Sette giorni erano già trascorsi da quando il Generale Zoe-El e i nuovi cadetti erano partiti per l’addestramento e con essi, anche Kara aveva temporaneamente lasciato alle sue spalle sia il Wessex sia il suo cuore, accudito dalle mani amorevoli della fanciulla che amava.
La traversata verso l’isola di Jersey era stata tranquilla e pacifica, accompagnata da tenui raggi solari che s’infrangevano con precisione sulla superficie di scudi ed elmi, da una frizzantina aria che solleticava costantemente l’olfatto dei passeggeri ed una trepidante attesa che scorreva nelle vene di tutti i cadetti. Nessuna presentazione ufficiale era stata ancora fatta, per cui i giovani che avevano deciso di prender parte all’addestramento non erano ancora a conoscenza delle fattezze del loro istruttore, tanto meno erano a conoscenza delle metodologie di insegnamento utilizzate da quest’ultimo. Alcuni ex allievi con i quali dei giovani avevano avuto modo di parlare, sostenevano che il buon vecchio cavalier Snapper – dai modi rudi e imperiosi – in realtà in passato si era dimostrato molto più magnanimo e misericordioso di quanto tutti credessero e la maggior parte dei componenti dell’attuale esercito del Re consideravano il saggio insegnante come un mentore ed un modello da seguire.
Proprio per questo Kara aveva chiesto al generale J’onzz di potersi presentare personalmente ai suoi allievi e soprattutto di poterlo fare a tempo debito, ovvero il primo, effettivo giorno di addestramento.
Le mura del plesso che ospitava gli allievi si ergevano imponenti quasi sulle spiagge dell’isola, ai piedi di un’enorme scogliera che – frastagliata e minacciosa – delimitava l’intera struttura dai boschi del luogo, tradizionalmente conosciuti come dimora di creature sovrannaturali.
Nessuno aveva mai creduto davvero alle fantasticherie che i veterani di guerra raccontavano su quel luogo, ma oramai da decadi ogni giovane del Wessex veniva influenzato da tali racconti, tanto da crescere con il timore di poter malauguratamente imbattersi in una strana creatura mostruosa.
Il Generale J’onzz e i suoi uomini invece, risiedevano in un recintato completamente differente rispetto agli alloggi degli aspiranti guerrieri, molto più confortevole ed indicato grazie anche ad una piccola servitù locale che da anni prestava servigio costante per mantenere in buone condizioni il luogo.
Quando Kara appoggiò i suoi effetti personali su quello che doveva essere un letto, si rese conto che non sarebbe riuscita a dormire affatto, per qualche notte almeno. Quella stanza misera e sterile non faceva altro che sbatterle in faccia tutto ciò che aveva lasciato dietro di sé quando aveva messo piede sulla nave che li avrebbe condotti su quell’isola. Più volgeva lo sguardo attorno a sé e più realizzava le differenze: non c’erano le enormi vetrate della stanza di Lena che portavano sempre tanta luce, non c’era neppure un libro, non c’erano specchi e non c’era alcuna traccia di Lena. Era tutto così misero, così insignificante e sapeva di poter quasi risultare eccessiva se la sua reazione fosse stata osservata da occhi esterni, ma davvero non riusciva a capacitarsi dell’aura tetra e cupa che circondava quelle quattro mura.
Ma appunto, i primi sette giorni erano trascorsi e tra preparativi e quant’altro, era arrivato finalmente per gli allievi il giorno di iniziare l’addestramento pratico.
Le onde del mare si infrangevano forti quella mattina, i gabbiani erano già alti nel cielo nonostante fosse appena l’alba e la salsedine già iniziava a depositarsi sulle decine di armi posizionate ordinatamente sul lato interno della grande spiaggia. Kara camminava a piedi nudi sul bagnasciuga, ipnotizzata dal modo in cui l’acqua risucchiasse all’istante le impronte che – un passo dopo l’altro – lasciava alle sue spalle. I suoi stretti pantaloni neri di cotone arrotolati fino alle ginocchia, la casacca blu che le fasciava perfettamente le spalle, le braccia muscolose e il busto, la sua fidata spada che – come un cane dormiente – non lasciava mai il suo fianco destro. Si sentiva pronta quella mattina, nonostante le aspettative e le titubanze lei sapeva di potercela fare e lo avrebbe dimostrato.
