Era
stata un'estate molto calda a Londra, afosa e torrida. Ross aveva
faticato parecchio ad abituarsi a quella nuova dimensione e si
sentiva per la maggior parte del tempo un animale in gabbia a cui era
stata tolta la libertà.
Vestirsi
come un damerino, rispettare l'etichetta, raffrontarsi con nobili
spocchiosi che pretendevano di fare leggi per il popolo senza
conoscere il popolo... Era stata una sua scelta quella di accettare
l'incarico politico di Lord Falmouth, dettata dalla
necessità
impellente di allontanarsi dalla Cornovaglia, però era tutto
difficile lo stesso. Non era la sua vita quella, non era il suo mondo
e di certo non era il suo modo ideale di vivere. Ma doveva farlo per
se stesso, per i suoi figli e per tutta la povera gente lasciata in
Cornovaglia che aveva sempre cercato di aiutare.
Aveva
trovato un appartamento in centro, in una via trafficata giorno e
notte da carrozze che sfrecciavano sotto le sue finestre a gran
velocità e sempre piena di bambini e venditori ambulanti che
strillavano a ogni ora.
Anche
quella casa gli sembrava una prigione, abituato com'era alla
libertà
di Nampara, all'immensità dei campi e alla
maestosità delle sue
scogliere solitarie e infinite.
Aveva
assunto un'anziana governante per i bambini, Miss Etta Dowson, una
zitella di settant'anni dai modi gentili ma ferma di carattere se i
piccoli facevano i capricci. Brava bambinaia, precisa e attenta nella
pulizia della casa e ottima cuoca. E una piacevole compagnia a volte,
la sera, con cui scambiare quattro chiacchiere quando i bambini
dormivano.
Jeremy
frignava spesso, Ross sapeva che era per la lontananza da sua madre.
Clowance era prepotente e strillava se contrariata e pure lei ogni
tanto era da mettere in riga.
Li
vedeva solo di sera, al ritorno dal Parlamento, eccetto la domenica,
giorno che dedicava interamente a loro. Ma era difficile, tanto,
stare ad accudirli senza Etta e senza Demelza. Sua moglie sapeva cosa
fare, come gestirli, come far fronte a ogni loro necessità,
tutte
cose che lui non aveva mai fatto e a cui non aveva del resto mai
pensato.
Beh,
ora lo sapeva, gestire due bambini era più impegnativo di
una
giornata in miniera!
Il
momento preferito era la sera, quando li metteva a letto. Lì
tornavano ad essere dolci, sonnacchiosi, giocavano con lui a letto e
poi si addormentavano e li riportava nella loro stanza. Jeremy spesso
chiedeva della mamma e lui glissava e cambiava argomento, sperando
che la dimenticasse presto. Ma sapeva che non sarebbe successo
perché
lui stesso non avrebbe mai potuto dimenticarla.
Si
chiedeva cosa facesse, se... se lo vedesse... Armitage... E
Demelza... Demelza che una volta lo aveva amato più della
sua vita e
che ora era di un altro.
Eppure
era difficile non chiedersi se ci fosse qualcosa da fare, da tentare,
se davvero fosse tutto perduto. E se quella separazione fosse una
cosa buona oppure no per i suoi bambini. Se lo chiedeva sempre,
soprattutto la domenica mentre era con loro.
"Papà,
che cos'è?" - chiese Jeremy, osservando il bicchiere davanti
a
lui, seduto composto alla sedia di un bar del centro.
Ross,
con in braccio Clowance che giocava con un cucchiaio, lo
imboccò.
"Gelato al cioccolato. Ti piace?".
Il
bimbo annuì. "Sì. Ma è freddo".
Ross
si guardò attorno, era una splendida giornata di fine
estate,
soleggiata e calda. E si trovavano a pochi passi dalla reggia dei
sovrani, in una via elegante e raffinata, diversissima dalla
Cornovaglia. "Beh, oggi dubito che congelerai".
Jeremy
gli prese il cucchiaio di mano per mangiare da solo. "Anche a
mamma piacerebbe il gelato mi sa".
Ross
si morse il labbro, odiava quando Jeremy andava su quel discorso
perché non sapeva cosa dirgli. Fu Clowance a tirarlo fuori
d'impaccio, mettendosi a gridare come una forsennata. Aveva solo un
anno e mezzo e una voce che spaccava i timpani... "Che c'è?".
La
bimba indicò la reggia dei sovrani. "Mio".
Jeremy
rise e anche Ross dovette fare altrettanto. "Ah bimba mia, non
è
tuo".
"Mio,
mio!" - ripeté Clowance, saltandogli sulle ginocchia.
Ross
le accarezzò i capelli biondi. Era bellissima, una bambolina
che
avrebbe fatto impallidire qualsiasi principessa al suo cospetto.
"Sai, credo che dovrò lavorare molto per comprarti un posto
come quello".
Clowance
ci pensò su, poi decise di tuffare la manina nel bicchiere
col
gelato. Infine ne prese una manciata e si portò le dita alla
bocca,
prendendo a leccarle e sporcandosi tutto il viso.
Jeremy
rise ancora. "Mi sa papà che le principesse del castello non
mangiano così".
"Credo
di no" – rispose Ross, prendendo un fazzoletto per pulirla.
Clowance
strillò ancora, contrariata, cercando di liberarsi da quella
tortura. Ecco, erano quelli i momenti che Ross temeva di più
e a cui
faticava ancora a far fronte. "Clowance, si mangia col
cucchiaio, non con le mani".
La
bimba lo guardò con gli occhi lucidi, singhiozzando.
"Papà?".
"Dimmi...".
"Pipì".
