Capitolo
sedici
Erano
passati quasi tre anni dalla lotta contro Lucius e la vita a Pennes
era andata avanti sonnacchiosa e tranquilla, senza problemi o
scossoni.
Quel
che Mattheus aveva preso per un gioco, quando gli era stato proposto
di diventare capo-villaggio, si era trasformato pian piano in
qualcosa di più serio e impegnativo: era rimasto la solita
canaglia
che adorava incutere timore nella gente, però aveva anche
lavorato
seriamente affinché le cose a Pennes andassero bene e
funzionassero
in modo da rendere tutti sereni, scoprendo per di più che
progettare, decidere e lavorare al servizio degli altri gli piaceva.
La
gente continuava a sentirsi intimorita da lui, dalla sua magia e dai
suoi modi di fare ma il terrore puro e semplice di una volta si era
trasformato in timore reverenziale, avevano imparato a rispettarlo e
non solo temerlo e, seppur timidamente, a tentare di avvicinarsi un
po’ di più a lui, coinvolgendolo, per quanto
possibile, nella loro
vita.
Era
ormai autunno inoltrato, gelido ma ancora privo di neve, l'erba dei
crinali aveva mutato il suo colore, diventando una distesa
giallo-verdognola che si perdeva a vista d'occhio.
Stiracchiandosi,
lo stregone si accinse ad intraprendere il suo ennesimo viaggio verso
il lago di Valdurna, il Natale si stava avvicinando inesorabilmente e
quel periodo, se ben gestito, poteva essere fonte di ottimi guadagni.
"Coraggio
ragazzi" – disse, rivolgendosi a Falko e Drago –
"E'
ora di diventare gatti e di lavorare".
Falko
e Drago sospirarono, non troppo entusiasti. "Secondo noi, se
prendi dei cavalli, fai prima".
"Voi
vi state lamentando troppo" – borbottò lo
stregone,
sistemando il carretto. "Bugiardi e scansafatiche... Siete
davvero pessime persone" – commentò in tono
paternalistico.
"Oh
dai, ancora con questa storia?!" - lo interruppe Drago – "E'
passato più di un anno e sei stato nostro testimone di
nozze".
Mattheus
ridacchiò, divertito dal nervosismo dei due; in tre anni non
era
cambiato niente, o meglio QUASI niente.
"Mi
avete fatto fesso per un sacco di tempo. In effetti mi chiedevo come
mai passaste tanto tempo dal fornaio e poi ho capito...".
Per
un bel po’ aveva creduto che Falko e Drago ritardassero
tanto,
quando li mandava a prendere il pane, perché interessati
alle
chiacchiere delle comari di paese che usavano ritrovarsi dal
panettiere per spettegolare di tutto e tutti finché in un
bel giorno
erano tornati dalla spesa con il loro sacchetto pieno di pagnotte e
felici come una Pasqua, annunciandogli che si sarebbero sposati con
le due figlie gemelle del panettiere con le quali si intrattenevano
da mesi.
Era
cascato dalle nuvole, doveva ammetterlo, ed anche se non glielo
avrebbe mai dato ad intendere era stato davvero felice per loro.
Il
matrimonio era avvenuto pochi mesi dopo e lui aveva fatto da
testimone di nozze ad entrambi. I nani si erano trasferiti nella casa
delle mogli, proprio sopra l'attività di famiglia, ma a
parte questo
continuavano a lavorare per lui, per amicizia e per una sorta di
debito morale che sentivano nei suoi confronti. Ma questo non gli
impediva di punzecchiarli e prenderli in giro, di tanto in tanto.
Prese
dalla tasca una delle ampolle dell'acqua del lago, rovesciandogliela
in testa e trasformandoli in gatti neri.
"Basta
parlare di stupidaggini, c'è da lavorare! E anche molto".
Per
le festività natalizie aveva piani ben precisi: Pennes e la
val
Sarentino offrivano discreti guadagni, ma per Natale, se voleva
aumentare i suoi introiti, doveva andare in una grande
città; il
clima era gelido per cui influenze ed epidemie abbondavano e la
gente di Bozen aveva sicuramente bisogno di lui e della sua acqua.
