Afferrerò
la tua mano e non la lascerò andare mai più.
Non
desidero perderti.
Ti
terrò stretto a me finché avrò respiro.
I
bagagli di tutta la crew e degli artisti aspettavano di essere
caricati sui bus ed erano accatastati sul piazzale del parcheggio
dell’albergo. La maggior parte dei pullman era arrivata e
qualcuno
aveva già cominciato a portare via qualche valigia, alla
spicciolata, mentre voci ed ordini si rincorrevano disordinatamente
tra le persone che si affaccendavano per la partenza.
Brian
sedeva svogliato sul proprio trolley, un paio di occhiali neri
giganteschi a coprirgli gli occhi e, quasi per intero, il viso.
Nonostante quelli, i suoi tratti scavati ed il pallore cadaverico
della pelle risultavano esaustivi del suo stato fisico e mentale dopo
il trip
della notte prima.
Si
era addormentato tra le braccia di Stefan subito dopo aver finito di
scopare. Non aveva veramente voglia,
all’inizio, ma aveva pensato che l’altro lo avrebbe
mandato via,
altrimenti, e aveva ancora meno voglia di tornare a dormire nella
propria stanza, tra lenzuola che avrebbero puzzato del sesso
consumato con una groupie senza nome.
Quel
mattino, svegliato dal senso di nausea, era corso in bagno a
vomitare. Stefan lo aveva seguito più lentamente,
scrutandolo dalla
soglia del bagno, e il suo atteggiamento compassionevole aveva urtato
i nervi di Brian molto più della pessima nottata.
Così gli aveva
urlato contro per tutto il tempo che ci aveva messo a recuperare i
propri vestiti ed a rimetterseli addosso – adesso
non avrebbe neanche saputo dire di
cosa, esattamente, lo
avesse accusato – e
poi si era precipitato nella propria stanza per afferrare gli oggetti
e gli abiti sparpagliati in giro e lanciarli nelle valigie.
Stefan
gli si teneva prudentemente a distanza. Brian aveva spiato di
sottecchi il bassista un paio di volte. Steve aveva provato
inutilmente a strappare ad entrambi una spiegazione su quanto fosse
accaduto e sul perché quel mattino non si parlassero
neppure. Alla
fine era stato Levi a trovare un modo per ridurre la tensione che
avvertiva nell’aria, coinvolgendo il bassista ed il
batterista in
un’animata discussione a tre che portava fino a Brian
l’eco delle
loro risate.
Si
strinse arrabbiato nel proprio giubbotto.
Non
si accorse neppure di David Bowie quando gli si avvicinò.
L’uomo
gli arrivò alle spalle silenziosamente, ma lì si
fermò e
tossicchiò discreto per richiamare la sua attenzione. Brian
sollevò
il volto per vedere il viso dell’altro incombere su di
sé; quindi,
si voltò di scatto.
-Buongiorno.-
salutò con un sorriso il più anziano. Se si era
accorto delle
condizioni fisiche di Brian, fu bravo a mascherarlo.
Brian
annuì, perplesso, in risposta. Credeva che Bowie fosse
ancora
arrabbiato con lui dopo la cena a Lione, ma sul viso
dell’uomo non
c’era ombra di rancore, solo la quieta accoglienza che Brian
aveva
imparato a conoscere bene.
-Volevo
chiederti se ti andava, invece di viaggiare con gli altri sul
tourbus, di accompagnare me ed Eno.- continuò Bowie fingendo
di non
essersi accorto del mancato saluto dell'altro.
Brian
sforzò un sorriso che apparve più come una
smorfia.
-Mi
va di dividere lo spazio con Eno, quanto può andarmi una
seduta dal
dentista senza anestesia.- scoccò lapidario, stringendosi
ancora di
più nel giubbotto come a voler ribadire la propria
intransigente
presa di posizione.
Si
pentì dopo dieci secondi di averlo detto ad alta voce.
Nell’esatto
momento in cui si ricordò che questo era il primo scambio di
battute
che aveva con David Bowie dopo la frettolosa chiusura della loro
serata a due. Sperò, quindi, di non aver aggravato troppo la
propria
posizione visto che, ancora una volta, il più anziano si
stava
mostrando anche il più maturo tra loro, offrendogli una
rapida
conciliazione che gli permettesse di mantenere intatto il suo
orgoglio viziato. Invece di apprezzare i gesti di Bowie, Brian finiva
per passarci su con un’arroganza che, presto o tardi, gli
sarebbe
costata carissima.
Lesse
le medesime considerazioni nell’indurirsi dello sguardo
dell’uomo.
Per un minuto o due si aspettò che lui gli voltasse
semplicemente le
spalle e tornasse da dove era venuto, senza neppure degnarlo di una
risposta. Se lo sarebbe meritato. Invece, non successe, anche se la
voce di Bowie, quando parlò di nuovo, suonò molto
più impostata,
fredda e metallica di quanto l’avesse mai sentita.
-Possiamo
rimediare a questo.- concesse. Gli costò un po’
farlo, Brian lo
capì dalla difficoltà con cui
pronunciò quelle semplici parole.-
Manderò Jeff a chiamarti quando saremo pronti a partire.
