornando a casa dopo quello strambo momento in compagnia di Killian
Jones, al cimitero, era passata davanti ad un negozio di abiti da
sposa ed aveva pensato che il modello in vetrina fosse simile a
quello che aveva comprato lei, neanche un anno prima. Aveva pensato a
Neal, a quella che poteva essere la sua vita se si fossero sposati, a
quello che invece avevano perso. Pensò a tutte queste cose,
mentre
si versava un bicchiere, e poi un altro. Non era un'abitudine che
aveva, era raro che si attaccasse alla bottiglia, non aveva un
problema e August non doveva preoccuparsi.
Era quello
che provò a fargli
capire, assottigliando lo sguardo per invitarlo a non proseguire il
discorso, se non volevano finire poi con il litigare. August
ricevette il messaggio, si asciugò le mani bagnate con un
pezzo di
carta e la seguì al piano di sotto. Non aveva dei programmi
per la
giornata, era tornato a Fort Kent per un periodo di vacanza e aveva
intenzione di godersi quei giorni per il meglio, quella mattinata
però voleva dedicarla ad Emma: non essendosi visti per
più di un
anno pensava avessero molte cose da dirsi e troppo tempo da
recuperare. E poi era curioso di vederla alle prese con una libreria,
sapendo che non era affatto il suo ambiente.
E infatti
non aveva perso tempo
e aveva cominciato a lanciarle sorrisetti divertiti ogni volta che
entrava un cliente e a ricevere sguardi di fuoco come risposta; alla
fine aveva afferrato un libro ed era andato a sedersi su una
poltroncina lontana dalla cassa, prima che la donna potesse
strangolarlo. E poi non è che potesse fare molto, avrebbe
voluto
essere utile ma Emma non sapeva cosa fargli fare, così fu
costretto
a rintanarsi in quel suo angolino per leggere. Fu in tarda mattinata
che le cose cominciarono a farsi interessanti.
La porta
della libreria si aprì,
August alzò lo sguardo dal suo libro – Dan Brown,
ed Emma fece lo
stesso, volgendo gli occhi verso la porta per poi rimanere di sasso
vedendo entrare Killian Jones. Indossava dei pantaloni neri, una
camicia bianca e una giacca di pelle sopra, si domandò come
facesse
a non sentire caldo. Aveva un paio di Ray Ban a coprirgli gli occhi,
che si tolse subito ponendoseli tra i capelli. Nella mano destra,
invece, aveva una tazza di caffè di plastica, tazza che un
secondo dopo
era poggiata sul bancone dietro cui si trovava Emma.
«Buongiorno,
Swan», la salutò
con un sorriso sornione dipinto sulla faccia. La bionda continuava,
invece, a guardarlo interdetta, non riuscendo ad immaginare che cosa
volesse. Perché era chiaro che non si fosse ritrovato
lì per caso,
no? Era arrivato addirittura con del caffè, dubitava che la
sua
intenzione principale fosse quella di comprare un libro.
«Jones»,
replicò lei,
entrambe le mani sul banco, gli occhi fissi in quelli dell'uomo. Era
completamente l'opposto del giorno precedente: appariva sereno,
rilassato, tranquillo, quasi sulla cima del mondo, mentre neanche 24
ore prima era scuro, silenzioso e triste. Pensò che aveva
incontrato
quell'uomo quattro volte e si era trovata davanti quattro sfumature
diverse di Killian Jones. Non sapeva dire quale fosse quella vera,
forse tutte e quattro, forse neanche una. «Posso esserti
utile?»
«Passavo
di qua e ho pensato di
portarti un caffè», fece quello, subito, mettendo
su un'aria
innocente; August, alle loro spalle, cercava di capire cosa stesse
succedendo, chi fosse quell'uomo e cosa si fosse perso mentre era
via. Emma arricciò le labbra, per tutta risposta, e
alzò le
sopracciglia come a dirgli un sarcastico “davvero?