Inoltre la gente di città, notoriamente più
ricca, era disposta a
sborsare molto denaro quando si trattava di salute. E chi era lui per
privare gli abitanti della più grande città del
Tirolo della sua
presenza?
Pennes
era tranquilla ed avrebbe potuto fare a meno di lui per qualche
settimana.
Si
incamminarono pochi passi fuori Pennes. quando vennero fermati da
due dei suoi concittadini. Mattheus alzò gli occhi al cielo:
quei
due, il signor Gruber e il signor Riegler, erano due anziani
contadini in lotta fra loro da... bah, chi poteva dirlo? Da che
ricordava, non li aveva mai visti andare d'accordo. Litigavano su chi
avesse i prodotti agricoli migliori, su chi fra loro producesse il
formaggio più saporito, si accapigliavano quando giocavano a
carte
nella piazza del paese in estate e su qualsiasi altra cosa di cui si
trovassero a parlare, per cui, se lo fermavano, avevano di sicuro
bisogno che facesse loro da giudice per l'ennesima volta. Da quando
era diventato capo villaggio, tre anni prima, capitava in media ogni
settimana. "Signori, mi tratterrei con voi volentieri ma..."
- indicò i gatti e il carretto – "devo lavorare".
Il
signor Riegler, come se non l'avesse nemmeno ascoltato,
iniziò ad
inveire contro il signor Gruber.
"Il
mio campo! Avete presente signor Hansele? Quello che si trova al
limitare del bosco, quello dove ho costruito con le MIE mani il
porticciolo per prendere agevolmente l'acqua del ruscello che scorre
nella mia proprietà. Lui, LUI... LUI usa la mia acqua! Lo fa
ogni
volta che torna dalla montagna, il maledetto! E non lo fa nella parte
del ruscello che scorre fuori dal mio campo no! NO! Lui usa il mio
porticciolo e quindi entra nella mia proprietà! Vuole la
vita
comoda, il signorino!".
"Non
è vero!" - inveì Gruber. “Il TUO
terreno, razza di taccagno,
te lo devi recintare se vuoi che nessuno ci entri! Altrimenti io,
quando torno dal bosco, ci passo senza pormi problemi. Non vedo
perché dovrei fare il giro largo per un qualcosa che non
è
delimitato da nulla. Chi mi dice che è tua
proprietà?".
Mattheus
sospirò. Quei due avevano i capelli bianchi da un bel
po’ e
teoricamente avrebbero dovuto essere considerati i saggi e la memoria
storica del villaggio, invece litigavano come lattanti isterici. Li
guardò, picchiettando nervosamente il piede, deciso a porre
fine a
quella stupida disputa immediatamente. Lo stavano irritando.
"Signor
Riegler" sussurrò, ponendo gentilmente una mano sulla sua
spalla "Io capisco il vostro disappunto per la continua
invasione della vostra proprietà privata. Davvero, parlo
seriamente!
La proprietà privata è sacra e va rispettata
e...".
"Ma..."
- lo interruppe Gruber.
Mattheus
lo fulminò con lo sguardo.
“MA...
vedete, in quanto proprietà privata, devo farvi notare che
il vostro
terreno si trova comunque nella giurisprudenza di Pennes che, come
sapete, è amministrata dal sottoscritto. E visto che la
vostra
proprietà sorge in una terra comunale, voi dovreste pagarci
delle
tasse in relazione ai guadagni che il vostro campo vi frutta".
Riegler
sbiancò. "Ma...".
Mattheus
sorrise. Il vecchio era brontolone, ma non era certo stupido e aveva
capito benissimo dove lui stava andando a parare.
"Ma
ecco, io non sono così crudele da chiedere tasse per il
vostro
campo, su cui vi spaccate la schiena da mattina a sera a lavorare.
