R.I.P.
& Play
Again
Riposa in Pace… Pausa
– una storia di redenzione
e seconde occasioni.
“I
have love in me the likes of which you can scarcely imagine and rage
the likes of which you would not believe. If I cannot satisfy one, I
will indulge the other.”
“L'amore
che è in me è talmente grande che tu stenteresti
a immaginarlo e il mio furore ha un'intensità che tu non
puoi concepire. Se non troverò il modo di soddisfare l'uno,
darò libero sfogo all'altro.”
Kenneth
Branagh's 1994 adaptation of Shelley's novel Frankenstein.
“If
I cannot inspire love, I will cause fear; and chiefly towards you my
arch-enemy, because my creator, do I swear inextinguishable
hatred.”
Frankenstein
– By Mary Shelley
III
Forward -
Frankenstein
Sasuke
e Naruto erano rimasti bloccati a guardare un tavolino per altri vuoto,
sul quale un mozzicone di sigaretta galleggiava in una decorazione
pacchiana.
“Li
ammazzo.” Sussurrò Sasuke, in un rigurgito di
rabbia. Odiava le cose fuori controllo e improvvisate, forse
perché l’unico che potesse farlo deragliare era
Naruto.
Questi,
che a sua volta fissava il tavolo, con Madara e Hashirama che avevano
l’aria di essere due avventori al bar, lo corresse:
“Beh,
teoricamente sono
già più o meno morti.”
Ehm,
Sasuke odiava essere corretto. Specialmente da Naruto. Ma in quel
momento le questioni in sospeso erano troppe per poter dar spazio anche
alla mancanza di tatto dell’amico nei confronti di una delle
tante cose che Sasuke Uchiha detestava.
“Ragazzi?”
Li
richiamò Sakura. Il dolce era arrivato.
I
due scattarono, fissandola.
“Oh,
sì, giusto. Dessert!” esclamò Naruto.
“Il
gelato panna e fragola. Quand’è che tiri fuori
ciuccio e pannolino?” lo prese in giro Madara.
“Quand’è
che ti fai i cazzi tuoi?” sbottò Naruto
puntandogli contro il cucchiaino.
Madara
rise genuinamente, mentre il ragazzo offeso avvertì la mano
di Sasuke sul collo che, con le dita sottili ma forti, lo costrinse a
girare la testa verso il loro tavolo e non verso gli ospiti fantasma.
“Ha
problemi di collocazione mentale. Troppe randellate in testa con gli
anni producono questi effetti.”
“Scherza,
ovviamente.” Precisò Naruto piccato, affondando il
cucchiaino nel gelato per mangiarsi un boccone gigante.
Era
comunque bello sentire le dita di Sasuke sul suo collo, il modo in cui
indugiavano tra i capelli per poi scivolare giù, lentamente,
fino alla schiena, da dove si allontanarono così da
riavvicinarsi al tavolo.
Hashirama
incrociò le braccia e disse in un sussurro, rivolto a Madara:
“Sei
proprio un po’ stronzo.”
“No
– scrollò le spalle – è che
in fondo questi due mi divertono. Già li adoro.”
Sospirò,
resistendo comunque all’impulso di tormentarli.
Hinata
nel frattempo aveva sorriso, mentre Sakura si era risolta a tirare
fuori il cellulare per proporre:
“Dovreste
scambiarvi i numeri di telefono. Ve li invio per messaggio? Naruto
è impedito per certe cose.”
Lo
disse quasi con affetto ma in tutto il resto fu categorica, come se non
fossero ammesse alternative. Era una donna forte, Sakura, Naruto lo
aveva sempre pensato.
Tramite
le riflessioni del nostro biondo pugile, approfittiamone biecamente per
teletrasportarci indietro nel tempo – più per
comprendere meglio gli attuali sviluppi di trama, che per ficcanasare
nelle vite private altrui, per quanto sia sempre molto interessante
farlo: anni fa, infatti, Naruto aveva confuso per amore ciò
che in realtà era ammirazione nei confronti di Sakura. In
fondo era stato comodo ingigantire quel sentimento, per sminuire e
rendere irreale anche con se stesso tutto quello che egli invece
provava... per Sasuke.
Ben
presto fu palese che lei aveva occhi solo per quest’ultimo,
Naruto lo aveva capito persino troppo bene, anche se Sasuke non si era
mai sbilanciato eccessivamente nei confronti della ragazza. Proprio per
questo tutte le volte in cui i due finivano a letto, convinti che tanto
prima o poi tutta quell’attrazione si sarebbe spenta,
dirottata verso delle donne come accadeva a una buona parte dei loro
amici e coetanei, Naruto finiva per fare qualche battuta, sostenendo
che un giorno avrebbe fatto innamorare Sakura per soffiarla a quello
stronzetto del suo migliore amico. Ma il giorno in cui il suddetto
stronzetto se ne era arrivato con un:
Ho deciso di mettermi assieme a
Sakura e l’aveva guardato, in attesa di una sua
reazione, a Naruto era cascato il mondo addosso. Chissà per
quale stupida ragione credeva che non sarebbero mai cresciuti veramente
loro due, che non avrebbero mai dovuto fare i conti con il resto del
mondo o con il fatto che gente tipo Sasuke acchiappava inevitabilmente
il gentil sesso e persino un insofferente come lui ai legami avrebbe
finito per trovare qualcosa di stabile.
Bastardo, non mi hai neanche
dato tempo di contrattaccare.
