Il
seguito di “Sguardi”, ispirato e richiesto da
Emotional Fever.
Spero
vi piacerà :)
Fatemi
sapere qualcosa, dal momento che le One-Shot non sono decisamente il
mio cavallo di battaglia.
Buona
lettura e a presto!
Baci,
Lagherta :*
Era
passato diverso tempo (diversi mesi a dir la verità) e non
aveva più
rivisto la ragazza dai capelli di mogano né la bambina dai
capelli
d'oro.
Non
sapendo come si chiamasse, non aveva neanche provato a cercarla su
uno qualunque dei social a cui era iscritto.
La
routine universitaria lo aveva inghiottito di nuovo, dopo la breve
pausa estiva, e il pensiero della ragazza mora era scivolato in fondo
alla sua mente, quasi sepolto dalle miriadi di altri pensieri (le
lezioni, gli esami, gli amici, il lavoro) che lo tenevano impegnato.
Eppure, ogni sera, appena prima di addormentarsi, gli occhi, i
capelli, il corpo, la voce di lei tornavano alla ribalta, occupando
l'intero spazio che trovavano a loro disposizione e lui rivedeva la
dolce figura di donna che aveva attirato la sua attenzione quel
giorno di settembre in biblioteca.
Ogni
sera, nel letto, l'immagine di lei si faceva spazio prepotente e lui
si addormentava con un sorriso sulle labbra.
Ricordava
di averla vista studiare, quando la bambina dai capelli d'oro non era
presente, con un ragazzo.
Un
ragazzone alto, sempre in tuta, che non la sfiorava quasi mai
volontariamente. Eppure aveva notato come ci fosse
familiarità tra i
due. Una scintilla, più blanda di quella che accendeva gli
occhi di
lei quando arrivava la piccola bionda, le illuminava il sorriso
quando lo vedeva. Aveva sorpreso entrambi, più volte, ad
osservarsi
di nascosto l'uno dall'altra. Si era scoperto infastidito. Quel gioco
di sguardi allora non era una prerogativa solo sua e della ragazza.
Quel ragazzone alto e dall'aria simpatica aveva lo stesso privilegio,
il cui valore aumentava di molto. Sì, perché
negli occhi della
ragazza dai capelli di mogano, c'era un amore profondo, un affetto
infinito e longevo.
Era
geloso, perché negli sguardi tra la mora e il ragazzo alto,
c'era un
universo intero che sarebbe stato per sempre precluso a chiunque
altro. E si rattristava al pensiero che lui non avrebbe mai raggiunto
quel livello di intimità che sprizzava palese da quei due.
Perché
non erano solo gli sguardi. Era tutto il resto. Era come lei fremeva,
quando si sedeva al tavolo e aspettava che il ragazzo alto arrivasse.
Era come lui la guardava mentre lei si concentrava sulle parole
stampate sul libro che aveva davanti. Era come lei percepiva il suo
arrivo, riscuotendosi dalla specie di trance in cui sprofondava
durante la lettura, riconoscendone i passi. Sapeva che lei
riconosceva anche il profumo del ragazzo alto: le aveva visto fremere
le narici e poi sorridere, appena prima che lui le posasse una mano
sulla spalla, palesandosi.
Eppure,
anche se le prime volte lo aveva pensato, quei due non stavano
insieme. Forse erano stati innamorati, perché
quell'intimità la si
raggiunge solo dopo aver condiviso anime e cuori, ma non lo erano
più. Sembravano solo due ottimi amici, di quelli per cui il
sesso di
appartenenza è diventato secondario, di quelli che darebbero
qualunque cosa per l'altro senza chiedere niente in cambio, di quelli
che mai sarebbero stati invidiosi l'uno dell'altra. Erano due anime
affini, che si erano trovate in una situazione di equilibrio in cui
l'amore profondo che provavano l'uno per l'altra era diventato un
amore fraterno. Migliori amici, ecco che cos'erano. E aveva smesso di
essere geloso.
Era
passato Ottobre, era passato anche Novembre. Dicembre era iniziato,
con la sua aria gelida e il mare grigio, tipico dell'inverno.
L'Università era in pausa e la biblioteca era diventata di
nuovo il
rifugio di un mare di ragazzi.
L'aveva
pensata ogni giorno, quando arrivava la sera. Prepotente lei invadeva
la sua mente, accompagnandolo verso il sonno e poi se ne andava. Il
giorno spariva, ma la sera, puntuale, tornava.
La
biblioteca era piena, eppure il tavolo dove lei si sedeva era sempre
libero, come se fosse in attesa del suo ritorno. E lui, ogni giorno,
aspettava di vederla entrare, dirigersi verso quel tavolo con la sua
camminata così particolare, sedersi senza far rumore e
sentirla
imprecare sottovoce quando le fosse caduta una penna.
Natale
si avvicinava e lui aveva quasi perso la speranza di vederla seduta a
quel tavolo che senza di lei sembrava così vuoto.
