R.I.P.
& Play
Again
Riposa in Pace… Pausa
– una storia di
redenzione e seconde occasioni.
“When
you think the night has seen your mind
That
inside you're twisted and unkind
Let
me stand to show that you are blind
Please
put down your hands
'Cause
I see you”
"Quando pensi che la notte abbia visto ciò che hai nella
testa
Che
dentro sei contorto e scortese
Lascia
che ti mostri che sei cieco
Ti
prego, metti giù le tue mani
Perché
ti vedo"
I’ll
be your mirror, Velvet Underground
II
Backwards - Mirror
Il
funerale di Hashirama Senju si svolse in una bella chiesa
dall’architettura moderna, con tanto di coro gospel che Mito
adorava. Era stato possibile esporre il corpo nella bara aperta grazie
a un ottimo intervento di truccatori che avevano, letteralmente,
ricomposto e restaurato dei resti altrimenti troppo inquietanti per
poter essere visti da occhi non abituati a incidenti di quel tipo.
Così, una volta finita l’onoranza funebre, la
gente aveva cominciato a percorrere la grande navata centrale per
rendere omaggio a un uomo ammirevole, benvoluto da tutti grazie al suo
carattere determinato ma empatico.
Talmente empatico che il suo fantasma, o quello che poteva definirsi
tale, si era sentito chiamato lì, in quel posto, e aveva
trascinato con sé anche Madara.
Vide la moglie in lacrime e la figlia singhiozzare; anche se ormai Hana
era una donna fatta e finita, per Hashirama sarebbe sempre stata la sua
bambina. Erano lì, raccolte nel dolore, e lui non poteva
fare assolutamente nulla, o rivelare che non dovevano sentirsi
così sole perché in fondo era con loro, le vedeva
e le sentiva.
Lanciò un’occhiata a Madara che guardava la scena
con le braccia incrociate. Ovviamente della sua bara o del sentore di
un funerale non c’era manco l’ombra. Aveva tenuto
poco i contatti con la sua famiglia, tranne che per qualche
festività obbligata in cui insultava mediamente due terzi
dei parenti, dunque non c’era da meravigliarsi che,
nonostante il buon numero di Uchiha presenti, manco uno avesse pensato
di omaggiare la salma di Madara con anche solo una breve orazione e
tanti saluti.
Scrollò le spalle; non che gli importasse di ricevere
qualcosa da tutti loro: era morto, che giacesse in una cassa di ebano
extra-lusso o in un scatolone dell’Ikea poco cambiava la
faccenda, i vermi lo avrebbero mangiato comunque.
Gli interessava di più Hashirama che, per quanto meno
influenzabile dalle scosse emotive rispetto a lui, era comunque
costretto a vedere la sua famiglia soffrire e assistere al proprio
funerale: non era decisamente un bello spettacolo, nel complesso. Lo
stesso scrittore avvertiva un certo di disagio misto a un grande senso
di vuoto perché quello nella bara, in fondo, era
l’uomo che amava e loro erano su quella terra solo per un
insieme di circostanze temporanee.
Potevano toccarsi, sentirsi, ma per il resto del mondo non esistevano.
“Brutta situazione, vero? Beh, almeno questa volta siete
vestiti.”
Sussultarono, per poi voltarsi di scatto. Videro Sai, con indosso la
sua solita tunica chiara e i monili che in quella chiesa sembravano
quasi risplendere.
“Non so perché sono arrivato fino a
qui.” Ammise Hashirama.
“Per gli altri siete incorporei; non seguite più
le normali leggi della fisica, né conoscete le varie
dimensioni. Sei qui perché hai sentito la tua famiglia ed
entrambi, inconsciamente, avete percepito i ragazzi di cui vi avevo
parlato. In questo senso potete andare ovunque.”
Spiegò.
I due fantasmi
prima si guardarono, poi scrutarono la gente alla funzione, coro gospel
compreso. Ebbene sì, la notizia che i loro casi disperati
erano tra quel mucchio raccolto di probabili conoscenti li
spiazzò giusto un po’, considerando anche il clima
non propriamente allegro della giornata con cui avevano a che fare.
Sasuke si aggiustò la cravatta; Sakura lo osservava, incerta
se aiutarlo ad allentargli il nodo, mentre Naruto seduto di fianco
all’amico ebbe un brivido:
“Ehi, non hai una strana sensazione?”
“No, l’unica cosa strana qui dentro sei tu. Ora
alziamoci, è il nostro turno.” Esortò
scattando in piedi, dando un buffetto sulla spalla a Naruto,
perché sarebbe toccato a lui avanzare per primo.
Uzumaki conosceva poco lo zio Hashirama, più che altro
perché Mito era una donna abbastanza riservata e non molto
amante delle riunioni di famiglia, come se frequentando troppo i
parenti avrebbe rischiato di svelare qualche suo scheletro
nell’armadio. Però i pochi ricordi che egli aveva
del defunto erano tutti piacevoli, accompagnati dall’immagine
di un bell’uomo coi capelli lunghi e lo sguardo profondo ma
gentile.
