Minto non capiva se stessero
cadendo o
galleggiando in un’aurea di luce dorata che non permetteva loro di
vedere.
Sentiva il vento fischiarle nelle orecchie e la sensazione di vuoto
allo
stomaco, ma per il poco che riusciva a scorgere, i suoi vestiti si
muovevano
appena, la pelle non era lambita dalla corrente che si sarebbe
aspettata.
Eppure continuavano a cadere, e cadere, senza sosta, il mondo
sottosopra.
Faceva fatica a vedere gli altri, sentiva le dita di qualcuno sfiorare
le sue
ma per quanto provasse ad afferrare quella mano, era come se il suo
corpo non
rispondesse agli stimoli. Provò a gridare, ma non era sicura che dalla
sua
bocca uscisse alcun suono. Erano forse bolle quelle che vedeva attorno
a loro?
All’improvviso, vide un
altro lampo di
luce ancora più bianca inghiottirla, chiudersi attorno a lei come in un
tunnel:
si sentì catapultare verso il basso, come se qualcosa la stesse tirando
e
spingendo contemporaneamente, mozzandole il fiato e congelandola. La
luce si
spense tutto a un tratto, le orecchie le fischiarono ancora, poi
atterrò molto
poco elegantemente di sedere e con uno strillo su un cumulo d’erba.
Erba?
Con un gemito, Minto si
tirò carponi,
cercando di capire cosa diavolo fosse successo. L’indomani le sarebbe
spuntato
un bel livido, quello era sicuro… sempre che ci fossero arrivati, a
domani.
Fu presa da un attimo di
panico: era da
sola, proprio come prima, e non le piaceva per nulla. Cercò di tirarsi
in
piedi, ma il terreno le vibrò sotto i palmi: vide il cielo aprirsi
proprio come
si era aperto un buco sotto i suoi piedi, e Shirogane cadde a pochi
metri da
lei con una parolaccia in inglese.
«Ryo!» lo chiamò subito,
sentendosi un
po’ più sollevata
Il biondo rimase steso a
terra, le
braccia aperte e il viso rivolto verso l’alto, e lei poteva vedere il
petto
alzarsi ed abbassarsi mentre prendeva respiri profondi.
«I’m
gonna kill her.»
Minto convinse le gambe
tremolanti a
sostenerla e camminò con cautela fino all’americano, guardandolo
preoccupata:
«Ce la fai ad alzarti?»
«Sì, sì,» lui sospirò
esasperato e si
portò seduto, «Stavo solo escogitando qualche maniera per farla pagare
a quella
deficiente di Ichigo.»
«Non sei solo, tranquillo,»
la mora gli
tese la mano e lo tirò un poco, il palmo graffiato che le bruciò appena.
Ryo fece per aprire la
bocca, quando la
terra vibrò di nuovo, ma questa volta si aprì un buco nel terreno dal
quale
sbucò Kisshu, come se avesse preso la spinta da un trampolino.
L’alieno lanciò un grido e
mulinò le
braccia per aria cercando di attutire la caduta, ma non ebbe abbastanza
spazio
di manovra e si ritrovò lungo disteso, faccia a terra.
«Oh, be’, almeno lui è già
stato
punito,» borbottò a bassa voce Ryo.
Stavano per avvicinarsi
intanto che
Kisshu, gemendo piano, cercava di rimettersi in sesto, quando
l’ennesima scossa
preannunciò l’apertura di un vuoto nuovamente dal basso, che deglutì
Ichigo con
una spinta non indifferente, mandandola a schiantarsi urlante proprio
sull’alieno.
«Oh, santo cielo!»
Ryo e Minto si
precipitarono, un po’
zoppicanti, verso gli altri due, tirando su la rossa praticamente di
peso.
«Ti sei fatta male?»
«Non tanto,» lei scosse la
testa,
osservandosi i jeans sporchi di terra con aria triste.
«Grazie, sei atterrata sul
morbido!»
Kisshu si lamentò ad alta voce mentre si appoggiava come poteva a Minto
per
rimettersi in piedi, «Non stavi a dieta?!»
Fu redarguito in simultanea
dai tre –
Minto che si astenette dal dargli uno schiaffo soltanto perché lo
vedeva ancora
poco solido sulle gambe – e lui si limitò a scrollarsi le foglie e la
terra dai
capelli e dal viso.
«Dove siamo finiti?»
domandò poi Ichigo.
Si guardarono tutti e
quattro intorno. Sembravano
essere caduti in una specie di radura un po’ brulla, con macchie d’erba
sparpagliate e ingiallite e qualche alberello solitario, che
assomigliava ai
dintorni della città principale di Gea. La rossa, di nuovo, diede voce
a quel
dubbio.
«Siamo tornati fuori sul
tuo pianeta,
Kisshu?»
Lui si grattò la testa
mentre girava su
se stesso per poter osservare il territorio: «Uhm… non lo so. Ci
assomiglia,
però… è strano.»
«Hai mai visto un posto del
genere?» gli
domandò Minto.
«No, ma non è che Gea sia
grande quanto
un fagiolo.»
«Perfetto,» mugolò la mora,
«Potremmo
benissimo essere finiti dall’altra parte del mondo. Letteralmente.»
«O magari non siamo per
nulla lì,»
constatò Shirogane, «Non so se vi siete accorti che siamo spuntati da
parti
diverse, pur cadendo dalla stessa direzione.»
«Vuoi dirmi che voi non
siete stati
sputati fuori come un fungo non voluto?»