Porta con
te lo stretto indispensabile, il resto potrà arrivare con
gli altri
bagagli.- lo istruì.
Non
gli chiese di nuovo se avesse intenzione di viaggiare con lui. Brian
intuì che lo desse per scontato, dopo che aveva acconsentito
al suo
capriccio di lasciare “a piedi” Brian Eno. Per cui
s’impose di
starsene zitto per evitare di tirare troppo una corda che sembrava,
comunque, sull’orlo della rottura.
Jeff
venne a chiamarlo poco prima che Stefan, Steve e Levi si imbarcassero
su uno dei tourbus. Il bassista gli lanciò
un’occhiata da lontano
mentre Brian si alzava e recuperava il manico del trolley, la domanda
muta nei suoi occhi era sufficiente ma il cantante fece finta di non
vederla e voltò loro le spalle, seguendo a passi svelti
l’autista
di Bowie verso la limousine nera parcheggiata davanti
l’uscita
dell’Hotel.
Quando
entrò nello spazio confortevole dell’abitacolo,
scrutò con
apprensione intorno a sé per assicurarsi che,
effettivamente, Eno
fosse stato lasciato indietro.
David
Bowie, seduto sul sedile di fronte al suo, se ne accorse e rise
piano.
-Possiamo
permetterci una seconda limousine.- annunciò divertito.-
Anche se,
sicuramente, non stai facendo nulla per risultare simpatico ai miei
amici.- lo redarguì.
-Neanche
loro per stare simpatici a me.- ritorse Brian spiccio, rilassandosi
contro il sedile.
Si
sfilò di dosso il giubbotto con gesti accorti. Nonostante
l’auto
fosse enorme,
trovava comunque scomodo operare quei movimenti all’interno
dell’abitacolo. Quando si voltò, dopo aver
sgraziatamente
appallottolato l’indumento in un angolo del sedile, sorprese
David
Bowie con gli occhi ancora fissi su di lui ed un’espressione
intensa che non tardò troppo a classificare.
L’uomo
più anziano lo
desiderava.
Brian
comprese in un flash come tutte le proprie preoccupazioni al riguardo
fossero state inutili; l’altro lo trovava sufficientemente
attraente da studiare con attenzione ed ingordigia anche i suoi gesti
più ordinari e privi di implicazioni. Semplicemente, il
controllo
che Bowie esercitava su di sé andava ben oltre quello di
chiunque
altro Brian avesse cercato di sedurre.
…ma
c’era da dire che con lui non si era neanche impegnato
troppo,
considerò con un
sorrisetto soddisfatto.
Quella
scoperta cancellò in fretta il disagio che
l’incontro con la
groupie di Bowie della notte prima e il litigio con Stef di quel
mattino avevano creato. Si sentì improvvisamente e
nuovamente sicuro
di sé e, in qualche modo, padrone della situazione. Il
gioco tornava nei suoi schemi.
Nel
rilassarsi nuovamente contro il sedile, Brian assunse volutamente una
posa molto più sfacciata, allungando il corpo magro contro
la pelle
morbida dello schienale e della seduta e quasi stendendosi nel
poggiare la schiena contro la fiancata dell’auto.
Gli
occhi dell’altro non lo lasciarono un secondo.
-Perché
mi hai chiesto di accompagnarti?- mormorò Brian, allargando
il
proprio sorriso, in tono basso e morbido.
David
focalizzò la propria attenzione su di lui, traendosi da
quella sorta
di stordita trance in cui l’idea
di lui lo aveva
improvvisamente fatto scivolare. Si diede mentalmente dello sciocco,
perché era chiaro dal cambio di atteggiamento del
più giovane che
Brian era perfettamente consapevole di ciò: stava
letteralmente
“facendo le fusa”, adesso. E solo fino ad un
momento prima,
sembrava più pronto a sfoderare artigli e graffiare come era
già
accaduto alla loro cena. Si voltò ad armeggiare con il
mobile bar
nascosto all’interno dell’auto. Allargò
un tavolino nascosto che
si frappose tra i due sedili contrapposti e vi posò sopra i
flute di
cristallo in cui versò generosamente un vino bianco italiano
che
Brian non aveva mai sentito nominare prima.
-Assaggia.
E’ un regalo di un mio ammiratore, me lo hanno consegnato
quando
siamo stati a Bologna.- invitò porgendogli uno dei bicchieri.
Brian,
sinceramente incuriosito, dimenticò per un attimo la propria
recita
e si sollevò a sedere composto, allungando le dita a
catturare il
flute. Prima di bere inspirò a fondo l’aroma
raffinato del vino,
avvertendolo pungente e forte già a quel primo
“assaggio”. Il
vino si rivelò molto più intenso di quanto Brian
avesse percepito,
con un gusto deciso anche se fine e dissimile da qualunque altro
bianco avesse mai assaggiato prima.
-Falanghina.-
lo presentò David, accostando poi il calice alle proprie
labbra.-
Una meraviglia.- aggiunse, contemplando soddisfatto il bicchiere dopo
aver sorseggiato il vino a propria volta.