Non
lottò. Per avere Sasuke, non Sakura. Semplicemente
perché forse Sasuke se la meritava quella vita normale,
specie dopo l’incidente, ed era tempo di passare oltre la
loro indefinita relazione. Peccato che Naruto non fosse a conoscenza
tutti gli infiniti mesi di insistenza della famiglia Uchiha, che vedeva
in quella ragazza tanto affascinante un orizzonte di
felicità per il loro figlio, il quale invece si sentiva
messo alle strette, arrabbiato per l’ottusità di
Naruto e dei suoi stessi genitori. Eppure… come poteva
deluderli, ancora, dicendo loro che l’unica persona che gli
interessava era il suo amico di sempre?
Con
questo spunto di riflessione, infine ritorniamo al nostro ristorante
evidentemente sovraffollato, a una Sakura battagliera, a Hinata vittima
inconsapevole degli eventi, a Naruto convinto di aver fatto la cosa
giusta anziché una supercazzola di dimensioni atomiche e
infine… a Sasuke, futuro sposo. Quest’ultimo
infatti stava stringendo con forza una posata. Pessimo segno. E,
soprattutto, si poneva questioni relative a sentimenti che non avrebbe
mai potuto capire, quali l’istinto femminile di dominio del
territorio: perché Sakura doveva fare così?
Perché? Cos’era quell’invadenza, quella
decisione di accelerare le cose, come se ci fosse una bomba a
orologeria piazzata sotto di loro?
“Va…
va bene.” Annuì Hinata, lanciando
un’occhiata a Naruto, come aspettandosi che questi avrebbe
avuto da ridire.
No, non va bene per un cazzo –
sbottò Sasuke – e l’idiota annuisce
pure. Con quegli altri sottospecie di Casper di categoria zeta a
guardare. Lo strozzo, così va a far loro compagnia, visto
che ci tiene tanto.
“Dai,
Sasuke, non essere geloso, il mio numero ce l’hai
già.”
Buttò
lì Naruto, facendogli l’occhiolino con aria
complice.
Sakura
assottigliò le labbra. Sasuke si voltò a
guardarlo. Nonostante tutto scoprì di aver voglia di
sorridere, per quella battuta quasi provocatoria che manifestava una
ricerca di complicità. Eppure allo stesso tempo
l’allenatore sentiva addosso un inevitabile senso di tragedia.
“Stupido.”
Borbottò.
“Già
– ammise l’amico in un sussurro, massaggiandosi il
collo mentre guardava l’avanzo del dolce – sono
proprio stupido.”
Sakura,
che aveva cominciato a parlare con Hinata del matrimonio e delle ultime
cose da organizzare, non sentì quelle parole. Ma Sasuke le
udì benissimo.
Finirono,
pagarono il conto e si alzarono, ciascuno diretto verso le proprie
direzioni. Hashirama e Madara in silenzio li guardarono andar via e si
resero conto di quanto entrambi fossero, in fondo, tristi.
*
“Allora
ci sentiamo per il matrimonio. Una settimana e ci siamo, eh?”
commentò Naruto, cercando di sorridere.
Hinata
annuì: “Già. Ci sentiamo…
domani? Se non è un disturbo, ovviamente.”
Precisò,
con delicata empatia.
“Ma
quale disturbo, figurati!” la rassicurò.
Sasuke
era rimasto in silenzio. Sakura salutò l’amica e
collega di lavoro poi, finita qualche altra breve chiacchiera, Hinata
chiamò un taxi e si allontanò, dopo essersi
scambiata anche con Naruto un bacio di cortesia sulla guancia, con il
risultato di sentirsi andare a fuoco le gote morbide.
Rimasero
loro tre. Erano sempre e solo loro tre, alla fin fine.
“Spero
che la serata ti sia piaciuta, Naruto – interloquì
Sakura – Hinata è una brava e bellissima
ragazza.”
“Sì,
l’ho visto.” Disse lui, fissandola.
Ci
fu un altro silenzio. Poi la futura sposa esortò con un
sorriso:
“Andiamo,
Sasuke? Domani devi alzarti presto per andare a lavoro e dopodomani
abbiamo la cena con i nostri amici. Devi essere in forze per
festeggiare, se vuoi arrivare vivo al matrimonio.”
Scherzò,
con quell’aria premurosa e al tempo stesso energica che
conquistava gli altri. Certo, all’idea di arrivare vivi a
fare qualcosa c’era da pensare istintivamente a Madara e
Hashirama… chissà se erano ancora dentro il
locale.
“Andiamo.”
Concordò lui, incurvandosi appena nelle spalle mentre le
mani affondavano nelle tasche.
“Hai
bisogno di un passaggio?” domandò però
rivolto a Naruto, come se si aspettasse che dicesse di sì.
Ma
questi scosse la testa, tirando su il pollice:
Eccerto,
vengo a fare il terzo incomodo.
“No,
sono a posto. Ci… sentiamo.”
“Ok.”
Non
riuscirono a dirsi di più. Si separarono, andando in due
direzioni opposte.
Quando
fu certo di aver percorso abbastanza terreno, non sapeva nemmeno
quanto, né dove esattamente fosse, Naruto calciò
un sasso dal marciapiede e urlò, con forza, gridando la sua
rabbia fino a sentire la gola bruciare. Maledisse Sasuke, il suo senso
di colpa, la consapevolezza di averlo bloccato per colpa della sua
stupidità e, allo stesso tempo, odiò la
convinzione di non rappresentare la scelta più ovvia per il
migliore amico.
Non
si erano mai detti ti amo. Avevano fatto sesso, si erano parlati di
tante cosa ma… amare, come un uomo amava una donna? No,
quello non era il loro campo. Rispetto a Sakura proprio non si potevano
avanzare pretese legittime.