Quando iniziò a sentire alcune voci profonde provenire dall’entroterra, legò velocemente i capelli con un nastro in una coda alta e strinse più che poté il nodo. Non voleva affatto che il vento permettesse al nastro di sciogliere la presa sulla sua selvaggia chioma e in più non voleva dare in alcun modo spettacolo, sapendo benissimo che ogni occasione sarebbe stata colta al volo per ricordarle quando di differente ci fosse in lei.
“Benvenuti!” Esclamò a voce alta, tono sicuro e sguardo risoluto, mentre voltava definitivamente le spalle al mare per dedicare la sua attenzione al gruppo di giovani allineati di fronte a lei.
Sorrise leggermente quando scorse gli occhi sgranati di alcuni e iniziò ad un udire un lieve bisbiglio che – come il ronzare di una mosca – dopo alcuni istanti iniziava quasi a sovrastare il rumore delle onde.
“Immagino abbiate capito già chi sono, ma le espressioni perplesse di alcuni di voi mi dimostrano che non a tutti è ben chiara la mia presenza. Quindi senza indugio adesso mi presenterò, dopo di che non vorrò più udire alcun suono provenire dalle vostre file.” Continuò Kara, ferma di fronte al gruppo, schiena dritta e le mani appoggiate come d’abitudine sulla sua cintura. “Sono Kara Zor-El, secondo cavaliere della corte di King George, consigliere di corte e membro effettivo delle milizie attive da circa quattro anni.” Spiegò pacatamente, esternando in quelle parole tutta la fierezza che ne poteva derivare dalla sua posizione. “E si, sarò il vostro nuovo insegnante per l’addestramento pratico e per i prossimi venticinque giorni vi allenerete per diventare ciò che spero per voi sia un onore, oltre ad essere un dovere: ovvero dei cavalieri.”
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Era duro soprattutto psicologicamente, se ne stava rendendo conto quando dopo circa dieci giorni dall’inizio dell’addestramento ancora c’era qualche ragazzo che cercava di sfidarla o di voler ostentare in qualche modo una mascolinità che – Kara sapeva per certo – non li avrebbe sicuramente salvati in battaglia, anzi. Ed era proprio mentre cercava di pensare ad un modo per far capire ai suoi ragazzi l’inutilità della forza bruta, che entrò nella sala grande per cenare e inaspettatamente si trovò scrutata da occhi chiari fin troppo conosciuti. Occhi che la fissavano con attenzione e che appena incrociarono lo sguardo sorpreso di Kara si illuminarono a giorno.
“Padre!” Urlò lei, cancellando velocemente la distanza che la separava dall’uomo. Quando le fu abbastanza vicino non ci pensò due volte e con un breve salto si ritrovò avvinghiata alle possenti spalle del generale Zor-El. Fu subito avvolta dall’odore forte di legna che contraddistingueva l’uomo e quando le braccia forti di lui le avvolsero la vita, le venne spontaneo stringerlo ancora di più ed iniziare a ridere di cuore. “ Oh padre, sono così felice di vedervi. Cosa ci fate qui?”
“Ciao mio piccolo eroe…” Sussurrò il padre, affondando il viso nei capelli sciolti di Kara, inebriandosi del suo odore che tanto gli ricordava quello della sua adorata moglie. “Prima di tutto sono venuto a farti visita. Ero curioso di sapere come stessero procedendo le cose qui. Sono davvero tanto fiero di te.”
Dopo alcuni istanti, il generale lasciò andare sua figlia, dirigendosi poi entrambi verso il tavolo già imbandito per la cena. Vino rosso in quantità, tanto pollo e patate bollite: per Kara quella sera sarebbe stata festa grande.
“Sta andando davvero bene padre. Certamente non è stato semplice i primi giorni, soprattutto perché sapete quanto sia complicato – e fatico ancora a capirne il motivo – per gli altri darmi credito, ma sono davvero soddisfatta di come procede l’addestramento. Non sembra apparentemente, ma sono tutti ragazzi dotati ed intelligenti.” Esclamò Kara con fervore, prendendo posto al tavolo e fronteggiando il padre, il quale sorrise divertito notando l’entusiasmo della fanciulla.
Senza troppi indugi, entrambi iniziarono a consumare il loro lauto pasto e se qualcuno avesse presenziato al banchetto, di sicuro non avrebbe notato alcuna differenza riguardo l’attitudine che entrambi gli El avevano nei confronti del cibo.
