L’Erede del Male.
“Réquiem aetérnam dona
eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace.”.
[derivata
dall'apocrifo “Apocalisse di Esdra”]
Atto XIII – Requiem
aeternam
Theodore Nott era un giovane uomo
che si era sempre vantato di avere delle chiarissime priorità nella vita. Al
primo posto, per quasi ventun anni, c’era stata la sua sopravvivenza. Era
assolutamente normale, da parte sua, voler evitare di fare una brutta fine in
un contesto in cui suo padre sembrava non veder l’ora di buttarlo fra le fauci
dei Mangiamorte ed i suoi ipotetici compagni di classe non vedevano l’ora di
punirlo per le sue origini non perfettamente immacolate. Non aveva scelto lui di essere l’unico figlio sopravvissuto
di uno dei tirapiedi più importanti di Lord Voldemort, dopotutto, quindi era
più che naturale che il suo scopo principale fosse stato quello di evitare implicazioni che potessero
portarlo ad una veloce dipartita. Le cose erano cambiate, tuttavia, con
l’arrivo di Beth. Non era stato un cambiamento
immediato, non c’erano stati momenti di rivelazione come quelli dei libri, in
cui il protagonista si limitava a guardare negli occhi la più bella ragazza del
posto e ad innamorarsene perdutamente.
Assolutamente
no.
Il loro primo incontro era stato burrascoso ed era quasi finito in rissa. Poi lei gli aveva puntato contro un
indice accusatore, l’aveva minacciato di infilare un cucchiaio di legno in
posti occulti e l’aveva informato di
conoscere almeno sei vie differenti per nascondere un cadavere senza farsi
scoprire. In quel momento Theo era
caduto ai suoi piedi come una pera cotta ed aveva iniziato quel non troppo
lungo processo di devozione che l’aveva spinto a mandare al diavolo tutti i
suoi più cari principi e partecipare ad una missione di salvataggio a dir poco
suicida.
Edelweiss era stata molto chiara, quando Weasley l’aveva
scaricata davanti a lui come un grazioso ma inquietante pacco regalo. Se non si
fosse unito a quel tentativo di suicidio di massa, Beth
non sarebbe sopravvissuta al suo prossimo compleanno, che era piuttosto vicino.
Non gli aveva spiegato perché, non gli aveva detto come la sua morte sarebbe
potuta giungere e, sinceramente, Theo non si era neppure sprecato a chiederlo.
Come fare a decifrare immagini oniriche di una bambina di quattro anni, quando
lei stessa era troppo giovane ed inesperta per capire
davvero il significato delle sue visioni? Una parte di lui dubitava che
Edelweiss avesse compreso l’effettiva gravità di ciò che li stava costringendo
ad affrontare. Però aveva toccato le corde giuste e, mosso da un feroce istinto
di protezione, Theodore aveva messo da parte la sua scala di valori personali e
si era materializzato a Casa Weasley, per unirsi a chiunque fosse stato richiamato
alle armi.
Prima di partire, riportando a galla una delle poche abitudini
materne che aveva mantenuto, aveva avuto il buonsenso di fermarsi al Manor dei Malfoy – in cui ancora aveva libero accesso,
proprio come da ragazzo – e rastrellare tutti i libri che potessero contenere
una qualche informazione utile su Negromanti, Succubi, Incubi e Magia della
Morte in generale. Il totale dei volumi che aveva trovato poteva essere contato
sulle dita di una singola mano e la sua ansia non aveva fatto che crescere a
dismisura1. Non gli piaceva non avere informazioni sul suo
avversario, non gli piaceva neppure avere poche
informazioni su cosa avrebbe mangiato per cena.
La sua frustrazione era tanta.
«Cosa crederete che troveremo, una volta raggiunti gli altri?»
chiese la Granger, facendo strada lungo i bui corridoi. I loro patronus erano stati mandati avanti in avanscoperta, così
da evitare che potessero presentarsi brutte
sorprese lungo la strada, ma fino a quel momento nulla li aveva ostacolati.
Theodore non era riuscito a condividere il sollievo di Weasley, quando proprio
lui aveva fatto notare quel dettaglio. Nessuna guardia, di solito, indicava una
trappola imminente.
No,
Theodore non era sollevato. Soprattutto perché era piuttosto sicuro che
qualcosa si stesse muovendo alle loro spalle, silenzioso.
«Difficile a dirsi» le rispose Potter, a meno di dieci
centimetri di distanza dall’amica. C’era qualcosa, in lui, che aveva fatto
accigliare Nott. Qualcosa nel suo sguardo, forse,
oppure nel suo modo di camminare. Non era riuscito a comprendere cosa fosse e,
forse, non gli importava neppure scoprirlo. Però c’era e lui non riusciva a non vederlo. «Kate è ancora viva, in un
modo o nell’altro credo che la troveremo lì, possibilmente insieme agli altri. In che condizioni li troveremo è
un’altra domanda».
Weasley fece una smorfia. «Domanda che nessuno ha posto»
precisò, voltandosi per un istante per cercare qualcosa nell’oscurità che li
tallonava. Anche lui se n’era accorto,
allora. «Cos’ha detto di preciso Eddie?» Qualcosa riguardo una vasca da
bagno».
«Buttate la vasca con
tutto il sangue» specificò Theo, con una smorfia. C’era stata qualche
indicazione piuttosto vaga riguardo la necessità di controllare il sangue di
qualcuno di loro, ma non era una informazione rivolta a lui, quindi non si era
concentrato per ricordarla. Forse avrebbe dovuto. Stava iniziando a realizzare
quanto poco sapesse del loro nemico,
quanto dannatamente stupida fosse tutta quella spedizione. Edelweiss non gli
aveva neppure assicurato che la sua partecipazione avrebbe scongiurato la morte
di Beth.
«Immagino che capiremo una volta che l’avremo davanti agli
occhi» azzardò il Magizoologo – Maine? Wisconsin?2 Era sicuramente
uno dei cinquanta Stati americani – con una voce fin troppo ottimista per la
situazione tragica in cui si stavano trovando. Theo non lo considerò pazzo solo
perché, gettandogli un’occhiata, notò quanto fosse pallido e palesemente
nervoso. Sua moglie era lì da qualche parte, stando alle informazioni ricevute
da Weasley. Ed era incinta.
Al riguardo, Theodore aveva davvero un pessimo presentimento.
«Sempre se sopravvivremo abbastanza a lungo da raggiungere
suddetta vasca» fece notare allora, tetro, imponendo a se
stesso di andare contro qualsiasi istinto di autoconservazione e smetterla di
voltarsi a fissare il vuoto assoluto. Qualunque cosa li stesse seguendo, era
abbastanza veloce o talentuosa da non farsi scoprire da almeno tre persone –
lui, Weasley e Potter – e palesemente non era intenzionata a rivelarsi
nell’immediato futuro. Perché stuzzicare il can che dorme? Forse si trattava
solo di qualche bestiolina arrivata lì per caso o fuggita dal sotterraneo del
castello. Non era un mistero che le Banshee avessero laboratori di ricerca
sulle più disparate scoperte magiche, che riguardassero nuovi incantesimi o
creature era irrilevante per i suoi interessi.
La Granger gli lanciò un’occhiata storta. «Sai, Nott, avevo quasi
dimenticato il tuo solare ottimismo» sbottò, senza riuscire più a nascondere un
piccolissimo sorriso. «Era tutto ciò che mi motivava a non addormentarmi
durante le lezioni di Storia della Magia al sesto anno3» aggiunse,
stringendo le labbra per evitare che il sorriso potesse allargarsi a dismisura.
Doveva aver ricordato l’episodio della Grande
Carestia di Mandragole del 1271, uno dei momenti più alti della carriera di
Theodore come studente.
Anche lui, nonostante l’ansia, non riuscì ad impedirsi di
sorridere lievemente, attirandosi le occhiate strabiliate di Potter e Weasley.
Washington – o Maine, Vermont, Hawaii che fosse – non stava prestando loro
alcuna attenzione, comprensibilmente. Theodore si ritrovò a simpatizzare per
lui. Aveva delle buone priorità nella vita. «Neppure le lezioni di Aritmanzia erano poi così male, Granger. Il tuo calcolo sul
risultato delle gare di Quidditch è ancora utile».
A quelle sue parole, le sopracciglia di Weasley e Potter
raggiunsero altezze spropositate. Fu il rosso a parlare per primo, mettendo una
mano sul braccio della donna. «Hermione»
disse, serio come Theodore probabilmente non l’aveva mai visto. «Hermione,
usare l’Aritmanzia per il Quidditch è gioco d’azzardo» sbottò, senza riuscire
a nascondere il tono decisamente entusiasta. Sembrava ammirato e, conoscendo il
giro d’affari che intratteneva con il fratello, non c’era di che essere
sorpresi.