Non lo avevo
notato!”, alla fine però cedette, prese
la tazza, tolse il
coperchio e ne bevve un sorso. «E poi, avevo intenzione di
chiederti
di uscire: questa sera, a cena, tu ed io.»
Ad Emma
quasi non andò la
bevanda calda per traverso, cominciò a tossicchiare e a
darsi
piccoli colpetti sul petto con la mano libera, prima di rivolgergli
un'occhiata disgustata, sapeva che non avrebbe dovuto abbassare la
guardia e fidarsi. «Cosa ti fa presumere che io abbia voglia
di
uscire con te?» Gli chiese forse con troppo impeto.
Un'espressione
realmente stupita fece breccia sul volto di Killian Jones, la bionda
non poteva credere che quell'uomo si fosse costruito dei castelli in
aria, tutto per una singola buona azione che aveva fatto.
«Stammi a
sentire, Jones», cominciò a dire con foga,
guardandolo dritto negli
occhi con fermezza, «l'episodio di ieri non significa niente,
non ho
cambiato idea su di te. Cercavo soltanto di essere gentile,
nient'altro», concluse abbassando leggermente i toni
ricordando il
giorno prima. Lo aveva raggiunto al cimitero ed era rimasta al suo
fianco per non farlo sentire solo, non si erano rivolti parola ed
erano restati fermi e immobili per parecchio tempo, fino a quando
l'uomo non si era girato per dirle qualcosa e lei aveva voltato la
schiena ed era tornata a casa.
Non aveva
significato niente,
però. Quell'uomo continuava a non andarle a genio e il modo
in cui
si era presentato da lei, quella mattina, sicuro di poterle strappare
un appuntamento, altro non fece che confermarle l'idea che aveva di
lui.
«Non
potrai mai cambiare
opinione su di me se non mi dai una possibilità»,
affermò lui,
ferito forse, riuscì a non darlo comunque a vedere, magari
per
orgoglio o per non dargliela veramente vinta.
«Magari
non sono interessata,
né a te né a cambiare opinione»,
rincarò lei, incrociando le
braccia al petto. Lanciò un'occhiata ad August, dietro le
spalle di
Jones, quello capì che era arrivato il momento di entrare in
scena o
quantomeno di far notare la sua presenza.
«Ti
dà noie?» Esordì
tranquillo, raggiungendo Emma dietro al bancone, le mani nelle tasche
dei pantaloni e l'andatura lenta. Guardò per un secondo la
bionda,
divertito, poi si rivolse direttamente a Jones, rimasto visibilmente
sorpreso della piega che stava prendendo quella situazione.
«E
tu saresti?» Si ritrovò a
chiedere come uno sciocco. Si domandò se in
realtà non fosse il suo
fidanzato o qualcosa del genere, gli era capitato di incontrare Emma
solamente tre volte, erano stati tutti incontri rapidi e lei era
sempre stata sola. Fredda, distaccata e sulle sue, ma sola. L'ipotesi
che fosse già occupata non gli era mai balzata per la testa,
e
vedere quell'uomo, lì, al suo fianco, come un complice, lo
fece
rimanere di sasso. «E' il tuo ragazzo?»
«August
Booth», rispose
quello, con un sorrisetto ironico sulle labbra, «potrei
esserlo.»
Emma alzò gli occhi al cielo e gli diede un calcetto,
nascosta dal
bancone.
«Comunque»,
affermò, quindi,
dopo aver guardato l'amico di sfuggita, «non sono affari
tuoi,
Jones». Killian serrò la mascella, la osservava
dritto negli occhi
per cercare di capire quanto di quella storia fosse vero, ma la
bionda ricambiava quell'occhiata decisa, non volendo assolutamente
dargliela vinta.
«Beh,
puoi avere di meglio»,
sentenziò l'uomo, alla fine, voltandosi a guardare August,
adesso,
sprezzante e arrogante. L'uomo gli ridacchiò in faccia,
facendo
andare Jones su tutte le furie. Gli avrebbe volentieri tirato un
pugno, proprio lì su quel naso ingombrante che si ritrovava,
così
da cancellargli quel sorrisetto infantile dal volto. Ma si trattenne,
per Emma.