«No, per quanto mi
riguarda, io sono
caduto da… sopra.»
«Anche io,» confermò Minto,
stringendosi
le braccia.
Ichigo pigolò qualcosa di
incomprensibile, qualcosa che somigliava a forse
ho fatto un pasticcio, uno sguardo colpevole in volto che,
come al solito,
colpì dritto al cuore il suo fidanzato: sospirando e alzando gli occhi
al
cielo, Ryo l’avvolse con un braccio e le schioccò un bacio sulla
sommità della
testa, accarezzandole una spalla.
«Che ne dite se andiamo a
vedere cosa
c’è in giro? Qui non c’è assolutamente nulla,» propose Kisshu.
«E se per caso il passaggio
per tornare
indietro è solo qui?» domandò Minto, che continuava a lanciare
occhiatacce alla
sua amica.
«Possiamo marchiare
quell’albero con
qualcosa e possiamo camminare per un po’ in linea retta,» l’alieno si
scosse
nelle spalle, «Qua il paesaggio è tutto uguale, se vediamo foreste o
cose
simili in cui è facile perdersi, torniamo indietro. Almeno così
possiamo vedere
se troviamo qualcuno.»
«E se qualcuno non è
amichevole?»
Questa volta fu lui ad
alzare gli occhi
al cielo: «Hai qualche alternativa, passerotto?»
La mora sembrò pensarci su,
poi esalò
sconsolata: «Suppongo di no.»
Il ragazzo le diede un
buffetto amorevole
sulla guancia: «Su, dammi la sciarpa, così possiamo marcare l’albero e
cominciare la scampagnata.»
Minto lo guardò come se
fosse uscito di
senno, facendo un balzo all’indietro e afferrandosi possessivamente la
sciarpa:
«Ma sei pazza, lo sai quanto cosa questa?»
Shirogane sbuffò, prese il
proprio
fazzoletto dalla tasca e si avvicinò all’albero per legarlo nel ramo
più basso:
«Ecco fatto. Su, forza, muoviamoci.»
Ichigo lo raggiunse e lo
prese per mano,
i passi pesanti e poco convinti, e sbuffò: «Uffff, è tutto il giorno
che
camminiamo!»
«Momomiya, non sei nella
posizione per
recriminare certe cose!» sberciò Minto dietro di loro.
«Scuuu-sa.»
«A proposito, secondo voi
quanto tempo è
passato?»
Ryo guardò l’orologio che
portava al
polso alla domanda di Kisshu, aggrottando le sopracciglia: «Forse il
mio
orologio si è rotto cadendo, dice che sono passati solo quindici minuti
da
quando siamo entrati nella caverna.»
Lo scosse, ma le lancette
sembravano
funzionare perfettamente. Controllarono tutti e quattro i loro
cellulari, non
osando dire ad alta voce che concordavano tutti con l’orario dichiarato.
«Non avete nessuno di quei
congegni di
comunicazione creati da Pai, vero?» domandò dopo un po’ Shirogane,
notando che
il cellulare – come predetto – non mostrava nessun tipo di segnale.
Gli altri scossero la
testa: «Se
qualcuno di solito ci pensa, quello che sei tu,» commentò Kisshu, «Io
il mio
l’ho pure perso.»
«Convenientemente, così da
farti gli
affari tuoi quando torni…» borbottò scontrosa Minto, strappandogli un
sorrisetto.
Camminarono per un bel po’
in silenzio,
seguendo un percorso immaginario il più dritto possibile. Attorno a
loro, il
panorama era sempre lo stesso: una larga prateria di terra chiara e
secca, con
pochi alberi qua e là e dei tratti più verdi di bassa erbetta, a volte
qualche
fiorellino viola solitario. Non si sentivano suoni o rumori, non c’era
un
distinto odore. Sembrava tutto fermo, nonostante una piacevole brezza
si
alzasse ogni tanto.
Fu quando si rese conto che
effettivamente cominciava a sentire caldo, che Shirogane alzò la testa
verso il
cielo: era basso, come coperto da una foschia giallina, e soprattutto,
mancava
una stella che potesse riscaldarlo così.
«Kisshu?» si schiarì la
gola, «Il vostro
pianeta ha un sole, giusto?»
«È il
Sole,» rispose lui, «Siamo ancora nel vostro sistema.»
«Bene, allora non siamo su
Gea.»
Si fermarono tutti di
colpo, il naso
rivolto all’insù, cercando quella palla gialla così familiare da non
farci
veramente caso, ma che in quel momento sembrava un monito di speranza.
Invece,
zero, nada: il cielo rimaneva del
suo
giallino pallido, con qualche nuvoletta piatta della stessa tonalità,
ma
rimaneva vuoto.
Kisshu sussultò quando le
unghie di
Minto si conficcarono nel suo palmo, anche a lei scappò una mezza
parolaccia sottovoce.
«… dove diamine siamo
finiti.»
«… non mi sposerò più.»
«No, perché ti ucciderò io
prima!»
Ryo sospirò e tirò la sua
fidanzata per
la mano: «Continuiamo a camminare.»
«Com’è possibile che ci sia
luce ma non
ci sia sole?» sberciò Kisshu.
«Com’è possibile che siamo
stati
vomitati su questo posto?» replicò Shirogane spiccio, «Oh, e com’è
possibile
che ci siamo finiti passando per una caverna fumosa dove ci era stato espressamente detto di non andare?»
