World One: The One Where There Are Two Years of Silence World Three: The One With The 2 AM Phone Call
“so like, I know we broke up
and stuff but funny story, I haven’t told my family yet and they just
assumed
you’d be coming with me for [insert family celebration] and I really
don’t know
how to tell them and I know this is really selfish but I can’t break my
great
grandma’s heart like that, she’ll probably have a heart attack and–
wait what?
you’d do that for me? holy shit, I love you… wait–”
Ichigo
tamburellò con le dita sul bancone della cucina, osservando il
cellulare che
riposava sul ripiano di marmo. Era seduta su quello sgabello da circa
venti
minuti, ferma nella stessa posizione, con la guancia appoggiata al
pugno chiuso
e un’espressione tra l’irritato e il preoccupato in volto.
Come se non si
fosse cacciata lei da sola in quel pasticcio.
Sbuffò con
forza, scompigliandosi le ciocche della frangetta che avrebbe
decisamente
dovuto tagliare visto che ormai le sfiorava gli occhi, e finalmente si
mosse:
gemette esasperata, incrociò le braccia sul bancone e ci appoggiò la
fronte con
aria esausta.
Le erano sempre
piaciute le riunioni e le feste di famiglia, davvero. Il ritrovo
annuale, con
tutti gli zii e i cugini e i nonni, era sempre stato uno dei suoi
momenti
preferiti. E ora che la sua cuginetta più piccola compiva finalmente
diciotto
anni, si sarebbero riuniti tutti e avrebbero intasato un locale e…
E lei doveva
trovare una soluzione molto, molto presto.
Tesoro,
abbiamo prenotato in quel ristorante sul mare
che piace tanto alla bisnonna, mi raccomando ricordarti di dirlo a Ryo!
Già. Ryo.
Peccato che lei si fosse dimenticata di avvisare la sua famiglia
di quel piccolo, innocuo, insignificante
particolare.
Gemette ancora, stringendo
gli occhi.
Poteva farcela, non era così difficile. Era sicuramente il male minore.
(A dire
la verità il male minore sarebbe stato alzare il telefono e chiamare
sua madre
per raccontare tutta la verità, ma per qualche assurdo motivo proprio
non ce la
faceva, adesso, a darle una delusione del genere. A volte si domandava
se sua
madre non avesse davvero preferito
Ryo a lei.)
Si raddrizzò di scatto,
batté i palmi
sul tavolo, afferrò il cellulare e ne sbloccò lo schermo, che segnava
le 18:08.
Era un buon orario, no, era sicuramente già uscito da
quell’insopportabile
laboratorio. Forse.
Decise di prendere la
strada più lunga –
cercare il suo contatto in rubrica – per guadagnare tempo. Lei odiava parlare al telefono, lo
detestava, ma avrebbe avuto davvero il coraggio di andare nel locale
che
gestiva insieme al suo migliore amico per incontrarlo di persona e
umiliarsi a
questo modo? Aveva paura del buio, per l’amor del cielo, figurarsi se
sarebbe
andata ad elemosinare dal vivo l’aiuto
del sarcastico, orgoglioso, irritante ex-ragazzo.
Esitò qualche secondo con
il pollice
sospeso sopra il nome del ragazzo, mordendosi un labbro. Come facesse
sempre a
cacciarsi in certe situazioni dopo ventitré anni di vita, era un’eterna
incognita.
Fece un respiro profondo e
pigiò lo
schermo, appoggiandosi poi il telefono all’orecchio. Scese giù dallo
sgabello
con un saltino non appena sentì il primo segno che la linea era libera,
incominciando a camminare in giro per il salotto.
Al quarto squillo, una voce
ben
conosciuta rispose con un tono incuriosito: «Ichigo?»
Ma perché non rispondeva
come le persone
normali con un bel pronto? e doveva
tirare fuori così il suo nome?
«Ehm, sì, ciao, Ryo. Come
stai?»
«Bene,
tu?»
Santo cielo che orrore i
convenevoli:
«Bene, bene… ascolta, ti ho chiamato per un motivo…»
«Di
solito succede così.»
Lei alzò gli occhi al
cielo, infastidita
dopo due secondi dalla sua ironia: «Mi fai parlare?»
«Il
problema è farti smettere, non incominciare,» rise lui divertito dall’altra
parte della linea.