Assottigliò
lo sguardo, per
circa mezzo secondo, rivolse un'occhiataccia ad August, si
voltò poi
verso la bionda salutandola con un cenno del capo prima di girare i
tacchi e uscire dalla libreria.
*
I signori
Booth l'avevano
invitata a cena, quella sera stessa, ma lei aveva gentilmente
declinato l'invito con la scusa di non sentirsi troppo bene,
promettendo ad entrambi che ci sarebbe stata senz'altro una seconda
occasione. La verità era (anche August ne era a conoscenza)
che si
era sempre sentita a disagio, nella loro famiglia, non che non le
volessero realmente bene o che non fossero brave persone, anzi, Emma
li adorava, soprattutto Marco, però li guardava, vedeva
quella
famiglia che il suo migliore amico era riuscito a trovare
nell'adozione, la famiglia che, invece, lei non era mai stata in
grado di tenersi stretta.
Si era
riscaldata, quindi, della
pasta ai quattro formaggi al microonde e aveva cenato in silenzio,
nel suo appartamento vuoto, da sola, in compagnia unicamente delle
immagini di un reality che stava mandando la televisione. August
l'aveva raggiunta, comunque, poco più tardi, senza un motivo
preciso
in apparenza. In realtà, poi, il motivo saltò
fuori: Killian Jones.
Emma si era chiesta per quanto tempo avrebbe girato intorno
all'argomento, tastando il terreno, all'inizio, per poi partire con
il terzo grado. Lo immaginava, se lo aspettava, era preparata.
«Hai
intenzione di parlarmi
dell'uomo di stamattina?» Le chiese, quindi, mentre si
buttava a
peso morto sul suo divano. Emma gli lanciò un'occhiataccia,
prendendo a muoversi da una parte all'altra della cucina, recuperando
i piatti sporchi così da poterli lavare.
«Quale
uomo?» Fece lei,
puntando a rimanere sul vago, almeno in partenza. Sapeva di non poter
imbrogliare August in quel modo, ma la verità era che non
c'era
proprio niente da dire su Killian Jones, era un uomo come tanti
–
più o meno, non c'era nessuna storia da raccontare.
«Alto,
moro, occhi azzurri che
hanno cercato di spogliarti per tutto il tempo...»
continuò
l'altro, ridacchiando appena sotto i baffi, come se la cosa fosse
incredibilmente divertente. «Non sapevo che la donna di
ghiaccio
avesse un ammiratore, avevi intenzione di dirmelo?»
«Non
è un ammiratore»,
sospirò lei, storcendo appena il naso, «Killian
Jones è solamente
un uomo che vuole aggiungermi alla sua lista di conquiste. Non
c'è
altro, davvero», ora gli dava le spalle, impegnata com'era a
bagnarsi le mani con l'acqua del rubinetto che scorreva, il sapone
sulla spugnetta e lo sporco dei piatti che veniva lavato via.
«Killian
Jones», August fece
da eco, mostrandosi pensieroso, «quindi non c'è
stato niente tra di
voi?» Emma sospirò ancora, più
sonoramente, per fargli capire di
voler chiudere l'argomento. Certe volte il suo amico riusciva ad
essere peggio di una vecchia pettegola, soprattutto quando
l'argomento erano lei e le sue questioni di cuore. Non che ce ne
fossero state troppe, comunque, nel corso degli anni. «Non
sembra il
tuo tipo, in ogni caso.»
«Mh
mh», mugugnò Emma, non
volendo assecondarlo in quella sua follia, annuendo anche appena con
il capo. Jones non era il suo tipo, no, non che lei ne avesse
realmente uno, ma in ogni caso non erano affari che riguardavano
August, soprattutto quando a lei di quell'uomo non importava un fico
secco.