«Il tuo sarcasmo è sempre
un’ottima
cura,» borbottò irritato l’alieno, «Perché non usi quel tuo bel
cervellino che
ti ritrovi per trovare qualche risposta?»
«Potrei sempre usarlo per
prenderti a
testate.»
«Ah, ti faresti male solo
tu.»
«Ragazzi!»
«Forse perché sei così duro di comprendonio che ci vorrebbe un
bulldozer per smuoverti.»
«Ma tu non smetti mai di
rompere i
coglio –»
«Ragazzi!»
All’urlo di Minto, smisero
di
battibeccare e guardarono la mora, che stava puntando un dito davanti a
sé con
aria sconsolata.
«Non è l’albero di prima,
quello?»
Seguirono la direzione
della sua mano,
un vago senso di disperazione che li avvolse. Effettivamente, davanti a
loro si
stagliava l’alberello sfiorito e magro vicino cui erano spuntati, il
fazzoletto
di Shirogane che ondeggiava pigramente dal ramo più basso.
«For
fuck’s sake.»
Ichigo si lasciò cadere a
terra con un
lamento sconsolato: «Non torneremo mai più a casaaaaaaaaaa!»
Anche Minto si fece
scappare un gemito
mentre si prendeva la testa tra le mani: «Ma perché vi do sempre retta,
perché?»
«Non… non facciamoci
prendere dal
panico,» tentò Kisshu, «Ci sarà qualcosa per poter tornare indietro, un
passaggio nascosto, un pulsante…»
«Magari una cabina
telefonica per
chiamare un taxi,» commentò laconico Ryo.
«Una che?»
«Lascia perdere,»
l’americano si
avvicinò alla pianta e vi picchiettò le nocche sopra, sperando di poter
avvertire qualcosa di diverso, un vuoto, qualsiasi segnale che potesse
fargli
capire come andarsene da quel posto. Tastò la corteccia in cerca di
qualche
sporgenza anomala, si azzardò a tastare i buchi nel tronco alla ricerca
di un
meccanismo o di una traccia. In preda allo sconforto più totale, ma non
potendo
ovviamente farlo trasparire perché già vedeva le due ragazze sull’orlo
delle
lacrime, si lanciò anche ad arrampicarsi con un salto sull’albero per
poter
osservare l’ambiente da più in alto.
Sembrava tutto normale,
visto da lassù:
quella radura sembrava decisamente più vasta di quanto ci avessero
messo a
girarla nella sua interezza – ancora doveva capire come avessero fatto
–
pacifica e tranquilla, anche se silenziosamente vuota. Sospirò mentre
si sedeva
a gambe penzoloni su un ramo, tirò fuori il cellulare per dare conferma
anche a
quell’ultima paura: come volevasi dimostrare, l’orario non era cambiato
da
prima. Scese con un balzo e si risistemò la frangia, scuotendo la
testa: «Non
c’è nulla.»
Mentre Kisshu si
lasciava scappare una sequela di parolacce irripetibili, Ichigo
lanciava
l’ennesimo gemito a tutto volume, nascondendosi la faccia tra le mani.
«Moriremo
quiiiiiiiiiii!»
«Ichigo,
smettila di frignare!» strillò Minto, battendo un piede a terra, «La
prossima
volta imparerai ad ascoltare un po’ di più invece che fare sempre di
testa
tua!»
«Non
ci sarà una prossima voltaaaaaaaa!»
«Indovina
di chi è la colpa?!»
«Smettetela
di urlare,» Ryo si inginocchiò vicino alla sua fidanzata, cercando di
convincerla a rimettersi in piedi.
«Perché?»
sberciò ancora la mora, «Tanto non c’è assolutamente
nulla qui!»
«Tortorella, come siamo
venuti, dovremmo
anche riuscire a tornare,» Kisshu provò ad avvicinarsi alla sua
ragazza, le
mani alzate e pronte a parare qualsiasi colpo lei potesse decidere di
dargli.
«Tu stai zitto che come al
solito dai
corda a qualsiasi idiozia che venga pronunciata! Mai una volta che
ascolti me!»
«Ma se ti ascolto sempre,
colombella…»
«Io ve l’avevo detto!»
«Avevo un vestito così
beeeeeeellooooooooo!»
«Would you all just stop
screaming!?»
Stavano continuando a
sfogarsi l’uno
addosso all’altra la frustrazione di quella situazione e l’ansia di non
riuscire a vedere davvero una via di fuga, quando il terreno ricominciò
a
tremare; non per pochi istanti, questa volta, ma costante e pericoloso,
i sassolini
che rimbalzavano attorno a loro.
«Che sta succedendo!?»
gridò Kisshu al
di sopra del fracasso di quel terremoto, saltando in avanti per
stringere Minto
tra le braccia e al tempo stesso cercare di mantenere l’equilibrio.
Shirogane, piegato sopra
una
singhiozzante Ichigo che si stava nascondendo con la testa tra le
gambe, scosse
la testa, aprì la bocca per dire qualcosa ma si raggelò quando vide il
suolo, a
una dozzina di metri da loro, spaccarsi a metà.
Sembrò che scossa e rumore
aumentassero
contemporaneamente di intensità mentre la faglia continuava ad
espandersi in
tre direzioni. Anche Kisshu e Minto si accucciarono vicino ai loro
amici, era
impossibile rimanere in piedi quando tutto continuava a tremare e
dividersi
attorno a loro. Le foglie dell’albero scuotevano così tanto che alcune
cadevano
sulle loro teste, e Ryo sperò che il tronco fosse abbastanza robusto e
flessibile per non rompersi anch’esso a metà e rovinare su di loro.