Però ecco, potrei cambiare anche idea forse, se le
circostanze lo
richiedessero... Facciamo così! Voi fate usare il
porticciolo a
coloro che tornano assetati dalla montagna, che tanto l'acqua nel
ruscello ci sarà sempre, non è di vostra
proprietà e quindi
nessuno vi ruba nulla e io, visto il favore che fate alla
comunità,
eviterò di chiedervi tasse sulla proprietà".
Gruber
sorrise, soddisfatto. Riegler annuì non troppo felice, senza
tuttavia trovare fiato per controbattere.
Mattheus
picchiò le mani sulle loro spalle, amichevolmente. "Bene,
visto
che è tutto a posto e ci siamo messi d'accordo come grandi
amici
quali siamo, io torno alle mie faccende. Buona giornata signori".
"Buona
giornata" – risposero all'unisono i due, guardandolo
allontanarsi.
Mattheus
si stiracchiò, rimettendosi in marcia. Negli anni aveva
imparato a
trattare con la gente di Pennes e a sedare sul nascere ogni
discussione inutile. Lo divertiva ancora prendersi gioco di loro e
delle loro paure, ma aveva imparato l'arte della mediazione e della
conciliazione. Si sentiva un bravo capo villaggio, furbo ma allo
stesso tempo giusto.
Il
resto della camminata proseguì tranquillo, senza altri
intoppi; la
giornata era fredda ma serena e forse non avrebbe avuto altre
occasioni per fare scorta d'acqua al lago prima dell'inizio delle
prime nevicate, per cui era necessario fare scorta per il suo viaggio
in quel momento, o non lo avrebbe più potuto fare.
Arrivarono
al lago che era ormai mezzogiorno passato. Tutto era tranquillo e
silenzioso come sempre, solo il vento, gelido e incontrollato,
soffiava fra gli abeti. Le rive del lago erano ricoperte da un
leggero strato di ghiaccio e l'idea di immergere la mano che reggeva
il secchio da riempire in quell'acqua gelida gli faceva correre
brividi lungo la schiena. Sospirò. Prima iniziava, prima
finiva e
tornava a casa, davanti al suo bel camino acceso.
"Ciao
ragazzi".
La
voce di Jutta lo raggiunse alle spalle. Si voltò. La fatina
volava
sulle teste dei due gatti, allegra e all'apparenza incurante del gran
gelo che li avvolgeva.
"Certo
che io non ti capisco! Potresti startene al calduccio nella tua
casetta di fata e invece te ne svolazzi in giro col tuo vestitino a
mezze maniche, come se fossimo in piena estate".
Jutta
rise, volando sulla sua testa e sedendovisi sopra. "Oh, io non
lo soffro per niente il freddo. Solo un po’ quando nevica, la
sera.
Ma ancora non è sceso neanche un fiocco, quest'anno".
Mattheus
sospirò, esasperato da quel suo dannato vizio di sedersi
sulla sua
testa. Si chinò sforzandosi di far finta di nulla e
riempiendo il
primo secchio d'acqua.
"Beh,
per fortuna! Se nevicasse, io non riuscirei a venire qui ed ho grandi
progetti per questo Natale, l'acqua del lago mi serve".
"Fai
qualche offerta natalizia per gli abitanti di Pennes?" - chiese
la fata.
"Ma
quale offerta!? Scherzi, questo è il momento di gonfiare i
prezzi e
di incrementare i guadagni! Partirò e andrò a
Bozen, nelle
settimane di Natale. Farò affari d'oro con la mia acqua, in
quella
città".
La
fatina spalancò gli occhi. "Vuoi andare a Bozen? Ma
perché? E'
Natale!".
"E
allora? Il Natale è foriero di buoni affari, se lo sai
sfruttare".
"Ah,
Mattheus...". Jutta scosse la testa, sconsolata. "Soldi,
soldi e ancora soldi! Che ne è del tuo spirito natalizio? Il
Natale
lo si festeggia a casa propria, al calduccio ed insieme alla propria
famiglia o alla propria gente. Che ti salta in mente di andartene a
Bozen proprio ora?".
Mattheus
sbuffò. Non aveva voglia di affrontare con lei
quell'argomento e di
sentire le sue paternali. Voleva solo andare a Bozen e cambiare aria
e Natale sarebbe stato perfetto per farlo.