Allora…
perché sentiva tutta quella tristezza addosso?
*
Hashirama
e Madara erano fuori dal locale. Quest’ultimo aveva una
sigaretta in bocca, presa da un tizio che non si era reso conto del
pacchetto che si apriva da solo; poi era bastato sottrarre un accendino
senza dare nell’occhio e via, il gioco era fatto. Poteva
quasi abituarsi.
Espirò,
per poi dire dopo aver assistito al saluto dei due:
“Bella
merda.”
“Già.”
Commentò l’altro. All’improvviso
piegò appena la testa e la appoggiò su quella di
Madara, di poco più basso di lui.
Rimasero
così un istante, finché l’illustratore
ammise, con voce leggera ma allo stesso tempo profonda:
“Non
voglio separarmi da te. Sono sempre stato parecchio fiducioso per
quello che mi attendeva oltre ma… restando qui, sospesi, mi
rendo conto che prima o poi tutto questo finirà e io
– fece una breve pausa – io potrei rischiare di
perderti.”
Non
si era mai abituato a passare così tanto tempo con Madara;
non credeva che il miracolo di averlo accanto potesse verificarsi
proprio da morto.
“Non
succederà. Finché
morte non vi separi – l’altro fece un
breve sorriso – è per questo che non ci siamo
sposati, no?”
“E’
che…”
Non
finì la frase, limitandosi a sospirare e a sorridergli.
*
Sasuke
aveva appena riaccompagnato a casa Sakura. Casa loro, a dire il vero.
Ormai mancavano gli ultimi pezzi d’arredamento, i mobili del
soggiorno erano in consegna e le pareti sapevano di vernice fresca.
Tutto perfetto, pronto per quando si sarebbero sposati.
Lei
aveva insistito affinché condividessero lo stesso tetto;
avevano dunque già più o meno convissuto
nell’appartamento di Sakura, che era più grande,
ma Sasuke ogni tanto sentiva bisogno di tornare tra le sue mura, con le
cose che ancora non aveva portato via, come le robe da boxe o le
fotografie della sua infanzia.
Anche
quella sera, nemmeno troppo sorprendentemente, aveva finito per
trasformarsi in un’occasione di lontananza, a discapito di
ciò che Sakura avrebbe voluto. Perché Sasuke, con
il pretesto che il suo appartamento era vicino a lavoro, congiunto
all’obbligo di dover andare via più presto del
solito, aveva ribadito che passare la notte nel proprio alloggio era la
cosa migliore – consapevole comunque che tra un mese quelle
mura tanto vissute sarebbero state vendute, perché era
irreale che lui potesse ancora tornarci.
Almeno
su quello Sakura era stata irremovibile.
Quando
scattò il semaforo, Sasuke ripartì.
“Ti
spiace se ascoltiamo un po’ di musica?”
Sorpreso,
il ragazzo sterzò e le ruote sferzarono la strada. Uno
dietro suonò il clacson ma il guidatore si rimise in fretta
in carreggiata, dopo aver lanciato un’occhiata di
incredulità e fastidio a chi gli era comparso al fianco
senza preavviso, tanto per cambiare.
“Hashirama!
Ancora tu? E dov’è quel cafone del mio finto
parente?”
Aveva
parlato con tono minaccioso, ogni parola era una lamata gelida. Ma
Hashirama non si lasciò certo impressionare, abituato ad
avere a che fare con i disagiati sociali. Per contro, infatti, rise:
“Madara?
– scrollò le spalle – Ah, non lo so.
All’improvviso mi sono ritrovato qui. Gli spostamenti
funzionano un po’ stranamente, sono controllati
dall’emotività.”
“Perfetto,
mi mancavano solo più i fantasmi sensibili.”
Grugnì.
Senza scomporsi, Hashirama accese il lettore MP3. Partì una
canzone pop.
“Katy
Perry?” domandò, divertito.
Sasuke
arrossì e corrugò le sopracciglia, in evidente
imbarazzo: “Non è roba mia. Sakura non sa farsi
gli affari suoi e mette le sue canzoni.”
Tutto
sommato Hashirama non cambiò canzone, limitandosi a
commentare:
“Ah,
i piaceri e i dolori della vita coniugale.”
Sollevando
un sopracciglio, Sasuke inquisì: “Puoi toccare le
cose?”
“Sì.
Se fossi stato Madara avrei aggiunto: e se voglio posso anche prenderti
a schiaffi. Ma non sono Madara, sebbene… sì,
potrei davvero prenderti a schiaffi.”
Fissò
Sasuke che, fermo al semaforo, a sua volta lo guardava, mentre Katy
Perry parlava di giungla e di ringhi. Wow, ci sarebbe stato da
spanciarsi dal ridere, non fosse che l’intera situazione era
sull’orlo del disastro e che un morto sposato, trovato a
letto con il migliore amico, gli parlava di vita coniugale.
“Ok
– disse Sasuke all’improvviso, stringendo il
volante e ripartendo – dimmi che accidenti devo fare per
farvi andar via. Chiamo un’esorcista? Un medium? Mi cospargo
di sale?”
Hashirama
trovò nostalgicamente divertente quel tono acido di parlare.
“Tanto
per cominciare potresti parlare con Naruto. Questa sera mi è
sembrato il perfetto esempio come non parlare.”
“Oh,
perché, tu lo hai fatto in vita?”
sbottò Sasuke per poi bloccarsi e ricomporsi, di nuovo fermo
al semaforo.