All’improvviso, il solco
nel terreno,
che sembrava aver raggiunto due chilometri di lunghezza e svariati di
larghezza, sputò una notevole quantità di gas che si avvolse davanti a
loro in
alte nuvole; furono colpiti dalle goccioline di vapore acqueo caldo,
proprio
come quello che li aveva circondati nella caverna. Quando la cortina di
fumo
cominciò a diradarsi, essi videro cosa stava seguendo: mentre la
superficie
continuava a tremare, un’altra costruzione stava sorgendo dalla faglia
stessa,
scura ed imponente, come se la terra stessa la stesse partorendo.
Rimasero a fissarla
attoniti, le bocche
spalancate e il terrore negli occhi; durò ancora qualche minuto, finché
quella
struttura non emerse del tutto sollevando con sé altra polvere e
vapore. Quando
anche il suolo smise di tremare, il silenzio fu assordante.
Loro stettero seduti ancora
qualche
istante, indecisi e spaventati da un possibile ritorno del terremoto.
Ichigo
stava stringendo una mano di Minto così forte che se la ballerina
avesse potuto
farci attenzione, si sarebbe accorta che il sangue non circolava.
«Cosa cazzo…» Kisshu fu il
primo a
spezzare quel silenzio che fischiava nelle orecchie, sentendo la bocca
secca e
impastata.
«È… fatta di foglie?»
mormorò Minto con
voce sottile.
Ryo si alzò cauto,
rimanendo acquattato,
per poter osservare meglio cosa fosse scaturito dal sottosuolo. Davanti
a loro
si stagliava un’altissima siepe di foglie scure ma apparentemente
ordinate, che
si estendeva come un quadrilatero più di quanto lui potesse vedere, con
al
centro un arco ancora più imponente che aveva tutta l’aria di essere
un’entrata
su un corridoio così buio da essere assolutamente impenetrabile ai suoi
occhi.
Guardò con la coda
dell’occhio Kisshu,
non osando distogliere lo sguardo da quella costruzione: «Kisshu, tu…?»
L’alieno scosse la testa:
«Nemmeno io
vedo a più di un palmo di naso.»
Shirogane deglutì, la gola
arida e
infastidita dalla polvere, scrutando con la fronte aggrottata quella cosa finché non ebbe una specie di lampo
in testa: «È un labirinto,» mormorò piano.
«Cosa?»
«È un labirinto,» ripeté a
voce più
alta, questa volta girandosi verso i suoi compagni di sventura.
«E che ci fa un labirinto
in questo
posto?» domandò Kisshu, dovendo schiarirsi la gola quando la voce gli
uscì più
acuta del solito.
«Potremmo fare la stessa
domanda su di
noi,» mugugnò Minto, alzandosi e scrollandosi la polvere dal
cappottino.
«Forse è la cosa meno
strana che sia
successa oggi,» borbottò Ryo, tirando su di peso Ichigo.
Lei spiò il labirinto da
dietro la
schiena del suo fidanzato, come una bambina timida: «Dite che… dovremmo
entrare?»
«Ceeeerto,
come no,» sibilò Minto con cattiveria, «Come in ogni film horror che si
rispetti dove tutti vengono massacrati, il nostro si chiamerà Quattro deficienti capitanati da una cretina
si addentrano in un misterioso labirinto spuntato dal nulla in una
dimensione
vuota!»
«Sarà spuntato per un
motivo, no?»
rincarò la rossa, «Siamo tornati al punto di partenza ed eccolo lì!
Forse è una
risposta!»
«Santi numi, Momomiya, tu e
i tuo i
motivi…!»
«Abbiamo forse altra
soluzione?» Ryo si
sfregò sovrappensiero la cicatrice che aveva sul collo, lì dove si era
iniettato il siero con i geni del gatto di Iriomote, «Abbiamo esplorato
questo
posto e abbiamo girato in tondo, non vedo molte altre vie d’uscita.
Questa
volta devo dare tristemente ragione a Ichigo.»
«E quando mai…» borbottò
ancora la mora,
incrociando le braccia al petto e arricciando il viso in un broncio.
Kisshu le mise le mani
sulle spalle,
spingendola appena in avanti: «Seriamente, siamo in ballo…»
Si scambiarono tutti e
quattro un’ultima
occhiata, poi con un respiro profondo avanzarono lentamente verso
l’entrata del
labirinto, facendo attenzione a dove mettevano i piedi vista la
ragnatela di
crepe che avevano decorato il suolo. Un vento freddo e umido sembrava
filtrare
dall’entrata, che non accennava a diventare meno buia man mano che si
avvicinavano.
Ichigo rabbrividì e si
strinse le
braccia: «È quasi peggio della caverna.»
«Magari ci sono pure i
fantasmi.»
Lanciò un’occhiataccia a
Minto:
«Vipera.»
Si arrestarono sulla
soglia, cercando di
vedere oltre, inarcando il collo il più possibile per vedere dove
finisse
l’arcata, ma questa sembrava sparire ora oltre la coltre di nuvole
gialline del
cielo.
«Quindi? Cosa facciamo?»
esclamò Kisshu.
Ryo fece un respiro
profondo e strinse
la mano della fidanzata: «Let’s dance.»