Ichigo dovette trattenersi
dallo
sbuffare – non capiva che le rendeva le cose ancora più difficili se la
trattava come una vecchia amica, come prima,
come se niente fosse accaduto nell’ultimo mese? – e ricominciò a
mordicchiarsi
la pellicina del pollice: «Senti, non avrei mai, mai
voluto farlo ma… cioè, lo so che ci siamo lasciati da un po’ e
tutto però, ehm, è successa una cosa divertente e… mi servirebbe il tuo
aiuto.»
Lo udì esitare, forse
preoccupato,
all’altro capo del telefono: «… ovvero?»
Lei prese un bel respiro:
«Potrei, uhm…
aver omesso alla mia famiglia
quello
che è successo tra me e te e loro potrebbero, ahm, aver dedotto
che tutto fosse normale e quindi incluso anche te nei piani
per il compleanno di mia cugina che funge anche da super riunione per
questa
estate, e ora io non saprei davvero come dirglielo visto che mancano
solo tre
giorni…»
«Okay…»
«… e lo so che è una cosa
super egoista
da chiederti, ma non posso spezzare così ora il cuore della bisnonna
Ayame,
potrebbe venirle un infarto se le dico che ci siamo lasciati nello
stesso
momento in cui pensa di rivederti e lo sai che è pazza di te, e…»
Poté giurare di sentire Ryo
sospirare
divertito, con quel tono un po’ accondiscendente che aveva sempre usato
con lei
quando la chiamava ragazzina: «D’accordo, Ichigo. verrò con te alla festa
e farò finta che tutto vada alla perfezione.»
Lei, interrotta nel suo
monologo molto preparato
ma decisamente mal interpretato, rimase incredula. Aveva immaginato di
ottenere
un secco e reiterato rifiuto, su cui avrebbe insistito un pochino per
poi
ammettere la sconfitta e pensare a qualche scusa creativa per la sua
famiglia.
Invece lui non aveva esitato nemmeno per un istante, e lei poteva
sentire il
proprio cuore ricominciare a battere impazzito.
«Da-davvero?»
«Sì,
certo. Mi sta simpatica la bisnonna Ayame, lo sai.»
Ichigo si strinse la
maglietta, incerta
su dove mettere le mani mentre saltellava per la stanza: «Ommioddio
graziegraziegraziegrazie! Sei
fantastico, non puoi capire quanto tu mi stia salvando, sai bene come
sono
fatte tutte quelle persone, aaaah non saprò mai come ringraziarti, sei
davvero
un tesoro, ti ador… »
Si bloccò all’ultimo, ben
conscia di
essere stata udita, un braccio ancora alzato in aria in maniera
festosa. Ops.
«Cioè, uhm, non volevo dire
che -»
Ryo rise appena: «Lo so, Ichigo.»
Lei cercò di ricomporsi, si
schiarì la
gola: «Ehm, ecco… poi chiariamoci che tutto ciò non vuol dire che… lo
sai.»
Se lo immaginò di schiena,
rivolto verso
la finestra che si affacciava sulla baia, mentre annuiva: «Lo so, Ichigo.»
Lei corrugò la fronte,
infastidita dal
suo essere laconico: «Sai sempre tutto tu, eh?»
Stavolta Ryo rise sul
serio, quella
risata roca e un po’ amara: «Non proprio,
ragazzina, non proprio. Mandami i dettagli per messaggio. Ci vediamo
là. Ciao.»
«Ciao…» pigolò lei a mezza
voce, prima
di sentire la chiusura della telefonata.
Esalò stanchissima,
lanciandosi sul
divano di faccia. Ora doveva fare i conti con la realtà del rivederlo e
del
dover far finta che tutto fosse come prima.
E sperò solo che alla festa
dei
diciott’anni scorresse alcol quanto non mai.
**
Ichigo si sciacquò le mani
sotto l’acqua
tiepida del rubinetto, cercando un attimo di ristoro dalla bolgia che
era
quella festa. Certo, adorava la sua famiglia, ma non poteva certo non
dire che
non fossero rumorosi. Almeno erano riusciti ad occupare la terrazza di
quel
meraviglioso ristorante, così da limitare i danni uditivi al resto
della
clientela.
Poi, che le sue orecchie
rimbombassero
dell’eco del suo cuore, quello era un altro discorso.