“Con
Madara l’ho fatto, a differenza tua. E’ con me
stesso che non ho parlato. E ho dato ascolto a quello che voleva la
società e gli altri; mi sono sposato, con una donna verso
cui provavo comunque amore, ho cresciuto una figlia, che ora ha qualche
anno più di voi, e aspetta una nipotina che io non
vedrò mai – accennò a un sorriso
– sai, ho conosciuto Madara quando ero già
sposato. E Mito era incinta.”
Mi
piace il tuo tratto. E’ malinconicamente bello.
Quelle
erano state le prime parole che Madara gli aveva rivolto, per strada,
dove all’epoca durante le fiere un giovane Hashirama esponeva
le sue opere nel tempo libero, visto che gli altri giorni lavorava per
mantenere la famiglia.
E
Madara, quel giorno, gli era sembrato una macchia
d’oscurità che aveva finito per espandersi in lui,
portandogli in realtà tanta luce. Perché se
all’inizio lo scrittore, autore già di qualche
modesta pubblicazione, sembrava solo uno stronzo arrogante e
pretenzioso, con il tempo si era scoperto una persona sensibile, con
un’emotività travolgente che mascherava tramite il
suo fare in parte scostante, in parte arrabbiato.
Hashirama
aveva finito per innamorarsi di lui.
Tutti
voi, in fondo, avrete sperimentato cosa significhi amare. Come si
può controllare, inscatolare, imbrigliare un sentimento
così forte? Non parliamo dell’attrazione
zuccherosa da romanzi rosa, ma di puro e semplice amore, forse chimico,
forse empatico. Ecco... no, non
si può controllare, né far finta che non esista,
specie se ricambiato.
Perché
anche, e soprattutto, Madara amava, in una maniera così
diretta da far capire ad Hashirama che nessuno dei due avrebbe
più potuto cambiare rotta. E a quel punto rimanevano solo
due possibilità: dire la verità a Mito e passare
il resto della sua vita accanto allo scrittore con cui aveva finito per
collaborare ormai da anni; oppure tacere, vedersi con l’uomo
che amava in qualche motel o con il pretesto dei disegni, e tenere
unita la sua famiglia, consapevole che si sarebbe alzato ogni giorno
vedendo il volto di sua figlia.
Ecco,
come potrete prevedere dall’andamento della storia, Hashirama
aveva scelto la seconda opzione, anche se Hana da adulta era andata ad
abitare con il suo futuro marito e Senju si era lo stesso trovato in
trappola, perché Mito continuava ad esistere e sembrava
sussurrargli nella testa di non lasciarla sola.
Madara
all’epoca si era incazzato e aveva rischiato di mandare tutto
a fanculo ma... alla fine, proprio perché amava
così tanto, era rimasto, accontentandosi. Quello stesso
amore di cui abbiamo parlato sopra non è un bel sentimento,
né è così positivo: chiunque vi dica
il contrario forse è solo stato molto fortunato o, magari,
è semplicemente un illuso. Proprio perché fuori
controllo l’amore finisce per fare quello che vuole, portando
a compromessi e scelte che normalmente non si farebbero, proprio quando
ci si crede invincibili, intoccabili, di fronte a frivolezze come i
sentimenti.
Madara
aveva ben ragione dunque ad essere incazzato, sentimento amplificato
esponenzialmente la sera dell’incidente satellitare.
Non
che Hashirama provasse qualcosa di diverso, semplicemente aveva un modo
diverso di esprimerlo:
“Li
ho lasciati mentendo – concluse, lucidamente –
perché pensavo avrei perso mia figlia per sempre. Sarebbe
bastato essere onesto con me stesso e non credere di dovermi per forza
sacrificare in nome di quello che ritenevo più giusto.
Così facendo ho perso il mio tempo con Madara in vita e il
resto della mia famiglia durante la morte.”
La
canzone smise. Prese al suo posto Pictures of You, dei Cure. E
Hashirama era certo che, nonostante tutto, quella fosse di Sasuke.
Il
quale, in qualche modo, dopo diversi minuti di doloroso silenzio si
ritrovò a spiegare senza nemmeno accorgersi di aver
cominciato:
“Con
Naruto non ho nulla di cui parlare. A lui sta bene così. Non
mi ha mai detto niente quando ho iniziato a uscire con Sakura, non ha
fiatato quando abbiamo iniziato a convivere, né ha replicato
quando gli ho detto che ci saremmo sposati. Nulla, non un cenno. Eppure
a ‘sto stronzo piace comunque scopare!”
Sbatté
una mano contro il volante. Aveva alzato la voce, senza rendersene
conto; anche quelle parole gli erano uscite così dalla
bocca, da sole, e lui non le aveva controllate.
“Questo
perché ti ama.” Disse con estrema
semplicità Hashirama, per poi ricevere lo sguardo
più scettico e disperato che Sasuke fosse in grado di fare,
dietro quella perenne maschera di freddezza che non riusciva proprio a
scrollarsi di dosso.
“No,
io…” cominciò ma Hashirama gli
domandò, abbassando il finestrino per appoggiare il gomito:
“Cos’è
successo, anni fa?”
Sasuke
non rispose. Rimasero in silenzio entrambi, fino a che il ragazzo
parcheggiò vicino a casa. Eppure non scese dalla macchina e
Hashirama guardò davanti a sé, in attesa. Lui
aveva tutto il tempo del mondo.