Cinque cosciotti di pollo, due caraffe di viso e un’enorme ciotola di patate dopo, padre e figlia erano fin troppo soddisfatti sia della cena sia della felice riunione familiare. L’improvvisa serietà del generale però, acquisita senza che nessuno potesse avere il tempo di capire, fece insospettire Kara, che con delicatezza cercò di comprendere i motivi del suo mutamento d’umore.
“Ditemi padre, siete qui anche per un’altra ragione, non è vero?”
Dal suo canto, l’uomo afferrò saldamente il calice di vino posto sul tavolo oramai spoglio e ne bevve una generosa quantità, come a voler estrapolare dal vino il coraggio che gli mancava per poter parlare. Ed effettivamente quel comportamento risultava ambiguo agli occhi di Kara, così abituata alla risolutezza e l’imponenza che caratterizzavano la figura di suo padre.
“Padre, mi fate preoccupare se continuate ad indugiare…”
“Tua madre ed io abbiamo discusso a lungo qualche giorno fa, mia cara.” Iniziò quindi il generale, posando il calice di fronte a sé e discostandosi poi dal tavolo per iniziare a camminare lentamente per la stanza. “Non credevo di dover essere io a parlartene, ma tua madre ha sagacemente constatato quanto tu sia simile a me, più di quanto entrambi vogliam credere e quindi ho deciso di parlarti di persona perché volevo prestare onore al legame che da sempre ci lega.”
“C-certo padre, vi voglio molto bene anche io, lo sap-“
“Quando tornerai al castello, tua madre ed io abbiamo deciso che è arrivato il momento di introdurti a corte in veste ufficiale e vorremmo organizzare una cena con Sir Lar Gand
[1] e la sua famiglia.” Esclamò perentorio il generale, imponente in tutta la sua stazza mentre si ergeva al centro della sala.
Ci vollero alcuni istanti prima che Kara prendesse coscienza di quanto era stato detto e non appena si rese conto di ciò che avrebbero potuto significare quelle parole, sentì nel petto una strana morsa dolorosa, come se la gabbia toracica stesse stringendo eccessivamente intorno a polmoni, cuore e il tutto si riducesse ad un’enorme ostruzione che non le permetteva quasi di respirare.
Loro non potevano… loro non sapevano…
“P-padre…” Tentò di pronunciare Kara, alzandosi involontariamente dalla sedia e avvicinandosi di poco al centro della stanza, dove il generale volgeva ancora lo sguardo altrove, probabilmente timoroso di incontrare la figura di sua figlia.
“So che tutt-“
“No padre, voi n-non sapete
assolutamente nulla. Nulla!” Esclamò in preda al panico Kara, cercando ancora di capire cosa dire e come comportarsi. “C-che significa che avete discusso? A-avete parlato di me, del mio futuro… mentre io cerco di fare del bene, d-di essere, anzi no, di
dimostrare chi sono e di cosa sono capace… v-voi semplicemente decidete che è arrivato il momento per farmi smettere di essere un cavaliere e d’un tratto dovrei fare cosa, di grazia? No, vorrei saperlo.”
“Potresti iniziare a comportarti come una fanciulla comune, Kara!” Esclamò quindi l’uomo, rivolgendo finalmente l’attenzione alla ragazza, la potenza di quelle parole che rimbombava nella stanza come l’eco di una frustata.
“Io sono una fanciulla comune padre, più comune di quanto possiate credere.” Esclamò con foga la bionda, negli occhi un’incredulità dilaniante. “Credete che la mia posizione sociale abbia compromesso la mia femminilità per caso? C-cosa vi fa pensare di poter alludere in questo modo senza mancarmi di rispetto?”
“Bada bene a come parli ragazzina, che se c’è qualcuno che dovrebbe parlare di rispetto, quello sono io. Io Kara, non tu!” Rispose rabbioso l’uomo, puntando il dito conto la bionda ed alzando la voce come poche volte era accaduto. “Ho accettato così tanti compromessi a causa tua.
Io sono stato deriso perché a detta altrui ho trasformato mia figlia in un uomo mancato.
Io sono stato minacciato a causa dell’inappropriata condizione sociale che da sempre ti caratterizza.
Io Kara, quindi non parlarmi di rispetto. E sono fiero della persona che sei nonostante tutt-“
“Nonostante cosa, di cosa parlate padre? Perché improvvisamente emerge tutto questo?” Domandò esasperata Kara, oramai stufa di girare intorno alla questione.
E quando incrociò gli occhi di suo padre, scuri come un mare notturno in tempesta, capì che il danno era più grave di quanto pensasse.