-Non
è originario del bolognese…
-No.-
annuì Bowie riportando su di lui la propri attenzione.-
E’ un vino
della Campania, sud dell’Italia. Il mio ammiratore viene da
lì; è
lui a produrre il vino.
Brian
sorrise, divertito.
-Hai
ammiratori molto interessanti!- fece notare.
Bowie
ricambiò il suo sorriso. Appariva leggermente più
rilassato di
quanto non fosse sembrato quando aveva rivolto a Brian il proprio
invito ad accompagnarlo. A quella considerazione, il più
giovane si
sentì istintivamente sollevato – dispiacendosi
un po’ per la facilità con cui si lasciava
condizionare dall’umore
dell’altro.
-L’adorazione
delle folle è qualcosa di inebriante, te ne accorgerai in
fretta,-
iniziò pacatamente David, catturando in meno di un istante
l’attenzione di Brian.- ma è quando arrivi ad
interessare persone
raffinate, colte e che possano tranquillamente tenerti testa, che ti
senti davvero realizzato. La consapevolezza di suscitare
l’ammirazione di uomini straordinari, ti fa sentire a tua
volta
fuori dal comune.
-Non
sono neanche sicuro che riuscirò mai a provare una simile
sensazione.- ritorse Brian con pacatezza.
Non
c’era risentimento nella sua voce ed anche la quieta
malinconia che
la colorava era, in fondo, troppo stemperata per allarmare davvero
Bowie. Si disse che stava semplicemente aggiungendo un tassello in
più ad un puzzle complesso: la fragilità emotiva
e l’insicurezza
di fondo, che aveva avvertito nel ragazzo la prima volta che si erano
incontrati e parlati e che, da allora, era stata una piccola costante
di sottofondo nella sua percezione dell’altro, non era
fittizia.
-Ti
ho osservato in questi giorni.- ribatté David senza enfasi.
Si
allungò a riempire nuovamente il bicchiere di Brian e lui
ringraziò
con un cenno del capo.- Vi
ho osservati.- corresse con un breve sorrisetto che fece ridacchiare
anche il ragazzo.- Siete una formula complessa e per questo non
attirate la simpatia di tutti, ma siete una formula che funziona.
Brian
osservò il proprio vino ruotare delicatamente nel flute,
oscillando,
poi, al movimento morbido dell’auto sull’asfalto.
Considerò che
Jeff era un ottimo autista.
-Questo
può voler dire sia che pensi che avremo un grande successo,
sia che
pensi che accadrà l’esatto opposto.-
affermò quietamente,
sollevando di nuovo gli occhi sul proprio interlocutore.
David
scosse la testa.
-No.
Questo vuol dire che penso che avrete una carriera tutt’altro
che…semplice o lineare, ma sicuramente avrete qualcosa da
dire e
avrete più di una persona disposta ad ascoltarvi.
-Eno
non la pensa come te.
-Eno
vi sottovaluta.- ammise David tranquillamente.- Ed io credo che si
sbagli.- aggiunse, sorseggiando poi quanto restava del vino nel
proprio bicchiere.
Brian
sorrise scettico, ma non ribatté ed accettò il
sottile complimento
insito in quel commento con un grazioso cenno del capo, che
strappò
al più anziano uno sbuffo divertito.
“E’
quando susciterai l’ammirazione di uomini straordinari, che
ti
sentirai davvero realizzato”.
La
sua camera di albergo ad Amnéville era di fianco a quella di
David
Bowie.
Brian
lo seppe nel momento in cui, scortati da Jeff e da un valletto in
livrea blu, arrivarono all’ultimo piano dell’hotel
e lui fu
salutato da un sorridente Bowie che si fermò davanti la
porta
esattamente quattro passi dopo quella che il valletto in livrea aveva
cerimoniosamente aperto per Brian stesso.
-Cenerai
con me, questa sera?- chiese il più anziano.
Era
una domanda solo fino ad un certo punto. Brian intuì che il
cambiamento percepito nei modi dell’altro era
più…stabile di
quanto avesse ritenuto sulle prime. Evidentemente, nel chiedere che
Eno fosse allontanato aveva esaurito del tutto la riserva di pazienza
di David Bowie. Ne prese mentalmente nota.
-Certo.-
acconsentì docile, prima di spingere il battente della
propria
camera e scomparirvi all’interno.
La
sua camera di albergo ad Amnéville, oltretutto, era una
suite.
Non
lussuosa come avrebbe potuto desiderare, ma decisamente più
di
quanto lo fossero state le precedenti stanze di cui aveva usufruito
nel corso di quel pezzo dell’Outside Tour.
La
porta d’ingresso dava su un salottino le cui vetrate
affacciavano
direttamente sul giardino e sul parco termale di cui l’hotel
era
fornito. Fuori c’era la neve e questo rendeva il paesaggio
meno
interessante di quanto Brian avrebbe gradito, per cui si
stancò in
fretta di contemplare gli alberi innevati e si limitò a
chiudere le
tende per evitare che il sole inondasse la stanza. Passò,
quindi, ad
ispezionare la camera da letto, che era ampia, leggermente spoglia e
dotata, tuttavia, di un bagno con vasca idromassaggio di marmo bianco
abbastanza ampia da contenere facilmente due persone. Quando
rientrò
nella stanza da letto per sistemare i bagagli, Brian scoprì
l’esistenza di un’altra porta, chiusa a chiave.