Non
preoccuparti del mio spirito natalizio, lo sfodererò a
Bozen. Ti
ricordo che è una grande città, che nella piazza
organizzano un
meraviglioso mercatino di Gesù Bambino e che c'è
una grande Chiesa
dove andrò pure a Messa la notte di Natale, se mi
andrà di farlo.
Come vedi, il mio spirito natalizio è salvo".
In
tutta risposta, Jutta gli tirò una ciocca di capelli.
"Ah,
zitto somaro! Tu devi restare qui, con la tua famiglia".
"Non
ho una famiglia!".
Jutta
indicò i due gatti che sonnecchiavano sul carretto. "E loro?
Falko e Drago sarebbero contenti di averti con loro e la loro
famiglia, la notte di Natale".
"Hai
detto bene, la LORO famiglia. Non la mia!" - obiettò
Mattheus.
Jutta
scosse la testa.
"Tu
per loro sei una famiglia. Ti vogliono bene e ti saranno grati a vita
per ciò che hai fatto per loro".
"Ma
io voglio lo stesso andare a Bozen".
"Mattheus...".
Con un sospiro, la fata volò su un masso, sedendosi sopra
incurante
del freddo. "Cosa c'è? Sei un'anima in pena... Cosa cerchi,
cosa vuoi?".
Sbuffando,
Mattheus caricò un altro secchio d'acqua sul carro. "Fare
dei
buoni guadagni, ecco cosa voglio! C'è qualcosa di male in
questo?".
"No,
ma...". Jutta si bloccò e poi il suo viso si
illuminò in un
sorriso. "Guarda, ci sono Belle e Blue!" - esclamò,
volando verso i due unicorni che, silenziosi, erano spuntati come dal
nulla sulle rive del lago.
Mattheus
sorrise, piacevolmente sorpreso, avvicinandosi anch'esso ai due
splendidi animali. Belle era bellissima e radiosa ed il piccolo Blue
era cresciuto, tanto da essere ormai alto quasi come la madre. Erano
gli esseri magici più belli che avesse mai visto, ogni volta
che li
incontrava ne restava affascinato. Era raro vederli a passeggio,
lontani dal loro ambiente e se si erano spinti fino al lago
significava che non c'era in giro anima viva oltre a loro, il che non
stupiva Mattheus visto il gelo di quei giorni. Li accarezzò
sul
muso, delicatamente.
"E'
molto che non ci vediamo, eh?".
In
tutta risposta, il piccolo Blue nitrì contento. Era vivace
come
tutti i cuccioli e spesso, quando si era recato da loro in quei tre
anni, l'aveva inseguito nelle sue corse sfrenate.
Mattheus
gli sfiorò il collo dove ancora c'era il nastrino azzurro
che Elke
gli aveva annodato tre anni prima, il giorno in cui era nato. Quel
nastrino era ancora come nuovo, lindo e pulito: la magia degli
unicorni lo aveva preservato dallo sporco e dal logorio del tempo
rendendolo quasi un tutt'uno col piccolo Blue, come se fosse
cresciuto assieme a lui. Con l'indice della mano accarezzò
il
nastrino, deglutendo, lasciando la presa solo quando si accorse dello
sguardo insistente di Jutta.
"Cos'hai
da guardare?" - sbottò, seccato.
Jutta
alzò le spalle, non smettendo di guardarlo in viso.
"Niente,
proprio niente".
Distolse
lo sguardo da lei, quasi imbarazzato. Odiava quando Jutta faceva
così, quando se ne stava zitta ma in realtà gli
stava leggendo
nella mente. "Bene". Accarezzò ancora brevemente i due
animali e poi li lasciò proseguire nella loro passeggiata,
restando
ad osservarli mentre si allontanavano in silenzio. Finì di
riempire
i secchi d'acqua, riempiendo il suo carretto senza aprire bocca,
considerando in quel momento il silenzio come il suo migliore amico.
Alla fine di tutto quel lavoro era sudato e non sentiva più
il
freddo. Legò Falko e Drago al carro e fece loro cenno di
incamminarsi.
