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Autore: nainai    08/09/2017    1 recensioni
Rose rosse. Ambizioni. Desideri.
...il bisogno di attingere alla vita per essere vivi davvero.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Placebo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Afferrerò la tua mano e non la lascerò andare mai più.
Non desidero perderti.
Ti terrò stretto a me finché avrò respiro.


I bagagli di tutta la crew e degli artisti aspettavano di essere caricati sui bus ed erano accatastati sul piazzale del parcheggio dell’albergo. La maggior parte dei pullman era arrivata e qualcuno aveva già cominciato a portare via qualche valigia, alla spicciolata, mentre voci ed ordini si rincorrevano disordinatamente tra le persone che si affaccendavano per la partenza.
Brian sedeva svogliato sul proprio trolley, un paio di occhiali neri giganteschi a coprirgli gli occhi e, quasi per intero, il viso. Nonostante quelli, i suoi tratti scavati ed il pallore cadaverico della pelle risultavano esaustivi del suo stato fisico e mentale dopo il trip della notte prima.
Si era addormentato tra le braccia di Stefan subito dopo aver finito di scopare. Non aveva veramente voglia, all’inizio, ma aveva pensato che l’altro lo avrebbe mandato via, altrimenti, e aveva ancora meno voglia di tornare a dormire nella propria stanza, tra lenzuola che avrebbero puzzato del sesso consumato con una groupie senza nome.
Quel mattino, svegliato dal senso di nausea, era corso in bagno a vomitare. Stefan lo aveva seguito più lentamente, scrutandolo dalla soglia del bagno, e il suo atteggiamento compassionevole aveva urtato i nervi di Brian molto più della pessima nottata. Così gli aveva urlato contro per tutto il tempo che ci aveva messo a recuperare i propri vestiti ed a rimetterseli addosso – adesso non avrebbe neanche saputo dire di cosa, esattamente, lo avesse accusato – e poi si era precipitato nella propria stanza per afferrare gli oggetti e gli abiti sparpagliati in giro e lanciarli nelle valigie.
Stefan gli si teneva prudentemente a distanza. Brian aveva spiato di sottecchi il bassista un paio di volte. Steve aveva provato inutilmente a strappare ad entrambi una spiegazione su quanto fosse accaduto e sul perché quel mattino non si parlassero neppure. Alla fine era stato Levi a trovare un modo per ridurre la tensione che avvertiva nell’aria, coinvolgendo il bassista ed il batterista in un’animata discussione a tre che portava fino a Brian l’eco delle loro risate.
Si strinse arrabbiato nel proprio giubbotto.
Non si accorse neppure di David Bowie quando gli si avvicinò. L’uomo gli arrivò alle spalle silenziosamente, ma lì si fermò e tossicchiò discreto per richiamare la sua attenzione. Brian sollevò il volto per vedere il viso dell’altro incombere su di sé; quindi, si voltò di scatto.
-Buongiorno.- salutò con un sorriso il più anziano. Se si era accorto delle condizioni fisiche di Brian, fu bravo a mascherarlo.
Brian annuì, perplesso, in risposta. Credeva che Bowie fosse ancora arrabbiato con lui dopo la cena a Lione, ma sul viso dell’uomo non c’era ombra di rancore, solo la quieta accoglienza che Brian aveva imparato a conoscere bene.
-Volevo chiederti se ti andava, invece di viaggiare con gli altri sul tourbus, di accompagnare me ed Eno.- continuò Bowie fingendo di non essersi accorto del mancato saluto dell'altro.
Brian sforzò un sorriso che apparve più come una smorfia.
-Mi va di dividere lo spazio con Eno, quanto può andarmi una seduta dal dentista senza anestesia.- scoccò lapidario, stringendosi ancora di più nel giubbotto come a voler ribadire la propria intransigente presa di posizione.
Si pentì dopo dieci secondi di averlo detto ad alta voce. Nell’esatto momento in cui si ricordò che questo era il primo scambio di battute che aveva con David Bowie dopo la frettolosa chiusura della loro serata a due. Sperò, quindi, di non aver aggravato troppo la propria posizione visto che, ancora una volta, il più anziano si stava mostrando anche il più maturo tra loro, offrendogli una rapida conciliazione che gli permettesse di mantenere intatto il suo orgoglio viziato. Invece di apprezzare i gesti di Bowie, Brian finiva per passarci su con un’arroganza che, presto o tardi, gli sarebbe costata carissima.
Lesse le medesime considerazioni nell’indurirsi dello sguardo dell’uomo. Per un minuto o due si aspettò che lui gli voltasse semplicemente le spalle e tornasse da dove era venuto, senza neppure degnarlo di una risposta. Se lo sarebbe meritato. Invece, non successe, anche se la voce di Bowie, quando parlò di nuovo, suonò molto più impostata, fredda e metallica di quanto l’avesse mai sentita.
-Possiamo rimediare a questo.- concesse. Gli costò un po’ farlo, Brian lo capì dalla difficoltà con cui pronunciò quelle semplici parole.- Manderò Jeff a chiamarti quando saremo pronti a partire. Porta con te lo stretto indispensabile, il resto potrà arrivare con gli altri bagagli.- lo istruì.
Non gli chiese di nuovo se avesse intenzione di viaggiare con lui. Brian intuì che lo desse per scontato, dopo che aveva acconsentito al suo capriccio di lasciare “a piedi” Brian Eno. Per cui s’impose di starsene zitto per evitare di tirare troppo una corda che sembrava, comunque, sull’orlo della rottura.
Jeff venne a chiamarlo poco prima che Stefan, Steve e Levi si imbarcassero su uno dei tourbus. Il bassista gli lanciò un’occhiata da lontano mentre Brian si alzava e recuperava il manico del trolley, la domanda muta nei suoi occhi era sufficiente ma il cantante fece finta di non vederla e voltò loro le spalle, seguendo a passi svelti l’autista di Bowie verso la limousine nera parcheggiata davanti l’uscita dell’Hotel.
Quando entrò nello spazio confortevole dell’abitacolo, scrutò con apprensione intorno a sé per assicurarsi che, effettivamente, Eno fosse stato lasciato indietro.
David Bowie, seduto sul sedile di fronte al suo, se ne accorse e rise piano.
-Possiamo permetterci una seconda limousine.- annunciò divertito.- Anche se, sicuramente, non stai facendo nulla per risultare simpatico ai miei amici.- lo redarguì.
-Neanche loro per stare simpatici a me.- ritorse Brian spiccio, rilassandosi contro il sedile.
Si sfilò di dosso il giubbotto con gesti accorti. Nonostante l’auto fosse enorme, trovava comunque scomodo operare quei movimenti all’interno dell’abitacolo. Quando si voltò, dopo aver sgraziatamente appallottolato l’indumento in un angolo del sedile, sorprese David Bowie con gli occhi ancora fissi su di lui ed un’espressione intensa che non tardò troppo a classificare.
L’uomo più anziano lo desiderava.
Brian comprese in un flash come tutte le proprie preoccupazioni al riguardo fossero state inutili; l’altro lo trovava sufficientemente attraente da studiare con attenzione ed ingordigia anche i suoi gesti più ordinari e privi di implicazioni. Semplicemente, il controllo che Bowie esercitava su di sé andava ben oltre quello di chiunque altro Brian avesse cercato di sedurre.
ma c’era da dire che con lui non si era neanche impegnato troppo, considerò con un sorrisetto soddisfatto.
Quella scoperta cancellò in fretta il disagio che l’incontro con la groupie di Bowie della notte prima e il litigio con Stef di quel mattino avevano creato. Si sentì improvvisamente e nuovamente sicuro di sé e, in qualche modo, padrone della situazione. Il gioco tornava nei suoi schemi.
Nel rilassarsi nuovamente contro il sedile, Brian assunse volutamente una posa molto più sfacciata, allungando il corpo magro contro la pelle morbida dello schienale e della seduta e quasi stendendosi nel poggiare la schiena contro la fiancata dell’auto.
Gli occhi dell’altro non lo lasciarono un secondo.
-Perché mi hai chiesto di accompagnarti?- mormorò Brian, allargando il proprio sorriso, in tono basso e morbido.
David focalizzò la propria attenzione su di lui, traendosi da quella sorta di stordita trance in cui l’idea di lui lo aveva improvvisamente fatto scivolare. Si diede mentalmente dello sciocco, perché era chiaro dal cambio di atteggiamento del più giovane che Brian era perfettamente consapevole di ciò: stava letteralmente “facendo le fusa”, adesso. E solo fino ad un momento prima, sembrava più pronto a sfoderare artigli e graffiare come era già accaduto alla loro cena. Si voltò ad armeggiare con il mobile bar nascosto all’interno dell’auto. Allargò un tavolino nascosto che si frappose tra i due sedili contrapposti e vi posò sopra i flute di cristallo in cui versò generosamente un vino bianco italiano che Brian non aveva mai sentito nominare prima.
-Assaggia. E’ un regalo di un mio ammiratore, me lo hanno consegnato quando siamo stati a Bologna.- invitò porgendogli uno dei bicchieri.
Brian, sinceramente incuriosito, dimenticò per un attimo la propria recita e si sollevò a sedere composto, allungando le dita a catturare il flute. Prima di bere inspirò a fondo l’aroma raffinato del vino, avvertendolo pungente e forte già a quel primo “assaggio”. Il vino si rivelò molto più intenso di quanto Brian avesse percepito, con un gusto deciso anche se fine e dissimile da qualunque altro bianco avesse mai assaggiato prima.
-Falanghina.- lo presentò David, accostando poi il calice alle proprie labbra.- Una meraviglia.- aggiunse, contemplando soddisfatto il bicchiere dopo aver sorseggiato il vino a propria volta.
-Non è originario del bolognese…
-No.- annuì Bowie riportando su di lui la propri attenzione.- E’ un vino della Campania, sud dell’Italia. Il mio ammiratore viene da lì; è lui a produrre il vino.
Brian sorrise, divertito.
-Hai ammiratori molto interessanti!- fece notare.
Bowie ricambiò il suo sorriso. Appariva leggermente più rilassato di quanto non fosse sembrato quando aveva rivolto a Brian il proprio invito ad accompagnarlo. A quella considerazione, il più giovane si sentì istintivamente sollevato – dispiacendosi un po’ per la facilità con cui si lasciava condizionare dall’umore dell’altro.
-L’adorazione delle folle è qualcosa di inebriante, te ne accorgerai in fretta,- iniziò pacatamente David, catturando in meno di un istante l’attenzione di Brian.- ma è quando arrivi ad interessare persone raffinate, colte e che possano tranquillamente tenerti testa, che ti senti davvero realizzato. La consapevolezza di suscitare l’ammirazione di uomini straordinari, ti fa sentire a tua volta fuori dal comune.
-Non sono neanche sicuro che riuscirò mai a provare una simile sensazione.- ritorse Brian con pacatezza.
Non c’era risentimento nella sua voce ed anche la quieta malinconia che la colorava era, in fondo, troppo stemperata per allarmare davvero Bowie. Si disse che stava semplicemente aggiungendo un tassello in più ad un puzzle complesso: la fragilità emotiva e l’insicurezza di fondo, che aveva avvertito nel ragazzo la prima volta che si erano incontrati e parlati e che, da allora, era stata una piccola costante di sottofondo nella sua percezione dell’altro, non era fittizia.
-Ti ho osservato in questi giorni.- ribatté David senza enfasi. Si allungò a riempire nuovamente il bicchiere di Brian e lui ringraziò con un cenno del capo.- Vi ho osservati.- corresse con un breve sorrisetto che fece ridacchiare anche il ragazzo.- Siete una formula complessa e per questo non attirate la simpatia di tutti, ma siete una formula che funziona.
Brian osservò il proprio vino ruotare delicatamente nel flute, oscillando, poi, al movimento morbido dell’auto sull’asfalto. Considerò che Jeff era un ottimo autista.
-Questo può voler dire sia che pensi che avremo un grande successo, sia che pensi che accadrà l’esatto opposto.- affermò quietamente, sollevando di nuovo gli occhi sul proprio interlocutore.
David scosse la testa.
-No. Questo vuol dire che penso che avrete una carriera tutt’altro che…semplice o lineare, ma sicuramente avrete qualcosa da dire e avrete più di una persona disposta ad ascoltarvi.
-Eno non la pensa come te.
-Eno vi sottovaluta.- ammise David tranquillamente.- Ed io credo che si sbagli.- aggiunse, sorseggiando poi quanto restava del vino nel proprio bicchiere.
Brian sorrise scettico, ma non ribatté ed accettò il sottile complimento insito in quel commento con un grazioso cenno del capo, che strappò al più anziano uno sbuffo divertito.




E’ quando susciterai l’ammirazione di uomini straordinari, che ti sentirai davvero realizzato”.
La sua camera di albergo ad Amnéville era di fianco a quella di David Bowie.
Brian lo seppe nel momento in cui, scortati da Jeff e da un valletto in livrea blu, arrivarono all’ultimo piano dell’hotel e lui fu salutato da un sorridente Bowie che si fermò davanti la porta esattamente quattro passi dopo quella che il valletto in livrea aveva cerimoniosamente aperto per Brian stesso.
-Cenerai con me, questa sera?- chiese il più anziano.
Era una domanda solo fino ad un certo punto. Brian intuì che il cambiamento percepito nei modi dell’altro era più…stabile di quanto avesse ritenuto sulle prime. Evidentemente, nel chiedere che Eno fosse allontanato aveva esaurito del tutto la riserva di pazienza di David Bowie. Ne prese mentalmente nota.
-Certo.- acconsentì docile, prima di spingere il battente della propria camera e scomparirvi all’interno.
La sua camera di albergo ad Amnéville, oltretutto, era una suite.
Non lussuosa come avrebbe potuto desiderare, ma decisamente più di quanto lo fossero state le precedenti stanze di cui aveva usufruito nel corso di quel pezzo dell’Outside Tour.
La porta d’ingresso dava su un salottino le cui vetrate affacciavano direttamente sul giardino e sul parco termale di cui l’hotel era fornito. Fuori c’era la neve e questo rendeva il paesaggio meno interessante di quanto Brian avrebbe gradito, per cui si stancò in fretta di contemplare gli alberi innevati e si limitò a chiudere le tende per evitare che il sole inondasse la stanza. Passò, quindi, ad ispezionare la camera da letto, che era ampia, leggermente spoglia e dotata, tuttavia, di un bagno con vasca idromassaggio di marmo bianco abbastanza ampia da contenere facilmente due persone. Quando rientrò nella stanza da letto per sistemare i bagagli, Brian scoprì l’esistenza di un’altra porta, chiusa a chiave. Valutò la collocazione del battente per concludere che si trattava quasi certamente di una porta comunicante con la camera di David Bowie.
Registrò anche quella informazione, accantonandola subito dopo insieme con il brivido che aveva avvertito percorrergli la schiena a quella consapevolezza.
Peraltro, non aveva ancora stabilito esattamente come comportarsi arrivati a questo punto.
La discussione avuta la sera prima con la groupie di Bowie gli aveva lasciato un gusto amaro attaccato al palato. Da una parte, sentiva forte l’impulso di ribellarsi al suo primo istinto ed a quello che aveva implicitamente ammesso con lei: ossia di essere disposto a qualsiasi compromesso pur di compiacere il suo…patrono? Dall’altra parte, il suo “io” più genuino gli confidava, dolcemente, che la propria attrazione per l’uomo era più sincera di quanto non volesse lui stesso ammettere.
Sbuffò la propria insoddisfazione. Ritto al centro della camera da letto, spostò nervosamente lo sguardo dalla valigia abbandonata sul materasso alla porta aperta del bagno.
Mancavano circa tre ore per la cena, giudicò con un’occhiata all’orologio al proprio polso. Non aveva modo di sapere dove fossero Stefan, Steve e gli altri, arrivando non aveva neanche visto i bus del tour e potevano tranquillamente trovarsi in un diverso albergo. Lui aveva ben poco da fare se non riposarsi e, poi, prepararsi per scendere a cena con Bowie.
Stabilì che, per prima cosa, aveva bisogno di un bagno.
Sulla vasca erano sistemati tre diversi flaconcini. Uno conteneva sali da bagno delicatamente profumati, il secondo ed il terzo saponi con base termale ed essenza di talco. Gli ricordarono sua madre. Sparse il contenuto della boccetta con i sali sul fondo della vasca di marmo, aprendo, poi, l’acqua e regolandone la temperatura. Mentre aspettava che il livello si alzasse, tornò in camera e si mise a rovistare nella propria valigia, indeciso su cosa indossare. Tornò in bagno senza aver preso nessuna decisione, ma con un’angoscia latente e fastidiosa localizzata al livello dello stomaco. La carezza morbida dell’acqua attorno al suo corpo lenì in parte quelle sensazioni spiacevoli.
Brian si lasciò sprofondare nel profumo dei sali, distendendo il corpo nello spazio ampio della vasca e scoprendo con piacere che il bordo inclinato della stessa gli permetteva di reclinare completamente la testa e chiudere gli occhi, lasciandosi cullare dal tepore del bagno.
Quando susciterai l’ammirazione di uomini straordinari…”
Bowie lo ammirava?
Glielo aveva detto fin dal loro primo incontro. Brian, allora, aveva creduto che fosse un modo come un altro per lusingare la sua vanità e farlo cedere più facilmente alle avances dell’uomo. Ma poi non c’erano state vere avances a cui cedere.
Il comportamento del più anziano lo disorientava. Come si era accorto già in macchina, David Bowie lo voleva con la stessa – e forse maggiore – forza e determinazione con cui Brian desiderava lui, ma non faceva assolutamente niente per dare seguito al proprio desiderio ed, anzi, sembrava tenerlo a distanza proprio per impedire a se stesso di cedervi. Brian dubitava che la ragione fosse da ricollegare ad una qualche forma di…rispetto per lui. C’era qualcos’altro. Qualcosa che, cominciava a credere, sfuggiva anche all’altro.
E lui? Lui aveva creduto che il loro fosse un semplice “accordo commerciale”. Un accordo che trovava vantaggioso sotto innumerevoli punti di vista e senza che la sensazione di essere trattato come una puttana qualunque intaccasse più di tanto i vantaggi che quella transazione presentava. Ma poi c’era stata il distacco che David aveva preso da loro…da lui. E c’era stato lo spazio che aveva dato loro durante il tour e la decisione di mandare Levi ad aiutarli. C’erano i complimenti che gli aveva ribadito in auto quel giorno… C’era perfino il modo in cui gli somministrava consigli, abilmente mascherati sotto forma di aneddoti sulla propria vita giusto per essere certi che Brian non reagisse arroccandosi su posizioni intransigenti ed infantili.
Ah sì. C’era, anche, quella pazienza nel maneggiare i suoi scatti d’ira.
Prese fiato profondamente.
Quando, la notte prima, la ragazza gli aveva detto di essere l’amante di Bowie era stato geloso.
Non era un discorso prettamente romantico, non si aspettava di essere “l’unico”, tanto più che l’altro era sposato da tempo con una donna di cui era pazzamente innamorato.
La sua gelosia era stata esclusivamente per le attenzioni che lei poteva aver ricevuto, per quel suo “David ha detto loro che io posso andare dove voglio” che implicava la posizione di preminenza che lei aveva solo per il fatto che lui la degnava della propria attenzione.
Brian cos’era? Bowie lo aveva imposto ad Eno e lui ed i Placebo erano nel baraccone dell’Outside. Ma altri gruppi erano lì, altri artisti seguivano Bowie e per ragioni esclusivamente connesse alle proprie abilità. Brian no. Nel modo in cui Eno lo guardava, ogni volta che faceva tanto da avvicinarglisi, era chiaramente scritto che la ragione per cui si trovava lì non aveva niente a che vedere con il suo talento, vero o presunto che potesse essere. Il produttore li trattava…lo trattava esattamente come la puttana che Brian sapeva di essere ritenuto, da lui e, probabilmente, da tutti gli altri.
In tutto questo, non essere neanche presi in considerazione da Bowie aveva un che di esilarante e ridicolo!
Si alzò a sedere di scatto. Nuovamente innervosito. L’acqua era diventata quasi fredda e Brian si lavò in fretta, con gesti nervosi, desiderando uscire da lì il più in fretta possibile. Tornò in stanza avvolto nell’accappatoio. Non ci pensò troppo, stavolta, afferrò dalla valigia jeans neri ed una maglietta attillata dello stesso colore, li indossò rapidamente e passò nuovamente nel bagno portando con sé la trousse di trucchi da cui non si separava mai.
Nel fissare la propria immagine riflessa allo specchio, non si piacque. Aveva sul viso i segni evidenti della notte prima, dell’ansia nervosa che lo pungolava adesso e dell’indecisione in cui quello stato di cose lo gettava. Incanalò l’astio che provava per sé e per il proprio riflesso fino a sostituirvi completamente i pensieri nei confronti di David Bowie. Con cura studiò il proprio makeup, applicandosi alla sua realizzazione con accortezza fino a raggiungere esattamente il risultato che aveva stabilito.
Quando tornò a guardarsi, sorrise. Chi lo fissava attraverso il vetro era il suo “Io” migliore, un essere creato ad arte per essere adorato.


E scivolerò lungo superfici riflettenti,
che tu avrai creato solo per nasconderti a me.
Non riuscirò a trovarti. Vederti sarà come cercare di vedere attraverso il sole.


Jeff venne a chiamarlo per accompagnarlo al ristorante.
Brian ebbe modo di testare su di lui l’effetto che suscitava il suo aspetto: quando aprì la porta, l’espressione di quieta efficienza, che l’uomo sfoggiava sempre, sparì per un tempo sufficientemente lungo da dare modo a Brian di ridere di lui.
Jeff incassò, a disagio, e si schiarì la voce forzatamente.
-Il Sig. Bowie mi ha mandato a prenderla.- informò.
Il suo nervosismo nel pronunciare quella semplice frase lusingò l’ego di Brian e contribuì a migliorarne notevolmente l’umore. Recuperò da una poltrona del salotto il proprio giubbotto e sfilò davanti a Jeff, ondeggiando ammiccante i fianchi magri nei jeans neri. Fu certo, anche senza voltarsi, che lui avesse seguito tutti i suoi movimenti.
Questa volta - si rese conto quando arrivò al locale - David Bowie aveva operato una scelta molto diversa e Brian non fu accolto in un lussuoso ristorante, ma in una graziosa locanda, piuttosto rustica e spartana. Jeff ebbe un atteggiamento molto più amicale nell’accompagnarlo all’interno del locale, ma Brian immaginò che fosse dovuto al bisogno di non farsi notare troppo, visto che la sala principale della locanda era gremita di avventori. La saletta che Bowie aveva scelto, invece, era riservata solo a loro due. Jeff salutò educatamente e tornò sui propri passi.
Bowie aveva adottato un look estremamente informale, con pantaloni di velluto a coste e maglione a collo alto che si sposavano benissimo all’ambiente altrettanto informale che li ospitava. Il tavolo della cena era apparecchiato in un angolo; la saletta era piccola, riscaldata da un camino di pietra davanti a cui era sistemato un microscopico salotto formato da due poltrone ed un tavolino da tè. Il suo ospite lo aspettava accomodato in una delle due poltrone e sorseggiando un vino da aperitivo. Brian richiamò la sua attenzione schiarendosi la gola e rimase fermo per poter studiare a fondo la reazione dell’altro quando si voltò a guardarlo.
Se era impressionato da ciò che vedeva, Bowie era anche troppo abituato a mascherare i propri pensieri.
Non batté ciglio. Tutta la sicurezza di cui Brian si era rivestito andò in frantumi davanti all’atteggiamento cortesemente distaccato con cui lui lo accolse.
-Prego.- lo invitò con un gesto, indicando la poltrona davanti a sé.- Fuori fa freddo?- s’informò, poi, con disinteresse evidente.
Brian si tolse il giubbotto e lo appese ad un sostegno di ferro battuto che affiancava l’arco di accesso alla saletta.
-Non più di questo pomeriggio.- rispose nello stesso e identico tono piatto dell’altro.
Ubbidì comunque alla sua richiesta e si sedette di fronte a lui, accettando il bicchiere di bianco che gli veniva offerto.
-Sarà l’unico vino che berremo stasera.- ci tenne ad informarlo.
Brian si accigliò. Cos’era? Un rimprovero per il comportamento che aveva avuto la sera della loro ultima cena a due? Non gli piaceva essere rimproverato.
Mandò giù un commento velenoso insieme con il vino.
-Essere in Francia e fare gli astemi…- scoccò, tuttavia, quando abbassò il bicchiere, accompagnando la battuta con un sorriso accattivante.
Non ci teneva, in ogni caso, a contrariarlo di nuovo.
David Bowie lo osservò in silenzio. Sotto il suo sguardo attento Brian si sentì improvvisamente esposto. Si rifugiò nel bicchiere, terminandone troppo in fretta il contenuto.
-Ti piace la Francia?
-Sono in parte francese.- ribatté Brian senza rispondere.
L’altro rise.
-Non è quello che ho chiesto.- osservò, appunto, seccamente.
Spalle al muro.
Sì, i modi di Bowie erano completamente mutati.
-La conosco poco.- provò ancora Brian. Lo guardò di sottecchi e si accorse che non aveva intenzione di riprendere a parlare finché lui non si fosse arreso e gli avesse risposto.- Mi piace la Francia.- concesse a quel punto.- Molto.
-Cosa ti piace?- insistette Bowie.
Brian si agitò a disagio nella poltrona. Quel gioco non gli piaceva neanche un po’. Evitò il suo sguardo.
-L’idea.- mormorò alla fine. Guardò il fondo del proprio bicchiere nel rispondere, cercando inutilmente qualcosa che potesse distrarlo.
La sua “buona volontà” fu ricompensata: Bowie versò altro vino per entrambi, ma attese che lui continuasse, esplicitando il proprio pensiero.
Brian prese un respiro profondo.
-Ho un’idea precisa della Francia. L’idea di una…donna che da giovane è stata incredibilmente bella. L’idea di qualcosa di nostalgico e profondamente malinconico, nascosto sotto la cipria, i profumi, i pizzi. Di qualcosa che abbia il suono delle canzoni francesi degli anni ’30, il colore delle pellicole di film muti ed il profumo di una giornata di pioggia.
-E in tutto questo, tu che ruolo hai?
L’interesse autentico che adesso colorava il tono di David Bowie, così come la delicatezza di quello stesso tono, erano sufficienti, in parte, a quietare il suo disagio nell’esprimere a voce alta i propri pensieri. Brian si rese conto di quanto più vulnerabile si sentisse quando non poteva, semplicemente, vomitarli da sopra un palco su una folla di sconosciuti che, per quanto si allungassero verso di lui, non avrebbero mai potuto sfiorarlo.
Sollevò gli occhi in quelli dell’altro uomo, affrontandoli con orgoglio ritrovato ma senza arroganza.
-Di spettatore, immagino. – ipotizzò.
Bowie soppesò quella risposta, facendo oscillare il vino nel bicchiere ed osservando nel frattempo le fiamme nel camino davanti a sé.
-No, non credo. – negò con un cenno assorto del capo.- No. Hai un ruolo ben definito, invece.
Il suo sguardo rimase fisso sul fuoco, mentre inseguiva un’immagine che si formava lenta e piacevole nella sua mente.
-Sei come l’amante troppo giovane di quella donna che una volta è stata bella e di cui tu riesci…riusciresti a vedere ancora la bellezza ed a farla rifiorire.- sussurrò più a se stesso che a lui.
Brian strinse le labbra. Le parole dell’altro avevano accarezzato per un istante la sua anima, trasmettendole un brivido dolce, indefinito, che si sposava esattamente con la malinconia assorta del concetto che aveva espresso lui stesso poco prima.
Lo sguardo di Bowie si sollevò nel suo quasi di scatto, incatenandolo e strappandogli il respiro con la propria intensità. Il modo in cui lo guardò fece sentire Brian come il centro dell’Universo ed era molto meglio e molto di più di qualsiasi sguardo di cieca e lasciava adorazione avesse mai ricevuto prima.
-Sarebbe così facile per la Francia arrivare ad adorarti.- sorrise David con dolcezza.- Dovresti costringerla a farlo,- aggiunse divertito, strappando anche a Brian un sorriso incerto- costringerla a renderti un po’ di quella poesia che suscita in te.
-…trovi davvero che quello che ho detto sia… “poetico”?- mormorò il più giovane.
Il sorriso di David non vacillò.
-Tutto quello che dici è poetico. Alcune cose lo sono nel modo cattivo degli adolescenti, lo stesso modo cattivo che permette loro di vedere il mondo con una crudezza che gli adulti non avranno mai; altre cose lo sono con la delicatezza di un uomo innamorato,- aggiunse piano – la stessa delicatezza con cui guardi la Francia.- precisò, allargando il sorriso.
Mentre cenavano, quella sera, Brian non sentì neppure una volta il bisogno di essere…perfetto. David era sinceramente interessato a quello che lui gli diceva, lo ascoltava come non accadeva quasi mai che qualcuno facesse, senza rivestirlo di aspettative ed, insieme, senza trascurare o sottovalutare nulla delle sue parole. Annuiva fissandolo intensamente quando era d’accordo ed interveniva con educazione quando voleva dissentire o precisare qualcosa o anche solo rappresentare il proprio punto di vista. Gli raccontò ancora aneddoti sulla propria vita e ci mascherò ancora dentro i propri consigli, ma spesso si limitò solo a dirgli qualcosa che gli faceva piacere condividere con lui, come se fossero amici e basta.
Brian rideva delle sue battute e non poteva neppure immaginare quanto il suo viso in quel momento splendesse, privato com’era di ogni malizia e costruzione. David lo trovava molto più bello di quanto una persona potesse tollerare, molto più bello di chiunque altro avesse mai incontrato sulla propria strada. Voleva dirglielo, ma allo stesso tempo aveva paura di infrangere quel momento di autenticità riportando l’attenzione di Brian su di sé, facendogli capire che si era esposto molto oltre il proprio personaggio. Aveva paura che quel personaggio tornasse e non perché non lo trovasse attraente – era la bambola Lolita che prometteva il Paradiso ad averlo stregato – ma perché trovava ciò che aveva davanti bellissimo.
Alla fine la sensazione di stupore prese comunque il sopravvento.
-Mi piacerebbe mostrarti Parigi.- mormorò subito dopo che la voce di Brian si fu spenta sull’eco leggera di una risata.
Gli occhi grigi ed enormi di lui si spalancarono ad inghiottirlo, brillanti. Bowie rimpianse di aver optato per una cena “astemia”, in quel momento – pensò – il vino sarebbe stata una rapida soluzione per spegnere la voglia che aveva di baciarlo. Si accontentò dell’acqua, nascondendosi nel bicchiere.
-Conosco Parigi.- rispose Brian – A volte ci andavo con mio padre quando viaggiava per lavoro.
-Intendevo dire che mi piacerebbe mostrarti la mia Parigi. Credimi, non ha nulla a che vedere con quella che puoi aver visto con tuo padre.- Sorrise, posando il bicchiere sul tavolo.- Ma in fondo, suoneremo anche lì.- rifletté a voce alta.
Fu il turno di Brian di sentirsi a disagio. Non era tanto per ciò che David gli diceva, ma per la circostanza che nuovamente, dopo una cena in cui si era sentito inaspettatamente “al sicuro”, percepì come un soffio che l’offerta dell’altro aveva implicazioni molto più profonde di quanto stesse dicendo. Non implicazioni del tipo che Brian si sarebbe aspettato, ma comunque sufficienti a fargli avvertire ancora una volta la sensazione di essere vulnerabilmente esposto sotto lo sguardo attento di Bowie.
Mentre abbassava gli occhi su ciò che restava della propria cena, riprendendo a mangiare in silenzio, si chiese seriamente quanto la consapevolezza di quella che, in fondo, appariva come una propria debolezza gli rendesse spiacevole accettare la compagnia dell’altro, ma scoprì in fretta che, invece, si sentiva, se possibile, quasi felice di non dover sollevare con David schermi che lo proteggessero dalle proprie emozioni più autentiche. Si abbandonò a quella consapevolezza e sollevò nuovamente gli occhi a sostenere quelli azzurrissimi che lo fronteggiavano, ricambiando con il proprio sorriso quello che lo attendeva pazientemente.
***
David Bowie salutò Brian Molko nel corridoio dell’albergo, mentre entrambi sostavano sulla soglia delle rispettive camere. Lesse una punta di delusione nello sguardo dell’altro, ma la ignorò - sebbene dovette farsi forza per farlo - ed aprì il battente rifugiandosi all’interno della suite.
Ristette sulla porta, stupito, nel realizzare che la luce all’interno del soggiorno era accesa, così come anche la camera da letto era illuminata e socchiusa ad attenderlo e, quando entrò, avvertì distintamente una voce femminile, sommessa, accennare le parole di “Changes” oltre il battente del bagno.
Le labbra sottili di lei, prive di trucco, lo accolsero con un sorriso pieno e malizioso, spezzando a metà la strofa allo schiudersi della porta. David Bowie si appoggiò allo stipite, spiando con soddisfazione ed altrettanta malizia il corpo lungo, snello e spigoloso nell’acqua, sotto un velo impalpabile di schiuma rosata. La vide sporgere verso di lui il flute pieno di champagne, in un brindisi silenzioso, e poi riprendere la canzone da dove si era interrotta, soffusa e morbida, mormorando le parole con un suono gutturale che rimaneva incastrato a fior di labbra.