“Che cosa avete fatto? Cosa le avete detto padre?” Sibilò furibonda, avvicinandosi all’uomo in un istante per fronteggiarlo come non aveva mai neppure pensato di poter fare in tutta la sua vita. “RISPONDETEMI!”
“Le abbiamo raccontato tutto perché volevamo un consiglio, visto che è la persona che ti conosce meglio e quando abbiamo finito il nostro discorso, era emaciata e silenziosa come se stesse per avere un mancamento. Ed è lì che ho capito l’assurdità di quanto stava accadendo.” Rispose il generale, azzerando la distanza che lo separava dalla figlia per poi arpionarle le spalle e scuoterla con vigore. “E stava accadendo sotto il mio sguardo, il mio!”
“Che cosa avete fatto… c-che cosa…” balbettò tra i denti lei, cercando di divincolarsi dalla presa intensa del padre alla ricerca di aria. Ma l’uomo non la lasciava andare, anzi. Continuava a scuoterla ed urlare domande sconclusionate, come se in quelle parole stesse riversando mesi e mesi di paure e sospetti, come se stesse esternando tutto il dolore fino ad allora sopito, volutamente accantonato.
“PERCHE’ L’AMO PADRE. IO LA AMO!”
Attimi di glaciale silenzio seguirono le parole di Kara, spezzati soltanto dal respiro affannoso di quest’ultima, che a pieni polmoni aveva urlato ciò che avrebbe sperato di svelare in circostanze molto più accoglienti.
Suo padre era sempre stato un uomo buono, ai suoi occhi appariva da sempre come un marito amorevole, un combattente valoroso ed una persona da stimare in qualsiasi circostanza. E non avrebbe mai pensato che la stessa persona che da bambina l’adagiava delicatamente sulle sue spalle nel vano tentativo di farle toccare il cielo o che l’aiutava a difendersi contro i prepotenti, sarebbe stata in grado di giudicarla così malamente, serbando un rancore ed un dolore assolutamente incomprensibili per lei.
Da sempre il legame che univa i suoi genitori – nonostante cadute accidentali ed incidenti di percorso – era stato per lei fonte di ispirazione, un qualcosa cui aspirava con ogni fibra del suo essere. Kara aveva sempre sperato di poter trovare in qualcuno lo stesso amore che i suoi genitori avevano trovato l’uno nell’altra e tanti erano i dolcissimi momenti nei quali si era ritrovata a pensare
“un giorno avrò anch’io qualcuno che mi guarderà come si guardano loro.” E ci era riuscita. Inaspettatamente aveva trovato tutto ciò che desiderava ed anche di più, perché Lena andava decisamente oltre ogni aspettativa possibile e perché suo padre non poteva essere felice per lei? Perché doveva sabotare così malamente un’unione di anime che, a suo giudizio, riteneva più forte di ogni volontà?
“Tu l’ami…” Mormorò quindi il generale, esclamando quelle poche parole con un tono così flebile, vuoto. Quasi come se avesse realizzato in quel preciso momento la natura del sentimento che albergava in sua figlia. “L’amore Kara… l’amore ha permesso l’estinzione di intere civiltà, lo sai questo?” Continuò poi, lasciando andare – ora con rinnovata gentilezza – la presa sulle spalle della bionda per poggiare poi le sue mani grandi ai lati del viso di lei, accarezzandone le guance con i pollici incalliti nel vano tentativo di asciugarle e magari donarle conforto. “ Tu non puoi sapere cosa sia l’amore a quest’età bambina mia, tu non lo sai…”
“P-padre, vi prego…” Gemette Kara, non riuscendo in alcun modo a placare i singhiozzi che le scuotevano il petto. Le stavano squarciando le membra così dolorosamente che avrebbe voluto soltanto rannicchiarsi e continuare a piangere, sperando che tutto quel dolore improvviso potesse lasciarla in pace. “I-io non posso… n-non posso vivere senza di lei. N-non riesco…” continuò a balbettare, cercando di prendere fiato ad ogni parola pronunciata. “C-ci ho provato, ma non riesco. Non voglio. I-io non voglio vivere senza di lei… t-ti prego non permettere c-che accada.”