Si inoltrarono per il lungo
corridoio,
largo abbastanza perché potessero passare tutti e quattro insieme. Una
foschia
fredda si raccoglieva intorno alle loro caviglie, e sembrava che le
pareti
boscose si chiudessero sopra di loro tanto erano alte, il cielo era
lontano.
Ichigo rabbrividì ancora e
incastrò il
braccio libero sotto quello di Minto, tirandola ancora più vicina sia
in cerca
di calore che di conforto. La mora tentò di rivolgerle un sorrisetto
incoraggiante, ma doveva ammettere che l’ultima volta che aveva provato
un
senso di inquietudine simile, aveva quindici anni di meno e un tubino
azzurro.
Dopo un centinaio di metri
percorsi in
silenzio lungo quel passaggio, la strada si divise in tre direzioni
diverse. Si
fermarono all’incrocio, indecisi sul da farsi, visto che ogni nuovo
sentiero
sembrava assolutamente uguale agli altri.
«Il primo che dice di
separarci, giuro
riceverà un cazzotto,» sibilò Minto, stringendo la presa sulle braccia
di
Ichigo e Kisshu.
«Non c’è dubbio, se ci
perdiamo qua
dentro rischiamo di non trovarci più.»
«Sempre un amore, biondino.»
«Continuiamo dritto?»
propose Ichigo
«Magari arriviamo verso il centro?»
Ryo sembrò pensarci su,
mentre sfiorava
il terreno con il tallone. La polvere che lo ricopriva sembrava
muoversi, fece
un po’ di pressione e segnò una specie di X.
«Non si sa mai,» commentò
nel vedere che
lo stavano osservando curiosi.
Kisshu fece un cenno:
«Dritto sia,
allora?»
Gli altri annuirono, senza
rompere
quella strana formazione ripresero a camminare. Se prima (qualunque
cosa
volesse dire, in quel momento, visto che tutti gli orologi avevano
desistito
dal funzionare) la temperatura sembrava aumentare a un piacevole clima,
più si
addentravano nel labirinto più faceva freddo. Ichigo poteva giurare di
vedere
il respiro condensarsi in piccole nuvolette, e sapeva che ancora un po’
e
avrebbe iniziato a battere i denti.
«Quanto sarà grande?»
sussurrò Minto
dopo un po’, «Abbiamo camminato di meno prima, fuori.»
Kisshu la guardò e scosse
la testa,
capace solo di lasciarle un bacio in fronte.
Era tutto così silenzio,
così
inquietante e destabilizzante, che nessuno di loro osava emettere fiato
più del
dovuto. Quando si trovavano ad un bivio, decidevano con sguardi e cenni
della
testa, non potendo ammettere nemmeno a loro stessi che ad ogni nuova
curva
perdevano sempre un po’ di speranza.
Ichigo si stava già
maledicendo
internamente per quell’ennesimo pasticcio, quando avvertì qualcosa strisciarle sulla schiena, la
stessa sensazione che aveva
provato dopo essere caduti nel buio dalla grotta, e lo strillo che le
scappò riecheggiò
tra le pareti.
«Ma sei impazzita?» le
soffiò Minto
fulminandola con lo sguardo, scuotendosi il braccio che faceva male
dopo il
salto che Ichigo aveva fatto, scappando via.
«Giuro che qualcosa mi ha
toccato!»
replicò lei «Come prima!»
«Magari era solo un
ragnetto,» commentò
Shirogane.
La rossa scosse la testa,
mentre faceva
un buffo balletto sul posto come per scrollarsi qualcosa di dosso: «No,
no, no,
era qualcosa. Che scivolava.»
Minto, nonostante cercasse
di mantenere
un minimo di razionalità, si spostò davanti a Kisshu così da prevenire
che
qualsiasi cosa potesse prendere anche lei alla schiena: «Sta per
venirmi una
crisi di nervi.»
In quello stesso istante,
un guizzo
dorato sgusciò tra di loro, passando a pochi millimetri dalle gambe di
Ryo che
fece un nervoso salto all’indietro.
«Ecco!» esclamò concitata
Ichigo, «Avete
visto, vero?!»
Gli altri mormorarono in
assenso, più
confusi di prima, poi Kisshu vide quel lampo tornare a tutta birra
verso di
loro e si spostò appena in tempo, portando Minto con sé.
«Ma porc…!»
«Magari è un patronus!»
Tre paia di occhi si
posarono su Ichigo,
che arrossì fino alle radici dei capelli: «… dicevo per dire.»
«Un po’ insistente, questo
coso,» Ryo
continuava a guardarsi intorno per vedere se sarebbe riapparso una
terza volta.
«Non mi piace,» bofonchiò
Minto, che se
avesse potuto salire in braccio di Kisshu l’avrebbe fatto, «Non mi
piace per
nulla.»
«Iiiiiichiiiiigooooo,»
la voce della mora rimbombò acuta per il labirinto, la sua
padrona e la
suddetta che sbiancarono contemporaneamente.
«N-non sei simpatica,»
bisbigliò la
rossa, che era saltata al collo di Ryo.
«Non sono stata io!»
«Miiiiintooooooo!»
Lei si rannicchiò ancora di
più contro
Kisshu, che la strinse forte nel sentire la propria voce come alzata di
tre
toni e tinta da qualcosa di ostile.
«No, no, no, è come prima,»
Ichigo si
lamentò e nascose il viso contro il petto di Shirogane, coprendosi le
orecchie
con le mani per non dover sentire.