«Comunque
non ti farebbe male
uscire con qualcuno», affermò l'uomo
all'improvviso, facendola
raggelare; fortunatamente continuava a dargli le spalle,
così che
non riuscisse a vedere la sua espressione scossa in pieno viso:
cominciava a stancarsi di quell'argomento, non aveva la minima
intenzione di vedere qualcuno da quando il suo promesso sposo l'aveva
piantata – quasi – sull'altare «magari
non con lui, se quello
che dici è vero, non voglio che tu soffra.» Emma
si ritrovò a
sbattere i piatti nel lavandino con forza, senza volerlo e senza
riuscire a controllarsi. Chiuse l'acqua e strinse i pugni, non si
premurò di controllare se qualcosa si fosse scheggiato o
rotto, poco
le importava. Si morse la lingua e prese a fare dei respiri profondi,
non voleva litigare col suo migliore amico, era troppo stanca per
farlo. August, però, non riuscì a interpretare
quell'atteggiamento
improvviso, si alzò dal divano con fare incerto, resto
lì in piedi
non osando avvicinarsi, prendendo a guardarla spaesato.
«Cosa?»
La bionda
alzò la mano sinistra
a fargli cenno che fosse tutto okay, scuotendo appena il capo
«Niente, August. Lascia stare», gli rispose,
riscuotendosi. Asciugò
i pochi piatti in silenzio, sentendo gli occhi dell'altro addosso per
tutto il tempo: stava cercando di capire cosa l'avesse scossa, Emma,
dal canto suo, preferiva non dover affrontare la discussione.
«Allora», fece poi, cominciando a trovare quel
lungo silenzio
piuttosto scomodo, «non mi hai ancora parlato delle tue, di
conquiste? A quante ragazze californiane hai spezzato il
cuore?»
August, per tutta risposta, incrociò le braccia.
«A
meno di quante tu possa
pensare. Ma non provare a cambiare argomento, Emma. Ho detto qualcosa
che ti ha dato fastidio, cosa c'è?»
Provò ancora, ma lei alzò gli
occhi al cielo e cominciò a camminare per la stanza, posando
i
piatti nella credenza e togliendo delle briciole invisibile dal
tavolo, giusto per far qualcosa.
«Non
c'è niente», mormorò
piano, «lascia stare.»
«No,
invece», August era
determinato a non lasciarla andare e a farla sfogare. Era sempre
stato difficile far sfogare Emma Swan, la trovava un'impresa
impossibile, ma alla fine riusciva sempre a convincerla ad aprirsi,
prendendola forse per sfinimento. «Sai che puoi dirmelo.
Riguarda
Jones?»
Emma
arricciò il naso,
guardandolo sorpresa. «Perché pensi che c'entri
qualcosa quel
tipo?» Domandò piuttosto perplessa, voltandosi
subito dopo. «Non
riguarda lui, stai sereno. E, seriamente, lascia stare, non mi va di
parlarne adesso.»
August si
decise ad avvicinarla,
le si parò davanti, la prese per le spalle e la costrinse a
guardarlo. «Emma», cominciò deciso,
«sai che puoi dirmi qualsiasi
cosa. Non devi sentirti imbarazzata se–»
«Imbarazzata?»
Ripeté lei,
scocciata. «Non sono imbarazzata, August. Mi stupisce
solamente
sentirti dire determinate cose. Non vuoi che io soffra? Bene, sono
commossa. Ma dov'eri quando Neal mi ha lasciata?»
L'uomo
rimase a guardarla in
silenzio per qualche istante. Abbassò entrambe le braccia
per
lasciarla libera di indietreggiare di qualche passo, e magari anche
di schiaffeggiarlo e se lo sarebbe più che meritato. La
verità era
che non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello che lei
potesse ancora sentirsi ferita da quell'uomo che le aveva spezzato il
cuore dal giorno alla notte, ed era vero che lui non aveva
contribuito a farla stare meglio, in quei mesi. «Io... io non
pensavo che...», Emma sorrise ironica e alzò gli
occhi al cielo,
facendo schioccare la lingua sul palato, sarcasticamente, «mi
avevi
detto più volte di stare bene!» Esclamò
alla fine, sulla
difensiva, sbagliando completamente.