Il
guidatore si slacciò la cintura, portò la testa
contro il sedile e disse, all’improvviso:
“Una
stupidaggine. Naruto e io stavamo correndo per allenarci. Poi lui ha
attraversato la strada e una macchina che non doveva passare lo stava
per investire. Non ho più pensato: mi sono buttato per
spingerlo via. Sostanzialmente, ciò che non è
toccato a lui, è toccato a me; per fortuna il tizio non mi
ha preso in pieno ma la gamba me la sono giocata, nonostante le costole
rotte e tutto il resto.”
“Hai
detto addio alla tua carriera sportiva, in pratica.”
Anche
Hashirama, esattamente come Madara, sapeva essere spaventosamente
diretto. La differenza era nel tono di voce, così
comprensivo e umano da far pensare che fosse realmente lì,
carne e ossa, in quella macchina.
“Sì.”
Ammise Sasuke, obiettivo. Suo padre, che aveva posto tante speranze in
lui, era rimasto deluso, anche se aveva fatto il possibile per non
farglielo capire, né pesare. Dopo anni i suoi si aspettavano
che il figlio menomato almeno trovasse felicità nella
famiglia, come l’avevano ricevuta loro.
A
volte i genitori sanno essere molto egoisti nei desideri verso i figli,
proprio quando ritengono di pensare solo al benessere di coloro che
hanno messo al mondo.
La
strada era buia e silenziosa, quasi per far sentire meglio le parole di
entrambi.
“E
non pensi che Naruto possa sentirsi in colpa per questo?”
osservò Hashirama, digerendo quelle parole del passato.
“So
che si sente in colpa, dannazione! – scattò
Sasuke, mordendosi poi un labbro – ma cosa devo fare?
Continuiamo ad allenarci assieme, cerco di spronarlo a iscriversi alle
competizioni almeno locali, perché è bravo, ha
talento, e non sopporterei di vederlo ingabbiato in una stupida
palestra che frequenta come se fosse un appuntamento sul calendario,
specie per una colpa che non ha!”
“E…
questo, invece, gliel’hai detto?”
La
domanda di Hashirama rimase lì, sospesa
nell’abitacolo ordinato della macchina.
La
risposta non aveva bisogno di essere detta, entrambi sapevano
già qual’era.
*
“No!”
Esclamò
Naruto, quando Kiba gli propose di prendere un’altra birra.
Erano usciti assieme dopo lavoro, visto che tanto il ragazzo non aveva
granché da fare e di certo non aveva voglia di tornarsene a
casa, non quando sapeva che quella sera Sasuke sarebbe stato a quella
specie di addio al celibato con tutte quelle coppie allegramente
sposate o quasi, assieme alla sua futura moglie. Ma che accidenti di
addio al celibato era? Dov’erano le spogliarelliste, i
costumi a filo interdentale e tutto il resto? Lì
c’era lo zampino di Sakura, che voleva far odorare al marito
l’aria di famiglia, figli e responsabilità in un
clima allegro. Decisamente furba.
Però,
nonostante questo, l’ultima cosa che Naruto voleva fare era
proprio bere. L’altra sera era tornato a casa dopo aver
chiamato un taxi che lo aveva minacciato di morte, se solo avesse osato
insozzare la macchina con il suo vomito; effettivamente Naruto aveva
retto, forse più intimorito all’idea di pagare i
danni che per reale sopportazione, ma una volta giunto a casa si era
fiondato in bagno e aveva rigettato anche l’anima.
Per
quello, decise, doveva rimanere sobrio e non far pensare a se stesso
che tutta quella faccenda del matrimonio lo potesse ridurre a un
rifiuto umano. Poi si era sentito anche con Hinata e si erano messi
d’accordo per andarla a prendere il giorno della cerimonia,
non male, no?
Kiba
l’aveva insultato come meritavano tutti gli astemi o presunti
tali del mondo e se n’era andato fuori a fumare, assieme agli
altri amici. Così Naruto era rimasto solo al tavolo, intento
a sgranocchiare delle arachidi.
Sollevò
la testa e si vide davanti Madara, con i gomiti appoggiati sul legno e
l’aria di chi stava per mandare qualcuno a fanculo.
“Stai
scherzando, vero?” domandò infatti
l’uomo.
Chissà
perché, Naruto pensò di aver sentito comunque,
nella pelle, quel famoso vaffanculo.
“Ti
sembro uno che scherza?”
Ah,
che risposta del cazzo.
“Sì,
effettivamente sì. Sembri proprio un pagliaccio.”
Ecco,
appunto.
“Senti,
Uchiha Ipersociopatico, già mi basta dover gestire Sasuke,
non ti ci mettere anche tu. Non hai tipo da vedere i tuoi cari o tutte
queste robe qui?”
Domandò,
speranzoso, consapevole di non riuscirlo prendere a pugni ma, da quanto
aveva intuito, poter comunque ingiustamente ricevere tante botte.
Madara
finse di pensarci:
“No.
E non me ne fotterebbe ugualmente nulla. Tanto l’unica
persona che amavo è morta e ora mi trovo qui a dover avere a
che fare con una sorta di ragazzo mestruato che esce con gli amici e
non beve. Sei un insulto alla specie umana, che già di per
sé fa piuttosto schifo, immagina quindi a che livello
sei.”
“Certo
che sei proprio stronzo – ammise Naruto, fissandolo quasi con
interesse – è odio represso il tuo o proprio non
ti hanno dato affetto da piccolo?”
All’improvviso,
Madara scoppiò a ridere. Non sapeva bene perché
ma quel ragazzo si rivelava essere a suo modo imprevedibile.
“Nah,
è che mi viene naturale insultare la gente.” Si
limitò a dire, scrollando le spalle.
“Scrivi
dei bei libri, davvero. Sembri un’altra persona.”