Sarebbe stato ipocrita scoppiare a piangere anche se, sinceramente, il
giovane nipote si dispiaceva di non aver potuto parlare di
più con quello zio lontano.
Avanzò, con a fianco Sasuke e poi Sakura, apparentemente
sollevata all’idea che tra qualche giorno sarebbero usciti
con la sua amica – Hinata, come anticipato quasi fosse una
sorta di confidenza – per quanto si fosse premunita di sapere
se Naruto se la sentisse ancora, vista la perdita subita. Per lui
andava bene, no problem,
in fondo a cosa serviva pensarci su? Non poteva certo tornare indietro
e recuperare il tempo perduto.
“Chi sono quei tre che sembrano usciti dai boy
scout?” inquisì Madara, con una smorfia.
Hashirama scosse la testa: “Uno è mio nipote
Naruto e l’altro dev’essere il figlio di tuo cugino
Fugaku, Sasuke. Sei vergognoso.”
Lanciò un’occhiata a sua figlia, di qualche anno
più grande di loro, intenta a osservare i tre sfiorare la
bara. Gli si strinse il cuore. Poi sentì Madara afferrargli
la mano, in quella chiesa, davanti a tutti coloro da cui si erano
nascosti in quegli anni. Fu una sensazione strana, bella e confortante.
“Comunque dovete aiutare proprio loro due.”
Aggiunse Sai, come se si stesse inserendo in una conversazione al bar.
Gli uomini lo guardarono, incerti di aver capito bene. Madara
tornò a fissare i ragazzi intenti a tornare al loro posto,
donna dai capelli rosa compresi. Sorrise, falsissimo:
“Ah, stai scherzando, vero?”
Sai sorrise a sua volta: “No.”
Hashirama suo malgrado accennò a una risata, forse
più per l’espressione impagabile del suo scrittore
preferito, anche se l’idea di vedere uno come Madara alle
prese con persone che avrebbero potuto essere i loro figli restava
ugualmente esilarante. Per un attimo sentì il carico di
dolore farsi più sopportabile.
Dopo un istante di ripresa forzata dalla notizia, il sociopatico Uchiha
in questione concluse, con il fare sbrigativo di uno che voglia saltare
la coda alle poste:
“Beh, mi sembra che la tipa sia presa bene e gliela
darà. A Sasuke, intendo, al biondo manco da lontano. Fatto,
problema risolto. Se ne farà una ragione, buhuh, la vita
è una merda, tanti saluti e ciao. Il mare è pieno
di pesci.”
Hashirama gli girò un dito, doveva far male anche se non
poteva romperglielo.
“Madara! E tu dovresti essere uno scrittore? I tuoi libri
sono tanto toccanti emotivamente quanto tu sei un fottutissimo
schiacciasassi.”
“Ahi! Fanculo, ma che ti prende?”
esclamò l’altro con la sua voce un po’
roca.
Hashirama per tutta risposta gli mise la mano sulla nuca, affondando le
dita tra i capelli, e lo costrinse a girarsi:
“Guarda.”
Madara vide. Vide il modo in cui non Sasuke e Sakura ma Sasuke e Naruto si
guardavano. E capì, capì anche troppo bene.
“Merda.”
“Ti ricordano qualcuno?” domandò
l’illustratore, facendo scivolare la mano dietro la testa di
Madara.
Dopo qualche istante i due si voltarono verso Sai, giusto per capire
che accidenti dovessero farci con dei giovani uomini in preda a turbe
emotive di quel genere, specie conciati com’erano, visto che
sembrava avessero addosso la versione estrema del Mantello
dell’Invisibilità.
Ma… Sai non c’era più, adiós,
sparito. Li aveva anche salutati, però loro erano stati
troppo presi dalla confusione del momento per notarlo.
Madara tirò qualche parolaccia, Hashirama invece si mise a
riflettere, rendendosi poi conto che la chiesa si era quasi del tutto
svuotata. C’erano ancora Sasuke e la sua ragazza, oltre a
Naruto, intenti a incamminarsi per uscire, mentre sua moglie sostava in
piedi accanto alla bara assieme alla figlia.
Si mosse senza pensarci per raggiungerle. E nel farlo
incrociò gli occhi con Sasuke e Naruto che… lo guardarono a loro volta,
sgranando le palpebre.
I ragazzi avanzarono più per inerzia, infine si scambiarono
un’occhiata perplessa; ma, prima di girarsi per cercare di
capire se avessero subito una sorta di allucinazione collettiva, videro
anche Madara e Madara vide loro.
Quella volta si bloccarono e nemmeno lo scrittore si mosse. Hashirama
invece si era avvicinato alla sua stessa bara, in parte convinto di
aver soltanto immaginato che qualcuno lo potesse vedere, in parte
desideroso di poter stare accanto alla figlia.
“Madara?” domandò Sasuke quasi in un
sussurro. Naruto era pietrificato.
Sakura li richiamò, tornando indietro, visto che i due si
erano improvvisamente fermati e avevano l’espressione
sconvolta di chi avesse visto un… ehm, sì,
proprio un fantasma: “Ehi, tutto a posto?”