Era
mattina, la biblioteca aveva aperto da un'ora e lui era entrato, la
cinghia della borsa sulla spalla destra, il giaccone posato sul
braccio. Non aveva nemmeno prestato attenzione a quel tavolo, ci era
passato accanto senza guardarlo, evitando così di rimanere
deluso
nel vederlo vuoto. Mentre si sistemava, chinato accanto alla sedia
del tavolo che aveva scelto, aveva sentito un rumore di passi che gli
era risultato familiare. Allora aveva alzato gli occhi e l'aveva
vista. I capelli raccolti e fermati da una matita, il telefono in
mano e gli occhi chini ad osservare lo schermo. Un maglione bordeaux
lungo fino alle cosce con le maniche troppo lunghe, un paio di calze
nere pesanti e degli stivali con un leggero tacco.
Bella
come non mai, l'aveva trovata. Forse era perché erano
passati mesi
dall'ultima volta che l'aveva vista, forse perché il
bordeaux le
donava, mettendo in risalto le sfumature rossicce dei capelli.
Si
era seduto, imbambolato, guardandola fisso. Il libro di economia
aziendale che albergava davanti a lui aveva perso ogni interesse.
Ricordandosi
della promessa che si era fatto a settembre, aveva preso il coraggio
a due mani e si era alzato. A passi svelti, prima che la forza di
parlarle gli sfuggisse di mano, si era avvicinato al suo tavolo, dove
lei era seduta da sola, tutta concentrata su un manuale di anatomia
aperto su una sezione del cuore che lei osservava con aria critica.
“Ciao”
aveva sussurrato lui, con voce bassa ma chiara.
Lei
aveva alzato lo sguardo e gli aveva sorriso. Un sorriso dolce e
aperto, di quelli che ti trasmettono calore e che si era espanso fino
agli occhi nocciola.
“Ciao”
aveva risposto
“Volevo
chiederti…niente. Lascia perdere.” lui aveva
scosso la testa con
i corti ricci neri, dandosi mentalmente dell'idiota.
“Tranquillo...”
aveva risposto lei, continuando a sorridere “Comunque, tanto
perché
tu lo sappia, quella bambina bionda è mia cugina”
ed era tornata
ad osservare quella sezione di cuore. Lo stesso cuore che adesso
batteva nel petto di entrambi, senza che l'altro lo sapesse.
“Oh,
ma certo. Non...” aveva balbettato lui, le guance arrossate.
“Sì
che lo avevi pensato. Lo pensano sempre tutti” lo aveva detto
sorridendo, senza rancore né fastidio. Era consapevole che
sia per
l'atteggiamento che aveva con la bambina che per l'età
(anche se
doveva ammetterlo, sarebbe stata una mamma abbastanza giovane) la
gente spesso le scambiava per mamma e figlia. “Che cosa
volevi
chiedermi, comunque?”
“Un
caffè. Cioè posso offrirti un
caffè?” aveva nuovamente
balbettato lui, ormai paonazzo fino alla punta delle orecchie.
“Volentieri,
stavo per fare anche io una pausa.” aveva sorriso lei,
chiudendo il
manuale e mettendo una matita a segno della pagina a cui era
arrivata. Poi si era alzata, con grazia e delicatezza, aveva preso il
telefono e il portafoglio e lo aveva guardato.
“Andiamo?”
“S-sì,
certo” aveva risposto lui, incantato a guardarla. Lei, che se
ne
era accorta, aveva sorriso di sottecchi e si era avviata verso
l'uscita. Lui l'aveva seguita, ipnotizzato dal movimento ondeggiante
dei suoi fianchi.
Non
che ci mettesse malizia, nel procedere ancheggiante, anzi, non lo
faceva di proposito. Era una parte di lei, quella camminata,
esattamente come lo erano gli occhi nocciola, i capelli mogano e le
labbra, rosate e carnose al punto giusto. Era rimasto incantato dalle
labbra esattamente come da tutto il resto.
“Come
lo prendi?” gli chiese, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Che
cosa? Scusa ero distratto.”
“Ti
ho chiesto come prendi il caffè” rispose lei, con
un sorriso furbo
sulle labbra.
“Ah
si. Al vetro basso, per favore.”
Lei
annuì, pensierosa, e si diresse al bancone. Dopo qualche
chiacchiera
con la barista, che evidentemente conosceva, ordinò i due
caffè.
Tornò poco dopo, le tazzine in mano e un sorriso stampato in
faccia.
“Non
mi hai ancora detto come ti chiami, in ogni caso”
buttò lì lei,
con nonchalanche.
“Etienne.
Ma neanche tu lo hai fatto” rispose lui, riacquistando la
parola.
“Ariadne”
Lui
pensò che fosse un bel nome, particolare, adatto a lei, che
di
comune non aveva niente.
“Come
mai” iniziò lei, pensierosa “dopo aver
passato settembre a
osservarmi – Sì, me ne sono accorta – mi
hai rivolto la parola
solo adesso?”