«Rrrrrrryooooo,»
gracchiò la sua voce, pungente e rumorosa.
Il lampo di luce dorata
riapparve,
seguito da altri tre che iniziarono a correre attorno a loro,
aggrovigliandosi
e aumentando la velocità.
«Kiiiiiisshuuuu!»
«Vaffanculo,» mormorò lui.
I quattro lampi si
raccolsero davanti a
loro e cominciarono a vorticare velocissimi, come richiamando a sé
altri
bagliori più piccoli. Un vento deciso di levò dal fondo del labirinto,
scuotendo le foglie e i loro vestiti e costringendoli a socchiudere gli
occhi
mentre non riuscivano a distogliere lo sguardo da quella colonna
luminosa che
continuava a roteare senza sosta. Poi, questa esplose all’improvviso
senza
emettere un suono ma abbagliandoli proprio come era successo quando
erano
caduti in quella strana dimensione.
Quando poterono riaprire
gli occhi,
sbattendo le palpebre per riabituare la vista e scacciare ogni granello
di
polvere, si raggelarono.
Al posto del grumo di luci,
c’era una
donna, seduta su un trono nero sospeso in aria sopra quelle che
sembravano
nuvole scure. Aveva il viso affilato, la pelle chiarissima e ciglia
nere lunghe
quasi quanto i capelli corvini liscissimi che fluttuavano appena
attorno a lei,
una frangetta a sfiorarle gli occhi. Era vestita di un abito nero che
sembrava
di pizzo e seta e che le arrivava fino ai piedi, cingendole
morbidamente la
vita e coprendole le mani dalle dita sottili. Dietro di lei, un paio di
enormi
ali nere riposavano minacciose.
Li guardava, una guancia
appoggiata ad
un pugno e un accenno di sorriso sulle labbra porpora, che però non
prometteva
nulla di buono.
Ryo avvertì un brivido
lungo la schiena,
un senso di déjà-vu che l’aveva colto anche quando aveva visto il
labirinto, ma
avrebbe voluto stropicciarsi gli occhi e pizzicarsi un braccio per
essere
sicuro che quello non fosse tutto un incubo. La presa soffocante di
Ichigo sul
suo braccio, però, era un’ancora sufficiente a quella situazione.
La donna sbuffò,
ridacchiando si sporse
appena in avanti e parlò con voce calda e sensuale: «Il gatto vi ha
mangiato la
lingua?»
Ichigo pigolò spaventata e
si nascose
ancora di più dietro a Ryo, mentre Minto, raccogliendo tutto il suo
coraggio e
gli anni e anni di galateo, fece un respiro profondo e un passo avanti:
«Ci
scusi,» mormorò, «Noi non… sappiamo esattamente cosa stia succedendo,
né dove
siamo.»
«Siete nel mio
mondo, Minto Aizawa,» la donna si riappoggiò allo schienale del
suo trono ed incrociò le gambe, facendo dondolare appena un piede che
era
coperto da una scarpa nera lucida col tacco a spillo, intanto che la
mora trasaliva
nel sentire il suo nome, «Direi che non siete certo qui per una
passeggiata.»
«Siamo… finiti qua
attraverso una
caverna a Gea, e -»
«Sì, sì, sì, lo so come ci
si arriva,»
la donna sventolò una mano davanti al viso con aria annoiata,
guardandosi poi
le unghie laccate di nero, «Non che abbiate ricevuto un invito.»
«Ci dispiace,» intervenne
anche Ryo, «Non
era nostra intenzione disturbare.»
Lei lo scrutò con interesse
da capo a
piedi, inarcò appena un sopracciglio e piegò un angolo della bocca: «E
quali
erano le vostre intenzioni, Ryo Shirogane, sentiamo.»
«Qualcosa mi dice che le sa
già,»
bofonchiò sottovoce Kisshu prima di ricevere una gomitata nello stomaco
da
Minto.
«Sappiamo della leggenda!»
Ichigo, tutto
l’impeto improvvisamente recuperato, si lanciò in avanti, «Quella che
dice che
la caverna può portare al centro di tanti universi!»
La donna la osservò per
qualche istante,
poi lanciò la testa all’indietro e rise rumorosamente, le ali che si
aprirono
al contempo: «Ah, ragazzina, non credevo avresti avuto tanto fegato.»
La rossa aggrottò la
fronte, confusa e
risentita: «I vostri nomi li sa e io sarei ragazzina?»
«In confronto a me siete
tutti
ragazzini,» l’aveva sentita nonostante stesse ancora ridendo, si piegò
in
avanti come per darsi la spinta e con un battito d’ali scese da quel
trono
fluttuante, volteggiando verso di loro senza toccare per terra in una
maniera
che ricordava molto gli alieni.
Quando si fece più vicina,
poterono
notare quanto fosse alta, quasi imponente su di loro, che
indietreggiarono
appena, spaventati. Anche con i piedi poggiati per terra, e
probabilmente senza
quei tacchi, era di parecchi centimetri più alta di Shirogane, e la
figura
longilinea non faceva che aumentarne l’altezza.
«Quindi, Ichigo
Momomiya,» domandò con voce bassa, girando intorno a lei e
Ryo e sfiorandole una ciocca di capelli rossi, facendola squittire
piano, «Cos’è
la cosa che più vorresti chiedermi?»