«Ed il gioco d’azzardo è un reato» aggiunse Potter, molto meno felice del futuro cognato.
«Hermione, non me lo sarei mai aspettato da te. Usare l’Aritmanzia
per le scommesse… soprattutto quando hai sempre minacciato di fare la spia con
la McGranitt se io e Ron avessimo anche solo pensato di provarci».
La Granger si strinse nelle spalle, tranquilla. «Io non l’ho mai usato, non mi piace il
Quidditch e di certo non ho mai avuto intenzione di farmelo piacere. E per far
scommettere te e Ron avrei dovuto usare
quel calcolo. Che altri del mio corso
abbiano dato uno sguardo alla mia idea per poi riproporla non mi riguarda» si
giustificò. «E comunque, io godo dell’immunità».
Theo inarcò le sopracciglia a quella sua affermazione. «Sai,
Granger, non sono certo che valga ancora. È evidente che l’Ordine sia caduto»
le fece notare, indicando con un cenno le mura che li circondavano. Il silenzio
innaturale intorno a loro era da brividi.
«In quanti siete rimasti? Una trentina? Gli agenti sotto copertura di certo non
potranno abbandonare tutto per correre ad aiutarvi».
«Gli agenti sotto copertura avranno ricevuto immediatamente il
messaggio che li avvisava di non tornare indietro» confermò Hermione, con una
smorfia. «L’Olimpo è caduto4,
alla fine» sbottò, lanciando uno sguardo al suo unico collega presente, che
abbassò gli occhi al suolo. «In questa particolare evenienza, tutti noi siamo
ancora coperti dall’immunità diplomatica totale ed obbligati a dare la vita per
fermare chiunque abbia provocato il collasso. Abbiamo prestato un giuramento
quando il nostro ruolo è diventato effettivo».
«Un giuramento? Nel senso di un voto infrangibile?», lo sconcerto di Weasley era piuttosto
evidente.
La Granger scosse il capo. «No, naturalmente no. È solo una
questione d’onore, diciamo. In fondo, però, morire per fermare Sisifo e Tiresias è proprio la nostra intenzione, sempre che si
riveli necessario. Noi Banshee siamo nate per questo, per difendere la Comunità
Magica fino alla Morte».
«Ed oltre» aggiunse
il Magizoologo, stizzito. «Avevo detto a mia moglie che avremmo fatto bene a
ritirarci a vita privata anni fa».
«Dubito che se anche avesse voluto avreste potuto farlo» gli
fece notare Potter, scuotendo il capo. Osservandolo, Theodore notò una certa
rigidità nelle spalle, forse per lo stesso motivo che aveva stretto il suo
stomaco in una morsa. Chiunque li stesse seguendo si era fatto molto più
vicino. «Stando a quanto mi è parso di capire, siamo stati tutti manipolati da
quel bastardo di un veggente. In questo momento ho paura che anche la scelta
dello spazzolino da denti non sia stata mia».
La Granger rabbrividì, mordendosi il labbro. Doveva essere un
argomento parecchio delicato per lei e – stando alle sue occhiate non troppo
furtive – per un inconsapevole Weasley.
Un crepitio ben
distinto li fece fermare tutti, come agghiacciati. Chiunque li stesse seguendo
doveva aver deciso che fosse giunto il momento di palesarsi. Fu Potter a
voltarsi per primo, la bacchetta in mano e negli occhi una determinazione che
Theodore ricordava di aver già visto
la notte in cui Hogwarts era arrivata al collasso. Lo sguardo di qualcuno deciso a fronteggiare qualunque cosa il
destino avesse deciso di mettergli davanti. Theodore non amava quello sguardo,
di solito anticipava esperienze suicide.
Nel tempo che tutti impiegarono a voltarsi, una figurina era
riemersa dalle ombre, i lunghi capelli scuri lasciati liberi sulle spalle
delicate ed i grandi occhi curiosi puntati proprio sull’Auror,
quasi avesse voluto studiarlo attentamente. Quasi fosse stato un cagnolino
molto buffo e apparentemente amichevole. Theodore non aveva la minima idea di chi fosse quella piccoletta, ma il suo
sesto senso lo stava avvisando di tenere gli occhi aperti. Era assai
improbabile che una bimba normale potesse trovarsi lì, al buio e circondata da
creature praticamente appena uscite da un incubo.
Sempre che la bambina stessa non fosse un incubo.
«Andate via» fu tutto ciò che Potter disse, senza staccare gli
occhi dalla piccola neppure per un istante. I due avevano preso a fissarsi come
se anche solo in quel modo avessero potuto comunicare. «Andate adesso, non credo che impiegherà molto
prima di esplodere come un petardo a Capodanno».
La Granger si fece avanti, una mano sulla spalla dell’amico.
«Harry, cosa diavolo credi di poter
fare? Nessuno ha idea di come fermare gli Obscuriali,
men che meno tu» gli fece notare,
cercando di tirarlo indietro, ma senza successo.
Anche il Magizoologo si fece avanti, ansioso. «Non essere
idiota, sai bene cos’è lei, non puoi far nulla».
Evidentemente tutti e tre condividevano un’informazione che
non si erano premurati di condividere con lui. Quattro, considerando lo sguardo
preoccupato di Weasley. L’ansia di Theodore non fece che crescere ad ogni
secondo battuto dall’orologio.
Potter scosse il capo. «Proprio perché so cos’è lei sono sicuro di cosa dico, quando vi chiedo di andare
via» comunicò, senza tuttavia staccare lo sguardo da quello della bambina.
C’era qualcosa, in lei, che terrorizzava Theodore. Gli sembrava di averla già
vista, di averla già incrociata a qualche parte.
Ma dove? Non
avrebbe potuto avere più di cinque o sei anni, lui non aveva conoscenze che
rispecchiassero quei caratteri. L’unica eccezione era la figlia di Bellatrix e Rodolphus, ma lei
era-
Paralizzato dalla realizzazione, Theodore dovette far forza su
se stesso per non arretrare di colpo. Doveva essere lei, la bambina che tutti
credevano fosse morta prima della battaglia. La bambina concepita ricorrendo ad
una magia così oscura da non poter essere condivisa neppure con i fedelissimi
di Lord Voldemort. La stessa magia che suo
padre aveva usato quando a sua madre era stato comunicato che non avrebbe
potuto generare figli suoi5.
Il più grande fallimento di Augustus Nott
era stato il non essere riuscito a dare a Bellatrix Lestrange la stessa possibilità che lui aveva dato a sua
moglie. Tutti lo ripetevano come un mantra, quasi volendosi confortare
nell’idea che il pozionista più brillante mai passato per la Gran Bretagna non fosse poi così
infallibile, che neppure lui fosse davvero riuscito a tirare i fili della
natura, della biologia al punto di
rendere fertile un corpo sterile. Lo avevano accusato di aver mentito riguardo
la miracolosa nascita di Theodore,
avevano ritirato tutte le onorificenze ed i premi che gli erano stati
riconosciuti per la sua ricerca. Dopotutto, aveva fallito nel dare a Bellatrix – l’unica per cui avrebbe certamente fatto un’eccezione al suo famoso divieto di
commercializzazione del siero – ciò che lei, il marito ed il Signore Oscuro
desideravano, non c’era dubbio che avesse sempre mentito. Quel fallimento ne
era sempre stata la prova.
Ma
Augustus non aveva mai fallito.
«Quel laido figlio di puttana» fu il commento con cui Theodore
attirò l’attenzione di tutti. «Ha davvero permesso che quel mostro si
riproducesse, alla fine» sibilò, tentato di tirarsi via i capelli per la
rabbia. Era un vizio che, a detta di Beth, gli
sarebbe costato la calvizie prematura. Beth, che suo padre aveva promesso di non toccare nonostante fosse furioso con entrambi. Beth, che
probabilmente era stata la vittima di uno scambio premeditato anni prima6. Si spiegava tutto. Partendo dalla volontà di
collaborare con Voldemort nonostante avesse giurato di non utilizzare mai più
il siero fin al suo volerlo abbandonare prima della battaglia. Suo padre sapeva cosa sarebbe successo, sapeva che
lui un giorno avrebbe abbandonato tutto per amore di una Magonò
e che nessun mago avrebbe mai potuto avvicinarla senza trovarsi Theodore stesso
fra i piedi. Se lui non fosse stato lì ad aiutare quella squadra di pazzi, Tiresias avrebbe pagato il prezzo pattuito cinque anni
prima ed avrebbe ucciso Beth, liberando l’unico erede della famiglia Nott
dal suo peso. «Potter ha ragione, dovete andare via. Resterò io ad aiutarlo».