«Come
potevi credere che fosse
la verità? Qualche parola mormorata dietro la cornetta di un
telefono, non ti sei mai preso la libertà di venire a
controllare
con i tuoi occhi, comunque.»
«Sai
che non potevo lasciare il
lavoro così.»
«Ma
certo, il lavoro. Prima la
nuova famiglia, poi i nuovi amici, poi la nuova conquista, poi il nuovo
lavoro. C'è sempre qualcosa che viene prima di me, non dire
di no,
sai che è così», lo ammonì
con tanto di dito indice alzato,
quando notò che stava per aprire bocca pronto a replicare.
«Io
sarei corsa in qualsiasi momento per te, se i ruoli fossero stati
invertiti.»
L'uomo
abbassò il capo,
colpito e affondato. Non poteva fare altro, Emma aveva ragione, non
poteva darle
torto su nessun fronte. Non era mai stato il migliore amico che lei
meritava, ne era consapevole lui stesso, eppure il loro legame era
incredibilmente forte per poter essere distrutto in qualche modo. Non
sapeva come replicare, si sentiva immensamente in colpa per non
essere stato in grado di starle accanto in quei mesi e sapeva di non
poter recuperare in alcun modo. Le si avvicinò piano e la
prese
semplicemente fra le braccia; Emma sgranò leggermente gli
occhi,
presa alla sprovvista, ma poggiò il capo sul suo petto e si
lasciò
stringere quel tanto che bastava. Non ricambiò l'abbraccio,
i pugni
ancora stretti e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Chiuse
appena gli occhi, per calmarsi e calmare i suoi pensieri: mesi di
parole non dette che cominciavano ad uscire dalla sua bocca senza che
potesse controllarsi. «Sai che ti voglio bene, vero? E sai
che,
qualunque cosa succeda, io tornerò sempre da te.»
Emma
sorrise amaramente,
staccandosi dall'uomo così da poterlo guardare in faccia,
gli occhi
lucidi. «Lo so, ma io non ho bisogno di qualcuno che torni,
ho bisogno di qualcuno che resti.» Gli
fece poi capire di
voler essere lasciata sola, ed August, senza replicare,
ubbidì,
attraversando la stanza e richiudendosi la porta alle spalle.
Solo in
quel momento Emma si
lasciò cadere sulla sedia più vicina, stanca e
spossata da
quell'ultimo avvenimento. Non avrebbe mai voluto dire quelle cose,
per quanto l'avessero fatta soffrire era sempre stata determinata a
tenerle nascoste. In generale non le piaceva rinfacciare le cose,
figuriamoci a farlo con il suo migliore amico! Non sapeva neanche
cosa l'avesse sconvolta tanto; il parlare di uomini, di uscire con
qualcuno, l'aveva innervosita. Era tornata a pensare a Neal –
non
che avesse mai davvero smesso, e questo l'aveva allarmata e
infastidita. Si era ritrovata a pensare a quella che era la sua
vecchia vita, con lui al suo fianco, e a quella che aveva adesso. Non
avrebbe mai perdonato quell'uomo per averle inferto quella ferita
così, senza nessun preavviso, ma era scomparso completamente
dalla
sua vita – e ne era grata, e lei non aveva nessuno da
incolpare,
nessuno su cui riversare la sua rabbia, il suo rancore. August si era
ritrovato sul sentiero di guerra, vittima e colpevole al tempo
stesso. Durante il periodo di preparazione al matrimonio, l'aveva
avvertita che non sarebbe riuscito a liberarsi e che il lavoro lo
avrebbe trattenuto; una volta saputo dell'accaduto l'aveva tempestata
di chiamate, chiamate a cui lei rispondeva fingendosi tranquilla e
distaccata. Forse per questo non era mai riuscita ad odiarlo, non si
era mai messa in condizione di farsi aiutare. O di far capire di aver
bisogno di aiuto.