“Oh figlia mia…” Esclamò con commozione il generale, attirando con veemenza la ragazza a sé per stringerla poi al petto, lasciandole il tempo di esternare tramite il pianto tutte le sue emozioni. Le baciò il capo color del grano ripetute volte, ammonendosi mentalmente per essere stato così cieco, così volubile ed assetato dalla voglia di essere socialmente rispettabile. Ma la disperazione della sua bambina – perché nonostante la sua posizione e le sue gesta, l’uomo avrebbe guardato Kara e l’avrebbe sempre vista come la sua bambina dalle lunghe trecce bionde e il sorriso smagliante – lo aveva colpito come un pugno in pieno volto e non era stato capace di dar ascolto a nulla se non al suo amore paterno. “Perdonami Kara, perdonami.”
Kara si strinse spasmodicamente al busto del padre, rifugiandosi nel suo abbraccio come se volesse scomparire in esso. Sentiva, quasi come un riverbero lontano, le scuse dell’uomo e l’affetto sprigionato da quelle parole. Ma il senso di vuoto che l’aveva posseduta da quando quella conversazione stava avendo luogo, purtroppo non la lasciava andare e non riusciva ad immaginare alcuno scenario futuro senza la donna che amava. Senza Lena niente avrebbe mai potuto avere un futuro. Niente. Ed allora capì.
“Ascoltami mio piccolo eroe, ci penserò io a risolvere questa situazione, d’accordo?” Esclamò l’uomo con un inedito vigore. “Parleremo con tua madre e cercheremo di farla ragionare. Lei ti vuole bene quanto me e sono sicuro che troveremo una soluzione, perché deve esserci una soluzione a tutto ciò.”
Kara, che nel frattempo era riuscita a placare il pianto che la stava devastando, si scostò gentilmente dal petto dell’uomo e con occhi rossi e colmi di lacrime finalmente lo guardò. “Darei la mia vita per lei padre, non sono disposta a nessun tipo di compromesso. E’ bene che sia chiaro questo.” Disse con convinzione, un lampo di puro orgoglio a trafiggerla interamente. “Quando tornerete non parlatele, non avvicinatevi a lei e lasciate tutto in sospeso. Al mio ritorno ci penserò io.”
****
Potevano essere trascorsi attimi, giorni, mesi o addirittura anni.
Il sole avrebbe potuto cedere il suo posto alle tenebre più fitte senza che lei ne notasse la differenza. Il mondo avrebbe potuto iniziare addirittura a girare su sé stesso come una trottola, per lei non avrebbe avuto alcuna importanza. Nulla aveva più importanza per lei da diverso tempo oramai e nessuno era stato in grado di modificare lo stato emotivo di Lena. Si sentiva come rinchiusa in un’ampolla, con razioni di aria e libertà talmente povere da farla sentire come un animale in gabbia che veniva periodicamente schiacciato dal peso della sua impotenza, tanto da farle mancare il respiro.
Si sentiva esattamente a quel modo: come un animale indifeso al quale mani forti e grandi stavano brutalmente strappando la vita. Stava soffocando e non riusciva, anzi non voleva affatto capire come porre rimedio a tutto ciò.
Nessun luogo del Wessex era in grado di donarle sollievo, neppure rinchiudersi nella sua amata biblioteca – che da anni era il suo luogo sicuro, il posto in cui riusciva ad evadere con la mente e con l’anima – poteva nulla contro l’oscurità che lentamente si stava facendo strada nel suo essere. E quante volte aveva provato a rifugiarsi nella sua quotidianità per scampare ai continui tumulti interiori che la rendevano prigioniera, ma purtroppo la sua quotidianità comportava la presenza fissa di una persona in particolare, di colei che prima era tutto e adesso era la causa di tutto.
“Duchessa, vi ho portato dei frutti da poco raccolti… dovreste mangiare qualcosa.” Sussurrò la domestica, entrando nella stanza principale della biblioteca con un vassoio ricolmo di frutti freschi. Si avvicinò lentamente al grande tavolo sempre pieno di libri e pergamene, che però in quel periodo era costantemente vuoto e avvolto da una strana aura malinconica e servì il cibo. “Poggio qui, per qualsiasi cosa sono qui fuori Duchessa.”
“Grazie Jane.” Rispose freddamente Lena, in piedi come una statua di fronte ad una delle grandi vetrate della stanza, lo sguardo rivolto verso l’orizzonte ma che in realtà non era focalizzato su nulla in particolare. Semplicemente si posizionava lì e guardava fuori, concentrata ad evitare ogni ricordo di
lei e desiderando di poterla incontrare solo per urlarle in faccia tutto il suo rancore.
“Duchessa?” La richiamò ancora la domestica prima di uscire definitivamente dalla stanza.
“Mh?”
