Prologo
Stirpe di Fata
Prologo
UN LONTANO PASSATO
Blàthnaid dal Seno di Perla, un
tempo arcidruida d’Irlanda e adesso regina dei Goblin, comparve improvvisamente
nel gran salone della sua Corte, in una sinistra nebbiolina bluastra.
Il suo ingresso fu preceduto da
una sussulto sismico portentoso, che scosse talmente la caverna in cui si
trovava la reggia da far levare timorosamente lo sguardo agli astanti per
controllare che la grotta non stesse loro crollando addosso.
Quando la nebbiolina si dissipò,
la regina comparve in tutta la sua bellezza di umana per metà sidhe. Il suo abito brillava
dell’iridescenza misteriosa della madreperla. La folta chioma di riccioli
castani, che arrivava a sfiorarle le ginocchia, era stata raccolta in sette
trecce, in ognuna delle quali erano state inserite perle e gemme di tutti i
colori, che luccicavano al lieve moto del suo capo mentre passava lo sguardo
dalla triplice iride (verde smeraldo intorno alla pupilla, verde mare nel mezzo
e azzurro cielo nella parte più esterna) su tutti i presenti. La sua pelle,
candida e luminosa, brillava come il marmo lavorato alla luce fioca delle torce
nel salone avvolto dalla semioscurità.
Lo sguardo della regina s’indurì
all’istante non appena incontrò quello di Branwyn dalle Lunghe Braccia, seduta
sfacciatamente accanto a Kerak di Sangue e Fiamma, suo sposo e re dei Goblin.
Non c’era la minima traccia di vergogna nell’atteggiamento di Branwyn, che
occupava quel posto come se le fosse veramente appartenuto e dardeggiava coi suoi
cinque occhi arancioni la regina dei Goblin per farle capire quanto non fosse
gradita. Kerak pareva invece semplicemente il re ferito e pieno d’onta che
ormai era diventato.
-Mio sposo…- la voce di Blàthnaid
suonò calma, eppure fendette l’aria come una frusta. Nel suo tono c’era una
fredda rabbia lucida e desiderosa di vendetta.
Kerak si sollevò dal suo scranno
di pietra, e si limitò a fissarla, immobile, i pugni serrati lungo il corpo, le
grandi ali nere ripiegate dietro la schiena, la lunga coda da demone che si
agitava nervosa ai suoi piedi. I suoi unici due occhi (attributo poco
apprezzabile in un Goblin, ma Kerak era come Blàthnaid per metà sidhe) dalla triplice iride (giallo
zolfo attorno alla pupilla, arancione nella parte centrale e rosso sangue sul
contorno) la fissavano apparentemente seri e impassibili, ma dietro di essi si
celava una pena profonda e qualcosa, forse, di molto vicino al timore.
-Come vedi, ho superato
degnamente questi tredici anni di castigo, a dimostrazione che posso avere una
tempra pari a quella del tuo popolo. Tuttavia non intendo restare qui un
momento di più-.
La maschera sul volto di Kerak
s’infranse all’istante, lasciando trasparire tutto lo stupore e il dispiacere che
egli provava. Dopo poco, però, quand’ebbe realizzato appieno quello che
Blàthnaid stava effettivamente dicendo, una collera cieca (come quella che tredici
anni prima aveva costretto Blàthnaid a una terribile condanna) divampò in lui,
facendo brillare tutto il suo corpo di luce ardente, ben diversa dalla luce
pallida che illuminava la sua sposa.
-Cosa vorresti dire?- tuonò,
rivolgendole un’occhiata sprezzante. -Intendi andartene? Sai che non puoi farlo,
vero?-.
-Questo sei tu a crederlo-.
Blàthnaid gli rivolse un sorriso di sfida, pieno d’odio, e l’aria attorno a lei
prese a farsi improvvisamente densa, pesante. -L’unico motivo per cui ho
sopportato tutte le umiliazioni che mi hai inflitto in questi tredici anni era
che speravo che ti saresti ravveduto, che avresti compreso la mia innocenza. Invece
hai preferito credere alle malignità di quella schifosa sgualdrina repellente,
che fin’oggi ti ha scaldato il letto al posto mio. Ebbene, così sia; rinuncio
ufficialmente al titolo di regina, cedo la mia corona a lei, che però non la
porterà a lungo: presto tu cadrai in disgrazia, Kerak, e lei con te-. Sollevò
dinanzi a sé il braccio destro e puntò l’indice verso di lui. Un
mormorio d’orrore percorse l’intera schiera degli astanti. -Io ti maledico,
Kerak di Sangue e Fiamma, re dei Goblin, e ti condanno a perdere tutto ciò che
ti rende forte e fiero, e a trascorrere il resto dei tuoi giorni nella vergogna
e nel disonore. Nessuna donna, sia essa Goblin, umana o sidhe, ti amerà mai davvero, né ti darà un erede. Morirai solo,
lontano dalla tua patria, in una terra fredda e desolata come il tuo cuore, ma
prima dovrai trascorrere mille anni di tristezza, pentimento e disprezzo per te
stesso. Che la Dea mi sia testimone- concluse, incrociando i palmi aperti sul
cuore e chiudendo gli occhi. Un profumo inebriante si sparse tutto attorno, come
una folata di vento dolcissimo, e tutti capirono che era il sospiro della Dea
che rispondeva all’invocazione di Blàthnaid.
Era un giudizio assai severo, e
mentre il suo significato penetrava appieno nella coscienza di Kerak e gli
faceva sgranare orripilato gli occhi di fuoco, egli sapeva in cuor suo di
meritare quel castigo.
Poi, davanti allo sguardo
stupefatto della Corte, la sala cominciò a riempirsi di un fumo argenteo. Si
udì un tuono di proporzioni mostruose che spazzò via la nebbia, rivelando a tutti
che la regina Blàthnaid era scomparsa, lasciando a terra, come promesso, la sua
corona.
Branwyn dalle Lunghe Braccia,
terrorizzata, scoppiò in lacrime strillando, aggrappandosi al braccio di Kerak,
ma lui l’allontanò con una spinta, furioso, facendola caracollare per terra.
-Blàthnaid! Blàthnaid! Blàthnaid,
torna indietro!-.
Non giunse risposta e, mentre la
voce del re echeggiava e moriva nel gran salone scavato nella roccia, un
silenzio triste e profondo calò sui presenti.
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