Mi sarei voluto scattare una foto, in quel momento.
Stavamo sorvolando la fascia di mare in burrasca che divideva la
regione dall’isola di Ceneride.
I miei piedi pendevano verso il basso, venendo fatti oscillare dal
vento che ogni tanto ci raggiungeva.
Le mie braccia erano saldamente avvinghiate all’avambraccio
nero di Darkrai, i cui artigli stringevano la mia giacca.
Sul lato opposto del corpo di quel leggendario, Karden sembrava
tranquillo, con lo sguardo fisso verso est.
Davanti a noi era appena visibile il bianco cratere vulcanico che si
innalzava dalle onde.
La pioggia si fece sempre più battente man mano che andavamo
al largo.
Un baluginio chiaro, simile a quello di un arcobaleno primaverile, mi
lasciò immaginare dove potesse essere la Cresselia di Mary
in quel banco di nebbia notturno che ci avvolgeva.
Avrei voluto avere il PokèNav funzionante, in quel momento.
Mi sarei sentito molto più sicuro potendo comunicare in
qualsiasi momento con Rocco.
Dovevamo essere rapidi a prendere i feriti ed andarcene, non volevo
lasciare a nessuno il tempo di poterci fermare o attaccare.
Strinsi la mia presa sul corpo del leggendario che mi teneva sospeso,
cercando di non permettere alle gocce di pioggia di insinuarsi sotto le
mie braccia e farmi perdere quella poca sicurezza che avevo.
Il sole sarebbe sorto a momenti, per lo meno.
Gardevoir sarebbe arrivata a momenti, se mia madre non ha fatto casini.
Una volta arrivati Darkrai e Cresselia, assieme al pokémon
volante di Rocco avrebbero potuto portare tre squadre almeno fino a
Ciclanova. Gardevoir, con teletrasporto, avrebbe potuto portare una
persona per volta fino a Ciclamipoli, città comunque
più sicura di dove si trovano ora.
Avrei anche potuto far portare più persone per volta al mio
pokémon, ma si sarebbe stancata inutilmente e il carico le
avrebbe fatto rallentare il viaggio.
No, meglio molti viaggi rapidi con una sola persona.
Guardai verso nord, pur sapendo che con la luce quasi nulla della luna
non sarei riuscito a distinguere Rocco tra le nubi nemmeno per sbaglio.
Sorvolammo il largo cratere bianco, discendendo al suo interno quasi in
verticale.
I pochi lampioni che l’imponente gruppo elettrogeno riusciva
a mantenere accesi facevano riflettere la loro calda luce arancione sul
livello dell’acqua, che, ne ero quasi certo, era aumentato
dall’ultima volta che ero stato in quella cittadina.
I terrazzamenti erano vuoti, silenziosi.
La pioggia cadeva incessante, ma non particolarmente fitta, al punto da
non risultare particolarmente insopportabile.
Finalmente i miei piedi riuscirono a toccare nuovamente il suolo
fangoso.
Avevo le gambe intorpidite, le ginocchia mi si piegavano appena, ma
cercai di non farci troppo caso.
Guardai verso l’alto, verso il punto dal quale proveniva il
ronzio costante del gruppo elettrogeno e il bagliore freddo delle luci
che dovevano illuminare i corridoi del centro medico principale, la cui
struttura appariva arroccata sulla parete interna del vulcano.
Mi voltai verso i miei compagni di viaggio. Concedendomi qualche
secondo per osservare per bene i leggendari che li accompagnavano.
Non saremmo riusciti a passare inosservati in nessun modo. Quei due
pokémon non potevano non balzare subito all’occhio.
Sospirai, cercando di scrollarmi di dosso la stanchezza che mi
assaliva. Percepivo le palpebre volersi chiudere e la fronte pesante,
ma dovevo rimanere sveglio ancora per qualche ora.
Muovermi mi avrebbe fatto bene, decisi.
- Rimanete indietro e cercate di nascondervi il più
possibile. Rocco dovrebbe arrivare a momenti. Io, mentre lo aspettiamo,
vado a controllare la situazione all’interno del centro
medico. –
- Nail… - mi rispose Mary incrociando le braccia sul petto
– Non vorrei mai passarti davanti, ma ti vorrei ricordare che
ho lavorato per più di una settimana, qua dentro. Vado io,
prendo in consegna i tuoi feriti, ve li porto fuori e torniamo a
Ciclanova. –
- E Cresselia? – chiesi con un filo di voce, ammutolito.
- Lei sa cavarsela anche da sola. Non ha bisogno di qualcuno che le
stia continuamente attaccato. Io vado, ci vediamo dopo. –
Mary, si incamminò senza dire altro lungo la scalinata che
percorreva i terrazzamenti su cui era nata la città,
lasciando me e Karden, soli, nel punto in cui eravamo atterrati.
- Quindi, che vuoi fare, ora? – mi chiese l’uomo
dalla barba incolta, guardandomi con quei suoi occhi scuri.
Cazzo, avessi saputo cosa fare.
Mary aveva ragione, lei era la più indicata per andare a
recuperare i feriti, ma questo non mi faceva stare meglio o sentire
più sicuro.