“Lei non vorrebbe vedervi in questo stato, lo sapete vero?” Domandò la donna, sperando vivamente di non essere stata in alcun modo irrispettosa.
“Se avesse voluto davvero sincerarsi delle mie condizioni, sono sicura che lo avrebbe fatto di persona Jane.” Rispose la mora, la voce che adesso vibrava di una rabbia repressa e che non avrebbe mai e poi mai fatto emergere. Non voleva dare ulteriori soddisfazioni a nessuno, sapendo benissimo che spesso i domestici – per quanto amabili e cortesi – non potevano sottrarsi agli interrogatori dei membri della corte del castello. “Non è qui da più di quaranta giorni, non ho notizie da altrettanti giorni e non so se ne avrò mai più, quindi adesso come adesso mi importa ben poco di ciò che vorrebbe o meno!”
“D-duchessa?”
“Puoi andar-“
“Si, puoi andare Jane. Sei sempre efficiente. Ti chiameremo in caso di bisogno.” Esclamò con dolcezza una terza voce.
“Con permesso.” Si congedò quindi la domestica, inchinandosi leggermente per poi lasciare velocemente la stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Lena non aveva osato girarsi, nonostante sapesse che Kara era lì a pochi passi da lei. Come poteva presentarsi all’improvviso dopo tutto quel tempo? Chi le dava il diritto di farle così male? Perché era lì poi? Cosa pretendeva?
“Sei tornata!” Esclamò quindi, chiudendo per un attimo gli occhi e cercando di calmare il suo animo in tumulto. Prese un piccolo respiro e senza aspettare risposta si voltò per fronteggiarla, braccia incrociate al petto e sguardo fiero tipico di un Luthor.
“Pochi minuti fa sono arrivata. Ho poggiato i miei pochi effetti personali nel fienile e sono subito corsa qui. Speravo di essere in tempo per la frutta del pomeriggio.” Esclamò timidamente Kara, avvicinandosi lentamente al centro della stanza. Indossava degli abiti diversi rispetto al solito e Lena lo aveva notato immediatamente.
Una lunga gonna merlettata color sabbia ricopriva interamente le sue lunghe gambe, una casacca di cotone bianco le fasciava armoniosamente il busto, lasciando intravedere – tramite un intreccio di lacci - il petto leggermente abbronzato. Lunghi boccoli -forse ancora più biondi del solito - ricadevano morbidi sulle spalle e soltanto dopo qualche attimo Lena notò che la fedele spada di Kara era avvinghiata alla sua schiena. Era semplicemente bellissima, così selvaggia e guerrigliera.
Quando i loro occhi si incrociarono però, Kara capì in un istante che Lena non stava bene. Era pallida, i suoi occhi erano spenti e le spalle ricurve come se portasse un peso immondo sulle spalle. Doveva parlarle e doveva farlo subito.
“Lena io…”
“Non preoccuparti, sono a conoscenza di tutto e non mi devi alcuna spiegazione. Infondo sapevo che prima o poi qualcosa di simile sarebbe accaduto e meglio adesso, visto che siamo ancora giovani e non quando sarebbe stato troppo tardi.” Incalzò Lena, cercando di non far capire all’altra quanto le fosse costato pronunciare quelle parole.
“Tu cos- No!” Rispose con veemenza Kara, avvicinandosi di qualche passo all’altra per poterla fronteggiare. “Tu non sai assolutamente nulla, quindi lascia che ti spieghi. Per l’amor di Dio, perché siete tutti così sicuri di sapere ogni cosa quando poi in realtà non sapete mai nulla?” Continuò, frustrata come poche volte Lena l’aveva vista. “Adesso taci e lasciami parlare!”
Il sopracciglio destro di Lena si inarcò in maniera a dir poco innaturale e la smorfia sarcastica che increspò le sue labbra, fecero capire all’altra che poteva continuare senza timore di essere interrotta.
“Non so cosa ti abbiano detto, quali fandonie ti abbiano raccontato o quali insinuazioni siano state fatte sul nostro conto. Non lo so e non lo voglio sapere.” Iniziò Kara, poggiandosi quindi sul bordo del tavolo e posizionando le mani su di esso, ai lati dei suoi fianchi. “Mio padre è venuto a farmi visita sull’isola qualche tempo fa. Ho scoperto che sa tutto di noi due e che purtroppo si è lasciato sopraffare dalle aspettative di mia madre. Sono delle brave persone e dei genitori amorevoli, lo sai anche tu. Sai quanto mi amino e quanto sia loro affezionata.”