"Jutta,
buon Natale! Ci rivediamo qui fra... un po’" –
disse,
sbrigativo.
"Buon
Natale e buon viaggio. Spero troverai quel che cerchi, a Bozen"
– rispose la fata, sospirando.
"Oh,
lo troverò di sicuro. Denaro e guadagni a
volontà, non riesco ad
immaginare un Natale più dolce di questo".
...
Tornarono
a Pennes che era ormai buio. Ritrasformò Falko e Drago e
dopo averli
salutati e mandati a casa loro si chiuse dentro casa sua. Accese il
camino nella sua stanza e si gettò sul letto, pensieroso;
aveva
molto da fare, in vista del viaggio: la cantina era piena d'acqua che
il giorno dopo avrebbe travasato nelle provette da portare a Bozen
per poi partire. Non vedeva l'ora.
Si
rannicchiò fra le coperte, mentre il silenzio lo avvolgeva.
Era
stanco e di cattivo umore. Non sapeva se era per le parole di Jutta o
per quel nastro azzurro al collo di Blue, dato che ogni volta che lo
vedeva il suo stomaco si contraeva dolorosamente. Anche lui aveva un
nastro identico nel cassetto del suo comodino e ricordava quanto
aveva urlato dietro a Elke, quando glielo aveva legato al polso.
Eppure lo aveva tenuto e, anche se rifiutava di ammetterlo persino a
se stesso, teneva a quell'oggetto più di qualsiasi altra
cosa, tanto
che lo aveva eletto a suo porta fortuna nei suoi viaggi di lavoro.
Aprì il cassetto del comodino, prendendolo fra le mani. Era
un
nastro liscio, lucido, adatto ai capelli di una ragazza. Sarebbe
stato bene ad Elke e di certo ne avrebbe fatto miglior uso rispetto a
lui. Aveva ancora con se, nel suo armadio, gli altri nastri
appartenuti alla ragazza e il suo arco. Li aveva conservati, forse
illudendosi stupidamente che sarebbe tornata indietro a
riprenderseli. O forse perché non aveva avuto il coraggio di
buttarli via...
Fece
scorrere il nastrino fra le dita. Erano passati tre anni da quando
Elke se n'era andata e ancora si stupiva di quanto il ricordo di una
semplice ragazzina che era entrata nella sua vita per pochi mesi
riuscisse a farlo soffrire. Gli era mancata e gli mancava ancora.
Pensava a lei ogni tanto, in silenzio; a ciò che erano stati
ed alla
persona che lei poteva essere diventata. Era in gamba, forte ed
intelligente, gentile e ironica, sempre col sorriso sulle labbra e
con una grande pazienza davanti ai suoi modi da orso, come li
chiamava lei. La verità era che gli sarebbe piaciuto
rivederla e
riabbracciarla, scherzare con lei ed averla ancora per casa. Era una
verità dolorosa che faticava ad accettare, un desiderio che
riusciva
a stordirlo e a confonderlo e allo stesso tempo talmente forte da
toglierli il sonno. La desiderava, in mille modi, e questo gli faceva
paura perché non aveva mai provato nulla del genere per
nessuno e
perché era consapevole che lei non sarebbe mai tornata. Dopo
tre
anni sarebbe stato stupido anche il solo sperarlo. Ora sapeva che
erano stati, l'uno per l'altra, solo una breve parentesi nell'arco
delle loro vite,.
"Saresti
diventata una bravissima assistente, se fossi rimasta ora sapresti
tante cose quante ne so io. Sei stata il mio più grande
errore
Elke... E non mi perdonerò mai per averlo commesso".
...
All’alba
di due giorni dopo la carrozza ed il cocchiere che aveva ingaggiato
per andare a Bozen erano davanti a casa sua. Si strinse nel mantello,
caricando le sacche contenenti le ampolle dell'acqua sulla carrozza e
al contempo maledicendo quel freddo pungente.
Falko
e Drago erano venuti a salutarlo, nemmeno loro troppo entusiasti
della sua partenza.