La rossa deglutì, il
pollice sinistro
che andò a sfiorare l’anello sulla sua mano: «Noi… noi ci dobbiamo
sposare e…
vorremo sapere se… se anche in altri universi noi…»
Gli occhi viola scuro della
donna furono
attraversati da un lampo di rabbia, si coprì la bocca con la mano e
ridacchiò: «Oh,
che sciocca, sciocca ragazzina.»
Ryo prese la manica del
cappotto della
sua ragazza e la tirò piano indietro, incerto di quella donna
misteriosa.
«Lei sa tutti i nostri
nomi, ma noi non
sappiamo il suo,» esclamò con tono antagonista.
Lei lo guardò, piegò la
testa da un
lato: «Non si va a casa degli sconosciuti, solitamente, difatti.»
«È stato un incidente,»
borbottò Kisshu,
e la sconosciuta si voltò di scatto verso di lui, un’espressione
illeggibile in
volto.
«Oh, no, no, no, Kisshu
Ikisatashi,» lo
ammonì, «Voi sapevate esattamente cosa
volevate.»
Fluttuò ancora tra di loro
come se
stesse passeggiando, i lunghi capelli neri che ondeggiavano dietro di
lei fino
quasi a sfiorare il pavimento, in movimenti sinuosi come quelli di una
tigre.
«Non vi è dato sapere il
mio nome,»
esclamò poi con verve teatrale piroettando verso di loro e aprendo le
braccia, «Non
ne siete sicuramente degni.»
Minto aggrottò le
sopracciglia, già
scocciata dall’atteggiamento di quella tipa, ma ben consapevole che
doveva starsene
zitta e buona, temendo che potesse anche leggere nella loro mente o
qualcosa
del genere, visto quanto la situazione fosse paradossale. E dire che
loro ne
sapevano qualcosa di situazioni improbabili.
La donna si riaccomodò sul
suo trono e
ricominciò a controllarsi le unghie: «Allora, vi siete annoiati in
questi
quindici anni senza Deep Blue e avete deciso di rimettere un po’ di
azione
nelle vostre vite?»
Rimasero tutti basiti,
ancora ingenui
riguardo le reali capacità di quel personaggio.
«Come fa a…»
«Oh, per favore,
Shirogane,» lei alzò
gli occhi al cielo, quasi offesa, «Io so tutto.
E intendo, tutto. Certo, a volte è
un
po’ difficile per la mia povera memoria, ma non perdo certo i colpi.
Non sono
una comune mortale.»
«È tipo te all’ennesima
potenza,»
sussurrò Kisshu all’orecchio della sua ragazza, ricevendo l’ennesima
gomitata
nello sterno.
«E dire che pensavo aveste
imparato a
non scherzare col fuoco,» continuò, con aria disinteressata.
Ichigo si fece ancora
avanti: «Allora
quello che… che noi vorremmo fare è… possibile?»
La sconosciuta la fissò:
«Possibile…
forse. Semplice… mai.»
«La prego!» esclamò la
rossa «Siamo
venuti fino a qua!»
«Tu mi preghi?» quando alzò
la voce,
sembrò che la coltre scura attorno alla donna si intensificasse, «Ah,
sciocca! Viaggiare
attraverso i mondi non è affatto una cosa facile, né da permettere a
chiunque! Cosa
credi, che sia come andare in aereo con il tuo prezioso fidanzatino?»
schioccò
la lingua con boria e fastidio, «Ecco i motivi per cui la vostra razza dovrebbe estinguersi, voi così
presuntuosi e poco scaltri.»
«Continuiamo a farla
arrabbiare, mi
raccomando Ichigo,» disse sarcastica Minto sottovoce, allontanandosi di
pochi
passi.
Ryo guardò il trono su cui
era seduta la
donna, osservandone gli intricati decori che rassomigliavano a fiori,
il
piedistallo dello stesso colore che appariva e spariva tra la nebbia
scura.
«Yuuko,» affermò
all’improvviso, e lei
piegò il viso verso di lei con un sorriso tra il soddisfatto e
l’inquisitivo. Lui
accennò alla base dello scranno: «È il suo nome, vero, quello inciso
lì?»
Lei rise divertita: «Uno.
Ah, Shirogane,
la ami così tanto da fare anche questo per lei, vero?»
Con un balzo volò fino al
ragazzo,
portandosi ad un palmo di naso da lui, arrotolandosi una ciocca nero
inchiostro
sul dito.
«Vuoi realizzare tutti i
suoi sogni perché
tu sei quello giusto, non è vero?»
continuò a ridere nel vedere l’espressione risentita dell’americano,
parlava
scandendo una parola alla volta «Vuoi che anche lei sia sicura
perché tu hai sempre avuto i tuoi dubbi, nonostante tutto
questo tempo.»
Ichigo lanciò un’occhiata
di soppiatto
al suo fidanzato, ma lui continuava a sorreggere lo sguardo della
donna, i
pugni chiusi stretti lungo i fianchi.
«Questa cosa si può fare o
no?» chiese a
denti stretti.
Yuuko si incamminò lenta,
muovendo i
fianchi: «Voi umani sottovalutate
molte cose, sapete – sì, anche tu, Ikisatashi, non pensare di essere
meglio di
loro. Posso leggerti meglio di chiunque altro.»
Una lunga bacchetta nera,
di quelle che
servivano a reggere una sigaretta, apparve tra le dita della donna con
un
movimento di polso, poi un fumo sottile ne uscì senza che ce ne fosse
effettivamente una.
