Dwight
era stato il suo angelo custode e un ottimo amico, nonché
medico.
La
gravidanza questa volta era dura, piena di malesseri e senza il suo
aiuto e quello di Caroline, Demelza non ce l'avrebbe mai fatta a
tirare avanti.
Erano
due grandi amici, gli Enys. Non invadenti, sempre gentili, non
chiedevano e non giudicavano, le stavano solo accanto in quel momento
così difficile ed erano gli unici a farlo oltre a Prudie che
spesso
veniva a farle visita per aiutarla col cucito e con la casa.
L'estate
era stata calda e questo aveva accentuato di molto la sua nausea e
all'inizio era stato difficile andare con Dwight al capezzale di
Hugh.
Il
poeta stava malissimo e giorno dopo giorno la sua vita sembrava
sempre più appensa a un lumicino. Inizialmente riusciva di
tanto in
tanto ad alzarsi dal letto e a fare qualche passo in giardino nelle
belle giornate, ma poi le gambe avevano iniziato a non sorreggerlo
più, i dolori alla testa erano diventati lancinanti e
continui e
anche il suo fisico aveva preso ad indebolirsi e a non rispondere
più
a nessun comando.
Demelza,
quando era abbastanza in forze per farlo, si era fatta accompagnare
da lui da Dwight, in carrozza. Con la scusa di essere un'amica del
giovane e moglie del suo salvatore e di accompagnare il medico per le
sue visite, la donna era riuscita a stargli vicino come poteva. Alla
tenuta degli Armitage i servi avevano preso con curiosità la
sua
presenza ma avevano finito con l'accettarla davanti alle insistenze
di Hugh per averla vicina, anche se Demelza sapeva di essere oggetto
di interminabili pettegolezzi. La madre di Hugh l'aveva sempre
trattata con freddezza invece. Difficilmente le rivolgeva la parola e
ogni volta che si incontravano, Demelza aveva la sgradevole
sensazione che la spogliasse con lo sguardo per carpirne i segreti.
Era una donna intelligente, bella ed elegante, Dorothy Armitage.
Aveva quarantacinque anni, i capelli biondi, il volto altero e i
lineamenti aggraziati come il figlio, ornati da due occhi azzurro
ghiaccio. E senza bisogno di parole, Demelza sapeva di non essergli
gradita.
I
mesi estivi erano scivolati via così, velocemente.
All'inizio Hugh
le parlava nel suo consueto modo dolce e innamorato, ma imbarazzato
di mostrarsi tanto fragile davanti a lei. Demelza lo aveva
rassicurato e aveva fatto in modo di farlo sentire a suo agio ma si
sentiva morire dentro davanti agli sguardi preoccupati che Dwight
rivolgeva al giovane. Era così difficile guardare quel
ragazzo così
pieno di vita e con un futuro brillante davanti a se, spegnersi
lentamente. Aveva sperato che guarisse, all'inizio. Ma poi, senza che
Dwight glielo confermasse, aveva capito che non sarebbe mai potuto
succedere.
Era
stanca, preoccupata per lui e per se stessa e non riusciva a trovare
un appiglio per pensare a qualche risvolto positivo. Ross se n'era
andato ormai da mesi senza farle sapere più nulla, i suoi
bambini
forse cominciavano a dimenticare il suo volto, era spossata dalla
gravidanza, il suo matrimonio era distrutto e il padre del bimbo che
aspettava stava con ogni probabilità morendo. Piangeva
spesso quando
la sera si trovava a letto da sola, abbracciando il cuscino e
sentendo nel suo cuore un enorme senso di vuoto. Faticava a mangiare
e si imponeva di farlo unicamente per la creatura che portava in
grembo. A parte questo, non pensava mai al bambino, cercava di
rimuovere il pensiero e di relegarlo in un angolo remoto della sua
mente perché ogni volta che si ricordava della sua
esistenza, la
paura e la disperazione avevano la meglio su di lei. Sapeva che
sarebbe nato e sapeva che le consueguenze sarebbero state
catastrofiche. In certi momenti desiderava ardentemente rivedere
Ross, così forte, saldo, appassionato. I suoi bambini... Ma
poi
pensava al parto e sperava che non tornassero mai più per
non
scoprire quella realtà terribile che li avrebbe travolti
come una
valanga.