Valutò la
collocazione del battente per concludere che si trattava quasi
certamente di una porta comunicante con la camera di David Bowie.
Registrò
anche quella informazione, accantonandola subito dopo insieme con il
brivido che aveva avvertito percorrergli la schiena a quella
consapevolezza.
Peraltro,
non aveva ancora stabilito esattamente come comportarsi arrivati a
questo punto.
La
discussione avuta la sera prima con la groupie di Bowie gli aveva
lasciato un gusto amaro attaccato al palato. Da una parte, sentiva
forte l’impulso di ribellarsi al suo primo istinto ed a
quello che
aveva implicitamente ammesso con lei: ossia di essere disposto a
qualsiasi compromesso pur di compiacere il suo…patrono?
Dall’altra
parte, il suo “io” più genuino gli
confidava, dolcemente, che la
propria attrazione per l’uomo era più sincera di
quanto non
volesse lui stesso ammettere.
Sbuffò
la propria insoddisfazione. Ritto al centro della camera da letto,
spostò nervosamente lo sguardo dalla valigia abbandonata sul
materasso alla porta aperta del bagno.
Mancavano
circa tre ore per la cena, giudicò con un’occhiata
all’orologio
al proprio polso. Non aveva modo di sapere dove fossero Stefan, Steve
e gli altri, arrivando non aveva neanche visto i bus del tour e
potevano tranquillamente trovarsi in un diverso albergo. Lui aveva
ben poco da fare se non riposarsi e, poi, prepararsi per scendere a
cena con Bowie.
Stabilì
che, per prima cosa, aveva bisogno di un bagno.
Sulla
vasca erano sistemati tre diversi flaconcini. Uno conteneva sali da
bagno delicatamente profumati, il secondo ed il terzo saponi con base
termale ed essenza di talco. Gli ricordarono sua madre. Sparse il
contenuto della boccetta con i sali sul fondo della vasca di marmo,
aprendo, poi, l’acqua e regolandone la temperatura. Mentre
aspettava che il livello si alzasse, tornò in camera e si
mise a
rovistare nella propria valigia, indeciso su cosa indossare.
Tornò
in bagno senza aver preso nessuna decisione, ma con
un’angoscia
latente e fastidiosa localizzata al livello dello stomaco. La carezza
morbida dell’acqua attorno al suo corpo lenì in
parte quelle
sensazioni spiacevoli.
Brian
si lasciò sprofondare nel profumo dei sali, distendendo il
corpo
nello spazio ampio della vasca e scoprendo con piacere che il bordo
inclinato della stessa gli permetteva di reclinare completamente la
testa e chiudere gli occhi, lasciandosi cullare dal tepore del bagno.
“Quando
susciterai l’ammirazione di uomini
straordinari…”
Bowie
lo ammirava?
Glielo
aveva detto fin dal loro primo incontro. Brian, allora, aveva creduto
che fosse un modo come un altro per lusingare la sua vanità
e farlo
cedere più facilmente alle avances dell’uomo. Ma
poi non c’erano
state vere avances a cui cedere.
Il
comportamento del più anziano lo disorientava. Come si era
accorto
già in macchina, David Bowie lo voleva con la stessa
– e forse
maggiore – forza e determinazione con cui Brian desiderava
lui, ma
non faceva assolutamente niente per dare seguito al proprio desiderio
ed, anzi, sembrava tenerlo a distanza proprio per impedire a se
stesso di cedervi. Brian dubitava che la ragione fosse da ricollegare
ad una qualche forma di…rispetto per lui. C’era
qualcos’altro.
Qualcosa che, cominciava a credere, sfuggiva anche all’altro.
E
lui? Lui aveva creduto che il loro fosse un semplice “accordo
commerciale”. Un accordo che trovava vantaggioso sotto
innumerevoli
punti di vista e senza che la sensazione di essere trattato come una
puttana qualunque intaccasse più di tanto i vantaggi che
quella
transazione presentava. Ma poi c’era stata il distacco che
David
aveva preso da loro…da
lui. E c’era stato
lo spazio che aveva dato loro durante il tour e la decisione di
mandare Levi ad aiutarli. C’erano i complimenti che gli aveva
ribadito in auto quel giorno… C’era perfino il
modo in cui gli
somministrava consigli, abilmente mascherati sotto forma di aneddoti
sulla propria vita giusto per essere certi che Brian non reagisse
arroccandosi su posizioni intransigenti ed infantili.
Ah
sì. C’era, anche, quella pazienza nel maneggiare i
suoi scatti
d’ira.
Prese
fiato profondamente.
Quando,
la notte prima, la ragazza gli aveva detto di essere l’amante
di
Bowie era stato geloso.
Non
era un discorso prettamente romantico, non si aspettava di essere
“l’unico”, tanto più che
l’altro era sposato da tempo con
una donna di cui era pazzamente innamorato.
La
sua gelosia era stata esclusivamente per le attenzioni che lei poteva
aver ricevuto, per quel suo “David
ha detto loro che io posso andare dove voglio”
che implicava la posizione di preminenza che lei aveva solo per il
fatto che lui la degnava della propria attenzione.