«Sei diventato scemo?»
ruggì la Granger, voltandosi verso di lui come se avesse voluto fracassargli il
cranio contro il muro. «Quella è una Obscurus! Ed un Horcrux».
Theodore strinse i denti, ringraziando mentalmente Edelweiss
ed appuntandosi di comprarle il più bel vestitino da damigella mai creato, se
fosse riuscito a sopravvivere e, quindi, a sposarsi. Le fialette che la piccola
gli aveva fatto portare con sé erano un confortante peso all’altezza del cuore.
«Un Horcrux può essere distrutto solo da un altro Horcrux e credo che Potter,
anche se in minima parte, lo sia ancora» fu tutto ciò che disse, guardando la
bambina dai capelli neri, immobile a circa settanta, ottanta metri di distanza.
Non si era mossa da quando loro avevano iniziato a discutere. Dandosi poi un
colpetto ad altezza del petto, Theodore si passò la lingua sul labbro
inferiore. «Quanto all’altro piccolo problema, credo di poter fare qualcosa».
«Nott-».
«Hermione» sbottò Potter, decisamente più irritato di quanto
non fosse stato fino a quel momento, «andate.
Se anche non riusciremo a fermarla, potremo rallentarla abbastanza da darvi il
tempo di raggiungere gli altri. Ophelia è fra le mani di quel mostro, così come
George e Malfoy e Katie. Noi ce la caveremo, non sappiamo invece in che
condizioni siano loro» spiegò, deglutendo rumorosamente. Era impallidito, ma
era piuttosto comprensibile. «Barry, andate.
Pensa a tua moglie, maledizione».
Il Magizoologo lo guardò per un lungo istante, prima di
poggiare la mano sulla spalla della Granger. Weasley sembrava pronto ad andare,
probabilmente spinto dal pensiero del gemello e della negromante cui era
collegato. «Potter, fa’ in modo di sopravvivere. Tua cugina non se lo perdonerebbe mai se non dovessi farcela».
Potter sorrise leggermente. «Nel caso, chiamate vostro figlio
come me. E cercate Ginny, voglio che i miei figli
abbiano anche dei parenti dal ramo paterno che non siano disgustati al solo
pensiero della Magia».
***
Rimasti soli, Harry si voltò in direzione di un Nott ben più cupo del solito. «Allora, credi di potermi
illuminare riguardo il tuo segreto sugli Obscuriali?
Tutta quella scenata coraggiosa di poco fa mi sta abbandonando e mi farebbe
piacere una minima rassicurazione».
Nott lo guardò per un solo
istante, tornando poi a concentrarsi sulla bambina. «Sono un pozionista, io… faccio
pozioni. Di ogni tipo. Pozioni curative, pozioni d’attacco o di difesa.
Posso avvelenare una persona in almeno settanta modi diversi, trentadue dei
quali non lasciano segni» gli disse, cupo. «Potrei
avere qualcosa capace di congelare la magia e questo qualcosa potrebbe
riportare la bambina ad uno stato più umano,
anche se solo temporaneamente. Quindi non rallegrarti, dovrai comunque farla
fuori, con o senza esplosioni magiche».
Harry lo fissò per un lungo istante, consapevole dell’orrore
dipinto sul suo viso. «Tu hai inventato
cosa?» gli chiese, indeciso fra il sentirsi spaventato o disgustato. Bloccare
la magia era… assurdo. E
potenzialmente disastroso. Congelarla per farne cosa? Era forse un progetto
voluto da Voldemort? Suonava come un progetto di quel folle. E perché lui lo
stava sviluppando? Quali erano i suoi interessi?
Nott strinse le labbra.
«Potter, calmati. Ho semplicemente
portato a termine un progetto che il Ministero mi ha richiesto, volevano usarlo
come metodo punitivo sostitutivo dei Dissennatori, ma c’è stato un veto della
Confederazione, non verranno mai usate. Io ho l’unica fialetta ancora esistente
e non sono neppure sicuro che funzionerà» ammise, esasperato. «Ammetto di aver
sperato di invertire il processo e sviluppare la magia nella mia fidanzata, ma
lei non me l’avrebbe mai permesso» aggiunse, con un certo imbarazzo. «Adesso ti
dispiace concentrarti sul vero problema? La piccoletta ha iniziato a ridere ed
io sono sinceramente inquietato».
«Per lei è divertente»
sbottò Harry, guardando il piccolo Horcrux come se lei personalmente avesse
preso a schiaffi la sua ritrovata, per quanto fasulla, serenità. Perché avrebbe
dovuto preoccuparsi, dopotutto, se ai suoi occhi loro due non erano altro che
due pivellini? Per lei, quello che si sarebbe svolto da un momento all’altro
sarebbe stato solo un momentaneo intoppo. «Quando ho ricominciato ad avere i
miei incubi, ho anche ricominciato a sentire il collegamento con l’altra parte
dell’anima di Voldemort» spiegò, avanzando di qualche passo. «Mi ero chiesto il
perché della sua presenza nel Limbo, ma non immaginavo certo che fosse perché
ce n’era ancora uno ben nascosto7».
«Intendi dire che il Signore Oscuro non è davvero morto?»
chiese Nott, le sopracciglia scure aggrottate. «Hanno
seppellito il suo corpo, la notizia era su tutti i giornali. Non hanno neppure
detto dove proprio per evitare che la
sua tomba potesse essere oggetto di attenzioni indesiderate o, ovviamente,
della prosecuzione di un culto sulle sue opere».
Harry strinse le labbra. «Hai letto dei libri sulla
Negromanzia, Theodore. Hai già una pallida idea di cosa Kate e quelli come lei possano fare. Credi davvero che la
morte del corpo possa porre fine all’anima? Voldemort è sopravvissuto per
tredici anni senza un vero corpo,
immagino che parte della sua essenza possa ancora sopravvivere in noi» spiegò, indicando con un cenno la
piccola. Lei si era avvicinata lentamente, come per studiarli meglio, e non
sembrava intenzionata a far loro alcun male. Per il momento, ovviamente. Testando un po’ la sua fortuna, Harry
decise di provare qualcosa che credeva di non aver più la capacità di fare. O
almeno così aveva sperato. «Tu sai chi
sono io?». Le parole uscirono dalle sue labbra con la stessa naturalezza di
un tempo, quasi non avesse mai smesso di praticarle. Non si rese quasi conto di
aver cambiato lingua, a tradirlo fu solo la sensazione decisamente estranea della
lingua contro i denti. Nott, al suo fianco, si
irrigidì. Non doveva aver mai visto quel talento al di fuori di Voldemort.
Forse lui non si era iscritto al Club dei Duellanti, quasi dieci anni prima8.
La bambina si illuminò di un sorriso immenso, facendo
internamente morire Harry. Una parte di lui era colmo d’orrore nel vederla così
tranquilla, così normale e innocente.
Un’altra parte aveva ricevuto conferma della sua reale natura e temeva di non
poter fare nulla per fermarla. Non aveva una spada o del veleno di basilisco,
con sé. A sostegno di quel suo insensato gesto di coraggio c’era solo l’assurda
convinzione che Horcrux potesse distruggere Horcrux, proprio come credeva fosse accaduto quattro anni
prima.
«Certo che ti conosco!
Tu sei quello che ha ucciso mio padre» rispose la bambina, puntandogli
contro il piccolo indice della mano paffutella. «Anche tu parli con i serpenti!
Neppure Tiresias ci riesce. Non mi piace che anche tu
sappia farlo» gli comunicò, incrociando quindi le braccia al petto. I contorni
del suo corpo sembrarono tremolare, la sua immagine farsi più sfocata. «Perché
sei venuto qui? Io non voglio parlarti». Voltatasi leggermente, la piccola
scorse Theodore, che sembrava ad un passo dal volersi fondere con la parete di
pietra. «Lui mi piace, anche se ha la pozione che mi toglie la magia».
Il mugolio terrorizzato che Nott
emise avrebbe fatto sorridere Harry, se lui stesso non fosse stato sul punto di
farsela sotto.
«Non avere paura, ti ucciderò in modo poco doloroso» tentò di
rassicurarlo la piccola, con un gran sorriso tutto fossette. «Nessuno si è mai
lamentato e Tiresias ha sempre detto che sono una
bambina molto pulita e beneducata» continuò, dondolandosi sui talloni con un
sorriso incantevole quanto lei.
«Com’è… confortante»
mormorò Nott, lanciando un’occhiata ad Harry, una
mano già infilata nel mantello, forse per recuperare la pozione. «Che ne dici
di non uccidermi afffatto? Sai, avrei un matrimonio a
cui prendere parte».