"Dai,
cambia idea! Sarà bello festeggiare tutti insieme il Natale".
"Finitela,
ho deciso! Starò via solo poche settimane, non è
mica la fine del
mondo".
Drago
scosse la testa. "Sì ma... è Natale! Non dovresti
passarlo da
solo".
Mattheus
sospirò, salendo sulla carrozza. "Passo il Natale da solo da
molti anni e l'ho sempre trovato piacevole e rilassante. Non
preoccupatevi per me".
Chiuse
la porta della carrozza, pensando a quanto aveva appena detto: era
stato così per tanti anni, per tanto aveva pensato al Natale
come a
un periodo di silenzio, contemplazione e meditazione. Ma adesso che
cosa provava? Scosse la testa, stupito dal fatto che stesse perdendo
tempo a pensare a una cosa tanto stupida.
"Buone
feste ragazzi" - disse frettolosamente, picchiando sul soffitto
della carrozza, per far segno al cocchiere di partire. Si
rannicchiò
nel suo mantello di lana, cercando di scaldarsi, guardando fuori dal
finestrino le vette delle Dolomiti che lo avrebbero accompagnato in
quel viaggio.
Durò
quasi una settimana. Bozen non era così lontana da Pennes ma
il
tragitto fu funestato da violente piogge, tempeste di vento e dalle
prime tormente di neve. Quando la città apparve
all'orizzonte gli
sembrò quasi un sogno. C'erano stati momenti, durante il
tragitto,
in cui aveva creduto che non sarebbe mai arrivato.
Bozen
era grande, piena di gente dalle mille personalità e dalle
mille
ambizioni; era diversa dalla piccola, sonnacchiosa Pennes,
più
stimolante ma anche piena di tentazioni pericolose. Mattheus la
ricordava bene, ci era stato parecchie volte da ragazzino insieme a
Jakob ed al suo amico Werner, che ora ci viveva laggiù. Non
lo
vedeva da quando si era presentato a casa sua tre anni prima
chiedendogli la sua acqua e ficcando il naso nella sua vita. Non
l'aveva più né visto né sentito e del
resto si sarebbe stupito del
contrario. Comunque non era arrivato fin lì per rivederlo e
non
aveva la minima intenzione di cercarlo per una visita di cortesia.
Era lì unicamente per lavorare.
La
carrozza si fermò nella piazza principale, piena di
bancarelle di
legno che vendevano leccornie, decorazioni natalizie e piccoli giochi
per bambini. Nevicava debolmente e tutto sembrava magico, ma bastava
uno sguardo più attento per capire che non era tutto
così perfetto
e luminoso: alle case eleganti e raffinate si alternavano case
fatiscenti, le strade e la piazza erano sterrate e piene di fango e
attorno a lui, oltre le piccole bancarelle e il grosso abete
addobbato con nastri e candele, poteva scorgere tanta
povertà e
miseria, tipica delle cittadine più grandi. Persone senza
casa se ne
stavano rannicchiate sotto i portici della piazza, cercando calore in
piccoli fuochi di fortuna accesi con legnetti trovati qua e
là,
bimbi scalzi e sporchi correvano fra la gente, senza un adulto che li
guardasse e guidasse nella crescita. Bozen era anche questo, non solo
grandi e maestose Chiese del centro e i pochi signorotti di paese, in
numero così inferiore rispetto a chi moriva di fame. Nelle
grandi
città ci si conosceva solo in modo superficiale e nessuno si
prodigava preoccupandosi per te in caso di bisogno, mentre nei
piccoli borghi come Pennes tutti si conoscevano e, nonostante la
mentalità chiusa e a volte bigotta, ognuno era pronto ad
allungare
una mano per aiutare il proprio vicino in difficoltà.
Sospirò,
pensando che era inutile preoccuparsi e che lui non poteva farci
niente. Prese le sue sacche sulle spalle, pagò il cocchiere e mentre calava il buio della sera, si
avviò a piedi verso la locanda
più confortevole di Bozen, che per quell’anno
sarebbe stata la sua
casa per Natale.
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