“Beh…i
motivi sono più d'uno e non tutti sono dipesi da
me.” rispose lui,
gli occhi abbassati a fissare il cucchiaino che girava ritmico nel
bicchierino di vetro.
“Prego
, sono curiosa” lo spinse lei, maliziosa.
“Dunque.
Il primo è che non ho mai approcciato una ragazza in
biblioteca,
tanto meno una ragazza come te”
“Una
ragazza come me?” chiese lei assottigliando lo sguardo.
“Beh,
si. Non sei come tutte le altre.”
“Sì,
certo…scusa il mio scetticismo, ma questa frase
è, come
dire...usurata.”
“No.
Cioè non nel mio caso.”
“Perchè,
il tuo caso che cos'ha di diverso?” si stava divertendo a
metterlo
in difficoltà notò lui. No lei decisamente non
era come le altre.
“Lo
penso davvero. Sai, ti ho osservata tanto. So che te ne sei
accorta”
disse, zittendola con un gesto a cui seguì un'espressione
decisamente contrariata di lei “Non conosco nessuno che
tratti i
libri come lo fai tu. Sembra che tu...tu veneri quelle pagine
scritte. Le sfiori delicatamente, le osservi, credo di non sbagliarmi
a dire che a casa tua le annusi pure.”
Gli
occhi nocciola si sgranano e scuriscono. L'ha impressionata.
“Un
altro motivo era la bambina. Non sapevo chi fosse, ma pensavo fosse
tua figlia. Il modo in cui la guardavi era pieno di amore e lei
ricambiava.”
“Anche
se fosse stata mia figlia avresti potuto comunque parlarmi”
“Davo
per scontato che ci fosse un padre della bambina, cosa che mi
è
stata confermata quando ti ho visto insieme a quel ragazzone alto
sempre in tuta. Lui ti guardava, quando tu non te ne accorgevi. C'era
un amore profondo in quello sguardo, un senso di protezione assoluto.
Pensavo steste insieme e che lei fosse vostra”
“Che
idiozia. Vivienne è bionda, sia io che Alexander siamo
mori.”
“Non
era il colore dei capelli. Era il modo in cui la guardavi e come lui
guardava te. Era la bolla che si creava intorno a voi, quando eravate
insieme. Escludevate tutto il resto del mondo. C'eravate te e lei
oppure te e lui. Non avrei potuto avvicinarmi. E in ogni caso non hai
smentito il fatto che tu e Alexander state insieme”
“Lo
siamo stati, ma non lo siamo più da anni. Ci crederesti, se
ti
dicessi che è la prima volta dopo 5 anni che io e lui ci
vediamo,
parliamo, passiamo del tempo insieme da soli? La sua fidanzata ha
fatto in modo che fossi esclusa dalla sua vita, nonostante tra noi
fosse finita anni prima”
“Se
fosse vero vorrebbe dire che l'affetto che provate l'uno verso
l'altra può resistere a qualunque cosa e che forse siete
fatti l'uno
per l'altra…”
“No.
Ci abbiamo provato. Più volte. Ma la verità
è che funzioniamo
meglio come amici che come innamorati.” scuote la testa, la
voce
trema leggermente.
“Quindi
non state insieme. E lei non è tua figlia. L'ultimo motivo
è che
non avevo il coraggio.”
“Il
coraggio? Non sono mica un mostro!” esclama lei, ridendo.
“No!”
esclama lui di rimando, quasi offeso dell'affermazione di lei.
“Certo
che no! Ma sono timido e non sapevo se stavi con quel tipo, se la
bambina fosse tua figlia…non sapevo neanche quando ti avrei
rivista. Ho trovato il coraggio solo dopo quella volta in cui siamo
usciti e ci siamo diretti alle macchine camminando praticamente
insieme. Poi non ti ho più vista. E neanche la bambina. Ho
pensato
anche di chiedere a quel ragazzone alto e con la tuta, ma
insomma…mi
incuteva un po' timore dal momento che ti guardava come se fossi la
cosa più preziosa del mondo…”
“Beh,
fa niente. Adesso il coraggio lo hai trovato. Sai che non sono una
mamma e che Alexander è semplicemente un amico. Ora che
farai?” lo
guarda di sottecchi, le ciglia lunghe e nere che ombreggiano quegli
enormi occhi nocciola in cui lui legge…timore?
“Non
so…potremmo vederci, qualche volta, se ti va
naturalmente…”
tentenna lui.
“Con
molto piacere” risponde lei, tirando un impercettibile
sospiro di
sollievo.
I
caffè sono stati bevuti, nelle tazzine sono rimasti soltanto
i
fondi. Eppure, così come qualcosa è terminato,
qualcos'altro è
appena nato. Un amore, un'amicizia…
I
due ragazzi si guardano, timidi eppure felici.
Quello
che sarà, solo il tempo potrà dirlo.
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