Brian
cos’era? Bowie lo aveva imposto ad Eno e lui ed i Placebo
erano nel
baraccone dell’Outside. Ma altri gruppi erano lì,
altri artisti
seguivano Bowie e per ragioni esclusivamente connesse alle proprie
abilità. Brian no. Nel modo in cui Eno lo guardava, ogni
volta che
faceva tanto da avvicinarglisi, era chiaramente scritto che la
ragione per cui si trovava lì non aveva niente a che vedere
con il
suo talento, vero o presunto che potesse essere. Il produttore li
trattava…lo
trattava esattamente come la puttana che Brian sapeva di essere
ritenuto, da lui e, probabilmente, da tutti gli altri.
In
tutto questo, non essere neanche presi in considerazione da Bowie
aveva un che di esilarante e ridicolo!
Si
alzò a sedere di scatto. Nuovamente innervosito.
L’acqua era
diventata quasi fredda e Brian si lavò in fretta, con gesti
nervosi,
desiderando uscire da lì il più in fretta
possibile. Tornò in
stanza avvolto nell’accappatoio. Non ci pensò
troppo, stavolta,
afferrò dalla valigia jeans neri ed una maglietta attillata
dello
stesso colore, li indossò rapidamente e passò
nuovamente nel bagno
portando con sé la trousse di trucchi da cui non si separava
mai.
Nel
fissare la propria immagine riflessa allo specchio, non si piacque.
Aveva sul viso i segni evidenti della notte prima, dell’ansia
nervosa che lo pungolava adesso e dell’indecisione in cui
quello
stato di cose lo gettava. Incanalò l’astio che
provava per sé e
per il proprio riflesso fino a sostituirvi completamente i pensieri
nei confronti di David Bowie. Con cura studiò il proprio
makeup,
applicandosi alla sua realizzazione con accortezza fino a raggiungere
esattamente il risultato che aveva stabilito.
Quando
tornò a guardarsi, sorrise. Chi lo fissava attraverso il
vetro era
il suo “Io” migliore, un essere creato ad arte per
essere
adorato.
E
scivolerò lungo superfici riflettenti,
che
tu avrai creato solo per nasconderti a me.
Non
riuscirò a trovarti. Vederti sarà come cercare di
vedere attraverso
il sole.
Jeff
venne a chiamarlo per accompagnarlo al ristorante.
Brian
ebbe modo di testare su di lui l’effetto che suscitava il suo
aspetto: quando aprì la porta, l’espressione di
quieta efficienza,
che l’uomo sfoggiava sempre, sparì per un tempo
sufficientemente
lungo da dare modo a Brian di ridere di lui.
Jeff
incassò, a disagio, e si schiarì la voce
forzatamente.
-Il
Sig. Bowie mi ha mandato a prenderla.- informò.
Il
suo nervosismo nel pronunciare quella semplice frase lusingò
l’ego
di Brian e contribuì a migliorarne notevolmente
l’umore. Recuperò
da una poltrona del salotto il proprio giubbotto e sfilò
davanti a
Jeff, ondeggiando ammiccante i fianchi magri nei jeans neri. Fu
certo, anche senza voltarsi, che lui avesse seguito tutti i suoi
movimenti.
Questa
volta - si rese conto quando arrivò al locale - David Bowie
aveva
operato una scelta molto diversa e Brian non fu accolto in un
lussuoso ristorante, ma in una graziosa locanda, piuttosto rustica e
spartana. Jeff ebbe un atteggiamento molto più amicale
nell’accompagnarlo all’interno del locale, ma Brian
immaginò che
fosse dovuto al bisogno di non farsi notare troppo, visto che la sala
principale della locanda era gremita di avventori. La saletta che
Bowie aveva scelto, invece, era riservata solo a loro due. Jeff
salutò educatamente e tornò sui propri passi.
Bowie
aveva adottato un look estremamente informale, con pantaloni di
velluto a coste e maglione a collo alto che si sposavano benissimo
all’ambiente altrettanto informale che li ospitava. Il tavolo
della
cena era apparecchiato in un angolo; la saletta era piccola,
riscaldata da un camino di pietra davanti a cui era sistemato un
microscopico salotto formato da due poltrone ed un tavolino da
tè.
Il suo ospite lo aspettava accomodato in una delle due poltrone e
sorseggiando un vino da aperitivo. Brian richiamò la sua
attenzione
schiarendosi la gola e rimase fermo per poter studiare a fondo la
reazione dell’altro quando si voltò a guardarlo.
Se
era impressionato da ciò che vedeva, Bowie era anche troppo
abituato
a mascherare i propri pensieri.
Non
batté ciglio. Tutta la sicurezza di cui Brian si era
rivestito andò
in frantumi davanti all’atteggiamento cortesemente distaccato
con
cui lui lo accolse.
-Prego.-
lo invitò con un gesto, indicando la poltrona davanti a
sé.- Fuori
fa freddo?- s’informò, poi, con disinteresse
evidente.
Brian
si tolse il giubbotto e lo appese ad un sostegno di ferro battuto che
affiancava l’arco di accesso alla saletta.