Quando
venne settembre e con esso il fresco, la nausea si attenuò
leggermente. Il suo ventre era ancora piuttosto piatto, mangiava
pochissimo e la gravidanza non era ancora per niente visibile.
Una
sera, mentre era a letto, sentì il primo calcetto. Quando
era
capitato con gli altri suoi bambini si era emozionata, ricordava che
Ross con Julia si era commosso. Ma ora era diverso...
Ora
quel calcetto delicato, simile allo sfarfallìo di una
farfalla,
rendeva tutto dolorosamente reale. Lui... o lei... c'era! E stava
crescendo dentro di lei per essere pronto alla vita.
...
10
settembre
"Come sei
pallida oggi".
Demelza,
seduta sulla sedia
accanto a Hugh, sorrise. "La tua vista deve essere peggiorata
molto, in realtà ho un meraviglioso colorito roseo oggi"
–
gli rispose, scherzandoci su. "O il tuo è un modo carino di
dire che non ho un bell'aspetto?".
Hugh,
pallido come un
fantasma, smunto e mangiato dalla malattia, sorrise nonostante tutto.
"Non oserei mai dire una cosa del genere".
Dwight, che
stava visitando
Hugh dall'altro capo del letto, la guardò accigliato.
"Demelza
ha ragione, oggi è radiosa e tu stai diventando
più cieco di una
talpa".
Demelza
guardò il medico,
ringraziandolo silenziosamente con lo sguardo per avergli retto il
gioco. In realtà quella era una giornata no per lei, le
girava
incredibilmente la testa e aveva di nuovo la nausea forte. Odiava
quella sensazione e si chiese quando e se sarebbe mai stata meglio.
Era al quarto mese di gravidanza inoltrato e di solito questo era per
lei un periodo di grande benessere.
"Hugh, come
vanno i
dolori alla testa? Con la morfina sono un po' migliorati?" -
chiese Dwight.
"Sì.
Ma la morfina mi fa
dormire sempre, non mi accorgo nemmeno del tempo che passa. Oggi non
l'ho presa, preferisco avere l'emicrania e sentirmi vivo piuttosto
che un sacco di patate senza vita arenato nel letto".
Dwight
scosse la testa. "Devi
prenderla! E' per il tuo bene".
"Il mio
bene è guarire!
Puoi aiutarmi a farlo?".
Il medico
scosse la testa,
lanciando a Demelza un'occhiata malinconica. "Un passo alla
volta, Armitage".
Demelza
abbassò lo sguardo,
stringendo la mano a Hugh. Poi si alzò dalla sedia e con gli
occhi
lucidi gli preparò l'intruglio con la morfina. "Su, cerca di
berlo. Fallo per me" – gli disse, avvicinando il bicchiere
alle sue labbra.
"Se lo
bevo, dormirò e
non ti rivedrò chissà fino a quando".
Demelza
prese un profondo
respiro, la nausea stava diventando insopportabile e aveva bisogno
d'aria. "Tornerò presto, te lo prometto".
Con
malavoglia, per lei e solo
per lei, Hugh bevve la medicina, poi si accasciò sul cuscino
e
sprofondò in un sonno profondo nel giro di pochi minuti,
lasciando
soli Dwight e Demelza.
Il dottore
si alzò dal letto,
riponendo le sue cose nella borsa. "Hai bisogno di stare
all'aperto, stai per svenire. O vomitare".
La ragazza
sospirò. "Aiutami
ad uscire, non credo di potermi reggere in piedi troppo a lungo".
Dwight la
prese sotto braccio,
rimboccò le coperte a Hugh e poi la accompagnò
nel giardino. Era
una splendida giornata di fine estate, il sole era tiepido e i suoi
raggi gentili, e tutto attorno a loro era un fiorire di piante di
rara bellezza.