-Buonasera, Emily.- la salutò. Non le chiese come fosse entrata, immaginò che lei avesse chiesto semplicemente alla reception di aprirle la porta.
La vide prendere un sorso lungo dal bicchiere e poi posarlo accanto a sé sulla vasca.
-Buonasera a te, David.- Una gamba si sollevò, lasciando scivolare rivoli di acqua chiara e limpida sulla pelle bianchissima.- Credevo non saresti arrivato più.- Il tallone ad agganciare il bordo della vasca, un piedino sottile che roteò leggero nell'aria, invitandolo ad avvicinarsi.
David sedette sullo stesso bordo, prendendo in grembo quel piedino delicato per massaggiarlo gentilmente tra le mani. Emily sospirò di soddisfazione, scivolando all'indietro, gli occhi chiusi ed un'espressione estatica sul volto.
Nuda e struccata, quella figura longilinea godeva di un'eleganza e di una grazia che, durante il giorno, nascondeva con accortezza. David si prese tutto il tempo per rimirarla.
-Mia cara,- sussurrò poi per richiamare la sua attenzione. Gli occhi blu si puntarono su di lui, accesi e divertiti.- so che hai conosciuto Brian.
Il sorriso si accentuò.
-Carino.- ammise lei.
-Ah, direi qualcosa in più!- la corresse David.
Ed Emily non lo smentì. Sfilò con delicatezza il piede ancora tra le mani dell'uomo e si mosse lentamente nell'acqua per raggiungerlo e posare il viso sul bordo accanto alle gambe di lui.
-Perché non ti spogli e mi raggiungi?- invitò maliziosamente.- Avrai accumulato così tanta tensione a gestire quel ragazzino,- cinguettò premurosamente – meriti che qualcuno si prenda cura di te...
David si piegò a baciare quella bocca sottile, che gli venne prontamente offerta. Sorrise nel tornare a guardarla.
-Ma certo, mia cara.- acconsentì.- Non vorrei mai essere così scortese da lasciarti tutta sola in quella vasca!- esclamò, strappandole una risata.
Più tardi, lei se ne stava in piedi, fumando, appoggiata al vetro della finestra della sua stanza da letto, ancora completamente nuda.
Faceva un piacevole contrasto contro lo sfondo innevato che scorgeva fuori.
David, steso tra le lenzuola nell'enorme letto, pensò che era una creatura incredibile nel suo essere così ordinaria e così speciale ad un tempo. Le forme acerbe di Emily, quel seno quasi piatto, i fianchi stretti, le avrebbero dovuto conferire un aspetto androgino che, tuttavia, il suo viso, la morbidezza delle sue gambe tornite, finivano per smentire. E lui adorava i suoi colori.
E poi, lei non aveva nessun pudore.
Emily si sentì il suo sguardo addosso, tanto da voltarsi a cercarlo attraverso lo spazio vuoto della camera; la sigaretta abbandonata contro il fianco, il suo corpo disegnò un arco color cipria che si allungava dal vetro, reso opaco dal fiato nel punto dove aveva respirato fino ad un istante prima.
-Credo si stia innamorando di te.- annunciò all'improvviso lei, dopo averlo valutato in silenzio per qualche istante, immersa in quel pensiero.
-Che idea sciocca!- si rifiutò di accettare David, distogliendo lo sguardo, lievemente a disagio.
Emily lo soppesò con gli occhi. Tornò verso il letto, arrampicandosi agilmente ed in modo vagamente osceno ai piedi del materasso e gattonando fino a lui solo per lasciarsi cadere, pancia all'aria, sul copriletto, proprio al suo fianco.
-Non capisco cosa tu ci possa trovare di sciocco. O di strano.- precisò, fissandolo dritto negli occhi.
-Brian potrebbe avere chiunque.
-Ma vuole te.
-...questa è una tua illazione.
-Certo!- sbuffò lei divertita, sollevando gli occhi al soffitto. Prese un tiro dalla sigaretta e tornò a guardarlo.- E ti segue perché ha del tempo libero da dedicare ad un nuovo tipo di ricerca spirituale.- lo prese in giro.
-Mi segue perché abbiamo un accordo. Lui vuole che io promuova la sua band.- ammise David semplicemente.
Emily non insistette. Lo squadrò con attenzione, facendolo nuovamente sentire fuori luogo. E sì che credeva di essere ormai in grado di gestire la ragazza...
-Sai...- mormorò lei, senza distogliere gli occhi.- io credo anche che sia il tipo che tu potresti amare.
Fu il turno di David di deriderla. Inarcò un sopracciglio e le rivolse un'occhiata superba: Ci sei stata a letto una volta e pensi già di conoscerlo?!
Emily non si lasciò intimidire. Sorriso enorme e sguardo sornione sibilò compiaciuta: Oh, tu meglio di me sai quante cose si scoprono tra le lenzuola.













  
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