Ross
spalancò gli occhi. E adesso? E ADESSO??? Guardò
Jeremy in cerca di
aiuto, ma il figlio sembrava più interessato al gelato che a
lui.
"Tesoro? Che fa Miss Etta quando Clowance deve fare pipì?".
"Gliela
fa fare" – rispose il bimbo.
"Come?".
Jeremy
alzò le spalle. "Dipende! Se siamo al parchetto la porta
dietro
a una pianta, se siamo a casa gliela fa fare nel catino e poi la
lava e la riveste".
Ross
sudò freddo, guardandosi in giro. Ok, niente panico! Non
erano a
casa, quindi... "Jeremy, c'è un parco nelle vicinanze?".
"E
il gelato?".
"Ne
prendiamo un altro, se mi indichi dov'è".
Il
bambino sorrise. "E' vicino ma non tanto. E' un po' lontano".
Deglutì.
Capire il linguaggio dei bambini era così difficile... Come
faceva
Demelza? Persino Prudie era più brava di lui, dannazione!
"E'
un po' lontano nel senso che non arriviamo in tempo?".
Jeremy
alzò le spalle. "Boh, chiedi a Clowance, non a me! A me non
mi
scappa la pipì, scappa a lei".
Davanti
a quell'osservazione in fondo geniale e più che ovvia anche
per uno
di quattro anni, Ross si sentì ancora più idiota.
Poi si sentì i
pantaloni bagnati, guardò Clowance e capì che in
fondo non era più
necessario andare al parco.
"Papà,
cos'hai?".
"Pipì,
pipì" – urlò contenta Clowance, con la
gonnellina tutta
bagnata.
Jeremy
scoppiò a ridere divertito e alla fine dovette cedere e
unirsi a
lui. Era un bel momento, nonostante tutto e nonostante la
pipì di
sua figlia che gli colava sui pantaloni. Per un attimo pensò
a
Demelza e a come avrebbe riso se fossero stati insieme. E si rese
conto che erano sempre stati pochi i momenti in cui avevano fatto
qualcosa di rilassante insieme, c'era sempre dell'altro di
più
importante e urgente da fare.
Era
questo che era mancato a Demelza? Era questo che l'aveva fatta
allontanare? Era davvero stato tanto distratto da non accorgersi di
quanto avesse bisogno di averlo vicino?
Era
stato sicuramente ingenuo, questo sì, sottovalutando il
pericolo che
Armitage rappresentava per il suo matrimonio. O forse aveva
sopravvalutato Demelza, la sua forza, la sua incrollabilità,
il suo
amore...?
Demelza
era cresciuta, era cambiata e non era più la ragazzina che
lo
ammirava incondizionatamente come all'inizio del loro matrimonio.
L'aveva ferita e umiliata e poi aveva sempre avuto paura di
affrontare con lei le conseguenze del suo tradimento, illudendosi che
tutto col tempo sarebbe tornato come prima per magia.
Invece...
Invece
la ferita non si era rimarginata e se solo fosse stato più
attento o
avesse voluto vedere, forse sarebbe riuscito a correre ai ripari,
anche se significava aprire con Demelza discorsi dolorosi, affrontare
la vergogna, parlare del tradimento e delle sue conseguenze.
Sentirla
parlare di Valentine come di suo figlio, l'aveva distrutto. Non aveva
mai lontanamente sospettato che lei lo ritenesse possibile e lui
stesso non ci aveva mai voluto pensare. I suoi figli erano Julia,
Jeremy e Clowance e forse Valentine aveva il suo stesso sangue ma non
era un figlio. Se anche lo aveva generato, non lo avrebbe mai
cresciuto! E i figli – e ne era sempre stato convinto
– erano di
chi li cresceva, non di chi li generava.
"Papà"
– si lamentò Clowance, riportandolo alla
realtà.
Ross
le sorrise, baciandola sulla fronte. "Ti da fastidio essere
bagnata?".
"Sì".
Jeremy
ingoiò l'ultimo cucchiaio di gelato, poi si alzò
in piedi. "Papà?".
"Dimmi".
"La
pipì puzza".
Ross
sospirò, alzandosi in piedi mentre tutte le persone dei
tavolini a
lui vicini lo guardavano ridacchiando. Tossicchiò, prendendo
Jeremy
per mano. "Ehm, andiamo a casa?".
"Mia!"
- ribadì Clowance, indicando la reggia reale.
Ross
ridacchiò. "Sporca di pipì, non ti farebbero
nemmeno
avvicinare ai cancelli".
Saltellando
verso di lui, Jeremy gli strinse la mano. "Papà?".
"Cos'hai
ancora?".
"Lo
fai tu il bagnetto a Clowance?".
"No,
glielo farà Etta".
Il
bambino gli fece la linguaccia. "Mi sa che se ti vede sporco di
pipì, Etta il bagnetto lo fa anche a te".
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Beh...". Poi rise, sentendosi
nuovamente leggero. Era domenica, avevano ancora tutto il pomeriggio
davanti e dopo essersi lavati, poteva portare i bambini a fare
un'altra passeggiata.
Era
una bella giornata, nonostante tutto.
E
con un pizzico di malinconia pensò che sarebbe stata
perfetta se
Demelza fosse stata con loro, che Londra le sarebbe piaciuta e che
avrebbero riso insieme e giocato coi loro figli fino a sera.
Guardò
al cielo, chiedendo a Dio una seconda opportunità. Non gli
importava
di quanto ci sarebbe voluto, di quanto sarebbe stato difficile.
Voleva solo un'altra occasione e stavolta non l'avrebbe sprecata.
Non
aveva mai pregato molto spesso ma quel giorno sperò che la
sua
richiesta arrivasse al cielo e a qualcuno lassù che poteva
esaudirla.
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