La bimba sorrise di più. «Quale matrimonio? Mi piacciono i
matrimoni, le signore si mettono vestiti da principesse! Tireasias
dice che quando tornerò in vita anche io potrò mettere un vestito come quelli»
spiegò, sbattendo quasi subito il piedino per terra e lasciando che, ancora una
volta, i suoi contorni sbiadissero
pericolosamente. Harry non aveva mai assistito alla trasformazione di un Obscurus e non era decisamente pronto a farlo in quel
momento. «Vuoi dirmi chi si sposa?».
«Io, io dovrei
sposarmi. Non posso farlo se tu mi uccidi, sai?».
La piccola bocca si aprì leggermente in una smorfia di
scontento. «Oh, è un peccato. Mi
sarebbe piaciuto vedere un matrimonio, ma tu devi morire, Tiresias
ha detto che nessuno deve raggiungere lui e la signora che fa paura».
«Hai fatto passare gli altri, però» le fece notare Nott, attirandosi un’occhiata allibita da parte di Harry.
Invece che farle scordare gli altri
lui li stava usando per rinfacciare un qualche trattamento di favore? Avrebbe
potuto mettere a rischio l’intera missione, per Merlino! «Mi rifiuto di credere
che tu li abbia dimenticati davvero. Dimmi, credi che ucciderci sarà così tanto
un giochetto da ragazzi da poterli poi raggiungere senza che Tiresias se ne renda conto? Sei una povera sciocca».
Che
diavolo…?
«La stai facendo irritare» gli fece notare l’Auror, con una certa stizza. «Cosa credi di f-», qualunque
cosa avesse voluto dirgli, gli morì in gola sotto il peso di un incantesimo
silenziatore. Nel panico totale, Harry si voltò a fissarlo, ritrovandolo tutto
intento a ricambiare lo sguardo della bambina.
«Credi ci abbiano lasciati qui senza un motivo? Noi possiamo distruggerti in modo tale
che neppure Sisifo potrà riportarti in vita. Possiamo fare in modo che tu non
torni mai più in vita» continuò a
stuzzicarla, facendosi coraggiosamente avanti di vari passi. Quando abbassò la
mano in cui non reggeva la bacchetta, Harry notò che stesse tenendo un’ampolla
con dentro un liquido bluastro. La pozione.
I contorni della bambina tremolarono di più ed un brivido
gelido attraversò Harry. Doveva essere il suo istinto di autoconservazione che,
dopo essere tornato in servizio per quattro anni, decideva nuovamente di fare i
bagagli e tornare nello steso paradiso tropicale in cui doveva aver trascorso i
sette anni che Harry aveva trascorso in guerra – più o meno dichiarata – contro
Voldemort ed i suoi scagnozzi. Il suo pensiero corse a Ginny,
in quel momento probabilmente rinchiusa in una stanza dai suoi fratelli così
che non li raggiungesse per combattere, ed ai suoi bambini. Se quella creatura
avesse perso il senno, lui non avrebbe avuto alcuna possibilità di conoscerli.
Sarebbero
stati degli orfani, proprio come lui.
Ma Nott non sembrava curarsi dei
suoi crucci interiori.
«Sei una bambina viziata, credi davvero che una volta morta ti
riporteranno in vita? Probabilmente ti hanno mandata qui perché così ti saresti
tolta dai piedi» insistette, beffardo, avanzando con un cipiglio sempre più
fiero e superbioso. La pozione era ben stretta nel suo pugno, nascosta alla
vista della piccola ma ancora visibile ad un ammutolito Harry. Condividere il
suo piano non doveva essere nelle sue intenzioni. Forse far morire il povero
Bambino Sopravvissuto senza dargli modo di partecipare attivamente era un modo
perverso per aiutarlo. Voleva evitargli l’angoscia, forse.
Oppure non aveva la minima considerazione dei suoi interessi e
credeva che Harry l’avrebbe seguito a prescindere da tutto.
«Stai zitto» intimò la bambina, le labbra strette con furia.
Qualcosa di oscuro si stava sprigionando da lei, quasi la sua ombra avesse
improvvisamente deciso di estendersi nella terza dimensione per assorbire tutto
ciò che avrebbe potuto trovare sul suo cammino. Come se avesse voluto
inghiottirli tutti, lei per prima.
«Non farmi arrabbiare, signore. Io non voglio arrabbiarmi» aggiunse ancora lei,
questa volta con una strana nota di preoccupazione ad incrinarle la vocina
angelica.
La realizzazione colpì Harry come un pugno allo stomaco.
Credeva di aver già realizzato quanto giovane
fosse quella vittima innocente di Voldemort e Tiresias,
ma si era sbagliato. Si era sbagliato terribilmente. Nessun Obscuriale
era mai sopravvissuto e l’unico con cui Newt Scamander avesse avuto modo di parlare9 aveva
solo accennato al terribile dolore che le esplosioni di magia potevano portare.
Era uno shock terribile che aveva spinto tanti bambini, fra cui anche Ariana
Silente, a rinchiudersi in se stessi, scollegarsi
dalla realtà per illudersi che quell’orrore non stesse accadendo proprio a loro. E quella bambina non era
diversa, nonostante la sua mente fosse stata controllata per tutta la sua vita.
Nonostante fosse stata plasmata affinché potesse diventare un’arma di
distruzione di massa.
Era solo una bambina ed aveva paura del dolore.
E loro
avrebbero dovuto ucciderla.
La paura di morire era solo un ingrediente nell’enorme
miscuglio che si stava agitando nel suo piccolo cuore, solo un mattone nella muraglia
che le stava precipitando addosso. La bambina sarebbe dovuta morire a prescindere, perché così era stato
previsto, così le era stato inculcato. Morire l’avrebbe liberata dal suo
dolore, ma morire faceva paura, quasi più paura del dolore ma non a sufficienza
da spingerla a ribellarsi ai suoi padroni.
«Potter». Il richiamo di Nott lo
tirò via bruscamente dalla sua trance, facendogli sbattere le palpebre un paio
di volte. «Conosco quello sguardo e non ti permetterò di mandare tutto
all’aria» lo avvisò, con una smorfia irata. Era arretrato nuovamente fino ad
affiancarlo, la fiala non più nascosta perché la bambina era ormai troppo presa
dai suoi dolori per prestare loro alcuna attenzione. La trasformazione era
stata innescata, l’esplosione era sul punto di presentarsi.
«È solo una bambina, dovremmo tentare di aiutarla» esalò
Harry, senza riuscire a guardarla per un secondo in più. In una parte recondita
della sua mente sentiva il suo dolore, la sua disperazione e la paura. Le
percepiva come se fossero l’eco di sue
emozioni passate. Forse lo erano. Dopotutto, anche lui era stato solo un
bambino spaventato rinchiuso in un sottoscala buio e polveroso quanto doveva
esserlo la gabbia in cui la bambina aveva costretto la sua innocenza per poter
sopravvivere tanto a lungo.
«È quello che stiamo tentando di fare, Potter». Nott lo afferrò per il braccio, scuotendolo piuttosto
violentemente. «Credi davvero ci sia un’altra possibilità di salvezza, per lei?
Preferiresti condannarla a vivere con quello spettro dentro di lei? Mettiti nei suoi panni. Se qualcosa ti
stesse soffocando dall’interno, giorno dopo giorno, e tu non potessi far nulla
per fermarlo o rallentarlo… non preferiresti mettere fine a tutto?».
Harry non riusciva neppure a contemplare quell’idea. La possibilità
di dover porre fine ad una vita così
innocente, così giovane lo stroncava.
«Togli la testa dal culo, Potter, e guardala!» sbottò di nuovo l’altro, indicando la massa informe ed
oscura che lentamente stava esplodendo dal petto della bambina. «Io non posso far altro che darti modo di
aiutarla, ma solo tu puoi ucciderla, tu sei
un Horcrux, sai cosa vuol dire. Toglile quel mostro dall’anima e lasciala libera» gli intimò, secco, abbassando
tuttavia il tono di voce così da renderlo più gentile. «La mia pozione dovrebbe
poterla rallentare, tu hai qualche minima idea di come… finirla?».
Stranamente – e miracolosamente
– Harry riuscì a riprendere il controllo di se stesso.
Aveva pensato alla bambina come un Obscuriale,
qualcosa che nessuno conosceva e che lui aveva solo associato con una paura ed
un dolore a lui sconosciuti. Lui non
aveva mai avuto timore della propria magia. Ma Nott
aveva ragione, loro erano entrambi
Horcrux. Harry sapeva cosa
significava avere quel mostro nero sul fondo del cuore. Lui era stato libero
per anni, prima di subire gli effetti di quel parassita, lei, invece…
Doveva
aiutarla.