-Non
più di questo pomeriggio.- rispose nello stesso e identico
tono
piatto dell’altro.
Ubbidì
comunque alla sua richiesta e si sedette di fronte a lui, accettando
il bicchiere di bianco che gli veniva offerto.
-Sarà
l’unico vino che berremo stasera.- ci tenne ad informarlo.
Brian
si accigliò. Cos’era? Un rimprovero per il
comportamento che aveva
avuto la sera della loro ultima cena a due? Non gli piaceva essere
rimproverato.
Mandò
giù un commento velenoso insieme con il vino.
-Essere
in Francia e fare gli astemi…- scoccò, tuttavia,
quando abbassò
il bicchiere, accompagnando la battuta con un sorriso accattivante.
Non
ci teneva, in ogni caso, a contrariarlo di nuovo.
David
Bowie lo osservò in silenzio. Sotto il suo sguardo attento
Brian si
sentì improvvisamente esposto. Si rifugiò nel
bicchiere,
terminandone troppo in fretta il contenuto.
-Ti
piace la Francia?
-Sono
in parte francese.- ribatté Brian senza rispondere.
L’altro
rise.
-Non
è quello che ho chiesto.- osservò, appunto,
seccamente.
Spalle
al muro.
Sì,
i modi di Bowie erano completamente mutati.
-La
conosco poco.- provò ancora Brian. Lo guardò di
sottecchi e si
accorse che non aveva intenzione di riprendere a parlare
finché lui
non si fosse arreso e gli avesse risposto.- Mi piace la Francia.-
concesse a quel punto.- Molto.
-Cosa
ti piace?- insistette Bowie.
Brian
si agitò a disagio nella poltrona. Quel gioco non gli
piaceva
neanche un po’. Evitò il suo sguardo.
-L’idea.-
mormorò alla fine. Guardò il fondo del proprio
bicchiere nel
rispondere, cercando inutilmente qualcosa che potesse distrarlo.
La
sua “buona volontà” fu ricompensata:
Bowie versò altro vino per
entrambi, ma attese che lui continuasse, esplicitando il proprio
pensiero.
Brian
prese un respiro profondo.
-Ho
un’idea precisa della Francia. L’idea di
una…donna che da
giovane è stata incredibilmente bella. L’idea di
qualcosa di
nostalgico e profondamente malinconico, nascosto sotto la cipria, i
profumi, i pizzi. Di qualcosa che abbia il suono delle canzoni
francesi degli anni ’30, il colore delle pellicole di film
muti ed
il profumo di una giornata di pioggia.
-E
in tutto questo, tu che ruolo hai?
L’interesse
autentico che adesso colorava il tono di David Bowie, così
come la
delicatezza di quello stesso tono, erano sufficienti, in parte, a
quietare il suo disagio nell’esprimere a voce alta i propri
pensieri. Brian si rese conto di quanto più vulnerabile si
sentisse
quando non poteva, semplicemente, vomitarli da sopra un palco su una
folla di sconosciuti che, per quanto si allungassero verso di lui,
non avrebbero mai potuto sfiorarlo.
Sollevò
gli occhi in quelli dell’altro uomo, affrontandoli con
orgoglio
ritrovato ma senza arroganza.
-Di
spettatore, immagino. – ipotizzò.
Bowie
soppesò quella risposta, facendo oscillare il vino nel
bicchiere ed
osservando nel frattempo le fiamme nel camino davanti a sé.
-No,
non credo. – negò con un cenno assorto del capo.-
No. Hai un ruolo
ben definito, invece.
Il
suo sguardo rimase fisso sul fuoco, mentre inseguiva
un’immagine
che si formava lenta e piacevole nella sua mente.
-Sei
come l’amante troppo giovane di quella donna che una volta
è stata
bella e di cui tu riesci…riusciresti
a vedere ancora la bellezza ed a farla rifiorire.- sussurrò
più a
se stesso che a lui.
Brian
strinse le labbra. Le parole dell’altro avevano accarezzato
per un
istante la sua anima, trasmettendole un brivido dolce, indefinito,
che si sposava esattamente con la malinconia assorta del concetto che
aveva espresso lui stesso poco prima.
Lo
sguardo di Bowie si sollevò nel suo quasi di scatto,
incatenandolo e
strappandogli il respiro con la propria intensità. Il modo
in cui lo
guardò fece sentire Brian come il centro
dell’Universo ed era
molto meglio
e molto di più
di qualsiasi sguardo di cieca e lasciava adorazione avesse mai
ricevuto prima.
-Sarebbe
così facile per la Francia arrivare ad adorarti.- sorrise
David con
dolcezza.- Dovresti costringerla a farlo,- aggiunse divertito,
strappando anche a Brian un sorriso incerto- costringerla a renderti
un po’ di quella poesia che suscita in te.
-…trovi
davvero che quello che ho detto sia…
“poetico”?- mormorò il
più giovane.
Il
sorriso di David non vacillò.
-Tutto
quello che dici è poetico. Alcune cose lo sono nel modo
cattivo
degli adolescenti, lo stesso modo cattivo che permette loro di vedere
il mondo con una crudezza che gli adulti non avranno mai; altre cose
lo sono con la delicatezza di un uomo innamorato,- aggiunse piano
–
la stessa delicatezza con cui guardi la Francia.- precisò,
allargando il sorriso.
