L'EROE
DA SALVARE
*Ragazzi,
dopo un bel po’ ecco a voi la fine, l’epilogo di
questa fanfic su
Numb3rs. Scusate per l’attesa ma sono fatta così,
mi faccio
sempre prendere dai sacri fuochi creativi e quindi seguo
l’ispirazione del momento che mi dice ‘scrivi
questo’ o ‘scrivi
quello’! Ok, questo discorso ha poco senso, comunque quel che
conta
è che prima o poi finisco quel che comincio e lo faccio
sempre. Volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto, seguito e
commentato la fic, fra cui: Alida, Lilly86, Thia, Taila e Parsifal.
Spero che questa breve fine vi piaccia… mi spiace di non
aver dato
spazio al rapporto dei due fratelli, non come avrei voluto, ma per
quello c’è un'altra fanfic in vista che NON SO
quando
scriverò ma lo farò. Intanto auguro a tutti buona
lettura. Grazie. Baci Akane*
EPILOGO:
CURE
/
Time after time – Eva Cassidy /
La
prima sensazione piacevole che Don potè provare fu quella di
sentirsi finalmente pulito.
Le
lenzuola contro la pelle, la consapevolezza di essere stato curato
anche se con gli antidolorifici era tutto atrofizzato, il profumo di
sé stesso che gli arrivava inebriandogli il sonno finalmente
sereno e quei sogni piacevoli che l’avevano accompagnato per
tutto
il tempo in cui i sensi non gli erano tornati.
Poi
quella mano.
La mano
che si chiudeva sulla sua in mezzo al silenzio circostante.
Assaporò
con calma e lentezza tutte quelle percezioni che gli arrivavano nel
sonno, quindi si godette in particolare anche quella tattile.
Quella
mano sulla sua che decisa ma leggera allo stesso tempo non lo
lasciava.
Poco a
poco, con essa, tutti i sensi tornarono al proprio posto e
già
perfettamente cosciente e consapevole di chi fosse lì con
lui,
ancor prima che i suoi occhi si aprissero le sue labbra si piegarono
in un faticoso sorriso beato, uno di quei sorrisi che per Don erano
rari.
Dopo di
esso, con altrettanta calma, alzò le palpebre pesanti
aspettando paziente che il mondo offuscato e confuso riprendesse i
propri contorni e colori regolari. Non ebbe fretta nel riacquistare
la vista, lasciò tempo al tempo come straordinariamente
aveva
fatto per la propria guarigione.
Mentre
aveva dormito in quei giorni era rimasto vigile ed aveva sentito
tutto ciò che avveniva intorno a lui, ascoltando tutte le
voci
che gli parlavano. Erano venuti tutti ad assisterlo e a parlargli
nonostante pensassero fosse in coma. Lui semplicemente lasciava il
tempo giusto al suo corpo per rigenerarsi e curarsi. Gustandosi
quelle cure, quelle sensazioni che lente si erano susseguite in lui
diventando via via sempre più piacevoli per un motivo o per
l’altro.
Lo
sapeva bene che quando gli antidolorifici sarebbero finiti il dolore
sarebbe stato insopportabile per le molteplici ferite riportate,
specie per l’ustione alla schiena, ma al momento preferiva
pensare
al presente lasciando al tempo di fare il suo corso. Qualcosa che non
si era mai concesso, in effetti.
Ma ora
alla sola presenza di Colby che gli stringeva la mano silenzioso,
aveva deciso che si era ripreso abbastanza e che era ora di aprire
gli occhi.
In
precedenza tutte le volte che aveva tentato di farlo non ci era
riuscito, troppo pesanti e stanche le sue palpebre per obbedirgli, ma
ora sembravano rispondere ai suoi ordini.
Quando
finalmente le iridi castane poterono vederci bene, le roteò
stancamente di fianco in direzione della sua mano e successivamente
del proprietario di quella che gliela stringeva.
Ancora
prima di vederlo in viso sapeva già che stava sorridendo
commosso sforzandosi di non piangere di nuovo.
Si
vergognava a versare ancora delle lacrime anche perché
poteva
venire visto da chicchessia, però l’emozione di
averlo
sveglio dopo tutto quello che avevano patito, per lui era grande, di
sicuro.
Lo
sapeva e lo capiva.
Mentre
sveniva l’aveva visto piangere sciogliendo la tensione per il
pericolo di averlo quasi perso e nell’oblio in cui era
scivolato,
ricordava di aver pensato che gli dispiaceva lasciarlo in quelle
condizioni ma che sicuramente quelle lacrime, dopo tutto, gli
avrebbero fatto bene.
Probabilmente
gli erano mancate solo quelle per dimostrare tutto quello che di
devastante aveva provato in quelle ore atroci.
Aveva
pensato quasi interamente solo a lui, cullato nel sonno. Poi
lentamente aveva ricominciato a sentire il mondo esterno, le voci,
gli odori, le presenze, i tocchi…
E
adesso era lì, di nuovo sveglio, di nuovo in possesso di
sé
ma con una consapevolezza in più.
Ogni
volta che vedeva la morte in faccia cambiava qualcosa in lui, non era
mai la stessa. A volte cambiava in meglio, altre in peggio.
Questa
volta si sentiva bene.
Bene
dentro.
Come se
fosse completo.
Chi
contava per lui era lì e gli altri sarebbero arrivati
presto,
erano comunque stati tutti presenti. Si era sentito amato e
ricordando tutto ciò a cui si era aggrappato mentre stava
male
e cercava di non morire, con Johnsson, ora capiva che era solo quello
che contava.