Quando
avesse cominciato a
piangere neanche lo ricordava, ma adesso si ritrovava con il viso
completamente bagnato di lacrime nascosto da delle mari macchiate
ormai di mascara. Scossa dai singhiozzi, saltò leggermente
quando
sentì qualcuno bussare alla porta. Certa che fosse August
fece finta
di nulla, gli avrebbe mandato un messaggio più tardi, una
volta
tranquillizzata, chiedendogli di raggiungerla la mattina seguente in
libreria. Ma il bussare continuava, imperterrito, anzi si faceva
sempre più forte. Di nuovo scocciata per il fatto che avesse
bellamente ignorato la sua richiesta e il suo desiderio di restare da
sola, si alzò dal divano e aprì bruscamente la
porta, pronta ad
inveire contro l'amico. Quello che si trovò davanti,
però, la
lasciò come pietrificata.
Killian
Jones la osservava,
adesso, allarmato, la mano destra ancora alta pronta a picchiettare
nuovamente sulla porta. La bocca spalancata e una rughetta
preoccupata dipinta sulla fronte, un suono strano venne fuori dalla
sua gola, il principio di una parola strozzata che non ebbe il
coraggio di uscire fuori.
«Per
l'amor del cielo, Jones.
Lasciami in pace!» Urlò la bionda, spazientita,
senza perdere altro
tempo prezioso. Gli chiuse la porta in faccia senza neanche pensarci,
cadendo poi a terra poggiata contro la sua superficie. Nascose la
testa contro le ginocchia e continuò a sfogarsi, silenziosa.
Anche
Killian restò fermò, dietro la porta, come
inebetito. Provava a
metabolizzare quello che era appena successo, ciò che aveva
appena
visto: la bella, sicura e forte Emma Swan completamente indifesa
lontana da ogni suo muro. Alzò di nuovo il pugno, ma
abbandonò la
mano a mezz'aria, capendo da solo come quell'idea fosse terribile.
Non poteva sapere che soltanto una misera parete lo separava dalla
donna, così come lei ignorava completamente la sua presenza,
sicura
del fatto che fosse ormai andato via. Invece l'uomo restò
lì,
seduto a terra anche lui, la testa contro la porta. Restò
per
mezz'ora, forse qualcosa di più, così come aveva
fatto lei il
giorno prima, determinato a non volerla lasciare da sola, anche se
lei non poteva saperlo. Tornò a casa, alla fine, non appena
la donna
spense le luci dell'appartamento.
Angolo
dell'autrice: Mi domando se qualcuno si ricorda ancora di
questa storia o è ancora qui ad aspettare un aggiornamento.
Non so davvero come scusarmi per questo immenso ritardo, ma voglio
essere completamente onesta: non pensavo di aggiornare più.
Non per le poche idee o per la poca voglia/tempo di scrivere, quanto
per la mancanza di un riscontro positivo/negativo. Per farla bene mi
sono fatta due domandine, della serie: questa storia sta piacendo? Mi
sono risposta di no, quindi che motivo c'era di andare avanti?
Però mi dispiaceva, mi dispiaceva abbandonare Emma e Killian
e non sono riuscita a stare troppo tempo lontano da questa fanfiction.
Se vedrò qualche commento/abbastanza letture non
tarderò troppo ad aggiornare, promesso, altrimenti... non lo
so, non voglio lasciarla incompleta ma non voglio neanche
perderci troppo tempo a scriverla, se nessuno la legge, ecco.
In ogni caso, ho deciso di abbandonare i flashback. Magari ogni tanto
ne inserirò uno, ma sicuramente non compariranno in ogni
capitolo. Spero che questo incredibile tempo di attesa sia valso a
qualcosa e di non aver deluso aspettative; Emma e Killian cominceranno
ad avvicinarsi presto, ve lo prometto!
Fatemi sapere e a presto,
Sà
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