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Autore: lady lina 77    12/11/2017    1 recensioni
E se nella scorsa fanfiction mi riagganciavo al finale della S2, ora mi aggancio a quello della S3. Tutto comincia in quella spiaggia dove Demelza, col cuore a pezzi, si concede a Hugh Armitage. E dopo? Se non fosse tornata a casa, cosa sarebbe successo?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dwight era stato il suo angelo custode e un ottimo amico, nonché medico.

La gravidanza questa volta era dura, piena di malesseri e senza il suo aiuto e quello di Caroline, Demelza non ce l'avrebbe mai fatta a tirare avanti.

Erano due grandi amici, gli Enys. Non invadenti, sempre gentili, non chiedevano e non giudicavano, le stavano solo accanto in quel momento così difficile ed erano gli unici a farlo oltre a Prudie che spesso veniva a farle visita per aiutarla col cucito e con la casa.

L'estate era stata calda e questo aveva accentuato di molto la sua nausea e all'inizio era stato difficile andare con Dwight al capezzale di Hugh.

Il poeta stava malissimo e giorno dopo giorno la sua vita sembrava sempre più appensa a un lumicino. Inizialmente riusciva di tanto in tanto ad alzarsi dal letto e a fare qualche passo in giardino nelle belle giornate, ma poi le gambe avevano iniziato a non sorreggerlo più, i dolori alla testa erano diventati lancinanti e continui e anche il suo fisico aveva preso ad indebolirsi e a non rispondere più a nessun comando.

Demelza, quando era abbastanza in forze per farlo, si era fatta accompagnare da lui da Dwight, in carrozza. Con la scusa di essere un'amica del giovane e moglie del suo salvatore e di accompagnare il medico per le sue visite, la donna era riuscita a stargli vicino come poteva. Alla tenuta degli Armitage i servi avevano preso con curiosità la sua presenza ma avevano finito con l'accettarla davanti alle insistenze di Hugh per averla vicina, anche se Demelza sapeva di essere oggetto di interminabili pettegolezzi. La madre di Hugh l'aveva sempre trattata con freddezza invece. Difficilmente le rivolgeva la parola e ogni volta che si incontravano, Demelza aveva la sgradevole sensazione che la spogliasse con lo sguardo per carpirne i segreti. Era una donna intelligente, bella ed elegante, Dorothy Armitage. Aveva quarantacinque anni, i capelli biondi, il volto altero e i lineamenti aggraziati come il figlio, ornati da due occhi azzurro ghiaccio. E senza bisogno di parole, Demelza sapeva di non essergli gradita.

I mesi estivi erano scivolati via così, velocemente. All'inizio Hugh le parlava nel suo consueto modo dolce e innamorato, ma imbarazzato di mostrarsi tanto fragile davanti a lei. Demelza lo aveva rassicurato e aveva fatto in modo di farlo sentire a suo agio ma si sentiva morire dentro davanti agli sguardi preoccupati che Dwight rivolgeva al giovane. Era così difficile guardare quel ragazzo così pieno di vita e con un futuro brillante davanti a se, spegnersi lentamente. Aveva sperato che guarisse, all'inizio. Ma poi, senza che Dwight glielo confermasse, aveva capito che non sarebbe mai potuto succedere.

Era stanca, preoccupata per lui e per se stessa e non riusciva a trovare un appiglio per pensare a qualche risvolto positivo. Ross se n'era andato ormai da mesi senza farle sapere più nulla, i suoi bambini forse cominciavano a dimenticare il suo volto, era spossata dalla gravidanza, il suo matrimonio era distrutto e il padre del bimbo che aspettava stava con ogni probabilità morendo. Piangeva spesso quando la sera si trovava a letto da sola, abbracciando il cuscino e sentendo nel suo cuore un enorme senso di vuoto. Faticava a mangiare e si imponeva di farlo unicamente per la creatura che portava in grembo. A parte questo, non pensava mai al bambino, cercava di rimuovere il pensiero e di relegarlo in un angolo remoto della sua mente perché ogni volta che si ricordava della sua esistenza, la paura e la disperazione avevano la meglio su di lei. Sapeva che sarebbe nato e sapeva che le consueguenze sarebbero state catastrofiche. In certi momenti desiderava ardentemente rivedere Ross, così forte, saldo, appassionato. I suoi bambini... Ma poi pensava al parto e sperava che non tornassero mai più per non scoprire quella realtà terribile che li avrebbe travolti come una valanga.

Quando venne settembre e con esso il fresco, la nausea si attenuò leggermente. Il suo ventre era ancora piuttosto piatto, mangiava pochissimo e la gravidanza non era ancora per niente visibile.

Una sera, mentre era a letto, sentì il primo calcetto. Quando era capitato con gli altri suoi bambini si era emozionata, ricordava che Ross con Julia si era commosso. Ma ora era diverso...

Ora quel calcetto delicato, simile allo sfarfallìo di una farfalla, rendeva tutto dolorosamente reale. Lui... o lei... c'era! E stava crescendo dentro di lei per essere pronto alla vita.


...


10 settembre


"Come sei pallida oggi".

Demelza, seduta sulla sedia accanto a Hugh, sorrise. "La tua vista deve essere peggiorata molto, in realtà ho un meraviglioso colorito roseo oggi" – gli rispose, scherzandoci su. "O il tuo è un modo carino di dire che non ho un bell'aspetto?".

Hugh, pallido come un fantasma, smunto e mangiato dalla malattia, sorrise nonostante tutto. "Non oserei mai dire una cosa del genere".

Dwight, che stava visitando Hugh dall'altro capo del letto, la guardò accigliato. "Demelza ha ragione, oggi è radiosa e tu stai diventando più cieco di una talpa".

Demelza guardò il medico, ringraziandolo silenziosamente con lo sguardo per avergli retto il gioco. In realtà quella era una giornata no per lei, le girava incredibilmente la testa e aveva di nuovo la nausea forte. Odiava quella sensazione e si chiese quando e se sarebbe mai stata meglio. Era al quarto mese di gravidanza inoltrato e di solito questo era per lei un periodo di grande benessere.

"Hugh, come vanno i dolori alla testa? Con la morfina sono un po' migliorati?" - chiese Dwight.

"Sì. Ma la morfina mi fa dormire sempre, non mi accorgo nemmeno del tempo che passa. Oggi non l'ho presa, preferisco avere l'emicrania e sentirmi vivo piuttosto che un sacco di patate senza vita arenato nel letto".

Dwight scosse la testa. "Devi prenderla! E' per il tuo bene".

"Il mio bene è guarire! Puoi aiutarmi a farlo?".

Il medico scosse la testa, lanciando a Demelza un'occhiata malinconica. "Un passo alla volta, Armitage".

Demelza abbassò lo sguardo, stringendo la mano a Hugh. Poi si alzò dalla sedia e con gli occhi lucidi gli preparò l'intruglio con la morfina. "Su, cerca di berlo. Fallo per me" – gli disse, avvicinando il bicchiere alle sue labbra.

"Se lo bevo, dormirò e non ti rivedrò chissà fino a quando".

Demelza prese un profondo respiro, la nausea stava diventando insopportabile e aveva bisogno d'aria. "Tornerò presto, te lo prometto".

Con malavoglia, per lei e solo per lei, Hugh bevve la medicina, poi si accasciò sul cuscino e sprofondò in un sonno profondo nel giro di pochi minuti, lasciando soli Dwight e Demelza.

Il dottore si alzò dal letto, riponendo le sue cose nella borsa. "Hai bisogno di stare all'aperto, stai per svenire. O vomitare".

La ragazza sospirò. "Aiutami ad uscire, non credo di potermi reggere in piedi troppo a lungo".

Dwight la prese sotto braccio, rimboccò le coperte a Hugh e poi la accompagnò nel giardino. Era una splendida giornata di fine estate, il sole era tiepido e i suoi raggi gentili, e tutto attorno a loro era un fiorire di piante di rara bellezza.

Ma questo non la fece stare meglio...

Stette di nuovo male di stomaco, sorretta da Dwight che poi la aiutò a sedersi sugli scalini della villa. "Demelza? Accidenti, oggi dovevi rimanere a casa".

Lei alzò gli occhi al cielo. "Non potevo, con Hugh ho come la sensazione che il tempo mi scivoli via dalle mani. E' così contento quando vengo a trovarlo e di occasioni per gioire ne ha poche. E' solo nausea da gravidanza, non sono moribonda".

Dwight abbassò lo sguardo, guardandole il ventre. "Quando glielo dirai?".

"Cosa?".

"Del bambino. Ancora non sospetta nulla, giusto?".

Demelza sospirò, poi lo guardò in viso. "Dimmi la verità sulle sue condizioni, Dwight. La VERA verità, non quella che racconti a lui".

Dwight scosse la testa. "Sta morendo. Nella sua testa c'è un male aggressivo che se lo sta divorando e che io no so curare. La malattia non era negli occhi, gli occhi sono la conseguenza di un male ancora più grande. Devi dirgli del bambino, non hai molto tempo".

"No, non lo farò" – rispose lei, accarezzandosi il ventre.

"Perchè?".

Demelza sorrise. "Perché dovrei dirglielo? Per farlo morire nella disperazione di sapere che avrà un figlio che non vedrà mai e di cui non potrà prendersi cura? Per farlo morire nella preoccupazione di quello che capiterà a me a causa di questo? Cosa cambierebbe dirglielo? Per me nulla... Per lui solo un'ulteriore angoscia. Io e Hugh non avremmo comunque mai potuto crescere insieme questo bambino, indipendentemente dalla sua malattia, per tantissime buone ragioni. Ti prego, tieni questo segreto per te e lasciamolo morire in pace".

Dwight annuì, accarezzandole la guancia. "Sei coraggiosa".

"Devo esserlo. Ho commesso un grande errore e ora ne devo pagare le conseguenze. Da sola! Hugh non c'entra, è mia la responsabilità di quello che è successo e del bambino che nascerà".

Dwight la abbracciò. "Potrai sempre contare su me e Caroline, lo sai?".

"Questo potrebbe costarti l'amicizia con Ross, ne sei consapevole?".

"Sono un medico, oltre che tuo amico. Tu e Ross avete commesso dei grandissimi errori, errori umani certo, che potevate evitare. Ma un amico, un amico vero, è nei momenti di bisogno che rimane, non in quelli lieti. Hai deciso di avere questo piccolino e io ti aiuterò a metterlo al mondo nel migliore dei modi".

Demelza sorrise. "Grazie Dwight. Al momento però, l'unica cosa che vorrei davvero è che tu mi liberassi dalla nausea. Non ce la faccio più!".

"E io vorrei che tu ti nutrissi più spesso. Sei al quarto mese e ancora non si nota nulla! Fingi pure tranquillità, ma sai bene che devi mangiare o questo bambino nascerà sotto peso".

"Come faccio a mangiare se vomito sempre?".

"Sforzati!".

In quel momento, sentirono dei passi accanto a loro e qualcuno si avvicinò, smuovendo coi piedi la ghiaia bianca del vialetto laterale della villa.

Demelza alzò lo sguardo, trovandosi improvvisamente davanti il viso severo di Dorothy Armitage. "Signora..." - mormorò, mentre Dwight si alzava per farle un inchino.

La donna non disse nulla, la squadrò freddamente e dopo un cenno del capo a Dwight, continuò la sua passeggiata.

Demelza trattenne il fiato. Non era mai stata particolarmente espansiva ma quella volta sembrava peggio delle altre. Aveva scorto astio nel suo viso, oltre che dolore e disapprovazione. "Dwight, pensi che ci abbia sentito?".

"Non lo so, spero di no".

Demelza sospirò. Aveva già fin troppi problemi a cui pensare e non ne aveva bisogno di altri.

E Dorothy Armitage poteva diventare un grande problema.


...


26 settembre


Pioveva quel giorno e Hugh era moribondo e senza conoscienza da una settimana. Divorato dalla febbre e dalle convulsioni, sembrava ormai distante dal mondo che lo circondava. Nemmeno le sanguisughe avevano sortito effetti e sembrava ormai impermeabile anche alla vicinanza di Demelza che per lui era sempre stata motivo di gioia e ritrovata forza.

Hugh urlava dal male la notte, delirava, si contorceva da dolori che dovevano essere lancinanti.

Dwight si recava da lui ogni giorno anche se sapeva di poter fare ben poco. La fine era vicina e lo ripeteva anche a Demelza, che gli era sempre a fianco.

Diluviava quel giorno, come se anche il cielo si stesse preparando all'inevitabile. E faceva freddo quasi fosse già inverno, col vento che scuoteva le fronde degli alberi e ne piegava i fusti.

I camini della tenuta erano già accesi e Demelza, nel salotto della villa, aspettava che Dwight finisse di visitare Hugh per andare al suo capezzale.

Una cameriera le aveva portato un bicchiere di Porto e lo aveva bevuto senza pensarci troppo su. Quel giorno stava bene, niente nausea e le pareva di tornare a vivere quando era così.

Il piccolino dentro di lei si era fatto più scatenato. I suoi movimenti erano sempre delicati e teneri, ma continui.

Accarezzò la pancia piano, mentre il piccolo pareva fare le giravolte. E mentre si chiedeva dove avesse trovato spazio per crescere, visto che la pancia era ancora appena accennata, Dorothy Armitage entrò nel salotto con una busta in mano.

Demelza si alzò di scatto, deglutendo. "Signora...". Si sentiva sempre a disagio al suo cospetto.

Dorothy la salutò con un cenno del capo, facendole poi segno di sedersi sul divano. E dopo che l'ebbe fatto, fece altrettando, sedendosi accanto a lei. "Signora Poldark, sono lieta che siate qui oggi, avevo giusto bisogno di parlarvi".

Demelza spalancò gli occhi. Parlarle? A lei? Che cosa poteva volere quella donna che mai, prima di allora, le aveva rivolto la parola se non quando strettamente necessario? "Ditemi pure".

Dorothy strinse la busta che teneva fra le mani, poi gliela consegnò con un gesto veloce.

"Cos'è?" - chiese Demelza.

"Sono cinquecento ghinee".

Demelza deglutì. "Cosa?".

"Denaro per comprare la vostra riservatezza e il vostro silenzio" – rispose Dorothy, freddamente.

D'istinto, come per proteggerlo, Demelza si portò la mano al ventre. "Non voglio il vostro denaro".

Dorothy si alzò dal divano, passeggiandole lentamente davanti. "Sapete, quando Hugh è nato ed era piccolo, era un bambino splendido. Me lo invidiavano tutti, coi suoi boccoli biondissimi, i suoi occhioni azzurri e i suoi modi di fare aggraziati. Mi dicevano tutti che un bambino così avrebbe avuto un futuro radioso davanti, una brillante carriera e un matrimonio vantaggioso, da favola. Era il mio orgoglio, E' il mio orgoglio! E voglio che tutti lo ricordino così, perfetto, splendente e senza macchia" – concluse, osservandole il ventre.

Demelza inspirò, a quanto pareva il suo segreto era stato scoperto. "E pensate che io voglia qualcosa di diverso?".

"Sapete cosa si prova davanti alla morte di un figlio, signora Poldark?" - la interruppe, stizzita, la nobildonna.

Annuì, mentre un velo di tristezza le trapassava il viso al ricordo della sua prima figlia. "Lo so bene. Persi la mia prima bambina, Julia, quando non aveva ancora due anni. Morì di gola putrida e io stavo talmente male da non poterle essere accanto".

Quelle parole parvero rompere per un attimo l'espressione fredda sul viso di Dorothy. Sembrò sorpresa. "Oh, mi dispiace, non lo sapevo".

"Non dovete scusarvi, è ovvio che non lo sappiate". Demelza si alzò in piedi, ridandole la busta. "Non voglio questo denaro, non serve che voi me lo diate e non ho intenzione di accettarlo per nessun motivo".

"Cosa volete allora?".

"Nulla, assolutamente nulla".

Dorothy le prese il polso, stringendolo lievemente. "Siete una donna sposata e portate in grembo il figlio di Hugh. Mio nipote! Un bastardo che renderà la vostra vita un inferno e getterà disonore sulla mia famiglia, se la cosa venisse scoperta. Hugh è sempre stato circondanto da bellissime ragazze e ha una visione dell'amore molto edulcorata e zuccherosa ma voi... Voi, una donna sposata! Con due figli piccoli! Come avete potuto farvi sedurre da lui come una ragazzina alle prime armi? Come avete potuto permettere che succedesse questo?".

Demelza abbassò lo sguardo, non sapendo come risponderle. Dorothy aveva ragione, aveva ceduto a Hugh in un momento di estrema debolezza senza pensare alle consueguenze e ora quel suo errore sarebbe stato scontato anche da altri. "Non so cosa dirvi, è successo ma non ho mai avuto l'intenzione di farlo pesare a Hugh. Non lo sa nemmeno".

"E vi ringrazio per la vostra discrezione! Hugh sta morendo ma anche se così non fosse stato, io non avrei mai permesso che quel bastardo che portate in grembo potesse essere in qualsiasi modo collegato a me e alla mia famiglia".

Demelza sospirò, sedendosi nuovamente sul divano. Bastardo... Ecco, aveva davanti agli occhi un'anteprima di quella che sarebbe stata la sua vita di lì in futuro. Stava per mettere al mondo un figlio che tutti avrebbero additato come illegittimo, canzonato e isolato. Ed era stata lei a permettere che succedesse una cosa del genere, lei, lei e solo lei! Aveva paura, ora avrebbe potuto anche urlarlo! Paura di non farcela, di non essere abbastanza forte e di non essere in grado di proteggere quel piccolino dalla cattiveria del mondo. "Non... Non avrei mai preteso nulla da Hugh in nessun caso. So che parlate per amore di vostro figlio e che volete proteggerlo e da madre non posso che essere d'accordo con voi. Non voglio quei soldi, non dovete comprare il mio silenzio perché lo avete già".

"Non vi farete più vedere qui, quindi?".

"No, mai più dopo che...".

Gli occhi di Dorothy divennero lucidi davanti a quella frase troncata. "Bene, allora abbiamo un accordo. Tuttavia desidererei che accettiate lo stesso il denaro. Prendetelo come un dono da una nonna per suo nipote".

Demelza sorrise amaramente. Quella donna aveva appena chiamato 'nipote' qualcuno che fino a due minuti prima aveva definito ' bastardo'. E anche se quel denaro le avrebbe fatto comodo, non lo avrebbe preso per nessun motivo al mondo. "Non posso accettare".

"Perché?".

"Perché, come avete detto voi, Hugh non sarebbe mai stato un padre per questo bambino. E di conseguenza voi non siete sua nonna. E' mio, solo mio e non voglio la carità di nessuno per crescerlo".

Dorothy si morse il labbro, colpita dalla fierezza delle parole di Demelza. "Il vostro orgoglio vi impedisce di chinare il capo per il bene del bambino?".

"Ho due braccia forti per lavorare, non ho bisogno d'altro".

In quel momento nella stanza entrò Dwight. Era pallido, sudato e il suo aspetto pareva trasandato e trafelato. "Venite di la, tutte e due".

Dorothy impallidì. "Che succede?".

Dwight chinò il capo, l'espressione sconfitta. "Siamo alla fine".

Le due donne scattarono verso la porta, correndo nel corridoio e Dwight le seguì, quasi senza forze.

Demelza entrò, ma rimase dietro a Dorothy di qualche passo. Era giusto così, aveva accanto una madre come lei che stava perdendo un figlio.

Dorothy si avvicinò al letto, strinse la mano a Hugh e lo chiamò.

Hugh, respirando a fatica, tossì e aprì gli occhi. Erano annebbiati, assenti e ormai lontani. "Dem... Demelza" – disse, con un filo di voce.

Dorothy gli accarezzò i capelli e lo baciò sulla fronte. "E' qui, sta tranquillo e non sforzarti".

Ma Hugh parve non sentirla nemmeno. "Demelza... Mamma, dov'è?".

E a quel punto la donna si voltò verso la giovane, implorandola con gli occhi di avvicinarsi al letto.

Dwight le diede una leggera spinta sulla schiena per incoraggiarla. "Coraggio, va da lui".

Si sentì di troppo, in quella stanza. Era Dorothy che doveva star vicino a suo figlio, non lei. Hugh era stato un grande amico, una dolce scintilla che le aveva scaldato il cuore mentre il mondo attorno a lei cadeva a pezzi. Ma l'amore, l'amore vero in quella stanza era quello di sua madre per lui, non il suo.

Ma si fece forza, si avvicinò per lui e anche per il piccolo che aspettava. Gli si sedette accanto e lo baciò sulla guancia con dolcezza, per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei e per averla fatta sentire amata, speciale e bella. Non lo aveva mai fatto nessuno degli uomini della sua vita, non suo padre per il quale era poco più di una bestia da prendere a frustate, non Ross che nonostante dieci anni di matrimonio aveva continuato a vederla come una sguattera e per il quale era solo una distrazione nei momenti in cui non poteva stare con Elizabeth.

Per Hugh lei era stata speciale e se anche quel giovane non poteva essere l'amore della sua vita, di certo lei lo era stata per lui. "Hugh, sono qui".

Hugh la guardò e finalmente parve calmarsi e sorrise. "Oggi non sei pallida".

Demelza rispose al sorriso. "Merito del Porto che mi ha offerto tua madre".

Hugh guardò Dorothy, ringraziandola con un cenno del capo. Poi tornò a stringere convulsamente la mano di Demelza. Ricominciò a tossire e Dwight si accorse che gli mancava il respiro.

Demelza gli tenne la mano, mentre le lacrime le rigavano il viso. Vedere qualcuno morire era terribile e lo era ancora di più se si trattava di un giovane uomo a cui voleva bene e a cui presto avrebbe dato un bambino.

"Demelza" – implorò il giovane, tremando spaventato.

"Non avere paura". Si chinò su di lui, tenendogli la mano con la sua, mentre con l'altra si accarezzava il ventre. Per un istante, solo un istante, voleva donare a Hugh un momento con il loro bambino, anche se ne ignorava l'esistenza. Lo baciò sulle labbra, un bacio soffice e leggero, dolce e gentile come era stato lui. Sotto il palmo della sua mano sentì il piccolino muoversi e si trovò a pensare che sarebbe stato l'unico momento della sua vita in cui Hugh sarebbe stato suo padre e gli sarebbe stato vicino.

E dopo quel bacio, un addio silenzioso fra loro, Hugh Armitage morì tenendole stretta la mano.




  
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