Non risposero, guardando un punto indefinito di fianco a lei.
Quest’ultima si voltò ma non notò
nulla, né capì cosa esattamente fosse successo.
Agitò una mano davanti a loro e questi la fissarono.
“Non lo vedi?” domandò Naruto, puntando
l’indice dove prima stavano inchiodando gli occhi.
Sakura per un attimo ci cascò, poi puntellò i
pugni ai fianchi, ribadendo: “E’ uno scherzo
stupido, oltre che indelicato. Non siete più bambini! Qui
non c’è nessuno.”
Prima che le cose degenerassero, Sasuke la tranquillizzò:
“Comincia pure ad uscire, noi… –
cercò velocemente una scusa – diciamo una
preghiera.”
Una preghiera.
Sakura lo guardò come se le avesse detto che avrebbe ballato
il limbo ma non commentò, limitandosi ad annuire dopo aver
sospirato.
“Poppanti.” Sbottò Madara, ritenendo
molto più plausibile l’idea dello scherzo che di
essere visto da qualcuno.
“Poppanti a chi?” sibilò Naruto, per poi
venire trattenuto da Sasuke.
Madara, quella volta, non poté fare a meno di sgranare gli
occhi.
“Mi vedete?”
“Certo che ti vediamo.”
Replicò asciutto Sasuke.
Ah, i dialoghi pieni di emozioni di due Uchiha.
A quel punto Madara tese le mani avanti per afferrare i ragazzi: fu il
primo gesto che gli venne in mente di compiere, con
l’intenzione di allontanarli e lasciare Hashirama assieme
alla sua famiglia; realizzò però
l’inutilità del farlo solo quando si mosse. Ma,
con sua estrema sorpresa, le dita invece affondarono nei loro capelli e
lui li strinse, sentendo le ciocche così pienamente da
rimanerne quasi deliziato.
“Fuori, con me.” Aggiunse e, nonostante le loro
proteste, li trascinò all’uscita della chiesa.
*
Mito guardò l’uomo che amava giacere nella bara, i
capelli castani ordinatamente disposti fino a toccare le spalle e
sparire tra le pieghe dei tessuti di raso, il volto sereno,
così bello nonostante la morte. Si portò una mano
alla bocca, come per soffocare il pianto e l’annaspare in
cerca d’aria nel tentativo di controllare la respirazione.
“Perché?” domandò sua figlia,
ormai quasi trentenne con la mano sul pancione di donna incinta.
Aveva il tono di voce duro, persino arrabbiato.
“Perché a volte la vita...” fece per
dire Mito nel tentativo di consolare la ragazza, ma
quest’ultima la interruppe.
“No, quelle sono favole. E’ destino: accade. Non
era però destino che papà si trovasse in una
stanza d’albergo con un altro uomo. Con Madara!”
Lo urlò. E la voce riecheggiò tra le navate, come
se il marmo freddo delle scale e degli altari potesse rispedire
indietro quelle note amare.
Mito, che aveva cercato di trattenere le lacrime, non riuscì
più a fermare il flusso del pianto, proprio non ce la fece;
guardò la sua bambina ormai adulta spararle in faccia la
verità che nessuno aveva osato commentare e lei si era
sentita morire, strappata dalla convinzione che quell’amore
fosse solamente suo.
Hana si morse un labbro, rendendosi conto di essere stata troppo
aggressiva, anche se... faceva così male. Ed era tutto tanto
irreale da farle credere di trovarsi in un brutto incubo, nel quale
nessuno eccetto lei affrontava le cose per quelle che erano. Lei
cercava, cercava davvero di realizzare che suo padre non era
esattamente la persona che aveva sempre creduto, ma si trovava
sopraffatta dal dolore e dal ricordo; l’idea di non poter
più chiedere spiegazioni al genitore che era stato sempre
fonte di consigli la tormentava, lasciando un vuoto enorme che a volte
riusciva ad affrontare solo arrabbiandosi. No, non aveva mai avuto il
temperamento paterno.
Hashirama, in piedi di fronte a loro ma invisibile, le
ascoltò e le vide. Vide le loro espressioni, vide
l’ira e lo spavento sul volto che tanto conosceva bene di sua
figlia e fu allora che si sentì per davvero morire.
Cercò di sfiorarle, di dire loro che potevano ancora
parlarsi, sentirsi, spiegarsi ma... rimase inascoltato e le sue mani
incapaci di afferrare quei corpi pulsanti di vita.
Le guardò stringersi in un abbraccio, accarezzare
un’ultima volta la bara e, dopo aver salutato il prete, le
scorse andar via. Avrebbero dovuto prendere accordi con le pompe
funebri per il trasporto fino al cimitero e sbrigare le ultime
pratiche, una prassi socialmente consolidata eppure difficile da
seguire lucidamente in quei casi.