«Per distruggere un Horcrux, bisogna distruggere il suo
contenitore in modo che non possa più essere ricostruito» spiegò, senza degnare
di un’occhiata Nott, che aveva già tolto il tappo
alla sua pozione. L’Obsurus era sempre più grande,
sempre più potente. Solitamente si trattava di esplosioni di magia, ma quel mostro era fin troppo esperto nel
cambiamento, aveva imparato a mangiare la sua piccola ospite un morso alla
volta, lasciando che soffrisse. «Credo che un’Avada Kedavra possa funzionare, se scagliato da me».
Nott strinse le labbra. «Tu, però? Credi di essere ancora un
Horcrux?».
Harry si strinse nelle spalle, sentendo il cuore quasi esplodergli nel petto. «Non lo so, il
mio Horcrux potrebbe essere rimasto al suo posto, ma potrebbe essere solo un
eco. La Magia nera lascia sempre dei segni, ovunque passi… se lei dovesse morire per mano mia, allora
io stesso potrei morire».
«Sei disposto a rischiare?».
«No, ma dovrò farlo comunque. Per Ginny,
per i miei figli e per tutti gli altri».
I due si guardarono per un lungo istante, poi Nott annuì. «Draco aveva ragione nel dire che voi
Grifondoro siete dei veri martiri» fu il suo commento, vagamente ilare. Il suo black humour era famoso in tutta Hogwarts, dopotutto.
«Tieniti pronto, non ho idea di cosa succederà quando la colp-
sta arrivando!» urlò all’improvviso,
dando ad Harry il minimo preavviso necessario ad alzare la sua bacchetta e
puntarla dritto davanti ad entrambi, evocando uno scudo come minima difesa.
L’impatto dell’essere oscuro contro di esso gli fece tremare le gambe, l’intero
braccio si contrasse come in preda ad uno spasmo.
Non aveva
mai risposto ad un attacco così potente.
Stretti i denti, tentò di raddrizzarsi e avanzare ma,
nonostante l’aiuto dello scudo evocato da Theodore, non riuscì a far altro che limitare il proprio arretramento a pochi
passi. «Non possiamo trattenerlo! Serve la pozione! Aspetta che torni indietro
per prendere la mira, allora io abbasserò la protezione per un istante e tu la
colpirai!» gli urlò, lanciandogli uno sguardo velocissimo solo per assicurarsi
che fosse capace di muoversi. Un altro potentissimo attacco della creatura li
fece balzare indietro di parecchi centimetri. Oltre al braccio, anche la spalla
aveva iniziato a dolergli. «Nott, adesso!»
Il movimento fulmineo con cui Nott
scagliò la fiala fu ammirevole, soprattutto perché riuscì a centrare il suo
terrificante obiettivo, aprendogli un foro luminoso proprio al centro. Sembrò
quasi che un raggio ghiacciato l’avesse attraversato, lasciando che il gelo si
diramasse da quella prima feritoia con una velocità impressionante.
Cristallizzato, l’Obscurus restò a pochi metri da
loro, bloccato nella sua purissima essenza magica, come un’ombra imprigionata
in un cristallo.
Sfiniti, i due crollarono in ginocchio al suolo, tenendosi il
petto e respirando a fatica.
«La mia pozione blocca la magia, la cristallizza e la rende
inutilizzabile» spiegò Nott, una volta recuperato il
fiato. «Un Obscuriale è pura magia incontrollata. L’ho… pietrificato».
Harry restò per un istante immobile a fissare quella strana statua davanti a loro, una brutta
sensazione allo stomaco. «Ho la sensazione che se dovessi colpirlo con
qualunque incantesimo finirebbe con l’esplodere. Ti prego, dimmi che sto
esagerando e che sono un pessimista».
Nott strinse le labbra,
scuotendo poi il capo. «Mi dispiace, Potter, ma temo tu abbia ragione. Credevo
che sarebbe regredita al suo corpo umano, mentre così… posso solo ipotizzare
che sarà come far scontrare due incantesimi potentissimi. Spezzeremo il fisico
ma l’impatto sarà… distruttivo».
Lentamente si passò una mano sugli occhi, forse cercando di nascondere le
lacrime di rabbia e paura che involontariamente avevano cercato di fuggire via.
«Non c’è via d’uscita, Potter. La pozione non è infinita, a breve dovrebbe
perdere i suoi effetti».
«Tu puoi smaterliazzarti via, Nott. Solo io devo morire» gli disse, in un modo di
cavalleria che non era del tutto scomparsa in quegli anni. «Va’ via, trova la
mia fidanzata e dille che mi dispiace e che non ho mai smesso di amarla,
neppure un istante».
La risata di Nott suonò disperata
anche alle orecchie di Harry, che non poteva negare di essere un po’ tardo. «Potter, io non posso
andare da nessuna parte. Non ci si smaterializza dal Quartier Generale delle
Banshee e l’unica uscita è…» indicò l’Obscuriale,
«proprio lì dietro. Sono incastrato qui tanto quanto te, non potrò portare
alcun messaggio a tua moglie. O baciare la mia per l’ultima volta» confessò, la
voce roca. «Non c’è niente da fare, al riguardo, quindi tira fuori il coraggio
Grifondoro e uccidi quel mostro».
Harry lo fissò per qualche istante. «Non ho mai pensato che
sarei morto al fianco di un figlio di Mangiamorte10» gli disse,
rialzandosi ed allungandogli la mano libera affinché potesse imitarlo.
«Siamo tutti uguali davanti alla morte, Potter. Adesso fallo, prima che io me la faccia sotto
dalla paura. Voglio morire con dignità».
Era il massimo che avrebbe ottenuto da lui, ma ad Harry fu
sufficiente. Avrebbe voluto morire circondato da persone amate, avrebbe voluto
dire i suoi addii come l’ultima volta.
Avrebbe dovuto sentirsi abbandonato, disperato. Aveva paura,
era desolato, ma l’inevitabilità del
suo destino gli impedì di perdersi. Ancora una volta, tutto si riduceva ad un
faccia a faccia con i suoi incubi. Ancora una volta, il Bambino Sopravvissuto
doveva affrontare la Morte a testa alta.
Questa volta, semplicemente, non sarebbe tornato indietro.
Sollevò la bacchetta, distogliendo lo sguardo dall’unica
lacrima sfuggita al controllo di Nott.
Mi
dispiace Ginny.
Inspirò profondamente, lasciando che i muscoli delle spalle si
rilassassero.
Mi
dispiace, ti prego di perdonarmi.
«Avada Kedavra».
Ti amerò
per sempre.
***
Kate si svegliò dalla sua trance inspirando bruscamente,
liberandosi dalla presa di Draco e tossendo per cercare di riacquistare la
funzionalità della gola più velocemente. Nonostante lo sguardo appannato,
riuscì a scorgere benissimo l’espressione straziata del suo Auctor, le mani portate al petto quasi avesse provato il suo stesso
dolore. Quasi avesse voluto nasconderle anche alla propria vista, tanto era
l’orrore di ciò che lei l’aveva costretto a fare. Era pallido – prevedibile,
essendo morto – ed appariva piuttosto malaticcio. Se avesse avuto un battito
cardiaco ed uno stomaco funzionante probabilmente avrebbe dato di stomaco per
l’ansia.
«Quanto… quanto tempo è… passato?» gli domandò lei,
afferrandolo per il braccio così da potersi tirare a sedere, seppur con
parecchie difficoltà. La testa le girava e le ferite cauterizzate bruciavano e
prudevano in modo infernale.
Draco la fissò per un istante come se avesse voluto
ricominciare a strozzarla11. «Neppure un minuto. Non chiedermelo mai
più, ti prego» la supplicò, respirando velocemente come se fosse stato sul
punto di iperventilare. «Credevo di averti uccisa» esalò poi, a bassa voce. Kate
riuscì appena a sentirlo a causa del fracasso che Sisifo e la sua rabbia stavano
provocando a pochi passi da loro.
«Tranquillo caro, un lieve soffocamento per alcuni è
addirittura piacevole».
«Lasciamo questo tipo di negoziazioni per la camera da letto,
che ne dici?» fu la risposta che lui le dedicò, sarcastico. Gettò un’occhiata
alle sue spalle, probabilmente preoccupato dai gemiti addolorati di Tiresias. «Non credo che quel teatrino durerà ancora a
lungo. Sei riuscita a trovarla? Ha deciso di aiutarti?».