Una breve pausa seguì quelle parole, mentre Lena continuava a scrutarla con diffidenza.
“Si chiama Mon-El, il gentiluomo che mia madre avrebbe voluto fosse il mio futuro sposo. E-e si, immagino che sia un uomo buono e avvenente, ma nulla di tutto questo avverrà mai Lena. Mai.” Continuò la bionda, scostandosi dal tavolo e allungando entrambe le mani verso l’altra.
Sapeva di doverle il suo tempo e per questo si stava approcciando a lei nella stessa maniera in cui ci si dovrebbe approcciare ad un animale indifeso: aveva allungato le mani per far capire all’altra che poteva abbassare la guardia, che poteva smettere di avere paura da sola. Poteva lasciarsi andare ed avere paura insieme a lei, perché – anche se all’apparenza poteva sembrare l’opposto – anche Kara in quel momento era assolutamente terrorizzata.
Lena osservò attentamente quegli occhi imploranti che le chiedevano un atto di fede, scrutò attentamente le sue mani e solo allora notò quella sinistra di lei completamente fasciata fino al polso. “Che cosa hai fatto alla mano?” Le domandò quindi, non riuscendo a nascondere la preoccupazione.
Kara abbassò per un secondo lo sguardo e quando ricordò l’accaduto, rivolse all’altra un sorriso di dolce rassicurazione. “Non è nulla, mi ha trafitto un pugnale per sbaglio e per un po’ non potrò muovere la mano. Ma non è grave come sembra.”
Lena sgranò gli occhi intimorita, azzerando istintivamente le distanze che la separavano dal corpo dell’altra e senza indugiare oltre prese la mano ferita di lei tra le proprie, iniziando delicatamente ad accarezzarne le bende con la punta delle dita.
“Sei scomparsa. N-non ho saputo più nulla di te da quando sei partita e dopo aver parlato con tuo padre n-nessuno mi ha più detto nulla sul tuo conto.” Sussurrò flebilmente la mora, concentrando tutta la sua attenzione sulla mano ferita di Kara ed evitando in ogni modo lo sguardo penetrante di lei, che dal suo canto la scrutava con attenzione, cercando di capire come comportarsi. Non voleva ferirla ulteriormente, anzi. Voleva risolvere tutto e ritornare alla loro vita di sempre, fatta di amore e rispetto reciproco. “Mi hai fatto male Kara…”
La bionda non riuscì a trattenersi oltre e approfittando della vicinanza dell’altra, l’afferrò per la vita e la strinse forte, insinuando il viso nel suo collo e stringendo la presa.
“M-mi dispiace, mi dispiace. T-ti prego perdonami se puoi…”Singhiozzò devastata Kara, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio che per troppo tempo aveva trattenuto. Non voleva dimostrare nulla a nessuno, voleva soltanto che l’altra la perdonasse, che perdonasse i suoi genitori e perdonasse una società che purtroppo non sarebbe stata mai in grado di accettare quello che erano. “N-non sapevo cosa fare, sono stata così male a-a causa d-di mio padre e n-“
“Shh, odio vederti piangere, ti prego calmati.” Disse Lena, alzandosi sulle punte ed avvolgendole le spalle con le braccia, stringendosela addosso più che poté. Una mano ad accarezzarle i soffici capelli e l’altra che stringeva forte parte della sua tunica, come a volersi aggrappare a lei per non lasciarla andare più via.
“N-no, io non…” Tentò di replicare Kara a corto di fiato. “Sono stata sincera,, g-gli ho detto c-che ti amo e che non ci voglio vivere s-senza di te… i-io non voglio stare s-senza di te. Hai capito?” Continuò con disperazione, stringendo convulsamente la vita dell’altra e scossa da tremiti incontrollati. “T-ti prego, ti prego…”
Lena attinse a tutta la sua forza per far si che l’altra riemergesse dal suo collo per far incrociare i loro sguardi e quando accadde, anche Kara notò che il viso dell’altra era solcato da silenziose stille salate. Sentì il suo viso accarezzato da mani gentili e l’odore inebriante di Lena la stava confondendo, così fissò lo sguardo nelle iridi liquide di lei e dopo alcuni respiri profondi tentò di parlare.