Hashirama guardò un’ultima volta il se stesso di
un tempo e sentì un vago senso di nausea, trovando assurda
l’idea di essere davvero lui quello racchiuso in una cassa di
legno lucido. Chiuse gli occhi un istante e quando li riaprì
si trovò di fronte alla chiesa, in un angolo poco distante,
con di fianco Madara che stava chiaramente minacciando Sasuke e Naruto.
Sospirò.
“Siete due minorati mentali! Non so quale sia il vostro
accidenti di problema ma, davvero, a vedervi sembrate solo deficienti.
E il fatto che non siate consapevoli di tale suddetto problema mi
conferma questa teoria.”
Naruto fece per afferrargli la maglia in un ringhio di rabbia ma la sua
mano affondò nel nulla, passando attraverso il corpo di
Madara che, nel punto colpito, si disgregò in tanti
splendidi frammenti.
Sasuke, con le braccia incrociate, senza battere ciglio si
limitò soltanto a commentare gelido:
“Ora capisco perché nessuno parla di te in
famiglia. Non so di quali problemi tu stia parlando, né che
stia succedendo esattamente, quindi… vedi di girare a largo."
Prima che Madara potesse replicare, Hashirama gli appoggiò
una mano sulla spalla e disse con quel tono di voce apparentemente
calmo ma che trasudava leadership da ogni sfumatura di voce:
“Piantala ora, Madara.”
Questi strinse i pugni però tacque, fissando
l’altro Uchiha che, sì, trovava proprio uno
stronzo arrogante. Oh, chissà a chi somigliava.
“Zio Hashirama!” esclamò Naruto che, in
tutto quel casino, aveva notato qualche suo parente intento a fissare
lui e Sasuke come se fossero da internare, nonostante i due avessero
cercato di tenere basso il tono di voce. Ma al sentire quelle parole
parecchie persone si girarono, anche se evidentemente preferirono
prendere il tutto come il lamento di dolore a causa del parente
scomparso, non certo come se il poveretto avesse davvero visto
Hashirama, cosa che effettivamente corrispondeva a verità.
“Ciao, Naruto. Mi spiace che dobbiamo vederci in queste
circostanze, mettiamola così.”
Naruto tirò un sospiro, incapace di realizzare che stava
davvero parlando con lo spirito di qualcuno a cui avevano appena fatto
il funerale; Sasuke, decisamente più pratico,
specificò con tono non esattamente morbido ma sicuramente
più gentile di quanto non gli era capitato di fare con
Madara:
“Non so esattamente nemmeno perché vi vediamo,
né che ci fa qui – diede del lei in automatico
– ma noi proseguiamo per la nostra strada e voi per la
vostra, qualunque essa sia.”
“Ehi, aspetta, non essere precipitoso Sasuke, vorrei capire
perché...” iniziò a dire, ma
l’amico proruppe con un secco:
“Io no! Ora andiamocene perché la mia soglia di
sopportazione è già andata oltre il livello
critico.”
“Ecco, ciao, vattene.” Lo salutò Madara,
con un sorriso cattivo sul volto.
Stavano per cominciare altre discussioni, Sakura era in procinto di
arrivare e Madara aveva iniziato a parlare sopra Sasuke, con Naruto che
voleva a tutti i costi dire la sua.
“Piantatela!” esclamò Hashirama.
Gli altri tre tacquero, sentendosi piuttosto stupidi oltre che
infantili. Quella volta diverse persone si voltarono nella loro
direzione, mormorando qualcosa. Sakura sgranò gli occhi, le
sembrava che Sasuke e Naruto stessero litigando senza nemmeno guardarsi
in faccia.
“Forse ci rivedremo.” Disse semplicemente Hashirama
che afferrò Madara per un braccio, così da
portarlo via, anche se lo scrittore si premunì di sollevare
il dito medio verso Sasuke, il quale non replicò solo
perché sapeva che qualcuno in mezzo a tutta quella gente si
sarebbe sentito preso in causa; e vallo a spiegare a un funerale che
era tutto rivolto al suo parente mai più visto non esattamente vivo da
quelle parti.
“Chissà di quali problemi parlava...”
borbottò Naruto, scrollando le spalle mentre li vide andar
via.
Era un bel tipo Madara, un Sasuke ancora più acido e meno
controllato. Chissà se invecchiando sarebbe diventato
così anche il suo allenatore, ridacchiò
pensandolo.
Sasuke gli lanciò un’occhiataccia: “Non
lo so davvero, né mi interessa. Forse è
semplicemente frutto della nostra immaginazione.”
Anche se entrambi provavano in realtà
un’imbarazzata consapevolezza che le cose tra di loro non
erano esattamente a posto, al contrario, erano un disastro tremendo.
Solo che ammetterlo di fronte all’altro, specialmente con
davanti dei pseudo fantasmi giunti da chissà dove, non era
forse il modo migliore di affrontare la questione.
“Tutto bene? – domandò Sakura, sfiorando
il braccio del fidanzato – Stavate... litigando?”
I due si guardarono, perplessi.
“No.” Disse Naruto stupito.
Sasuke si morse un labbro: “Nulla di che, tutto
risolto.”