Kate strinse le labbra, piuttosto restia a confessare le
dinamiche del suo delizioso incontro
con Beatrice Vane. «Ha deciso di aiutarci, sta solo aspettando che io le faccia
superare il confine fra i due mondi» mormorò, lanciando un’occhiata preoccupata
alle spalle che Winter stava voltando loro. Aveva smesso di colpire l’amante
immortale ma ancora non si era voltata a guardarli. Che stesse riprendendo il
controllo di sé? Che stesse combattendo una lotta interiore fra i due aspetti
del suo essere?
C’era
speranza.
«Vi farà piacere sapere che abbiamo visite» commentò
all’improvviso, quasi l’avesse sentita. Lentamente Sisifo si voltò, un sorriso
sadico ad incurvare le labbra di Winter mentre i suoi occhi si puntavano alle
spalle di Kate e Draco, oltre anche i corpi pietrificati nella fuga di Ophelia
e George. Con orrore, Kate realizzò che dovesse esserci qualcun altro con loro,
qualcuno che lei non aveva previsto si presentasse. «Fred Weasley, proprio
l’uomo di cui avevo bisogno».
Kate avrebbe voluto voltarsi e prendere a schiaffi il gemello apparentemente
oltre la barriera temporale. Se Sisifo avesse ottenuto anche solo una goccia
del suo sangue – e l’avrebbe ottenuto senza orma di dubbio – sarebbe stata la
fine per tutti loro.
«Cos’hai fatto a mia moglie?» fu il sibilo terribile di Barry
a far stringere il cuore di Kate e darle il coraggio, finalmente, di voltarsi.
Erano lì, tutti e tre, uno più pallido e terrorizzato dell’altro, fermi sulla
porta a causa della barriera temporale. Hermione aveva le braccia alzate nel vano
tentativo di distruggere l’ostacolo, pietrificata dalla scoperta che le si era
parata davanti agli occhi.
«Io nulla, ma temo
che la sua angoscia abbia ucciso il vostro embrione»
rispose Sisifo, ridacchiando. I suoi occhi si spostarono velocemente sull’unica
donna del gruppo, brillando d’irritazione. «Hermione Granger, che razza di
volgarità ci sono nella tua testolina!» la riprese, tirando fuori il vecchio
accento strascicato del sud degli Stati Uniti che era stato tanto caro a
Winter. «Naturalmente ti sto leggendo
nel pensiero, questo corpo apparteneva alla più grande Legilimens mai passata
per questo mondo, credevi forse che io avrei rinunciato a questo privilegio,
dopo che il povero Tiresias ha dovuto faticare tanto
per convincere Mulciber a riprodursi?» le chiese,
scuotendo il capo e lasciando dondolare i capelli neri sulle spalle.
L’incantesimo di dissimulazione con cui Winnie li aveva sempre resi biondi non
era più attivo, Sisifo non aveva alcun motivo di continuare a mantenerlo
attivo.
Con un gesto, Kate intimò a Draco di stare in silenzio e di
allontanarsi da lei. Il suo tentativo di lamentarsi venne immediatamente
stroncato sul nascere con un solo sguardo da parte sua. Lui, dopotutto, doveva
obbedirle. Nel frattempo, Barry aveva raggiunto sua moglie e George, separato
da loro solo da una barriera invisibile. Kate non riuscì ad immaginare cosa
stesse provando e preferì non pensarci. Se le cose fossero andate come lei
aveva ipotizzato, quel suo dolore non sarebbe stato eterno.
La sua certezza tuttavia vacillò quando Barry spostò lo
sguardo e, finalmente, notò anche lei.
«Ah, sì, anche quella è opera mia» si rallegrò Sisifo, con un
sorrisino. Tornò a guardare Kate, la sua tranquillità quasi disturbante.
«Certo, fosse per me sarebbe morta, Malfoy è riuscito a ricucirla. Ma non
preoccupatevi per il suo viso, non permetterò che vada in giro così sfregiata!
Ho intenzione di ucciderla per… uhm… seconda» rifletté, piegando il capo di
lato. «Il primo a morire dovrai essere tu, Fred. Una volta morto tu, potrò finalmente
occuparmi di quella creatura».
«Prima di uccidere Trina, dovrai passare sul mio cadavere!» ringhiò Barry, scagliandosi con violenza contro la
barriera e facendola vibrare. Si trattava di una vera e propria cupola che li
circondava in ogni direzione, spessa almeno un paio di metri. Philly e George
erano incastrati lì in mezzo, pietrificati in un istante eterno. Kate sentì gli
occhi pizzicarle al solo guardare l’orrore nel viso dell’uomo che avrebbe
voluto poter chiamare padre. Il suo dolore non sarebbe mai scomparso davvero.
«Posso sempre uccidervi tutti davanti ai suoi occhi» rifletté
Sisifo, fingendo di riflettere su quella possibilità. «Ovviamene lei non può
nulla contro di me e ne è consapevolissima, però spera davvero di potermi
rallentare abbastanza da consentirvi di fuggire ed aiutarvi, altrimenti dubito
che sarebbe rimasta in silenzio per tutto questo tempo».
«Sempre geniale, Sisifo» si congratulò la Succubus,
tentando di inarcare le sopracciglia ma rinunciando in partenza. Il suo viso
era quasi completamente atrofizzato, le cicatrici le rendevano difficili anche
le parole più semplici.
Fu Hermione a parlare, a quel punto, un sorriso vittorioso. «Mi
sembra di ricordare che la Captio Temporis possa essere spezzata solo dall’esterno e
soltanto da una persona diversa da quella che l’ha evocata. Una misura di
sicurezza dei tempi antichi, si dice che Morgana l’avesse inventata per
consentire che nessuno potesse toccare Camelot fino al ritorno di Re Artù e,
con lui, dell’altro grande Mago, Merlino». La guardò con un sorriso vittorioso.
«Non puoi fare assolutamente nulla».
Sisifo annuì, stringendo le labbra per tentare di nascondere
un sorriso. «Hai ragione, naturalmente. Tuttavia non hai forse notato il
silenzio di qualcuno? Qualcuno solitamente molto
loquace?» le chiese quindi, accennando con il capo alla destra di Hermione.
Kate, con orrore, vide Fred con le braccia alzate e lo sguardo completamente
vuoto, intento ad eliminare tutto ciò che impediva a Sisifo di poter completare
il suo piano malefico.
«Non toccarlo,
Hermione!» l’urlo di Kate arrivò un attimo prima che l’altra donna potesse
muoversi in direzione di Fred. «È controllato da Sisifo, non ci penserebbe un
momento ad ucciderti e lui non se lo perdonerebbe mai» la avvisò, tentando di
rialzarsi proprio mentre la Captio Temporis crollava tutt’intorno a loro, disperdendosi in
una nube traslucida. George riprese la sua corsa, fermandosi, confuso, quando
Barry gli strappò Ophelia dalle braccia, stringendola a sé con cupa
disperazione. Lei era ancora senza sensi, sporca di sangue sfortunatamente suo.
«Non sei poi così sciocca, allora, Succubus»
si complimentò Sisifo, mentre Fred avanzava lentamente verso la vasca,
incurante dello sguardo disperato di Hermione. «Osserva il destino arrivare al
suo naturale compimento, dopo millenni
d’attesa!». Un dolore sordo impedì a Kate di risponderle, mozzandole il respiro
in petto e facendole piegare le ginocchia. Maledizione
Cruciatus, realizzò una parte di lei, quella
abbastanza lucida e non impegnata ad urlare con tutto il fiato che aveva a
disposizione. Sisifo aveva recuperato la bacchetta di Winter, anche se Kate
dubitava fortemente ne avesse davvero bisogno.
Le braccia di Draco si strinsero intorno a lei in un momento e
velocemente anche Hermione la raggiunse, aiutandolo a sorreggerla. Fred era
quasi giunto all’enorme vasca d’oro.
Ora o mai
più.
Tutte le forze di Kate si concentrarono in quella singola
azione, in quella preghiera.
«Stellina mia, fermati».
***
Sisifo si congelò, improvvisamente rigido. I suoi occhi
chiarissimi si spostarono lentamente fra i vari occupanti della Sala, passando
da George, Philly e Barry – i più lontani –, per poi spostarsi su Hermione e
Draco. Solo alla fine guardò Kate, ancora accasciata al suolo ma con i grandi
occhi neri spalancati e puntati su di lui. Su loro. A parlare non era stata la sua voce, non c’era traccia del
suo pesante accento irlandese. Al suo posto c’era un tono gentile, garbato, dolce
come quello di qualunque madre.
«Sei andata a recuperare uno spirito nel Limbo?» chiese
Sisifo, inarcando le sopracciglia. Hermione sentì le proprie gambe tremare al
solo sentire il suo tono. Era gelido,
terrorizzato. Avrebbe giurato ci fosse anche una nota di rispetto sotto il più
evidente disappunto. «Nostro padre ha sempre proibito di avventurarsi lì senza
di lui, ti ammiro per il tuo coraggio, Succubus, ma temo che sia stato un rischio inutile».
