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Autore: Akane    21/06/2009    3 recensioni
"- Sei morto, Don Eppes. –
Infine la comunicazione fu interrotta con quella che era non solo una promessa ma un vero e proprio giuramento solenne da parte di entrambi. "
E se per una volta è l'eroe di sempre, quello che ha bisogno di essere salvato?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Colby Granger, Don Eppes
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cose da loro'
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L'EROE DA SALVARE

*Ragazzi, dopo un bel po’ ecco a voi la fine, l’epilogo di questa fanfic su Numb3rs. Scusate per l’attesa ma sono fatta così, mi faccio sempre prendere dai sacri fuochi creativi e quindi seguo l’ispirazione del momento che mi dice ‘scrivi questo’ o ‘scrivi quello’! Ok, questo discorso ha poco senso, comunque quel che conta è che prima o poi finisco quel che comincio e lo faccio sempre. Volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto, seguito e commentato la fic, fra cui: Alida, Lilly86, Thia, Taila e Parsifal. Spero che questa breve fine vi piaccia… mi spiace di non aver dato spazio al rapporto dei due fratelli, non come avrei voluto, ma per quello c’è un'altra fanfic in vista che NON SO quando scriverò ma lo farò. Intanto auguro a tutti buona lettura. Grazie. Baci Akane*