Forse avevo viaggiato troppo da solo.
Avevo scelto poche persone di cui fidarmi, ma, in fondo, non riuscivo a
credere davvero in loro.
Perfino in questo momento Karden potrebbe attaccarmi e io non sarei
stato in grado di ribattere in tempo.
La mia mano corse alle sfere con un gesto automatico.
No.
Tu hai deciso di fidarti di lui.
- Per il momento aspettiamo che torni Mary. Poi sarà il
nostro turno di lavorare. –
- E il tuo amico? –
- Rocco? Dovrebbe arrivare a momenti. –
I minuti passavano rapidi, o, per lo meno così mi sembrava,
visto che le condizioni del mio stramaledetto PokèNav non mi
permettevano di controllare neppure l’ora.
Il bagliore rossastro del sole cominciò ad intravedersi tra
le nubi, riuscendo a superare la muraglia di roccia che ci circondava.
Le sette passate, probabilmente.
Mary ancora non era ricomparsa dal centro medico.
Rocco non era ancora arrivato e, in ogni caso, anche mi avesse provato
a contattare non sarei riuscito a rispondergli.
Gardevoir ancora non si era fatta viva. Sapevo che mia madre avrebbe
fatto qualche casino.
Ci eravamo nascosti in un piccolo corridoio tra i muri di due diverse
case, protetti in buona parte dalla pioggia grazie ai due tetti che
quasi si toccavano, sopra le nostre teste.
Lontano, in cima ai terrazzamenti, le porte antipanico del centro
medico principale si aprirono, lasciandoci intravedere la figura in
abiti scuri di Mary. La sua mano si alzò, facendoci un gesto
rapido che pareva un invito ad avvicinarci.
La Custode rientrò, per poi ricomparire pochi istanti dopo
spingendo un lettino ospedaliero su cui era adagiato il corpo di un
ragazzo dal viso coperto per metà da una garza bianca.
La raggiungemmo di corsa, salendo gli scalini a due a due, seguiti dai
due pokémon leggendari che fluttuavano a un metro di
distanza l’uno dall’altro.
- Perché ci hai impiegato così tanto? –
le chiesi non appena fu a portata d’orecchio.
- Non volevo che le infermiere mi facessero troppe domande. Ora datemi
una mano, che rimangono altri sei là dentro. –
- Cosa ne hai fatto del personale medico? – le chiesi senza
muovermi di un passo.
- Tranquillo, non li ho uccisi. Ho somministrato loro una dose di
sonnifero. Ora, ho bisogno di un aiuto per portare fuori gli altri sei
ragazzi e, già che ci siamo, dobbiamo trovare delle corde.
Per ora gli unici che possono portare via i feriti sono Darkrai e
Cresselia e, comunque, non possono farlo bene senza
un’imbragatura adeguata.
Lavorammo per diversi minuti, prima per assicurare i feriti e le
rispettive flebo alle barelle, poi i lettini tra di loro e, infine, il
carico ai due pokémon.
Per quanto mi fosse stato sul culo fin dall’inizio, provai
una nota di compassione per quell’Hasi deperito che mi
ritrovai davanti.
- Karden, - dissi rompendo il silenzio laborioso che si era creato
– vai con loro e comincia a sistemare i quattro feriti nel
Laboratorio C. Io e Mary aspetteremo qui il ritorno dei vostri due
pokémon e, spero, anche l’arrivo di Rocco.
–
- Sei sicuro? Sai che se mi dovessi trovare in pericolo i feriti
sarebbero il mio ultimo pensiero? – Il Custode dai pantaloni
strappati sollevò un sopracciglio in segno di confusione.
- Si, lo metterò in conto. Ma voglio credere che non sarai
costretto a scegliere tra voi o loro. Dai, vai. Noi ti aspetteremo qui.
–
Darkrai e Cresselia si alzarono al di sopra dell’anello di
pietra vulcanica che delimitava la città, scomparendo
velocemente nel cielo scuro con il loro carico.
Mancavano ancora tre feriti. Solamente tre feriti e poi mi sarei potuto
concedere una pausa.
- Stai giù! – mi urlò Mary, appoggiando
la sua mano sulla mia nuca per poi spingerla verso il terreno.
Pochi centimetri sopra di me, quattro aculei violacei si conficcarono
nel muro della struttura.
No, basta.
Non ne posso più di tutto questo!
Mary corse con la schiena bassa fin dietro al muro di una casa vicina,
sporgendosi oltre quella salda protezione quel tanto che bastava per
poter cercare di capire da dove fosse provenuta quella mossa.
Io la seguii, rimanendole appiccicato come la sua ombra.
Non sarei morto. Non avevo nessuna intenzione di farlo.
- Rimani qui. Dobbiamo capire dove si nasconde. –
- Ma tu non hai pokémon con te! – ribattei a bassa
voce, afferrando la giacca nera della ragazza che mi stava davanti.
- Non ho bisogno di pokémon per rendere inerme un
allenatore. –
Mary si liberò dalla mia presa, passando al muro contiguo,
cercando di muoversi nella direzione dalla quale erano arrivati i colpi. |