Alle loro spalle, Fred ricominciò a camminare verso la vasca,
entrambe le braccia sollevate. Hermione – che sinceramente non aveva idea di
cosa stesse succedendo – fissò prima lui, che per tanto tempo aveva amato senza
neppure rendersene conto, e poi George, intimandogli in silenzio di arretrare.
Barry sapeva come difendersi dai Terrori Notturni e Philly aveva immediato
bisogno di assistenza medica. Avrebbero dovuto approfittare di quel momento di
distrazione per mettersi in salvo.
«No, Granger» fu il sussurro di Draco ad impedirle di rendere
più evidenti le sue intenzioni all’altro gemello, che restò a fissarla finché
Sisifo non ricominciò a ridere in modo maniacale. «Ophelia e suo marito sono
gli unici che possono aiutare Kate a mantenere il controllo. Averli qui, per
quanto terribile, la aiuterà a non abbandonarsi allo spirito».
«È davvero posseduta?» gli chiese, sconvolta, osservando
proprio la Succubus rialzarsi ed avvicinarsi
lentamente al loro nemico. Per un istante le parve quasi che i suoi tratti
fossero cambiati e che gli occhi neri si fossero trasformati in gemme verdi.
«Ha richiamato Beatrice Vane?» aggiunse, completamente allibita. «Credevo che
le possessioni fossero solo-».
«Una leggenda?» la interruppe proprio Malfoy, con un
sorrisino. «Guardami, Granger, sono praticamente un morto vivente. Gli zombie
come me secondo alcuni non dovrebbero esistere, sei certa di voler toccare il
tasto della leggendarietà proprio adesso?».
«Cosa credi di ottenere?» stava chiedendo Sisifo, con un
ringhio furioso, arretrando ad ogni passo che Kate stava facendo verso di lui.
«Lei è morta, sua madre non potrà far
nulla per riportarla indietro» aggiunse, senza tuttavia poter nascondere la
nota di panico nella voce. C’era qualcosa nel suo modo di guardarsi intorno che
fece accigliare Hermione. Se non avesse saputo che davanti a lei ci fosse
Sisifo, avrebbe pensato solo e soltanto alla vecchia Winter, con la sua perenne
paura di aver fatto la cosa sbagliata, di aver fatto del male a qualcuno che
non lo meritava.
«Stellina, non
ascoltarlo. Quel mostro ha sussurrato al tuo orecchio per così tanti anni ma tu
sei sempre riuscita a mandarlo via» disse invece Beatrice, sfruttando il corpo
di Kate per potersi avvicinare, per poterla guardare direttamente negli occhi.
«Piccola mia, cosa ti hanno fatto?» la sua voce sembrò tremare come se fosse
stata sull’orlo delle lacrime ed Hermione percepì distintamente il proprio
cuore stringersi in una morsa. «Ricordi cosa facevamo quando venivi a trovarmi,
nonostante i divieti di tuo padre?».
Sisifo strinse le labbra, impallidendo. Alle sue spalle, Fred
si fermò di colpo, sbattendo un paio di volte le palpebre con aria
particolarmente confusa. L’incantesimo
stava perdendo i suoi effetti. «Non riuscirai a riportarla abbastanza
indietro da riprendere il controllo di questo corpo! E per ogni istante che lo spirito passerà qui, tu sarai più
debole, sciocca di una Succubus!» le rinfacciò urlando, completamente
preso dal panico. Hermione non si lasciò prendere dall’entusiasmo e men che
meno dal sollievo. Non aveva idea di cosa stesse succedendo ad Harry e non
sapeva come aiutare Fred. Senza contare Malfoy ridotto a poco più di un
cadavere che le restava accanto, completamente immobile.
«Winter, stellina,
tu sei migliore di così, sei migliore di lui» rincarò la dose Beatrice. «Pensa
a quei bambini che hai salvato, pensa a tutte quelle vite innocenti… Io ti ho
vista, lo sai? Ti ho vista e sono stata così
tanto fiera di te! Hai dimostrato di non essere come tuo padre, di essere
diversa dal mostro che ti sta controllando» le mormorò, avanzando imperterrita
e con un sorriso gentile a curvare le labbra deturpate di Kate. «Vuoi davvero
lasciare che lui possa renderti ciò che non sei?».
«Cosa diavolo sta
succedendo qui?» sbottò Fred, guardandosi intorno proprio mentre Sisifo si
prendeva la testa fra le mani, ringhiando ed urlando a Winter di smetterla di combattere, perché tanto sarebbe stato
tutto inutile, tanto niente l’avrebbe
salvata. Come attirato da una calamita, gli occhi scuri di Fred si posarono
dapprima su George, inginocchiato vicino alla porta per poter aiutare Barry a
far riprendere Ophelia, poi immediatamente su Hermione, che non riuscì a
trattenere un sorriso sollevato. «Quella è Winter?»
chiese allora lui, sconvolto. «E cos’è successo a Kate? E… Merlino! Malfoy, ma tu sei morto?».
Accanto ad Hermione, Draco inspirò bruscamente, come a voler
impedire a se stesso di fare qualcosa di molto
stupido. «Potresti zittire il tuo fidanzato? Tutti gli sforzi di Kate rischiano
di essere mandati al diavolo perché lui le sta distraendo» le chiese, indicando
con un cenno proprio la Negromante, arretrata di tanti passi quanti Sisifo era avanzato.
La confusione sembrava sparita dal suo volto, sostituita da rabbia cieca. «Maledizione, ha ripreso il controllo».
Anche Kate/Beatrice dovette realizzare quanto grave fosse diventata la loro
situazione. «Stellina» ritentò
infatti, guardandosi intorno alla ricerca disperata di un qualche appiglio, di
un consiglio su cosa dire per
riottenere ancora l’attenzione di una sempre più debole Winter. «Ti ricordi la
notte della mia morte?» tentò allora, disperata. «Ricordi cosa successe?».
Sisifo si fermò, una smorfia addolorata sul viso. «Io ti ho
uccisa» rispose, attirando nuovamente l’attenzione di tutti i presenti nella
stanza. La sua voce era suonata strana, come se fossero state due persone a
parlare e non una soltanto, quasi ci fosse stato un eco di sottofondo, molto
più addolorato e disperato. Winter.
Kate/Beatrice scosse il capo, cercando nuovamente di
sorridere. Le sue guance erano macchiate di lacrime rosse. «Non lo ricordi più,
è per questo che lui riesce a controllarti così bene» la rassicurò, tornando ad
avanzare. «Ricordati quella notte, stellina.
Ricorda come Tiresias ti tenne stretta per impedirti
di salvarmi. Ricorda come mi tagliò la gola e ti costrinse a bere il mio
sangue. Ricorda il tuo dolore, Winter»
insistette, alzando la voce nel momento in cui riuscì a raggiungere nuovamente
il corpo di colei che era stata una collega ed amica di Hermione, afferrandola
per le spalle e costringendola a guardarla in viso. «Ricorda come dovettero
tenerti ferma, come dovettero imbavagliarti! Non lasciare che lo facciano
ancora, piccola mia! Non lasciare che ti distruggano di nuovo».
Sisifo urlò con tutto il fiato che dovette trovare in corpo,
prima di cadere in ginocchio ai piedi del corpo posseduto dalla madre di
Winter. Stava piangendo, le spalle tremavano incontrollate a causa della forza
dei singhiozzi ed Hermione, che non si era neppure resa conto di aver
trattenuto il fiato, espirò lentamente.
«Mi dispiace, mamma. Mi dispiace così tanto» mormorò Winter – finalmente tornata se
stessa, abbracciando le gambe di Kate come se fossero state il suo unico
appiglio con la realtà. Guardando la Negromante, Hermione dovette concentrarsi
per riuscire a scorgere i suoi veri
tratti dietro quelli sfocati di Beatrice. Sembrava quasi che lo spirito avesse
acquistato più forza dalla vittoria riportata contro Sisifo. C’era da preoccuparsi? Malfoy le aveva
afferrato il braccio, quasi a volersi far forza e non la lasciò mai andare.
Guardandolo meglio, Hermione notò quanto stesse iniziando a sembrare più morto di prima.
«Malfoy?».
«Kate sta morendo» fu tutto ciò che le disse, la voce ridotta
ad un sussurro roco. «Sento la sua vita scivolare via. Se non lascerà andare
Beatrice, la perderò per sempre».
Hermione non ebbe il tempo di rassicurarlo, di dirgli che
sarebbe andato tutto bene, perché in quell’istante Fred urlò.