EPILOGO:
CURE

/ Time after time – Eva Cassidy /
La prima sensazione piacevole che Don potè provare fu quella di sentirsi finalmente pulito.
Le lenzuola contro la pelle, la consapevolezza di essere stato curato anche se con gli antidolorifici era tutto atrofizzato, il profumo di sé stesso che gli arrivava inebriandogli il sonno finalmente sereno e quei sogni piacevoli che l’avevano accompagnato per tutto il tempo in cui i sensi non gli erano tornati.
Poi quella mano.
La mano che si chiudeva sulla sua in mezzo al silenzio circostante.
Assaporò con calma e lentezza tutte quelle percezioni che gli arrivavano nel sonno, quindi si godette in particolare anche quella tattile.
Quella mano sulla sua che decisa ma leggera allo stesso tempo non lo lasciava.
Poco a poco, con essa, tutti i sensi tornarono al proprio posto e già perfettamente cosciente e consapevole di chi fosse lì con lui, ancor prima che i suoi occhi si aprissero le sue labbra si piegarono in un faticoso sorriso beato, uno di quei sorrisi che per Don erano rari.
Dopo di esso, con altrettanta calma, alzò le palpebre pesanti aspettando paziente che il mondo offuscato e confuso riprendesse i propri contorni e colori regolari. Non ebbe fretta nel riacquistare la vista, lasciò tempo al tempo come straordinariamente aveva fatto per la propria guarigione.
Mentre aveva dormito in quei giorni era rimasto vigile ed aveva sentito tutto ciò che avveniva intorno a lui, ascoltando tutte le voci che gli parlavano. Erano venuti tutti ad assisterlo e a parlargli nonostante pensassero fosse in coma. Lui semplicemente lasciava il tempo giusto al suo corpo per rigenerarsi e curarsi. Gustandosi quelle cure, quelle sensazioni che lente si erano susseguite in lui diventando via via sempre più piacevoli per un motivo o per l’altro.
Lo sapeva bene che quando gli antidolorifici sarebbero finiti il dolore sarebbe stato insopportabile per le molteplici ferite riportate, specie per l’ustione alla schiena, ma al momento preferiva pensare al presente lasciando al tempo di fare il suo corso. Qualcosa che non si era mai concesso, in effetti.
Ma ora alla sola presenza di Colby che gli stringeva la mano silenzioso, aveva deciso che si era ripreso abbastanza e che era ora di aprire gli occhi.
In precedenza tutte le volte che aveva tentato di farlo non ci era riuscito, troppo pesanti e stanche le sue palpebre per obbedirgli, ma ora sembravano rispondere ai suoi ordini.
Quando finalmente le iridi castane poterono vederci bene, le roteò stancamente di fianco in direzione della sua mano e successivamente del proprietario di quella che gliela stringeva.
Ancora prima di vederlo in viso sapeva già che stava sorridendo commosso sforzandosi di non piangere di nuovo.
Si vergognava a versare ancora delle lacrime anche perché poteva venire visto da chicchessia, però l’emozione di averlo sveglio dopo tutto quello che avevano patito, per lui era grande, di sicuro.
Lo sapeva e lo capiva.
Mentre sveniva l’aveva visto piangere sciogliendo la tensione per il pericolo di averlo quasi perso e nell’oblio in cui era scivolato, ricordava di aver pensato che gli dispiaceva lasciarlo in quelle condizioni ma che sicuramente quelle lacrime, dopo tutto, gli avrebbero fatto bene.
Probabilmente gli erano mancate solo quelle per dimostrare tutto quello che di devastante aveva provato in quelle ore atroci.
Aveva pensato quasi interamente solo a lui, cullato nel sonno. Poi lentamente aveva ricominciato a sentire il mondo esterno, le voci, gli odori, le presenze, i tocchi…
E adesso era lì, di nuovo sveglio, di nuovo in possesso di sé ma con una consapevolezza in più.
Ogni volta che vedeva la morte in faccia cambiava qualcosa in lui, non era mai la stessa. A volte cambiava in meglio, altre in peggio.
Questa volta si sentiva bene.
Bene dentro.
Come se fosse completo.
Chi contava per lui era lì e gli altri sarebbero arrivati presto, erano comunque stati tutti presenti. Si era sentito amato e ricordando tutto ciò a cui si era aggrappato mentre stava male e cercava di non morire, con Johnsson, ora capiva che era solo quello che contava.
Il sentimento, l’amore che si dava e che si riceveva.
Qualcosa su cui non aveva mai riflettuto, che non aveva mai considerato davvero importante ma che ora lo era.
Ne ebbe l’assoluta certezza scambiandosi il primo sguardo con Colby.
Lì, seduto accanto a lui, con ancora la mano stretta alla sua, con un’emozione concreta e commovente sullo sguardo chiaro non staccava gli occhi dai suoi.
Come si poteva non vederlo, specchiandosi dentro?
Quell’amore capace di far male ma anche di portare su in alto, dritti in paradiso.
Quell’amore che l’aveva riportato in vita, che l’aveva tenuto aggrappato in quel mondo.
Per il dolore fisico sarebbe bastato lasciare che il tempo facesse il suo corso ma quello interiore solo una cosa poteva ‘curarlo’.
Quell’amore che entrambi provavano ormai identico l’uno per l’altro.
Un amore mai dimostrato in modo normale, mai vissuto come tutti gli altri, un amore un po’ nascosto, un po’ nell’ombra, un po’ trattenuto ma non per vergogna bensì per carattere.
Un amore che però sapeva salvare l’anima all’occorrenza.
Ecco cosa era stato capace di fare Colby per Don, oltre che arrivare in tempo.
Gli aveva inchiodato l’anima nel suo corpo impedendogli di perdersi.
L’aveva salvato in tutti i modi un uomo può essere salvato.
Tutti.
E per una volta essere lui quello ad essere salvato e non colui che doveva salvare, non l’eroe di turno insomma, era strano ma bello al tempo stesso.
Ricevere quelle cure e quelle attenzioni da cui era sempre scappato pensando che non fossero per lui, che non ne avesse bisogno perché lui era già forte e doveva portare certi pesi che altri non dovevano, era una novità che capiva lo poteva arricchire.
Così si arrese a ricevere, per una volta, senza dare.
Perché per permettere a chi si ama di dare, bisogna anche saper ricevere e lui, per una volta, la prima nella sua vita, si era messo da quella parte lasciando a Colby il compito di dare.
Prendendo a piene mani tutto ciò che sarebbe arrivato di lì in poi almeno fino a che non si sarebbe ripreso.
Dopo quello scambio di sguardi Colby si alzò dalla sedia e chinandosi su di lui, senza emettere alcun suono, infischiandosene altamente del luogo in cui erano, posò le labbra sulle sue concedendosi, quella volta, qualcosa di più di una semplice carezza.
In fondo aveva riposato abbastanza, ora poteva prendersi una ricompensa maggiore per quel che aveva patito per lui!
Schiusero appena le labbra e fondendole lasciarono le loro lingue incontrarsi a metà strada. Non si staccarono, si intrecciarono con calma e lentezza assaporando nei particolari ogni sapore e sensazione che vibrò in loro dopo tutto quel tempo di astinenza e quell’inferno passato.
Eppure se la ricompensa è quella e ti fa sentire a quel modo, allora sei disposto anche a passarli, quei momenti terribili.
Ma solo dopo lo pensi.
Solo mentre ti curi vicendevolmente dando e prendendo in contemporanea.
Durante quel bacio leggero di saluto curativo, l’altra mano libera di Colby scivolò al lato del viso di Don carezzandolo appena col pollice, sentendolo ancora più concretamente lì contro di lui, su di lui, per lui.
Era sveglio, ce l’aveva fatta, da ora sarebbe stato sempre meglio.
Il peggio era passato e poteva tornare a respirare.
Lo capì veramente solo con la sua bocca contro, baciandolo e fondendosi a quel modo.
Lo capì e gli occhi chiusi gli bruciarono nuovamente, così li strinse cercando di ricacciare indietro quelle lacrime che ancora una volta premevano per uscirgli.
Non gli era mai successo così tanto, di aver bisogno di piangere.
Si era sempre trattenuto eppure ora non serviva più.
Non era più solo.
Poteva lasciarsi andare, no?
Quando si staccarono posò la fronte sulla sua lasciando ancora le labbra a sfiorare le sue, si sentivano i reciproci respiri contro la pelle del viso. Aprirono febbrili gli occhi che si incrociarono nuovamente.
Così vicini, così uniti come prima dell’incidente non lo erano, non a quel modo.
Ascoltando i battiti dei cuori che andavano come impazziti ed allo stesso ritmo, un’ondata salì in entrambi.
Lì, in quell’istante, occhi negli occhi, labbra su labbra, respiro contro respiro, cuore a cuore, pelle nella pelle…
Si sentirono. Erano lì. Insieme. Dopo aver superato quella che probabilmente era una delle prove più dure.
E dunque lo dissero.
Lo dissero insieme in un soffio quasi inudibile da chiunque altro.
- Ti amo… - perché certe parole vanno dette anche se pensi che non serva, che sono difficili da dire o che ci sarà un'altra occasione migliore.
Perché il punto in cui si cambia e si accetta di vivere i sentimenti arriva sempre.
E quando arriva ti commuovi lasciando libera una lacrima fugace che ti riga solitaria la guancia.
Proprio come accadde a loro due in quel momento.
Da lì tutto sarebbe stato diverso.

FINE



   
 
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