Mentre
cenavano, quella sera, Brian non sentì neppure una volta il
bisogno
di essere…perfetto.
David era sinceramente interessato a quello che lui gli diceva, lo
ascoltava come non accadeva quasi mai che qualcuno facesse, senza
rivestirlo di aspettative ed, insieme, senza trascurare o
sottovalutare nulla delle sue parole. Annuiva fissandolo intensamente
quando era d’accordo ed interveniva con educazione quando
voleva
dissentire o precisare qualcosa o anche solo rappresentare il proprio
punto di vista. Gli raccontò ancora aneddoti sulla propria
vita e ci
mascherò ancora dentro i propri consigli, ma spesso si
limitò solo
a dirgli qualcosa che gli faceva piacere condividere con lui, come se
fossero amici e basta.
Brian
rideva delle sue battute e non poteva neppure immaginare quanto il
suo viso in quel momento splendesse, privato com’era di ogni
malizia e costruzione. David lo trovava molto più bello di
quanto
una persona potesse tollerare, molto più bello di chiunque
altro
avesse mai incontrato sulla propria strada. Voleva dirglielo, ma allo
stesso tempo aveva paura di infrangere quel momento di
autenticità
riportando l’attenzione di Brian su di sé,
facendogli capire che
si era esposto molto oltre il proprio personaggio. Aveva paura che
quel personaggio tornasse e non perché non lo trovasse
attraente –
era la bambola Lolita che prometteva il Paradiso ad averlo stregato
–
ma perché trovava ciò che aveva davanti bellissimo.
Alla
fine la sensazione di stupore prese comunque il sopravvento.
-Mi
piacerebbe mostrarti Parigi.- mormorò subito dopo che la
voce di
Brian si fu spenta sull’eco leggera di una risata.
Gli
occhi grigi ed enormi di lui si spalancarono ad inghiottirlo,
brillanti. Bowie rimpianse di aver optato per una cena
“astemia”,
in quel momento – pensò – il vino
sarebbe stata una rapida
soluzione per spegnere la voglia che aveva di baciarlo. Si
accontentò
dell’acqua, nascondendosi nel bicchiere.
-Conosco
Parigi.- rispose Brian – A volte ci andavo con mio padre
quando
viaggiava per lavoro.
-Intendevo
dire che mi piacerebbe mostrarti la mia
Parigi. Credimi, non ha nulla a che vedere con quella che puoi aver
visto con tuo padre.- Sorrise, posando il bicchiere sul tavolo.- Ma
in fondo, suoneremo anche lì.- rifletté a voce
alta.
Fu
il turno di Brian di sentirsi a disagio. Non era tanto per
ciò che
David gli diceva, ma per la circostanza che nuovamente, dopo una cena
in cui si era sentito inaspettatamente “al sicuro”,
percepì come
un soffio che l’offerta dell’altro aveva
implicazioni molto più
profonde di quanto stesse dicendo. Non implicazioni del tipo che
Brian si sarebbe aspettato, ma comunque sufficienti a fargli
avvertire ancora una volta la sensazione di essere vulnerabilmente
esposto sotto lo sguardo attento di Bowie.
Mentre
abbassava gli occhi su ciò che restava della propria cena,
riprendendo a mangiare in silenzio, si chiese seriamente quanto la
consapevolezza di quella che, in fondo, appariva come una propria
debolezza gli rendesse spiacevole accettare la compagnia
dell’altro,
ma scoprì in fretta che, invece, si sentiva, se possibile,
quasi
felice di non dover sollevare con David schermi che lo proteggessero
dalle proprie emozioni più autentiche. Si
abbandonò a quella
consapevolezza e sollevò nuovamente gli occhi a sostenere
quelli
azzurrissimi che lo fronteggiavano, ricambiando con il proprio
sorriso quello che lo attendeva pazientemente.
***
David
Bowie salutò Brian Molko nel corridoio
dell’albergo, mentre
entrambi sostavano sulla soglia delle rispettive camere. Lesse una
punta di delusione nello sguardo dell’altro, ma la
ignorò -
sebbene dovette farsi forza per farlo - ed aprì il
battente
rifugiandosi all’interno della suite.
Ristette
sulla porta, stupito, nel realizzare che la luce all’interno
del
soggiorno era accesa, così come anche la camera da letto era
illuminata e socchiusa ad attenderlo e, quando entrò,
avvertì
distintamente una voce femminile, sommessa, accennare le parole di
“Changes” oltre il battente del bagno.
Le
labbra sottili di lei, prive di trucco, lo accolsero con un sorriso
pieno e malizioso, spezzando a metà la strofa allo
schiudersi della
porta. David Bowie si appoggiò allo stipite, spiando con
soddisfazione ed altrettanta malizia il corpo lungo, snello e
spigoloso nell’acqua, sotto un velo impalpabile di schiuma
rosata.
La vide sporgere verso di lui il flute pieno di champagne, in un
brindisi silenzioso, e poi riprendere la canzone da dove si era
interrotta, soffusa e morbida, mormorando le parole con un suono
gutturale che rimaneva incastrato a fior di labbra.