“Sono partita perché volevo dimostrare a m-me stessa e a te che possiamo essere entrambe o-orgogliose della persona che sono. V-volevo tu fossi fiera di me e volevo d-dimostrarti che avrei combattuto sempre per ciò che per me è importante.” Iniziò Kara, indietreggiando di qualche passo per appoggiarsi al tavolo, ma non avendo mollato la presa sulla vita dell’altra, Lena fu costretta a seguirla. Quando la bionda si poggiò sulla superficie improvvisamente Lena divenne di qualche centimetro più alta di lei e involontariamente un dolce sorriso sbocciò dalle sue labbra carnose. “E l’ho fatto Lena, te lo giuro. Ho combattuto per me stessa e p-per noi, dichiarando apertamente a mio padre quanto io ti ami, quanto la mia vita sarebbe inutile senza di te e-e quanto io mi senta d-dipendente dall’amore che mi dai.”
Dal suo canto, l’unica risposta sensata per Lena fu avvicinare le sue labbra a quelle dell’altra per unirsi in un tanto agognato bacio. Si sfiorarono lentamente, quasi come fosse il loro primo contatto ed entrambe sospirarono ripetutamente ogni volta che le loro labbra si accarezzavano anche solo per un istante. Ma dopo alcuni attimi, il bisogno di ricongiungersi esplose prepotente nel cuore di entrambe e Lena si ritrovò a spingere di più le labbra contro quelle di lei, mordicchiandone il labbro inferiore alla ricerca di più contatto. Timidamente Kara schiuse le labbra, lasciandosi inondare dal sapore frizzante di lei e in un attimo il resto del mondo scomparve per lasciare posto ad una profonda e necessaria ricongiunzione di anime. Le loro lingue lottarono pacificamente per alcuni minuti, bisognose di esplorare a vicenda la bocca dell’altra nel tentativo di abbattere ogni barriera, ogni timore, ogni tensione.
Ad un tratto però, Kara sentì fuoriuscire un leggero lamento dalla gola dell’altra e titubante si distaccò per capire cosa l’avesse turbata.
“H-ho sbattuto la mano sull’impugnatura della tua spada e mi ha ricordato la sua forza.” Esclamò Lena, rispondendo alla tacita domanda di Kara. “Noi dobbiamo essere unite Kara, perché solo così saremo più forti e capaci di proteggerci a vicenda. Promettimi che non mi terrai mai più allo scuro di nulla, perché non è tenendomi lontana che mi proteggerai. Intesi?” Continuò poi, baciandola di nuovo a fior di labbra e continuando ad accarezzarle il viso con venerazione. “Non ricordavo fossi così bella e vestita così poi… mi manca il respiro.”
“Credevo amassi i miei abiti.” Rispose imbronciata Kara, abbassando lo sguardo sul mento di lei ed iniziando a tempestarlo di baci. “Non accadrà mai più nulla di simile comunque, è una promessa. Non so ancora bene come affronteremo mia madre, ma so che lo faremo insieme e questo mi rasserena molto.”
“Quando dico che ti amo non lo dico soltanto perché ti desidero Kara, non lo dico perché è bello dirlo o perché è qualcosa che si dice quando ci si unisce ad un’altra persona.” Spiegò Lena, guardando l’altra negli occhi con una serietà disarmante. “Quando dico che ti amo lo dico perché sono profondamente, violentemente, inesorabilmente innamorata di te. Provo amore per te, un amore che prima d’ora avevo soltanto potuto conoscere tramite i miei libri e non avrei mai pensato neppure nei miei pensieri più reconditi di poter avere tutto per me un amore come questo. Ma ce l’ho e anche se so che mi ami, so anche che non è questo il punto. Non ti amo perché mi aspetto qualcosa in cambio o perché pretendo di essere ricambiata per ciò che ti offro. Ti amo perché amarti mi fa sentire bene, mi rende migliore e forse sarà anche egoistico, ma non mi importa. Se egoismo significa questo, allora vorrei che tutti lo fossero un po’ di più.”
Il sorriso e gli occhi lucidi di Kara, fecero comprendere a Lena che l’altra aveva capito le sue parole e dopo averle scompigliato bonariamente i capelli, decise di allontanarsi da quel magnifico corpo e lasciarsi alle spalle tutte le emozioni negative che l’avevano marchiata a fuoco in quell’ultimo periodo. Voleva ricominciare, andare avanti con la fanciulla che amava.
“Dai, ero venuta per la frutta perché ho fame, quindi direi che adesso possiamo mangiare. Che dici?”
E quando Kara parlava di cibo, significava davvero che era tutto sistemato tra loro, per cui divertita, Lena aggirò velocemente il tavolo ed iniziò a servirsi. “Si, direi che possiamo mangiare la nostra frutta.”