Poi fece un cenno rapido all’amico il quale, comprendendo che
effettivamente anche Sakura doveva averli visti interagire con
l’aria, si limitò a borbottare qualcosa.
Lei li scrutò, per nulla convinta:
“E’ che ti ho sentito dire il nome di Madara,
pensavo ti fossi arrabbiato per com’era stato trovato assieme
ad Hashirama e...”
Sasuke, a quel punto, sentì un campanello
d’allarme che proprio non comprese:
“E come è stato trovato?”
Sakura aprì un istante la bocca, poi la richiuse e con
maggiore cautela rifletté: “Pensavo te l'avessero
detto.”
Irritato, l’altro sbottò: “Evidentemente
no, altrimenti non te l’avrei chiesto – poi vide il
suo volto offeso e Naruto di contorno gli dette una manata sulla
spalla, gesto che gli avrebbe fatto rimpiangere – scusa, non
ne sapevo nulla.”
La donna sospirò:
“E’ stato trovato con Hashirama –
lanciò un’occhiata a Naruto – in una
camera di un motel. Qualcuno... qualcuno dice che non avevano i vestiti
e... oh, lasciamo perdere, sono tutti pettegolezzi; Naruto, non li
ascoltare, Hashirama era un grande uomo. Ho letto anche dei libri di
Madara, non mi hai mai parlato di lui, Sasuke.”
Fece qualche altra osservazione di circostanza, giusto per alleggerire
l’atmosfera dopo aver lanciato quella bomba. Ma Sasuke e
Naruto la ascoltavano appena, pur guardandola, con in testa
l’idea che quei due uomini non erano solo compagni di morte
ma anche di vita. Nonostante Hashirama fosse un uomo di famiglia,
nonostante Madara sembrasse allergico a qualsiasi forma di relazione...
erano due persone adulte in un motel, che forse stavano facendo sesso,
assieme, lontane dalla famiglia.
Naruto e Sasuke si sentirono improvvisamente come quei due uomini, uno
specchio di ciò che avrebbero potuto essere loro tra qualche
anno, con le bugie, le distanze, i sentimenti che non si sarebbero mai
consumati del tutto.
Persino la convinzione di Madara che avessero una qualche forma di
problema sembrò perfettamente logica e il suddetto problema
evidente.
Ma cosa potevano fare due spiriti che loro, in carne ed ossa, non erano
riusciti a compiere?
Con quella domanda in testa i due ragazzi si separarono. E si
sfiorarono, facendolo, incapaci di realizzare che entrambi stavano
pensando la stessa identica cosa.
Se solo il nostro cuore fosse capace di parlare: una valvola in grado
di sfiatare i sentimenti e soffiarli in
faccia a chi meritava di respirarli, rendendoli suoi.
*
Il ristorante era un locale dall’arredamento moderno ma non
eccessivamente lussuoso, le luci giuste che creavano atmosfera e la
musica jazz di sottofondo, calibrata in modo da non risultare
invadente. Naruto era alla seconda birra, spillata con bravura al
bancone e portata da un cameriere perplesso per quello che,
evidentemente, considerava un beveraggio grezzo rispetto agli standard
locali, corrispondenti tendenzialmente a vino d’importazione
e alcolici di levatura analoga.
Ma, come sempre, a Naruto poco importava di apparire poco sofisticato
per l’ambiente: si sentiva nervoso, nonostante la sua solita
allegria, e la cravatta che aveva cercato di sistemare proprio non
voleva saperne di evitare di soffocarlo. Allargò il nodo e
bevve un altro sorso, per poi lanciare un’occhiata a Sasuke
che, per contro, al suo fianco elegantemente immobile ogni tanto lo
fissava.
Sakura fino ad allora aveva magistralmente tenuto la conversazione del
gruppo, cercando di contenere le risposte inadeguate di Naruto,
scoraggiare la timidezza di Hinata e spronare Sasuke a uscire dai suoi
silenzi. Insomma, non erano decisamente i componenti di un dialogo da
sogno ma non stava andando poi tanto male: nonostante il funerale
recente Naruto pareva non aver perso la sua solita allegria e Hinata,
seduta di fronte a lui, lo guardava con evidente interesse, nonostante
il velo di rossore nel momento in cui il ragazzo le rivolgeva una
domanda o si interessava a lei.
Quest’ultima dopo un po’ riuscì a dire,
stringendo il tovagliolo tra le mani:
“Sakura mi ha detto che… che vi conoscete da tanti
anni tu e Sasuke.”
La voce si affievolì ma almeno non aveva balbettato, era
già qualcosa.
Naruto sorrise, portandosi una mano dietro la testa; Sasuke, al suo
fianco, si pulì la bocca con il tovagliolo.
“Beh, sì, da bambini – rispose il primo
– finivamo per giocare sempre assieme. Giocare…
Sasuke se ne stava per i fatti suoi e quando lo invitavo a partecipare
voleva fare ogni volta a modo suo. Gran belle litigate. Penso che in
un’occasione siamo pure arrivati a morderci.”
Ridacchiò, pensando a come avrebbe reagito il Sasuke adulto
se lui avesse cercato di mordergli una chiappa.