Ammise all’improvviso Naruto. Il locale era affollato, ben
pochi avrebbero fatto caso a un tipo solitario che parlava da solo: gli
ubriachi lo facevano tutto il tempo, oltre a vomitare a raggiera.
Madara,
perplesso e quasi spaventato da quell’osservazione piuttosto
intima e maledettamente perspicace, inarcò un sopracciglio,
artigliando inconsapevolmente i polpastrelli sul bordo del tavolo. Che
strana sensazione toccare qualcosa, anche se a tratti sembrava
più un ricordo, quasi un prodotto della sua memoria.
“Scrivere
è l’unica cosa che mi riesce bene, per questo lo
faccio – attese un istante, poi domandò,
assottigliando gli occhi come se si stesse addentrando in un terreno
pericoloso – che libri hai letto?”
Così,
sorprendentemente, dialogarono di libri, di storie e di racconti. Per
la prima volta Madara sentì parlare di qualcosa di suo, di
una sua storia, da una persona che non fosse Hashirama. E fu strano,
persino sconvolgente. Arrogante e indisponente, non aveva mai letto le
belle recensioni dei lettori, né sentito dal suo agente i
dati fantastici di vendita, se non per avere conferma che avrebbe
potuto continuare a scrivere per sempre. Credeva, in fondo, di non
meritare alcun complimento, perché scrivendo rigettava nelle
righe la persona che era e lui… non si era mai reputato un
umano piacevole, come potevano dunque i suoi libri essere anche solo
minimamente belli?
Si
sentì invece sorprendentemente avvolto da quel calore,
dall’entusiasmo, e quasi stordito all’idea che
ciò che scriveva riusciva ad arrivare così in
profondità nelle persone.
Rientrarono
gli amici di Naruto. Perplesso, Kiba domandò:
“Con
chi parlavi?”
Naruto
si grattò il naso, facendo finta di nulla: “Mi
preparavo… il discorso del matrimonio.”
“Ah,
bella, ti voglio sentire. Dai, una birra prenditela!”
Il
ragazzo fece per protestare anche quella volta ma successe qualcosa di
imprevedibile: Madara lo toccò. In realtà con
l’intento di ribaltarlo dalla sedia e dargli una svegliata,
poi il tutto finì per trasformarsi in qualcosa di nettamente
diverso: senza nemmeno comprendere come o per quale strano fenomeno
fisico, lo scrittore si trovò infatti catapultato nel corpo
di Naruto.
Vide
il mondo con i suoi occhi, la gente, i suoni e gli odori. Tutto gli
sembrò tanto vivido e pieno di vita da fargli capire che, da
quando era morto, non c’era nulla di davvero reale come
quando camminava sulla Terra, scriveva, fumava e amava, amava
completamente Hashirama.
Ehi,
che stai facendo?!
Esclamò
la voce di Naruto, che gli rimbombò nelle orecchie. Il vero
proprietario del corpo poteva sentire e vedere come sempre
ma… non riusciva più a muovere un muscolo,
né a parlare. Avvertiva la presenza di Madara, un
marionettista senza fili.
E
che cazzo ne so! Ti sono entrato dentro all’improvviso!
Rise,
per il doppio senso che c’era dietro.
Kiba
lo guardò perplesso:
“Naruto?
Tutto bene?” Okay che l’amico era sempre stato
allegro ma scoppiare a ridere all’improvviso dopo essere
stato depresso tutta la sera era un po’ troppo anche per lui.
“Mai
stato meglio! – esclamò Madara attraverso Naruto
– Ordina quella cazzo di birra e non se ne parli
più!”
Ehi,
stronzo! Che cazzo fai? No, non osare farmi ubriacare!
“Wow!
– esclamò Kiba – Che
aggressività! Così ti voglio, bello
panterone!”
Panterone?
Ma che…
“Fanculo
a Sakura! Sabato mi bombo Hinata e mi fotto anche Sasuke,
già che ci sono!”
Qualcuno
nel pub si voltò.
Kiba
sollevò un sopracciglio. Ehr… sì,
insomma, Naruto più che panterone sembrava decisamente
posseduto. Arrivò la birra e gliela avvicinò,
ridacchiando. Massì, non era male essere così su
di giri.
“Ben
detto! Il mare è pieno di pesci!”
concordò, riecheggiando senza saperlo parole già
dette di recente.
“E
di puttane!” esclamò Madara nei panni del biondo,
un tempo affettuosamente simpatico, Naruto.
Un
altro, meravigliato, esclamò: “Come sei
saggio!”
No!
Ma che saggio?! Te stai fuori!
Madara
per contro trangugiò metà boccale, si
pulì con il dorso della mano e fu fantastico sentire la
birra scorrere giù per lo stomaco, anche se non era
esattamente il suo
stomaco. Ma quelli erano dettagli. Sicuramente quel complessato di
Naruto poteva beneficiare di una bella ubriacatura come si doveva.
Ordinò
un’altra birra e si finì anche quella, cominciando
a chiacchierare coi presenti al tavolo.
Naruto,
sebbene impossibilitato a muoversi in autonomia, si sentì
piacevolmente brillo e finì per trovare gradevole sentire
Madara parlare, raccontare storie, corteggiare le cameriere e insultare
gli amici che, ubriachi marci, ridevano come se stesse facendo loro il
solletico.
Madara
sentiva solo vagamente l’ubriachezza eppure... a modo suo
persino lui si stava divertendo, anche se davvero non capiva come
finisse la gente per volergli comunque parlare, nonostante si fosse
sempre impegnato per allontanarla. Non gli avevano fatto neppure il
funerale, in ogni caso. Decise che avrebbe perseguitato quel figlio di
puttana di Fugaku, contrappasso minimo per avergli sbolognato un
complessato come Sasuke.