Il
sentimento, l’amore che si dava e che si riceveva.
Qualcosa
su cui non aveva mai riflettuto, che non aveva mai considerato
davvero importante ma che ora lo era.
Ne ebbe
l’assoluta certezza scambiandosi il primo sguardo con Colby.
Lì,
seduto accanto a lui, con ancora la mano stretta alla sua, con
un’emozione concreta e commovente sullo sguardo chiaro non
staccava
gli occhi dai suoi.
Come si
poteva non vederlo, specchiandosi dentro?
Quell’amore
capace di far male ma anche di portare su in alto, dritti in
paradiso.
Quell’amore
che l’aveva riportato in vita, che l’aveva tenuto
aggrappato in
quel mondo.
Per il
dolore fisico sarebbe bastato lasciare che il tempo facesse il suo
corso ma quello interiore solo una cosa poteva
‘curarlo’.
Quell’amore
che entrambi provavano ormai identico l’uno per
l’altro.
Un
amore mai dimostrato in modo normale, mai vissuto come tutti gli
altri, un amore un po’ nascosto, un po’
nell’ombra, un po’
trattenuto ma non per vergogna bensì per carattere.
Un
amore che però sapeva salvare l’anima
all’occorrenza.
Ecco
cosa era stato capace di fare Colby per Don, oltre che arrivare in
tempo.
Gli
aveva inchiodato l’anima nel suo corpo impedendogli di
perdersi.
L’aveva
salvato in tutti i modi un uomo può essere salvato.
Tutti.
E per
una volta essere lui quello ad essere salvato e non colui che doveva
salvare, non l’eroe di turno insomma, era strano ma bello al
tempo
stesso.
Ricevere
quelle cure e quelle attenzioni da cui era sempre scappato pensando
che non fossero per lui, che non ne avesse bisogno perché
lui
era già forte e doveva portare certi pesi che altri non
dovevano, era una novità che capiva lo poteva arricchire.
Così
si arrese a ricevere, per una volta, senza dare.
Perché
per permettere a chi si ama di dare, bisogna anche saper ricevere e
lui, per una volta, la prima nella sua vita, si era messo da quella
parte lasciando a Colby il compito di dare.
Prendendo
a piene mani tutto ciò che sarebbe arrivato di lì
in
poi almeno fino a che non si sarebbe ripreso.
Dopo
quello scambio di sguardi Colby si alzò dalla sedia e
chinandosi su di lui, senza emettere alcun suono, infischiandosene
altamente del luogo in cui erano, posò le labbra sulle sue
concedendosi, quella volta, qualcosa di più di una semplice
carezza.
In
fondo aveva riposato abbastanza, ora poteva prendersi una ricompensa
maggiore per quel che aveva patito per lui!
Schiusero
appena le labbra e fondendole lasciarono le loro lingue incontrarsi a
metà strada. Non si staccarono, si intrecciarono con calma e
lentezza assaporando nei particolari ogni sapore e sensazione che
vibrò in loro dopo tutto quel tempo di astinenza e
quell’inferno passato.
Eppure
se la ricompensa è quella e ti fa sentire a quel modo,
allora
sei disposto anche a passarli, quei momenti terribili.
Ma solo
dopo lo pensi.
Solo
mentre ti curi vicendevolmente dando e prendendo in contemporanea.
Durante
quel bacio leggero di saluto curativo, l’altra mano libera di
Colby
scivolò al lato del viso di Don carezzandolo appena col
pollice, sentendolo ancora più concretamente lì
contro
di lui, su di lui, per lui.
Era
sveglio, ce l’aveva fatta, da ora sarebbe stato sempre meglio.
Il
peggio era passato e poteva tornare a respirare.
Lo capì
veramente solo con la sua bocca contro, baciandolo e fondendosi a
quel modo.
Lo capì
e gli occhi chiusi gli bruciarono nuovamente, così li
strinse
cercando di ricacciare indietro quelle lacrime che ancora una volta
premevano per uscirgli.
Non gli
era mai successo così tanto, di aver bisogno di piangere.
Si era
sempre trattenuto eppure ora non serviva più.
Non era
più solo.
Poteva
lasciarsi andare, no?
Quando
si staccarono posò la fronte sulla sua lasciando ancora le
labbra a sfiorare le sue, si sentivano i reciproci respiri contro la
pelle del viso. Aprirono febbrili gli occhi che si incrociarono
nuovamente.
Così
vicini, così uniti come prima dell’incidente non
lo erano,
non a quel modo.
Ascoltando
i battiti dei cuori che andavano come impazziti ed allo stesso ritmo,
un’ondata salì in entrambi.
Lì,
in quell’istante, occhi negli occhi, labbra su labbra,
respiro
contro respiro, cuore a cuore, pelle nella pelle…
Si
sentirono. Erano lì. Insieme. Dopo aver superato quella che
probabilmente era una delle prove più dure.
E
dunque lo dissero.
Lo
dissero insieme in un soffio quasi inudibile da chiunque altro.
- Ti
amo… - perché certe parole vanno dette anche se
pensi che
non serva, che sono difficili da dire o che ci sarà un'altra
occasione migliore.
Perché
il punto in cui si cambia e si accetta di vivere i sentimenti arriva
sempre.
E
quando arriva ti commuovi lasciando libera una lacrima fugace che ti
riga solitaria la guancia.
Proprio
come accadde a loro due in quel momento.
Da lì
tutto sarebbe stato diverso.
FINE
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