Preveggenza?
Sesto senso?
Quando,
otto mesi prima, Demelza gli aveva comunicato di essere nuovamente
incinta, la preoccupazione era stata il primo vero sentimento che
aveva provato, unito al terrore. Lei gli aveva assicurato che tutto
sarebbe andato bene e in effetti la gravidanza era proceduta
tranquilla, senza scossoni, monitorata da Dwight. Demelza era stata
tutto sommato bene, eccetto per l'infinita stanchezza che l'aveva
accompagnata, tanto inusuale per una donna instancabile come lei.
Spesso dormiva per ore il pomeriggio e anche la sera si addormentava
presto, ma a parte questo non c'erano stati altri problemi. Solo che
lui, nel vederla sempre così esausta, non poteva non essere
preoccupato. Gli anni erano passati anche per Demelza e quest'ultima
gravidanza era molto più faticosa e dura rispetto alle
precedenti.
Il
travaglio era iniziato dodici ore prima, in piena notte, e ancora non
era finito. Ricordava le nascite di Julia e di Jeremy, dei veri e
propri parti-lampo, così come gli avevano detto essere stato
quello
di Clowance, a Londra. Bella era stata più impegnativa, ma
alla fine
era andato tutto bene.
Ora
invece la situazione sembrava bloccata e sentiva solo, dalle scale, i
lamenti sempre più disperati di Demelza e la voce pacata di
Dwight
che cercava di tranquillizzarla.
Ross
passeggiò nuovamente nel salotto, avanti e indietro. Prudie
e Jud,
in un angolo, sfogavano la preoccupazione sorseggiando Porto, Jeremy
se ne stava silenzioso alla finestra, Clowance era accovacciata in un
angolo, abbracciata ad Artù, e Bella ogni tanto faceva
capolino, gli
cingeva la vita e cercava conforto in lui. La piccola di casa era la
più spaventata e Ross non sapeva come consolarla
perché era ancora
più spaventato di lei.
In
mattinata era arrivata Caroline per avere notizie ed ora, insieme a
tutti loro, attendeva la fine di quel parto infinito. Aveva portato
con se le sue due bambine, nate dopo la sfortunata Sarah, e ora le
bimbe parlottavano fra loro o con Bella, la più vicina per
età,
cercando di ingannare il tempo.
Le
figlie di Dwight e Caroline erano due bambine dalla bellezza
raffinata ed elegante, come la loro madre. Biondissime, dal viso e
dai lineamenti perfetti, sempre vestite con pizzi e merletti,
sembravano due bambole. Sophie aveva quasi dieci anni, aveva dei
lunghissimi capelli color miele, lisci come seta, e si muoveva per
casa con pacatezza e timidezza. Sua sorella Meliora, di sette anni,
era più vivace. Aveva anche lei i capelli chiari, pieni di
boccoli
tenuti a bada da un fiocco, non stava ferma un attimo ed aveva la
lingua lunga e tagliente come sua madre.
Un
urlo di Demelza li fece sussultare tutti e Ross alzò lo
sguardo
verso le scale, sudando freddo.
Caroline
gli si avvicinò, poggiando gentilmente una mano sulla sua
spalla.
"Ross, ascolta, credo sia meglio portare fuori i ragazzi. Esco
con loro a fare due passi, almeno si distrarranno un po'".
Ross
annuì, con fare assente. "Sì, è
meglio".
Caroline
richiamò a se le figlie e, dopo una lunga trattativa,
convinse
Jeremy, Clowance e Bella a seguirla. "Su ragazzi, qui non potete
fare nulla e rischiate di impazzire! Vostra madre è forte,
ha solo
bisogno di più tempo".
Jeremy
lo guardò. "Papà?".
"Vai,
porta fuori per un po' le tue sorelle per favore" – gli
rispose, quasi in una supplica.
Il
ragazzo annuì, prese Bella per mano e assieme a Clowance si
accodarono a Caroline e alle sue due bambine.
Rimasto
solo con Jud e Prudie, Ross riprese a fare avanti e indietro nella
sala. L'idea che Demelza stesse soffrendo e che potesse essere in
pericolo, lo terrorizzava. Amava i suoi figli, avrebbe amato anche
questo nuovo bambino o bambina, ma niente valeva quanto sua moglie.
Non voleva, non poteva perderla!
"Ross!".
Dwight, giunto precipitosamente dalle scale, lo chiamò.