“Allora,
tu, coso – Kiba,
dannazione, ci conosciamo da anni – Kiba!
Sigaretta! Ho bisogno di fumare!”
Kiba
rise, anche lui alticcio e incapace di prendersela per quella lieve
dimenticanza sul nome:
“Ma
dai, che dici? Da quando fumi?”
L’altro
sbatté la mano sul tavolo: “Da adesso! Devo
emanare un editto? Un concilio? Adesso.
Quindi sgancia, perché visto che comincio ora non ho
comprato le cazzo di sigarette.”
Perfetto,
no, fai pure, uccidi anche me, tanto a te che cambia?
“E
sta un po’ zitto, cazzo di suora.”
Sbottò.
“Ma
veramente non ho detto altro – replicò Kiba
– va bene comunque, dai, pigliati ‘sta paglia e
andiamo a fumarcene una.”
“Ma
prima – Madara si alzò in piedi di scatto e il
corpo di Naruto traballò un istante –
un’altra birra! Alla goccia!”
“Impossibile!
Muori prima!” replicò qualcuno.
Esatto.
Morire? Presente? Dovresti aver capito come funziona. Minchia ti
riempirei di botte!
Madara-Naruto
si portò un pollice al petto:
“Per
me nulla è impossibile! O non avete abbastanza palle per
sperare di battermi?”
L’altro
amico commentò: “Sei proprio maschio, Naruto. Mi
sorprende che Sakura non te l’abbia data e si sia messa con
quel tuo amico che sembra abbia sempre un palo su per il
culo!”
Naruto
ridacchiò e rise anche Madara.
Effettivamente
ogni tanto Sasuke sembra proprio stare per le sue.
La
risposta di Madara invece fu: “Per forza, lei è
una frigida del cazzo. Si sono trovati, evidentemente!”
Fecero
a gara per chi finiva prima la birra. E quando Madara vinse, decretando
il tutto con un sonoro rutto per colpa del quale Naruto si
sentì quasi sfondare la cassa toracica, il giovane Uzumaki
fu completamente ubriaco e ritenne che era stato persino stupido a non
aver mai sostanzialmente fumato in vita sua, cosa che
confermò quando uscì fuori dal locale e gli
accesero una sigaretta.
Colpa del frigido! Ti fa male!
– nella sua testa scimmiottò Sasuke che lo
rimproverava, quando ancora sperava di portarlo in cima alla vetta
– Che
sportivo saresti? Blahblah!
Ridacchiò
e, a sua volta, Madara rise, aspirando il fumo:
“Cerca
di proteggerti – nel dire quella frase lo scrittore
suonò spaventosamente serio, per poi aggiungere
più scanzonato – Ma tu sei un maschio alpha e un panterone. Hai dei
titoli da difendere!”
Sì, piaciono anche a
me sti titoli – si accorse di star perdendo
delle lettere per strada ma non importava - proteggermi. Bah, considerando
che l’ultima volta si è fatto investire per farlo,
direi che non è stata molto produttiva come scelta.
Gli
altri erano troppo ubriachi per interessarsi di Naruto che, tanto per
cambiare, oltre a fumare e puzzare come tutti loro d’alcool,
parlava da solo facendosi i complimenti. Kiba, nel frattempo,
vomitò sul marciapiede.
“No,
per niente produttiva. Proprio un coglione, vero?” il tono di
Madara suonò quasi... triste.
“Ehi,
coglione sarai te!” esclamò Kiba tra un conato e
l’altro.
Madara
lo ignorò.
Già
– mormorò Naruto – per quello gli devo il favore di
lasciarlo stare. Per colpa mia non può più fare a
botte.
“Boxe,
intendi?” domandò Madara aspirando, con la schiena
appoggiata al muro. Non tanto per far fare a Naruto la figura del figo,
quanto perché ubriaco com’era sarebbe caduto a
terra.
Shi, quella roba lì.
Picchiamo tutti e due, da anni. Ma Sasuke non può
più. E’ giusto che sposi Sakura e abbia una vita
normale, almeno quello glieo deo.
Si
mangiò le ultime parole.
“Ehiehi,
non farti venire la ciucca triste, cazzo! Ma sei scemo o cosa? Credi
davvero che Sasuke sia felice con Sakura? Che quel cazzo di matrimonio
sia ciò che veramente lo renda realizzato?”
“Per
me no, si vede lontano un miglio che non gli si tirerebbe manco se lei
fosse vestita da mandrillona sexy.” Commentò uno
degli amici, per poi porgere un fazzoletto a Kiba.
Io…
Naruto
non seppe che dire. Si sentì stupido, con la testa leggera,
il peso di tutte le cose non dette, l’idea terribile che
Sasuke era da qualche parte in città a festeggiare una cosa
che… che Naruto avrebbe voluto bloccare, con tutte le sue
forze.
Fanculo
al matrimonio! Fanculo a Sakura! E’ con me che devi stare,
stupido Uchiha!
Lo
disse talmente forte nella sua testa da rimanere senza fiato, come se
avesse gridato dalla cima della vetta.
“Tizio,
telefono, ora. Prendilo a Kiba, tanto è più di
là che di qua.” Ordinò Madara, al primo
ragazzo che aveva a tiro.
In
men che non si dica si ritrovò il cellulare di Kiba. Le dita
di Naruto composero istintivamente il numero, la sua testa lo sapeva a
memoria.