L’allenatore appoggiò un gomito sul tavolo e si
voltò verso Naruto, correggendolo:
“Punto primo, tu non mi invitavi, rompevi le scatole
finché non accettavo e ucciderti sarebbe stato troppo
complicato. Secondo, avevi idee assurde e io dovevo in qualche modo
gestire la situazione.”
“Idee assurde? Quali idee assurde? Con me il divertimento era
assicurato, altroché, ti opponevi solo per paura di farti
venire le rughe a forza di ridere, bambino serioso e
scazzato.” Incrociò le braccia, piccato nonostante
l’insulto appena rivolto all’amico.
Questi aprì di più le gambe e diede una
ginocchiata sulla coscia di Naruto, che protestò facendo
scoppiare a ridere Hinata, ma anche quando Sasuke parlò, la
sua gamba rimase lì, incapace di allontanare qualcosa di
sé dalla persona che aveva a fianco:
“Perché, cercare di costruire un razzo prendendo
la benzina dalle macchine dei nostri genitori e issarci sopra ti
sembrava un’idea normale, divertente e fattibile, razza di
stupido?”
Però, in fondo, Sasuke aveva un leggero sorriso sul volto, con tanto di finto cipiglio irritato.
“Beh, si vede che già da allora dovevo darmi a
ingegneria, modestamente.”
Continuarono per un altro po’, con Hinata che a volte
interveniva, magari coinvolta direttamente da Naruto intento a narrare
qualche loro avventura. Sakura li guardò, silenziosa;
osservò specialmente Sasuke, il modo in cui scambiava
occhiate complici con Naruto ma, soprattutto, la maniera che aveva di
osservarlo, con quei suoi occhi sempre così seri, ora
attenti, quasi dovessero memorizzare ogni dettaglio della persona che
aveva accanto. Si chiese se anche lei, in fondo, stesse guardando
Sasuke allo stesso modo.
Si morse un labbro poi, quasi con tono secco, intervenne:
“Meno male che fanno boxe assieme, altrimenti non si
sarebbero sopportati tutti questi anni.”
Lo aveva detto. Aveva lanciato una pietra in un lago che forse avrebbe
generato uno tsunami; perché nessuno dei due amava ricordare
cos’era accaduto cinque anni fa e com’erano
cambiate le loro vite. Fatto stava che c’era una grande bugia
in quella frase: Sasuke e Naruto avrebbero continuato a vedersi, ancora
e per sempre, con o senza la boxe.
Era calato il silenzio e Hinata, giustamente, non capiva.
“Oh, avete tante cose in comune.” Disse
semplicemente, per poi fissare imbarazzata il piatto.
Sasuke e Naruto evitarono di guardarsi, poi quest’ultimo dopo
essersi schiarito la voce disse:
“Sì, effettivamente…”
Arrivò il secondo, dando a tutti i presenti un gradito
momento di tregua. Naruto sentì ancora il ginocchio di
Sasuke contro la propria gamba, mai eccessivamente invadente, al
contrario, era una vicinanza spaventosamente naturale.
Guardò quel ginocchio e Sasuke fece lo stesso con la gamba
di Naruto. Incrociarono gli sguardi, per poi tornare a mangiare.
Dopo qualche boccone Sakura aggiunse, appoggiando la forchetta accanto
e poi bevendo dell’acqua:
“Dovresti invitare Hinata al matrimonio, Naruto. Siete
entrambi senza accompagnatore, magari è più
comodo per entrambi.”
Accennò un sorriso che voleva essere complice, in
realtà… non seppe bene nemmeno lei cosa fosse: si
sentiva solo spaventata, spaventata da Naruto troppo vicino a Sasuke,
anche adesso, anche a distanza di anni, soprattutto con il matrimonio
incombente che lei aveva organizzato con attenzione, cercando di
coinvolgere il suo futuro marito che sembrava fidarsi totalmente delle
sue scelte.
Non era razionale, se ne rendeva conto, ma si trattava di una
preoccupazione quasi viscerale, che le partiva da sotto la gola fino a
stringerle lo stomaco.
Naruto tossì, Hinata prima sbiancò per poi
diventare bordeaux e Sasuke le lanciò un’occhiata
in parte stupita, in parte seccata.
“Che stupidaggini – disse – possono anche
arrangiarsi da soli.”
“S-sì, non ho bisogno che Naruto mi
accompagni.” Specificò Hinata, torturandosi le
dita.
“No, credo che Sakura intendesse il contrario. Teme che mi
perda, da solo.” Ridacchiò il ragazzo, con neanche
troppo sorprendente spirito di recupero. Sentì gli occhi di
Sasuke su di sé e non capì cosa volesse
esattamente da lui; se dovesse rifiutare o se invece reputasse la
proposta di andare con Hinata la cosa più saggia da fare.
In fondo era una bella ragazza, intelligente dietro il velo di
timidezza, oltre ad avere un bel sorriso. Non era Sasuke ma
d’altronde… lui aveva fatto la sua scelta, no?