"E'
nato?" - gli chiese, ansioso e speranzoso.
"No.
Ho bisogno del tuo aiuto Ross, te la sentiresti di venire di sopra?".
Ross
deglutì. Di sopra? Ad assistere al parto? Non si era mai
sentito
nulla di simile, era una cosa inusuale e lo terrorizzava... Non era
tanto il parto in se, era vedere Demelza star male che... che...
"Dwight, che sta succedendo?".
"Ross,
è sfinita, non ha più forze e ho bisogno che tu
salga per darle
coraggio. Manca ancora molto e non c'è strada di ritorno,
DEVE
partorire o saranno guai sia per lei che per il bambino. Solo tu puoi
aiutarla, adesso".
Annuì.
Per Demelza avrebbe scalato a mani nude ogni montagna del mondo.
Avrebbe assistito alla nascita del suo bambino e questo lo spaventava
ma allo stesso tempo inorgogliva. In fondo, un giorno, lui e Demelza
ne avrebbero riso di questa cosa. "Vengo subito!".
Corse
su per le scale, si fiondò in camera e in un attimo fu al
fianco di
Demelza. Era distrutta, i lunghi capelli rossi erano senza luce,
opachi e sparsi per il cuscino, era sudata, stanca, senza forze. Il
viso era pallido, non l'aveva mai vista così fragile e
indifesa.
"Amore mio..." - le sussurrò, sedendosi sul letto accanto
a lei. Le prese la mano, la strinse nelle sue e la baciò.
"Sono
qui, sta tranquilla, presto sarà tutto finito".
"Ross...".
Demelza si voltò verso di lui e nonostante tutto,
azzardò un
sorriso stupito. "Che ci fai qui? Torna subito da dove sei
venuto...".
Dwight
intervenne nella loro discussione. "Temo di aver bisogno di lui
Demelza e quindi dovrai sopportare la sua presenza".
Sua
moglie non sembrava troppo d'accordo. "Non voglio... Non voglio
che mi veda così".
Ross
le accarezzò il viso, la baciò sulla fronte e le
disse la medesima
frase di tanti anni prima, pronunciata una notte di Natale. "Non
ti libererai di me, amore mio".
Demelza
dovette ricordarsi di quel frangente ormai lontano e si arrese,
sorridendo. Si lasciò abbracciare, Ross le cinse la vita e
la aiutò
a poggiare la schiena contro il suo petto. "Su tesoro, è ora
di
far nascere questo bambino".
"Sono
stanca".
Dwight
la visitò nuovamente e Ross guardò altrove. Era
tutto molto
difficile per lui, era una situazione nuova ed imbarazzante e non
sapeva come gestirla. Cercava di apparire calmo per Demelza ma si
sentiva impotente, un pesce fuor d'acqua e sentire sua moglie
lamentarsi, piangere, vedere l'espressione preoccupata di Dwight e
non potere fare niente... Gli sembrava di impazzire.
"Demelza,
coraggio, devi far nascere il bambino! Spingi!" - ordinò
Dwight, perentorio, dopo mezz'ora di inutili tentativi.
Demelza
provò a fare quello che lui le chiedeva ma era troppo stanca
per
riuscirci. Il suo respiro si fece corto, gli occhi si riempirono di
lacrime e si arrese, lasciandosi andare contro il corpo del marito.
"Non ce la faccio" – sussurrò.
La
strinse a se, le baciò la fronte e le sollevò il
viso perché lo
guardasse negli occhi. "Ricorda cosa mi hai promesso Demelza!
Avevi detto che sarebbe andato tutto bene e ora non puoi farci...
FARMI... questo". La sua voce voleva essere ferma, voleva
costringerla a stringere i denti e lottare, ma le sue parole avevano
il sapore di una supplica. Dopo tanti anni, aveva di nuovo paura di
perderla, come fu quando lei e Julia si ammalarono. "Ti prego".
Sua
moglie lo guardò senza forze, senza trovare fiato per
rispondergli.
Poi il suo sguardo si fece improvvisamente deciso, strinse la sua
mano, quasi gliela stritolò. E fece quello che lui e Dwight
le
chiedevano. Spinse, con tutta la forza che aveva ancora in corpo, con
disperazione e senza risparmiarsi.
"Ottimo,
continua così" – la incitò il loro
amico dottore.
Ross
la tenne stretta a se e alla fine, dopo infiniti minuti in cui
temevano che la situazione si bloccasse nuovamente, il bimbo nacque.
Demelza
urlò, poi si accasciò esausta fra le braccia di
Ross, senza avere
più nemmeno il fiato per respirare. Chiuse gli occhi,
affondò il
viso sudato contro il suo petto e scoppiò a piangere. Se per
sollievo, stanchezza o senso di liberazione, era difficile dirlo...
Ross
si impose di essere forte e di non piangere, non era ancora il
momento per commuoversi. La strinse a se, mentre nelle sue orecchie
rimbombava il pianto vigoroso del neonato. Dwight si stava occupando
di lui... O lei... Non si era ancora accertato di nulla del bambino,
ogni suo pensiero era rivolto a Demelza. Mai l'aveva vista tanto
fragile e spaventata come in quel momento, così vicina ad
arrendersi, ad un passo dal lasciarlo. "Ce l'hai fatta" –
sussurrò fra i suoi capelli, accorgendosi di quanto fosse
rotta la
sua voce.
Dwight
annuì, avvolgendo il neonato in una coperta. "Sì
ce l'hai
fatta. E' un maschietto in perfetta salute, grande e forte".
Ross
sentì a malapena le sue parole e forse anche Demelza.
Sentì che lo
abbracciava più forte, continuando a piangere, senza trovare
la
forza o la voglia di voltarsi per vedere il bambino. Non poteva darle
torto, aveva appena passato l'inferno a causa sua, pensò
fugacemente. La coccolò fra le sue braccia per lunghi
istanti come
se fosse stata essa stessa una bambina, mentre Dwight ripuliva il
piccolo, le accarezzò i capelli, le baciò la
fronte ed asciugò le
lacrime dal suo viso. "Sta tranquilla, è tutto finito".
Demelza
annuì, mentre Ross la aiutava a poggiarsi sul cuscino.
"Ross"
– sussurrò – "Se tu non fossi stato
qui...".
"Ma
c'ero, non pensarci!" - le rispose, baciandola sulle labbra. "E
in fondo non ho fatto nulla, hai fatto tutto da sola. Ce l'avresti
fatta anche se fossi rimasto di sotto, in salotto, come ogni buon
padre che si rispetti" – concluse, strizzandole l'occhio.
"Ora
però, promettimi che BASTA BAMBINI".
A
dispetto di tutto, Demelza sorrise. "Sì, basta bambini"
–
sussurrò stancamente, scambiando con lui uno di quei loro
segreti
sguardi d'intesa che gli sarebbe mancato come l'aria, se lei non ce
l'avesse fatta.
Dwight
si avvicinò loro, poggiando il bimbo sul petto di Demelza.
"Qui
c'è qualcuno che vorrebbe fare la vostra conoscenza"
– disse,
lasciando loro il bimbo.
Demelza
lo strinse a se e il bimbo si rannicchiò contro di lei,
prendendole
un dito fra le manine. Lo guardò. Era bello grosso, con le
guance
piene, il nasino all'insù e con un ciuffetto di capelli
rossi in
mezzo alla testolina quasi pelata. E con due occhi neri e profondi
che la scrutavano insistentemente, tanto simili a quelli di suo
padre.
Appena
fu fra le braccia di sua madre, il piccolo smise di piangere. Si
lasciò cullare tranquillamente e per lunghi istanti Ross, in
assoluto silenzio, rimase in contemplazione di sua moglie e di suo
figlio, di quel bimbo che fino a pochi minuti prima era una fantasia
che faceva quasi paura ma ora era lì, reale e vero. Strinse
a se
Demelza, quasi incurante che nella stanza ci fosse Dwight che finiva
di prendersi cura di sua moglie. La osservò. Era
stanchissima e
sofferente, molto pallida e sicuramente distrutta. Quasi stentava a
credere che per cinque volte lei avesse affrontato quel calvario per
permettergli di essere padre. Veder nascere un figlio era la cosa
più
straordinaria, potente e allo stesso tempo terrificante che avesse
mai visto. Si era sempre creduto forte ma vedere una donna partorire
aveva ridimensionato molto il suo orgoglio maschile, arrivando alla
conclusione che lui al suo posto probabilmente sarebbe morto.
Gli
occhi del piccolo si posarono su di lui e Ross allungò la
mano ad
accarezzarlo. E in quel momento si sentì di amarlo come gli
altri e
che senza di lui la sua vita non sarebbe stata perfetta come
immaginava. "E' bellissimo Demelza" – sussurrò fra
i
capelli della moglie.
"Ne
è valsa la pena, vero?" - rispose lei, con un filo di voce.
Non
sapeva risponderle a dire il vero, sapeva solo di essere
incredibilmente felice. "Lui è qui e anche tu. Questo mi
basta...".
Demelza
annuì. "Vuoi tenerlo in braccio?".
"Sì,
certo". Ross lo prese fra le braccia e il bimbo non accennò
alla minima protesta. "Henry Vennor Poldark..." - disse,
chiamandolo col nome che avevano scelto dopo mesi di lunghe
trattative coi figli. Jeremy aveva proposto Napoleon, affascinato da
quanto succedeva in Francia, Clowance desiderava un nome
aristocratico tipo Gustav mentre Bella aveva proposto il nome di un
compositore austriaco morto alcuni anni prima, un certo Wolfang
Amadeus. Alla fine però, lui e Demelza avevano optato per un
nome
semplice come quello dei fratelli e la scelta era caduta su Henry,
che aveva trovato piuttosto d'accordo tutti. "Sai Demelza, io mi
sbagliavo, non era vero che la nostra famiglia era al completo e ora
che l'ho in braccio, so che mancava lui". Baciò il suo
bimbo,
ottimista sul fatto che tutto sarebbe andato bene, dopo nove mesi di
angoscia.
Demelza
sorrise dolcemente, accarezzandogli una guancia e prendendo il bimbo
con se. "Io lo sapevo che mancava lui. E ora hai ragione, la
nostra famiglia è davvero completa". Lo guardò
negli occhi e
tremò, ricordando quanto patito poco prima. E poi
poggiò la testa
contro la sua spalla, singhiozzando sommessamente. "Dicevo
davvero Ross, se non ci fossi stato tu al mio fianco, sarei morta".
"Non
dirlo nemmeno per scherzo".
"Sono
seria".
Ross
scosse la testa. "Non ho fatto niente, ho solo cercato di
aiutarti a tirar fuori tutta la tua forza".
Demelza
raggiunse le sue labbra, baciandolo, mentre dietro di loro Dwight
usciva dalla porta per lasciarli soli. "Eri qui, era qui per me,
Ross. Ed è l'unica cosa di cui avevo bisogno, l'unica che ho
sempre
voluto".
"Sono
sempre qui per te, non solo ora".
Demelza
sorrise dolcemente, cullando Henry fra le braccia. "Non è
sempre stato così... E ringrazio Dio per averci cambiati
tanto, per
averci fatto crescere e fatti diventare quel che siamo".
Ross
si sentì in colpa per quelle parole e per il pessimo marito
che era
stato nei primi anni di matrimonio. Tanti errori avrebbe potuto
evitarli ma forse, col senno di poi, erano serviti a renderlo un uomo
migliore. "Io ti amo, amo te, i nostri figli, la nostra famiglia
e questa casa. Amo Artù e Garrick prima di lui e amo anche i
nostri
servi fannulloni. Non avrei voluto niente di diverso e nient'altro
avrebbe reso la mia vita tanto felice come è stata con voi".
"Lo
so... Adesso lo so" – rispose Demelza, in un sorriso.
Lo
sguardo di Ross si addolcì. "Ora riposa, Dwight è
andato a
chiamare Prudie per aiutarti a pulirti e a cambiarti. Devi dormire e
rimanere a letto a lungo per riprenderti".
Annuì,
ubbidendo senza fare obiezioni. Sapeva anche lei di averne bisogno.
"Ross" – disse, poggiando la testa sul cuscino.
"Cosa?".
"Una
volta odiavo Elizabeth perché guardavi lei in un modo in
cui,
credevo, non avresti mai guardato me".
"E
ora?".
Demelza
strinse a se Henry. "Non la odio più da tanto
perché adesso è
me che guardi in quel modo".
Ross
le strinse la mano. "In realtà credo che ti sbagli. Io non
potrò mai guardarti come guardavo Elizabeth. Lei era il
primo amore,
quello perfetto e alla fine irreale che si vive da ragazzini. Tu sei
altro, sei molto di più di lei... Sei mia moglie, la mia
amante, la
mia migliore amica, la mia compagna e la madre dei miei figli. Al
mondo non esiste nessuna donna che ai miei occhi possa essere
paragonata a te e il modo in cui ti guardo non è ripetibile
con
nessun'altra, né Elizabeth né la più
grande lady che potrebbe
passare da qui".
Demelza,
con gli occhi lucidi, non disse nulla sulle prime. Serenamente si
appoggiò sul cuscino e chiuse gli occhi, con l'espressione
di chi è
in pace col mondo. "Ross... Sai perché andiamo tanto
d'accordo,
fra le altre cose?".
"Perché?".
"Perché
siamo uguali, entrambi dei veri e propri anticonformisti. Da sempre!
Si è mai sentito di un padre che assiste alla nascita di un
figlio?".
Ross
ci pensò su, poi rise, le strizzò l'occhio e la
baciò sulla
fronte. "Forse un giorno andrà di moda".
Quando
Prudie arrivò, Ross lasciò la stanza col bimbo in
braccio. Mentre
la serva aiutava sua moglie a lavarsi e cambiarsi e a sistemare il
letto, con l'aiuto di Dwight fece il bagno ad Henry, stupendosi di
non aver perso la mano a maneggiare un neonato. "Sarà
stranissimo avere a che fare con un bimbo piccolo dopo tanto tempo"
– disse, sorridendo.
"Ti
riabituerai".
Ross
lo guardò in viso, con lo sguardo pieno di gratitudine. "Ti
ringrazio, le hai salvato la vita".
"E'
stato un parto duro ma lei è forte. Non ringraziarmi Ross,
è il mio
lavoro e Demelza una paziente speciale".
Ross
sorrise, riprendendo Henry ormai pulito in braccio, avvolgendolo in
una coperta di lana. "Ha i capelli rossi come Clowance, lo
adorerò".
"Altro
figlio preferito?" - disse Dwight, ridendo.
Anche
Ross rise. "Non lo dire a Clowance o tornerà gelosa come
quando
aveva cinque anni".
In
quel momento i ragazzi rientrarono con Caroline e le sue bambine,
correndo subito da lui. I loro occhi si illuminarono quando videro il
fagottino fra le braccia del padre e gli andarono vicino.
"E'
nato? O è nata?" - chiese Bella.
Ross
mostrò loro il fratellino. "Vi presento vostro fratello
Henry".
Clowance
lo guardò, preoccupata. "Come sta la mamma?".
Fu
Dwight a rispondere, per lui. "Bene, ma ha bisogno di molto
riposo, è stata dura".
Jeremy
sospirò, rasserenato. "Dovremo legarla al letto allora, lei
a
riposo non ci sta mai".
"La
murerò in camera, se non starà ferma" –
disse Ross,
risoluto.
Bella
gli tirò la giacca, mentre Artù lo annusava e
guardava incuriosito
il nuovo arrivato. "Posso prenderlo in braccio?".
Jeremy
scosse la testa. "No, sono io il più grande e quindi tocca a
me
farlo per primo".
"No,
tocca alla figlia maggiore, io!" - si intromise Clowance.
Bella
sospirò, arrendendosi al fatto che era la terzogenita e che
non
aveva diritto a niente. "Papà, tu e mamma dovevate fare tre
gemelli" – sbottò, incrociando le braccia.
Ross
impallidì a quelle parole. "Non dirlo nemmeno per scherzo".
Ridacchiò, poi si avviò verso le scale. "Mamma
riposa e pure
Henry deve dormire. Lo terrete in braccio domani".
"Voglio
vedere la mamma!" - implorò Jeremy.
"Domani".
Ross sapeva che i figli desideravano abbracciarla, ma voleva non si
agitasse troppo. Demelza era troppo spossata per tutte quelle
emozioni e l'unica cosa di cui aveva bisogno era il riposo, col suo
bimbo fra le braccia.
Caroline
ridacchiò. "Ragazzi, non insistete, non capite che i due
piccioncini vogliono stare da soli?".
Ross
le diede un'occhiataccia, arrossendo. "Buona serata, miss Enys.
E grazie dei servigi resi".
"Di
nulla" – rispose a tono l'ereditiera – "E
congratulazioni, capitano".
Ross
annuì e poi salì le scale. In fondo Caroline
aveva ragione, tutto
quello che voleva era rimanere accanto a Demelza, loro due ed Henry,
da soli, per quella prima notte.
Per
tutto il resto ci sarebbe stato tempo da domani...
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