Cheffai?
Domandò
il ragazzo, sospettoso ma incapace di alterarsi.
Ma
non fece in tempo ad attendere una risposta, perché nel giro
di qualche secondo rispose la sua voce dall’altro capo del
telefono. La voce di Sasuke.
“Naruto?”
“Proprio
io, testa di cazzo!”
Ci
fu un attimo di silenzio.
Se
Naruto avesse potuto si sarebbe dato una testata sul muro, anche se
avrebbe pagato per vedere l’espressione di Sasuke.
“Sei
ubriaco?”
“Sì,
ma questi non sono fottutissimi cazzi tuoi –
decretò Madara, per poi aggiungere – dove
sei?”
“Naruto,
fatti accompagnare a casa. Ne parliamo domani, ti vengo a
trovar…”
“No,
parliamo proprio adesso. Non domani, ora. Ripeto: dove
sei?”
Ci
fu un altro silenzio. Naruto si sarebbe aspettato che a quel punto
Sasuke avrebbe staccato la telefonata, mandandolo a fanculo; invece,
sorprendentemente, dopo un sospiro apparentemente irritato il ragazzo
indicò il nome del locale e la via.
“Aspettami
lì. Tu e tutti gli altri che giocate alla famiglia di
Barbie.”
“Ehi,
cazzutissimo!” replicò l’amico che gli
aveva passato il cellulare. Madara, sempre nei panni di Naruto, gli
restituì il telefono.
“Anche
voi non siete male. Ci vediamo, ora… ho un conto in sospeso da
risolvere.”
Gli
altri lo guardarono ammirati: il loro amico sembrava proprio un
personaggio uscito da un fighissimo film d’azione con
sparatorie e gnocche assurde. Il ragazzo infatti se ne andò,
con la camminata un po’ traballante ma a suo modo eroica, la
sigaretta gettata via e i capelli biondi che rilucevano sotto le
insegne dei locali.
Ci
fu un istante di silenzio contemplativo. Poi, meditabondo, qualcuno
chiese:
“Sì
ma… ha pagato il pub?”
Altro
silenzio; nessuno rispose. Massì, Naruto era un figo
comunque, anche se aveva bevuto per dieci senza sganciare un centesimo.
E sembrava che il conto che lo aspettava fosse ben più
importante di quello maturato in una sbronza dettata da insoddisfatta
nostalgia.
Sproloqui
di una zucca
Eccoci finalmente al
terzo e penultimo capitolo che, lo ammetto, mi sono divertita tantissimo a
scrivere; era una bella sfida, raccontare qualcosa di così
assurdo come una possessione spirituale e renderla divertente,
sottolineando però aspetti introspettivi importanti dei
personaggi, alternando tra l'ironico e il triste. Mi auguro di esserci
riuscita.
Come avrete notato,
ogni titolo dei capitoli ha una sua ragione contestuale (anche se con
l'ultimo sarà definitivamente chiaro lo stop, backwards
etc.); Frankenstein, colui che ha dato vita alla creatura. Quest'ultimo
essere, prima fenomeno da baraccone, poi temuto e odiato da tutti, in
realtà ha una sua sensibilità, un modo di
percepire il mondo e gli altri molto più intenso di un
qualsiasi essere umano. In questo mi ha ricordato molto il nostro
Madara che, nonostante il carattere scostante, a dire il vero
è capace di amare al punto da offrire ad Hashirama la
possibilità di non disgregare la sua famiglia e di intuire
cose che magari non tutti riescono a cogliere. Non gli chiede di
scegliere e questa è una cosa che pochi riuscirebbero a fare.
Piccolo appunto: la
prima citazione appartiene a un film tratto dal libro di Mary Shelley
e, secondo me, rimane molto evocativa. Nell'originale il discorso della
Creatura è più catgorico: se non
ispirerò amore, ispirerò paura. Credo sia un modo
possibile di reagire di fronte a sentimenti che non ci piacciono.
Quanto adoro Madara,
che scende a compromessi impensabili e che ama così tanto,
ma anche Hashirama che è padre e, assieme a sua figlia,
è cresciuta anche la relazione con Madara, al punto da non
poter scindere né l'una, né l'altra; ma voglio
tanto bene anche a Naruto, con i suoi sensi di colpa, il suo amore, la
sua rabbia e la voglia un po' pazza di riprendersi Sasuke, allo stesso
modo voglio bene anche a Sasuke, che non aveva esitato un istante nel
proteggere il migliore amico e che non prova risentimento nei suoi
confronti, ma solo voglia di vederlo in alto, come meriterebbe.
Con il prossimo
capitolo, che concluderà questa pazza storia, vedremo il
confronto tra Sasuke e Naruto; infine, in base all'esito, comprenderemo
che fine faranno i nostri due fantasmini adorati. Quando giungerete
alla parola fine... consiglio di rileggere da capo, forse ci sono
dettagli che avranno un senso diverso.
Per concludere, vi
lascio con un'altra splendida immagine di Hashirama e Madara, anche in
questo caso perfetta per descrivere un Madara in preda alle affettuose
crisi di gelosia dovute alla neonata che ruberà tutte le
attenzioni di Hashirama XD E, nonostante tutto, Madara accetta per lui
di rimanere nell'ombra T_T
Che dire, grazie per
chi sta seguendo questa storia e per apprezzarla, spero che possiate
continuare a pensarla allo stesso modo sia per questo capitolo che per
il prossimo <3 Alla prossima! Grazie di cuore a coloro che la
commentano e che condividono con me i loro pensieri :3
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