Ryo era… meraviglioso come
era sempre
stato, in pubblico con i membri del clan Momomiya. Aveva riso,
scherzato,
chiacchierato con tutti i componenti femminili dell’albero genealogico
e
addirittura con suo padre. Le aveva sorriso, le aveva sfiorato la
frangetta, le
aveva tenuto la mano quando era stato necessario. Pure lei avrebbe
potuto
credere, se non l’avesse conosciuto così
bene, che tutto andasse alla perfezione.
Doveva congratularsi anche
con se
stessa, non c’erano dubbi. Era rimasta incredibilmente calma e a suo
agio per
tutto quel tempo, nonostante l’ansia rombante che aveva provato dalla
sera
prima. Era, però, l’effetto che lui le aveva sempre fatto. Quando
poteva
sentirlo o vederlo vicino, nonostante il tempo passato lontani il più
possibile, inesorabilmente si sentiva ancora a casa.
Si riunì alla festa, e lo
vide seduto al
tavolo a chiacchierare con sua madre, che le fece cenno di raggiungerli
non
appena incrociò il suo sguardo. Ichigo fece un respiro profondo e
sorrise, la
mano che lui le posò in vita quando gli si affiancò che la fece tremare
piano.
«Avete qualche piano per le
vacanze,
ragazzi?»
«Ancora non lo sappiamo,»
rispose veloce
lui, «Dipende dalle ferie che proverò a prendere, stiamo ottenendo
risultati
importanti in laboratorio e sono momenti un po’ complessi.»
Ichigo avrebbe giurato che
non fosse una
bugia.
«Oh, ma io spero di sì,
caro,» continuò
sua madre, «Ti meriti di rilassarti, in fondo. Siete sempre andati in
giro così
tanto!»
«Vedremo, mamma,» cercò di
tagliare
corto lei.
Ryo le picchiettò con un
dito la
schiena: «Ti va di ballare?»
Lei si irrigidì ma annuì,
lasciandosi
portare verso un angolo della terrazza.
«Scusami,» iniziò lui,
mettendole le
mani sui fianchi ma tenendo le braccia rigide, un minimo di distanza
tra i loro
corpi, «Avevo bisogno di staccarmi un attimo dalla gente.»
«No, hai fatto bene,»
Ichigo gli
intrecciò le braccia dietro al collo ma rimase anche lei impostata,
sentendosi
come una di quelle teenager americane al primo ballo della scuola. «Non
ti ho
ancora ringraziato per -»
«Non fa niente, te l’ho
detto. Mi ha
fatto piacere rivedere tutti.»
«Significa molto per me,
sul serio. Mi
hai salvato la serata.»
«Dovrai dirglielo in ogni
caso, prima o
poi. Continuare a mentire non porterà a molte cose buone.»
Ichigo si arrischiò ad
alzare lo sguardo
verso di lui, il profilo illuminato dal riverbero della baia sotto di
loro: «…
immagino che tu abbia ragione.»
«Io ho sempre ragione.»
«Esagerato.»
Ryo sbuffò divertito, la
strinse un po’
di più mentre continuavano a ondeggiare pigramente in un cerchio
accennato. Lei
si lasciò guidare, guardandosi le punte dei piedi, le guance accaldate
non solo
dal sole estivo.
L’aveva detto lei stessa
che non avrebbe
voluto dire niente, tutto quello. Non importava quanto stesse
scavalcando i
paletti che si era imposta, erano ancora lì.
E pensare che al telefono
le era quasi
scappata una frase che fino a poco tempo prima era al centro delle loro
dispute: lei, che non si lasciava andare, che ancora non era convinta
dopo due
anni, che ancora si tirava indietro.
«Ryo?»
«Mmmh?»
«Credi che…?»
Il ragazzo si staccò da
lei, guardandola
negli occhi: «Non credo, Ichigo. Non credo.»
Lei annuì, impreparata a
sentire il
cuore crollarle nel petto ma conscia che una parte di lei non aveva mai
dubitato di quella risposta. Non se l’era mai meritato, e lo sapeva.
Ryo le accarezzò i capelli
all’indietro,
prendendole il volto tra le mani: «Meglio che vada, ora. Tra tre giorni
parto,
e devo finire di sistemare un po’ di cose.»
Lei annuì ancora,
inclinando appena la
testa per godersi l’ultima volta quel contatto: «Grazie ancora.»
Il ragazzo le sorrise, le
lasciò un
bacio in fronte, poi si staccò da lei, le mani in tasca: «Good
luck, kitty cat. See you around.»
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