«Il viaggio tra i mondi
comporta tante, tante cose. Non
sempre se ne esce, non
sempre è bello,» si fermò, la mano libera sul fianco, «E se vedeste
solo cose
che non vi piacciono?»
Ichigo trasalì, punta sul
vivo, ma alzò
il mento con fare tenace: «Siamo venuti qui per questo.»
«Mmmm, chissà se sei
coraggiosa quanto
le tue parole, Momomiya,» la nuvoletta di fumo grigio si infranse
contro il
viso tondo della rossa, «O hai esaurito il tuo coraggio tanti anni fa?»
«Senta, bellezza,
smettiamola con tutte
queste domande filosofiche e andiamo al punto: prima possiamo andare a
farci un
giro tra cugini, prima possiamo cavarci dalle palle, non credi?» sbottò
Kisshu,
che continuava ad avere i nervi a fior di pelle ogni volta che Yuuko
apriva
bocca.
Lei lo guardò arricciando
il naso,
soffermandosi nell’osservare come si poneva davanti a Minto.
«Sei un altro votato al
sacrificio,
Ikisatashi,» sentenziò, «E sei bravo a rimbalzare dalle situazioni
spiacevoli.»
Lui la guardò confuso da
quelle parole,
aggrottando la fronte esattamente come la sua ragazza, che sentiva lo
stomaco
stringersi sempre di più.
La donna lanciò i lunghi
capelli dietro
di sé, e riprese a camminare in un largo circolo intorno a loro: «Come
dicevo,
il viaggio tra diverse dimensioni comporta tante cose. Potreste vedere
di
tutto, potreste non vedere niente. Potreste avere più risposte che
domande, o
viceversa. Alcuni decidono anche di non tornare più,» ridacchiò con
felicità,
quasi fosse una bambina che contrastava con l’aspetto da adulta
sensuale, «Alcuni
trovano ciò che cercavano, altri lo perdono per sempre. E voi, che
siete sempre
così devoti e succubi alle emozioni… i vostri viaggi sono sempre
interessanti.»
Si avvicinò ad una parete e
la toccò; da
essa emerse una rosa rossa dai larghi petali, che raccolse e annusò
felice.
«Ah, le vostre prove d’amore! Secoli e secoli di storia,
per quanto possano essere
piccoli, e cascate sempre tutti lì,» ridacchiò, fece cadere la rosa a
terra e
questa annerì di un colpo, essiccandosi, «Amore, affetto, passione…
potreste
trovare tutto questo, e tutt’altro,» fluttuò dietro Kisshu e gli
appoggiò una
mano sul petto con fare lascivo, ridacchiando dell’espressione
scocciata di Minto:
«Gelosia, il vostro grande nemico, rabbia, dolore, confusione. Dipende
tutto
dalla vostra fortuna.»
Si allontanò di scatto, li
guardò da
sopra la spalla: «Quindi dite che dovrei permettervelo?»
Ryo scosse la testa, aprì i
palmi quasi
sconsolato: «Abbiamo forse altre vie di uscita?»
«C’è sempre
una via d’uscita,» rispose lei misteriosa, «Ma non sempre
potete trovarla.»
«Per favore, altrimenti il
nostro
viaggio sarà stato inutile!» disse Ichigo.
Yuuko piegò di nuovo la
testa: «Vuoi
sempre tutto, Momomiya, sei sempre stata così. Che fortuna trovare
persone che
ti sostengano sempre… o forse no.»
«Io non…»
Ma Yuuko sorrise, un
sorriso inquietante
che le illuminò gli occhi scuri e le distese le labbra, un battito
d’ali che
sollevò la polvere attorno a loro: «Sarà divertente!»
Poi stese il palmo davanti
a sé, e
soffiò.
E loro ricominciarono a
cadere.
Videro
automobili sfrecciare nel mezzo della notte.
Videro
feste, lacrime, sorrisi.
Videro
cellulari che squillavano di sorpresa, di nascosto.
Videro
vecchie foto, vecchi ricordi, vecchi luoghi.
Videro
riflessi diversi, eppure così spaventosamente simili.
Poi,
non videro più nulla.
§§§
Buonaseraaaa mie dolci
fanciullezze! Finalmente anche il Prologo è finito e posso
sbizzarrirmiiiii yeeee :D
Spero vi sia piaciuto
e vi abbia chiarito un po' le idee. :3 Avete visto chi è
tornataaaaaaaa? :D
Per chi non è
Matusalemme come me, la cara Yuuko non solo è #copyright delle
magnifiche, incredibili Clamp, ma era già spuntata in Maze, una storia
di credo dieci anni fa. :3 Sono ripetitiva, lo so, ma io l'adoro! Anche
se qua è sicuramente più maligna :3 E, se volete posso anche dirvi che
tornerà nell'epilogo!
Ma per quello dovrete
aspettare. Ora, ve lo ridico in caso non sia stato chiaro quindi
ATTENCION PLIS: tutti i mondi in cui loro vanno sono e saranno
pubblicati come singole AU che verranno aggiunte alla serie, così da
poterle sia leggere per conto loro, che come un unicum! Quindi stateci
dietro!
Nei prossimi giorni
magari farò un indice che metterò qua, e posterò qualcosa in pagina FB.
In ogni caso, chiedete pure :)
Grazie a chi legge,
commenta, preferisce, ecc ecc - ci tengo sempre molto e mi fate sempre
felice, lo sapete!
A presto e buon
weekend <3
Hypnotic
Poison
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