Ma questo
non la fece stare
meglio...
Stette di
nuovo male di
stomaco, sorretta da Dwight che poi la aiutò a sedersi sugli
scalini
della villa. "Demelza? Accidenti, oggi dovevi rimanere a casa".
Lei
alzò gli occhi al cielo.
"Non potevo, con Hugh ho come la sensazione che il tempo mi
scivoli via dalle mani. E' così contento quando vengo a
trovarlo e
di occasioni per gioire ne ha poche. E' solo nausea da gravidanza,
non sono moribonda".
Dwight
abbassò lo sguardo,
guardandole il ventre. "Quando glielo dirai?".
"Cosa?".
"Del
bambino. Ancora non
sospetta nulla, giusto?".
Demelza
sospirò, poi lo
guardò in viso. "Dimmi la verità sulle sue
condizioni, Dwight.
La VERA verità, non quella che racconti a lui".
Dwight
scosse la testa. "Sta
morendo. Nella sua testa c'è un male aggressivo che se lo
sta
divorando e che io no so curare. La malattia non era negli occhi, gli
occhi sono la conseguenza di un male ancora più grande. Devi
dirgli
del bambino, non hai molto tempo".
"No, non lo
farò" –
rispose lei, accarezzandosi il ventre.
"Perchè?".
Demelza
sorrise. "Perché
dovrei dirglielo? Per farlo morire nella disperazione di sapere che
avrà un figlio che non vedrà mai e di cui non
potrà prendersi
cura? Per farlo morire nella preoccupazione di quello che
capiterà a
me a causa di questo? Cosa cambierebbe dirglielo? Per me nulla... Per
lui solo un'ulteriore angoscia. Io e Hugh non avremmo comunque mai
potuto crescere insieme questo bambino, indipendentemente dalla sua
malattia, per tantissime buone ragioni. Ti prego, tieni questo
segreto per te e lasciamolo morire in pace".
Dwight
annuì, accarezzandole
la guancia. "Sei coraggiosa".
"Devo
esserlo. Ho
commesso un grande errore e ora ne devo pagare le conseguenze. Da
sola! Hugh non c'entra, è mia la responsabilità
di quello che è
successo e del bambino che nascerà".
Dwight la
abbracciò. "Potrai
sempre contare su me e Caroline, lo sai?".
"Questo
potrebbe costarti
l'amicizia con Ross, ne sei consapevole?".
"Sono un
medico, oltre
che tuo amico. Tu e Ross avete commesso dei grandissimi errori,
errori umani certo, che potevate evitare. Ma un amico, un amico vero,
è nei momenti di bisogno che rimane, non in quelli lieti.
Hai deciso
di avere questo piccolino e io ti aiuterò a metterlo al
mondo nel
migliore dei modi".
Demelza
sorrise. "Grazie
Dwight. Al momento però, l'unica cosa che vorrei davvero
è che tu
mi liberassi dalla nausea. Non ce la faccio più!".
"E io
vorrei che tu ti
nutrissi più spesso. Sei al quarto mese e ancora non si nota
nulla!
Fingi pure tranquillità, ma sai bene che devi mangiare o
questo
bambino nascerà sotto peso".
"Come
faccio a mangiare
se vomito sempre?".
"Sforzati!".
In quel
momento, sentirono dei
passi accanto a loro e qualcuno si avvicinò, smuovendo coi
piedi la
ghiaia bianca del vialetto laterale della villa.
Demelza
alzò lo sguardo,
trovandosi improvvisamente davanti il viso severo di Dorothy
Armitage. "Signora..." - mormorò, mentre Dwight si alzava
per farle un inchino.
La donna
non disse nulla, la
squadrò freddamente e dopo un cenno del capo a Dwight,
continuò la
sua passeggiata.
Demelza
trattenne il fiato.
Non era mai stata particolarmente espansiva ma quella volta sembrava
peggio delle altre. Aveva scorto astio nel suo viso, oltre che dolore
e disapprovazione. "Dwight, pensi che ci abbia sentito?".
"Non lo so,
spero di no".
Demelza
sospirò. Aveva già
fin troppi problemi a cui pensare e non ne aveva bisogno di altri.
E Dorothy
Armitage poteva
diventare un grande problema.
...
26
settembre
Pioveva
quel giorno e Hugh era
moribondo e senza conoscienza da una settimana. Divorato dalla febbre
e dalle convulsioni, sembrava ormai distante dal mondo che lo
circondava. Nemmeno le sanguisughe avevano sortito effetti e sembrava
ormai impermeabile anche alla vicinanza di Demelza che per lui era
sempre stata motivo di gioia e ritrovata forza.
Hugh urlava
dal male la notte,
delirava, si contorceva da dolori che dovevano essere lancinanti.
Dwight si
recava da lui ogni
giorno anche se sapeva di poter fare ben poco. La fine era vicina e
lo ripeteva anche a Demelza, che gli era sempre a fianco.
Diluviava
quel giorno, come se
anche il cielo si stesse preparando all'inevitabile. E faceva freddo
quasi fosse già inverno, col vento che scuoteva le fronde
degli
alberi e ne piegava i fusti.
I camini
della tenuta erano
già accesi e Demelza, nel salotto della villa, aspettava che
Dwight
finisse di visitare Hugh per andare al suo capezzale.
Una
cameriera le aveva portato
un bicchiere di Porto e lo aveva bevuto senza pensarci troppo su.
Quel giorno stava bene, niente nausea e le pareva di tornare a vivere
quando era così.
Il
piccolino dentro di lei si
era fatto più scatenato. I suoi movimenti erano sempre
delicati e
teneri, ma continui.
Accarezzò
la pancia piano,
mentre il piccolo pareva fare le giravolte. E mentre si chiedeva dove
avesse trovato spazio per crescere, visto che la pancia era ancora
appena accennata, Dorothy Armitage entrò nel salotto con una
busta
in mano.
Demelza si
alzò di scatto,
deglutendo. "Signora...". Si sentiva sempre a disagio al
suo cospetto.
Dorothy la
salutò con un
cenno del capo, facendole poi segno di sedersi sul divano. E dopo che
l'ebbe fatto, fece altrettando, sedendosi accanto a lei. "Signora
Poldark, sono lieta che siate qui oggi, avevo giusto bisogno di
parlarvi".
Demelza
spalancò gli occhi.
Parlarle? A lei? Che cosa poteva volere quella donna che mai, prima
di allora, le aveva rivolto la parola se non quando strettamente
necessario? "Ditemi pure".
Dorothy
strinse la busta che
teneva fra le mani, poi gliela consegnò con un gesto veloce.
"Cos'è?"
- chiese
Demelza.
"Sono
cinquecento
ghinee".
Demelza
deglutì. "Cosa?".
"Denaro per
comprare la
vostra riservatezza e il vostro silenzio" – rispose Dorothy,
freddamente.
D'istinto,
come per
proteggerlo, Demelza si portò la mano al ventre. "Non voglio
il
vostro denaro".
Dorothy si
alzò dal divano,
passeggiandole lentamente davanti. "Sapete, quando Hugh è
nato
ed era piccolo, era un bambino splendido. Me lo invidiavano tutti,
coi suoi boccoli biondissimi, i suoi occhioni azzurri e i suoi modi
di fare aggraziati. Mi dicevano tutti che un bambino così
avrebbe
avuto un futuro radioso davanti, una brillante carriera e un
matrimonio vantaggioso, da favola. Era il mio orgoglio, E' il mio
orgoglio! E voglio che tutti lo ricordino così, perfetto,
splendente
e senza macchia" – concluse, osservandole il ventre.
Demelza
inspirò, a quanto
pareva il suo segreto era stato scoperto. "E pensate che io
voglia qualcosa di diverso?".
"Sapete
cosa si prova
davanti alla morte di un figlio, signora Poldark?" - la
interruppe, stizzita, la nobildonna.
Annuì,
mentre un velo di
tristezza le trapassava il viso al ricordo della sua prima figlia.
"Lo so bene. Persi la mia prima bambina, Julia, quando non aveva
ancora due anni. Morì di gola putrida e io stavo talmente
male da
non poterle essere accanto".
Quelle
parole parvero rompere
per un attimo l'espressione fredda sul viso di Dorothy.
Sembrò
sorpresa. "Oh, mi dispiace, non lo sapevo".
"Non dovete
scusarvi, è
ovvio che non lo sappiate". Demelza si alzò in piedi,
ridandole
la busta. "Non voglio questo denaro, non serve che voi me lo
diate e non ho intenzione di accettarlo per nessun motivo".
"Cosa
volete allora?".
"Nulla,
assolutamente
nulla".
Dorothy le
prese il polso,
stringendolo lievemente. "Siete una donna sposata e portate in
grembo il figlio di Hugh. Mio nipote! Un bastardo che
renderà la
vostra vita un inferno e getterà disonore sulla mia
famiglia, se la
cosa venisse scoperta. Hugh è sempre stato circondanto da
bellissime
ragazze e ha una visione dell'amore molto edulcorata e zuccherosa ma
voi... Voi, una donna sposata! Con due figli piccoli! Come avete
potuto farvi sedurre da lui come una ragazzina alle prime armi? Come
avete potuto permettere che succedesse questo?".
Demelza
abbassò lo sguardo,
non sapendo come risponderle. Dorothy aveva ragione, aveva ceduto a
Hugh in un momento di estrema debolezza senza pensare alle
consueguenze e ora quel suo errore sarebbe stato scontato anche da
altri. "Non so cosa dirvi, è successo ma non ho mai avuto
l'intenzione di farlo pesare a Hugh. Non lo sa nemmeno".
"E vi
ringrazio per la
vostra discrezione! Hugh sta morendo ma anche se così non
fosse
stato, io non avrei mai permesso che quel bastardo che portate in
grembo potesse essere in qualsiasi modo collegato a me e alla mia
famiglia".
Demelza
sospirò, sedendosi
nuovamente sul divano. Bastardo... Ecco, aveva davanti agli occhi
un'anteprima di quella che sarebbe stata la sua vita di lì
in
futuro. Stava per mettere al mondo un figlio che tutti avrebbero
additato come illegittimo, canzonato e isolato. Ed era stata lei a
permettere che succedesse una cosa del genere, lei, lei e solo lei!
Aveva paura, ora avrebbe potuto anche urlarlo! Paura di non farcela,
di non essere abbastanza forte e di non essere in grado di proteggere
quel piccolino dalla cattiveria del mondo. "Non... Non avrei mai
preteso nulla da Hugh in nessun caso. So che parlate per amore di
vostro figlio e che volete proteggerlo e da madre non posso che
essere d'accordo con voi. Non voglio quei soldi, non dovete comprare il
mio silenzio perché lo avete già".
"Non vi
farete più
vedere qui, quindi?".
"No, mai
più dopo
che...".
Gli occhi
di Dorothy divennero
lucidi davanti a quella frase troncata. "Bene, allora abbiamo un
accordo. Tuttavia desidererei che accettiate lo stesso il denaro.
Prendetelo come un dono da una nonna per suo nipote".
Demelza
sorrise amaramente.
Quella donna aveva appena chiamato 'nipote' qualcuno che fino a due
minuti prima aveva definito ' bastardo'. E anche se quel denaro le
avrebbe fatto comodo, non lo avrebbe preso per nessun motivo al
mondo. "Non posso accettare".
"Perché?".
"Perché,
come avete
detto voi, Hugh non sarebbe mai stato un padre per questo bambino. E
di conseguenza voi non siete sua nonna. E' mio, solo mio e non voglio
la carità di nessuno per crescerlo".
Dorothy si
morse il labbro,
colpita dalla fierezza delle parole di Demelza. "Il vostro
orgoglio vi impedisce di chinare il capo per il bene del bambino?".
"Ho due
braccia forti per
lavorare, non ho bisogno d'altro".
In quel
momento nella stanza
entrò Dwight. Era pallido, sudato e il suo aspetto pareva
trasandato
e trafelato. "Venite di la, tutte e due".
Dorothy
impallidì. "Che
succede?".
Dwight
chinò il capo,
l'espressione sconfitta. "Siamo alla fine".
Le due
donne scattarono verso
la porta, correndo nel corridoio e Dwight le seguì, quasi
senza
forze.
Demelza
entrò, ma rimase
dietro a Dorothy di qualche passo. Era giusto così, aveva
accanto
una madre come lei che stava perdendo un figlio.
Dorothy si
avvicinò al letto,
strinse la mano a Hugh e lo chiamò.
Hugh,
respirando a fatica,
tossì e aprì gli occhi. Erano annebbiati, assenti
e ormai lontani.
"Dem... Demelza" – disse, con un filo di voce.
Dorothy gli
accarezzò i
capelli e lo baciò sulla fronte. "E' qui, sta tranquillo e
non
sforzarti".
Ma Hugh
parve non sentirla
nemmeno. "Demelza... Mamma, dov'è?".
E a quel
punto la donna si
voltò verso la giovane, implorandola con gli occhi di
avvicinarsi al
letto.
Dwight le
diede una leggera
spinta sulla schiena per incoraggiarla. "Coraggio, va da lui".
Si
sentì di troppo, in quella
stanza. Era Dorothy che doveva star vicino a suo figlio, non lei.
Hugh era stato un grande amico, una dolce scintilla che le aveva
scaldato il cuore mentre il mondo attorno a lei cadeva a pezzi. Ma
l'amore, l'amore vero in quella stanza era quello di sua madre per
lui, non il suo.
Ma si fece
forza, si avvicinò
per lui e anche per il piccolo che aspettava. Gli si sedette accanto
e lo baciò sulla guancia con dolcezza, per ringraziarlo di
tutto
quello che aveva fatto per lei e per averla fatta sentire amata,
speciale e bella. Non lo aveva mai fatto nessuno degli uomini della
sua vita, non suo padre per il quale era poco più di una
bestia da
prendere a frustate, non Ross che nonostante dieci anni di matrimonio
aveva continuato a vederla come una sguattera e per il quale era solo
una distrazione nei momenti in cui non poteva stare con Elizabeth.
Per Hugh
lei era stata
speciale e se anche quel giovane non poteva essere l'amore della sua
vita, di certo lei lo era stata per lui. "Hugh, sono qui".
Hugh la
guardò e finalmente
parve calmarsi e sorrise. "Oggi non sei pallida".
Demelza
rispose al sorriso.
"Merito del Porto che mi ha offerto tua madre".
Hugh
guardò Dorothy,
ringraziandola con un cenno del capo. Poi tornò a stringere
convulsamente la mano di Demelza. Ricominciò a tossire e
Dwight si
accorse che gli mancava il respiro.
Demelza gli
tenne la mano,
mentre le lacrime le rigavano il viso. Vedere qualcuno morire era
terribile e lo era ancora di più se si trattava di un
giovane uomo a
cui voleva bene e a cui presto avrebbe dato un bambino.
"Demelza"
–
implorò il giovane, tremando spaventato.
"Non avere
paura".
Si chinò su di lui, tenendogli la mano con la sua, mentre
con
l'altra si accarezzava il ventre. Per un istante, solo un istante,
voleva donare a Hugh un momento con il loro bambino, anche se ne
ignorava l'esistenza. Lo baciò sulle labbra, un bacio
soffice e
leggero, dolce e gentile come era stato lui. Sotto il palmo della sua
mano sentì il piccolino muoversi e si trovò a
pensare che sarebbe
stato l'unico momento della sua vita in cui Hugh sarebbe stato suo
padre e gli sarebbe stato vicino.
E dopo quel
bacio, un addio
silenzioso fra loro, Hugh Armitage morì tenendole stretta la
mano.
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