-Buonasera,
Emily.- la salutò. Non le chiese come fosse entrata,
immaginò che
lei avesse chiesto semplicemente alla reception di aprirle la porta.
La
vide prendere un sorso lungo dal bicchiere e poi posarlo accanto a
sé
sulla vasca.
-Buonasera
a te, David.- Una gamba si sollevò, lasciando scivolare
rivoli di
acqua chiara e limpida sulla pelle bianchissima.- Credevo non saresti
arrivato più.- Il tallone ad agganciare il bordo della
vasca, un
piedino sottile che roteò leggero nell'aria, invitandolo ad
avvicinarsi.
David
sedette sullo stesso bordo, prendendo in grembo quel piedino delicato
per massaggiarlo gentilmente tra le mani. Emily sospirò di
soddisfazione, scivolando all'indietro, gli occhi chiusi ed
un'espressione estatica sul volto.
Nuda
e struccata, quella figura longilinea godeva di un'eleganza e di una
grazia che, durante il giorno, nascondeva con accortezza. David si
prese tutto il tempo per rimirarla.
-Mia
cara,- sussurrò poi per richiamare la sua attenzione. Gli
occhi blu
si puntarono su di lui, accesi e divertiti.- so che hai conosciuto
Brian.
Il
sorriso si accentuò.
-Carino.-
ammise lei.
-Ah,
direi qualcosa in più!- la corresse David.
Ed
Emily non lo smentì. Sfilò con delicatezza il
piede ancora tra le
mani dell'uomo e si mosse lentamente nell'acqua per raggiungerlo e
posare il viso sul bordo accanto alle gambe di lui.
-Perché
non ti spogli e mi raggiungi?- invitò maliziosamente.- Avrai
accumulato così tanta tensione a gestire quel ragazzino,-
cinguettò
premurosamente – meriti che qualcuno si prenda cura di te...
David
si piegò a baciare quella bocca sottile, che gli venne
prontamente
offerta. Sorrise nel tornare a guardarla.
-Ma
certo, mia cara.- acconsentì.- Non vorrei mai essere
così scortese
da lasciarti tutta sola in quella vasca!- esclamò,
strappandole una
risata.
Più
tardi, lei se ne stava in piedi, fumando, appoggiata al vetro della
finestra della sua stanza da letto, ancora completamente nuda.
Faceva
un piacevole contrasto contro lo sfondo innevato che scorgeva fuori.
David,
steso tra le lenzuola nell'enorme letto, pensò che era una
creatura
incredibile nel suo essere così ordinaria
e così speciale ad un tempo. Le forme acerbe di Emily, quel
seno
quasi piatto, i fianchi stretti, le avrebbero dovuto conferire un
aspetto androgino che, tuttavia, il suo viso, la morbidezza delle sue
gambe tornite, finivano per smentire. E lui adorava i suoi colori.
E poi, lei non aveva nessun
pudore.
Emily si sentì il suo sguardo
addosso, tanto da voltarsi a cercarlo attraverso lo spazio vuoto
della camera; la sigaretta abbandonata contro il fianco, il suo corpo
disegnò un arco color cipria che si allungava dal vetro,
reso opaco
dal fiato nel punto dove aveva respirato fino ad un istante prima.
-Credo si stia innamorando di
te.- annunciò all'improvviso lei, dopo averlo valutato in
silenzio
per qualche istante, immersa in quel pensiero.
-Che idea sciocca!- si rifiutò
di accettare David, distogliendo lo sguardo, lievemente a disagio.
Emily lo soppesò con gli occhi.
Tornò verso il letto, arrampicandosi agilmente ed in modo
vagamente
osceno ai piedi del materasso e gattonando fino a lui solo per
lasciarsi cadere, pancia all'aria, sul copriletto, proprio al suo
fianco.
-Non capisco cosa tu ci possa
trovare di sciocco. O di strano.- precisò, fissandolo dritto
negli
occhi.
-Brian potrebbe avere chiunque.
-Ma vuole te.
-...questa è una tua illazione.
-Certo!- sbuffò lei divertita,
sollevando gli occhi al soffitto. Prese un tiro dalla sigaretta e
tornò a guardarlo.- E ti segue perché ha del
tempo libero da
dedicare ad un nuovo tipo di ricerca spirituale.- lo prese in giro.
-Mi segue perché abbiamo un
accordo. Lui vuole che io promuova la sua band.- ammise David
semplicemente.
Emily non insistette. Lo squadrò
con attenzione, facendolo nuovamente sentire fuori luogo. E
sì che
credeva di essere ormai in grado di gestire la ragazza...
-Sai...-
mormorò lei, senza distogliere gli occhi.- io credo anche
che sia il
tipo che tu potresti
amare.
Fu il turno di David di
deriderla. Inarcò un sopracciglio e le rivolse un'occhiata
superba:
Ci sei stata a letto una volta e pensi già di conoscerlo?!
Emily non si lasciò intimidire.
Sorriso enorme e sguardo sornione sibilò compiaciuta: Oh, tu
meglio
di me sai quante cose si scoprono tra le lenzuola.
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