Certo, perché
tu non gliene hai mai data nessun’altra. Siete persino andati
a letto insieme ma vi siete sempre rifiutati di affrontare seriamente
la questione: stupidi e orgogliosi, ecco cosa siete!
Maledetto senso
interiore, già sono brillo e triste, non ti ci mettere pure
tu a farmi la predica.
Nel mezzo delle sue mirabolanti considerazioni con se stesso, Naruto
finì per uscirsene con:
“Massì, andiamo assieme Hinata, sarai la mia
ancora di salvezza.”
Decretò, apparentemente allegro e con la lingua che stava
cominciando a impastarsi; oh, la seconda birra era già quasi
finita. D’altronde Sasuke era spaventosamente intelligente,
no? Quindi da lui voleva sicuramente la cosa più furba e
giusta da fare, aveva agito come si doveva.
Ecco, se avesse visto l’espressione di Sasuke e letto i suoi
pensieri, forse Naruto avrebbe decisamente cambiato idea a riguardo.
Naruto, idiota, ti sei
bevuto il cervello? Perché…
Perché devi
cercare di andare avanti anche tu? Non puoi rimanere dove sei, a noi
due? Se continui ad esserci io ho ancora la possibilità di
tornare, in qualche modo.
Che egoista che sei, Sasuke Uchiha.
A quel pensiero, all’improvviso, nel tavolo vuoto di fianco
al loro comparvero Madara e Hashirama: il primo con una sigaretta che
gli cadde dalle labbra assieme alla cenere, il secondo con
un’espressione di pura sorpresa.
Perfetto. Ah-ah, che serata divertente.
*
Per
dovere di cronaca, torniamo indietro nel tempo e vediamo
dov’erano esattamente Madara e Hashirama, mentre Sasuke e
Naruto erano intenti a rovinarsi a vicenda.
Dopo
tutta la pessima faccenda del funerale e l’ancor
più disastroso contatto con le persone che, teoricamente,
avrebbero dovuto aiutare, i due si erano ritrovati a casa
dell’artista, più nello specifico nel suo studio.
Forse
Hashirama, in quel momento, aveva bisogno di qualcosa che gli
trasmettesse serenità, forse di un legame ancora saldo con
la sua vita, e la scrivania, i fogli, gli album, le illustrazioni erano
quel ricordo di cui necessitava. Seduti entrambi a terra, i due uomini
si guardarono un istante attorno, poi Hashirama si alzò e
fece per sfiorare i pennelli e le matite che usava
d’abitudine. Si sorprese quando sentì il contatto
con le setole sottili ma corpose del pennello o il legno soffice della
matita.
“Avete
un eco ancora molto forte. Per questo riuscite a toccare le persone e
gli oggetti, specie quelli che per voi hanno significato qualcosa di
importante o verso i quali mettete una certa energia; anche se tu,
Hashirama, ti senti ancora troppo in colpa per sfiorare tua figlia e
tua moglie, prima forse hai tutti questi casini da risolvere. Inoltre,
come vi ho già detto, vi trasportate dove sentite di voler
andare.”
Sai
comparve all’improvviso, seduto con le gambe incrociate su un
tavolino con sopra dei libri d’arte che sembravano essere sul
punto di cadere, sebbene non li sfiorasse nemmeno di un millimetro.
Madara
strinse i pugni: “Porca puttana, la pianti di comparire
così all’improvviso?”
I
pennelli per contro erano caduti sulla scrivania, perché
anche Hashirama aveva sussultato, in parte colto di sorpresa, in parte
segnato dalla consapevolezza che il suo immateriale subconscio gli
aveva, sperava solo temporaneamente, precluso un contatto con Hana e
Mito.
Sai
guardò Madara, gli sorrise, infine proseguì il
discorso:
“Bel
casino che avete fatto al funerale, eh?”
Continuava
a sorridere.
“Che
cazzo hai da ridere?” sbottò Madara, scattando in
piedi.
Hashirama
gli portò una mano sulla spalla, infine convenne:
“Sì, non è andata particolarmente bene
– non accennò a quello che era accaduto con la
moglie e la figlia, quasi fosse una questione esclusivamente sua
– E temo che dati i nostri pregressi non siamo esattamente un
buon esempio per quei ragazzi.”
“Al
contrario. E’ proprio perché conoscete le
conseguenze dei vostri gesti che potete essere d’esempio.
Avete capito qual è il loro problema?”
domandò Sai, appoggiando il gomito sul ginocchio e tenendo
la testa con il palmo della mano.
“Che
non si parlano. E danno per scontato di agire l’uno per il
bene dell’altro.”
Era
stato Madara a parlare e aveva guardato Hashirama mentre lo diceva.
“Ottimo.
Questa è la base. Perché non provate ad agire
separatamente?” propose il novello Caronte.
Poi,
in un attimo, scomparve. I libri ondeggiarono un istante ma non
caddero, come se ci fosse stato un soffio leggero e infine la quiete.
Hashirama
sospirò. Poi vide che Madara aveva trovato le sigarette nel
cassetto del tavolo e se ne era accesa una, nel silenzio della stanza
che, in qualche forma, calmava anche lui. C’erano le
illustrazioni dei suoi racconti, appese alle pareti e incorniciate,
infine i romanzi di Madara coi disegni di Hashirama usciti in edizione limitata; erano andati a ruba e avevano un notevole valore di mercato:
chissà perché la gente amava collezionare quelle
robe. Eppure quelle copie erano in casa di Hashirama proprio perché gliele aveva regalate Madara. Quest’ultimo si chiese
se Mito non avesse pensato di dar fuoco a tutto, dopo il funerale.
“Agire
separatamente, eh?” domandò pensoso lo scrittore,
espirando, per poi lasciarsi la sigaretta tra le labbra.
“Ti
ricordo solo che l’omicidio non è una
soluzione.” Fece presente Hashirama, neanche troppo scherzoso.
Dopo
quelle parole, infatti, si ritrovarono catapultati su delle sedie, con
un tavolo tra di loro e attorno i rumori tipici di un ristorante.
Girarono la testa di scatto e… si trovarono faccia a faccia
proprio con Sasuke e Naruto. Madara sentì la cenere cadere,
assieme alla sigaretta.
Hashirama
prese un bel respiro, afferrò la sigaretta caduta di Madara
e la affondò in un bicchiere decorativo dentro il quale
galleggiavano ninfee di plastica. Ci fu una leggera nuvoletta di fumo
ma nulla che allarmò i presenti.
Fece
un cenno a Sasuke e Naruto, sorridendo:
“Oh,
continuate pure, non fate caso a noi.”
Madara
si grattò il mento, appoggiò il gomito sulla
sedia e sorrise a entrambi, con quella faccia da stronzo psicopatico
che si ritrovava.
Sproloqui
di una zucca
Ho immaginato
un'ambientazione geografica in stile americano, con bare aperte,
precedentemente statali lunghissime e città ampie ma ho
preferito non dare eccessive impronte culturali. Per il resto consiglio
di ascoltare i Velvet Underground, esponenti di prim'ordine dell'acid
rock (acid perché la gente si calava pasticchine e acidi per
entrare in maggiore sintonia con la musica. Ahah. No, davvero, i suoni
aiutavano i trip. Visto che cose interessanti faccio scoprire, eh?).
Ddddroghe a parte, è un gruppo che mi piace particolarmente,
trovo i testi davvero significativi.
Appunto sulla figlia
di Hashirama: ho provato a spulciare in giro notizie riguardo la sua
prole ma non ho trovato un ghez, si passa direttamente a Tsunade.
Dunque ho creato il personaggio di Hana e... puppa, sostanzialmente. Se
avete un'idea della genealogia Senju più estesa di me - non
che ci voglia molto, ahimé - sarò ben lieta di
venire aggiornata riguardo l'espansione genetica di Hashirama.
In ogni caso,
finalmente il fantastico quartetto delle meraviglie si è
pseudo riunito ma... non poteva essere tutto rose e fiori, no? Cosa
succederà ora? Crollerà il ristorante con tanto
di fungo atomico? Sasuke ballerà davvero il limbo? E Sai
tirerà quattro ceffoni a Madara?
Scherzi a parte (o
forse davvero Sasuke si darà ai
balli caraibici), in questo capitolo hanno iniziato a presentarsi per
bene tutti i personaggi, i rispettivi ruoli e i relativi pensieri.
Anche Sakura ha ben donde di essere sul chi vive e protettiva nei
confronti di ciò che ama (in tante mie storie la vedo
combattiva, sempre e comunque, ma mai la classica femminuccia
stronzetta da usare come sputacchiera negli yaoi).
Nel prossimo capitolo
vedremo come i nostri due prodi Madara e Hashirama agiranno per
sbloccare definitivamente la situazione e far scoppiare davvero la
bomba... muahahah! Poi preparatevi, perché con l'ultimo i
toni saranno decisamente più... nostalgici, diciamo
così.
In attesa, vi delizio
con una fanart trovata sul web (non conosco l'autore, se per caso
capita di averci a che fare/sapere chi è linkerò
i credits aspergendo incenso) che ha l'immenso pregio di riassumere
l'espressione di Madara all'idea di avere a che fare con Sasuke e
Naruto.
<3
Alla prossima! Grazie per
quanti hanno letto (siete tanti, me commossa), deciso di
preferire/seguire/ricordare questa storia e vorranno commentare, che
sia per usarmi come sputacchiera online, o per beatificare Madara e la
sua non-pazienza XD
Ps. Nel dialogo tra
Sasuke e Sakura:
Sakura aprì un istante
la bocca, poi la richiuse e con maggiore cautela rifletté: “Pensavo te
l'avessero detto.”
Irritato,
l’altro sbottò: “Evidentemente no,
altrimenti non te l’avrei chiesto."
Ebbene, la
risposta acido-merdosa di Sasuke è la stessa che avrei dato
io. Bravo Sasuke, così ti voglio! Ecco perché
l'adoro e lo prenderei a cazzottate :3
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