Alzati gli occhi, lei vide quasi a rallentatore Tiresias – lo stesso Tiresias di
cui tutti sembravano essersi
dimenticati, troppo presi da Sisifo e dal dramma che Kate aveva tentato di
risolvere – estrarre una lama dalla schiena dell’uomo che probabilmente l’aveva
amata di più in tutta la sua vita. Il Veggente era coperto del suo stesso
sangue, a stento capace di reggersi in piedi, ma il sorriso vittorioso con cui
lanciò la lama sporca nella grande vasca non permise a nessuno di dubitare
quanto fosse soddisfatto.
Fred la guardò, un attimo prima di accasciarsi al suolo fra le
urla di George e, sorprendentemente, di Hermione stessa. Non si era resa conto
di aver aperto la bocca finché non cominciò a dolerle la gola e le gambe
decisero di cedere all’improvviso, lasciandola cadere fra le braccia di Draco.
No, ti
prego, no! Era tutto ciò cui riusciva a pensare, nella memoria impressa
l’espressione vuota di Fred un attimo prima di cadere. Ti prego, non posso perdere anche lui.
«Niente potrà fermarci!» urlò Tiresias,
aggrappandosi al bordo della vasca, per potersi reggere in piedi. Il contenuto
iniziò a ribollire, cambiare colore ed emettere strani fumi nerastri. Kate
sembrò tornare se stessa solo per un istante, l’orrore
dipinto in viso. «Credevi di avercela fatta? Nessuno è più forte di noi, neppure tu! Ed i prossimi a morire
saranno i tuoi stupidi genitori» sibilò, respirando a fatica. Hermione osservò
la scena come se stesse accadendo tutto all’interno di un televisore, lontano da lei, lontano dal suo shock.
Non si sentiva più le gambe. «Vieni, amore mio, dimostra a questi mortali la
forza del nostro amore».
Con l’orrore di tutti – soprattutto di Kate, che non fece
nulla per impedirlo – Winter si rialzò, sorridendo nello stesso inquietante
modo che in poco tempo Hermione aveva imparato ad associare a Sisifo. La
osservarono raddrizzare le spalle, sollevarsi e fare l’occhiolino alla Succubus, prima di darle le spalle ed incamminarsi verso la
vasca. «Ce ne hai messo di tempo, Sisifo, stavo per perdere il controllo di me»
disse all’amante immortale, raggiungendolo fino a mettersi alle sue spalle.
«Ah, io non ti abbandonerò mai» gli rispose proprio il
Veggente, osservando con dolcezza il contenuto della vasca. «Poche gocce
dovrebbero bastare e allora tu tornerai per sempre, amore mio» aggiunse, senza
tuttavia voltarsi. Le sue mani accarezzarono le dita di Winter, strette sulle
sue spalle con la dolcezza di un innamorato.
Kate sbatté le palpebre un paio di volte, prima di deglutire.
Qualcosa di Beatrice ancora aleggiava su lei, ma sembrava quasi completamente
scomparso. «L’immersione totale vi distruggerebbe entrambi» disse, con una nota
d’avvertimento nella voce. «Non si torna indietro da lì, non resterà
assolutamente nulla da salvare».
Tiresias la fissò come se fosse
diventata pazza. «Grazie per il tuo aiuto, Succubus,
ma sarai comunque la prima a morire» le disse, facendole l’occhiolino.
«Coraggio, amore mio, è giunto il nostro momento».
Stranamente, Sisifo sorrise. Una lacrima scivolò sulla guancia
pallida, mentre i suoi occhi si posavano lentamente su tutti gli occupanti la
sala. «Sì, è giunto il nostro momento» confermò, la voce sicura ed in netto
contrasto con la sua espressione. Anche Hermione notò il modo in cui le sue
mani si strinsero di più sulle spalle del Veggente, che si irrigidì. «Il Nulla è meglio di tutto questo»
aggiunse, lasciando che l’emozione iniziasse a trasparire. Anche nel suo stato
quasi comatoso, Hermione capì. Winter inspirò
per l’ultima volta, mentre l’orrore si dipingeva sul volto di Tiresias. «Mi dispiace».
Quando saltò, il tempo sembrò fermarsi per un lungo istante e
poi esplodere come un nuovo, terrificante e sanguinario Big Bang.
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
La sentite la marcia
funebre?
Sono
passati dieci mesi ed io sono arrivata all’ultimo capitolo. Se vogliamo essere
precisi, ho già iniziato a scrivere l’Epilogo. Non mentirò, questa storia è
stata molto più difficile del previsto ed ammetto di aver perso spesso e
volentieri la mia ispirazione andando avanti, ma mi auguro comunque di avervi
presentato una conclusione degna e sensata, soprattutto considerando i deliri a
cui vi ho sottoposti.
Le morti non sono finite
qui.
Rimando al prossimo
capitolo per i ringraziamenti finali ed il discorso strappalacrime. Se comunque
siete sopravvissuti a queste (circa) diecimila parole avete tutto il mio
rispetto.
Punti importanti:
» * - “Eterno riposo dona loro o Signore, e splenda ad essi
la luce perpetua. Riposino in pace”. Una cosa delicata e adatta al capitolo
» 1 – Nott ha tante cose della sottoscritta, fra cui l’ansia, la
passione per le pozioni ed il black humour. A lui non piace non avere idea di cosa stia
facendo.
» 2 – Il Maine è uno
stato degli USA, Theodore poverino non ha ben capito quale fra i cinquanta è
quello di Barry. Diciamo pure che non è che gli importi particolarmente, quindi
non si è neppure preso la briga di chiedere.
» 3 – Cosa avrà
detto Nott alla lezione di Storia della Magia? È un
segreto fra i quattro gatti che frequentavano la lezione, nessuno esterno saprà mai. L’idea di Theodore ed Hermione che
condividono una specie di legame (non amicizia ma neppure reciproco odio) mi
entusiasma particolarmente. Lui era il più brillante, subito dopo di lei.
» 4 – Tipica frase da filmone americano su un attacco
terroristico, lo so, ma in questo caso parlare di Olimpo di mi divertiva. Nello
specifico si tratta della frase in codice che viene comunicata agli agenti
sotto copertura ed ai sopravvissuti.
» 5 – Diciamo pure che Nott Sr ha inventato un siero
della fertilità super potente e che grazie a questo – di cui si è sempre
rifiutato di condividere la ricetta – è riuscito a far nascere Theo.
Fortunatamente è nato da un rapporto d’amore, altrimenti avremmo avuto
Voldemort 2.0. Quando Voldy gli ha chiesto il siero
per Bellatrix e RODOLPHUS (niente stronzata alla Delphini a casa mia!!!!!!) lui si è inizialmente rifiutato
di collaborare.
» 6 – Nott Sr non ha voluto collaborare
con Voldemort, all’inizio, ma è allora che Tiresias
gli ha raccontato di cosa avrebbe fatto suo figlio con una Magonò,
comprandosi il suo silenzio. Nott era consapevole che
progenie di Bellatrix sarebbe stata solo un abominio,
ma il terrore di cosa Beth
avrebbe fatto a suo figlio l’ha fatto cedere. La pozione in cambio della promessa
di uccidere la Magonò e far sopravvivere Theo.
» 7
– Avete presente la scena in cui Harry è a “King’s
Cross” e si ritrova a guardare FetoVoldemort? Quella
è l’anima di Voldemort bloccata nel Limbo. Kate nello scorso capitolo avrebbe
anche potuto inciamparci sopra. Sostanzialmente la bambina è il motivo per cui Voldy non è finito all’inferno o, comunque, altrove.
» 8
– Secondo anno, Club dei Duellanti di Allock,
Harry “litiga” con Draco e si fa quattro chiacchiere con una vipera. Tutta la
scuola ha scoperto che lui fosse rettilofono ma
Theodore, che per natura se ne infischia
dei pettegolezzi, non ci ha mai fatto caso. Per lui l’Erede di Serpeverde era
solo una sciocchezza. Oltretutto sapeva
che la linea di sangue di Salazar si fosse interrotta con i Gaunt.
» 9
– Riferimento ad “Animali Fantastici”, Newt ha
conosciuto Credence ed io spero vivamente che lui sia
sopravvissuto per fare altre quattro chiacchiere con il nostro adorato
Magizoologo.
» 10
– Pseudo citazione da “Il Signore degli Anelli” in cui Harry è Gimli e Theodore è Legolas.
» 11
– Sì, per fare un salto nel Limbo Kate ha dovuto farsi quasi ammazzare.
Draco non era proprio contento.
Mi dispiace, ma non è
ancora finita.
Winter
Vane resterà per sempre nel mio cuore come uno dei personaggi più sfortunati
mai esistiti nella storia.
Manca solo l’Epilogo.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie