Ricordo
il dolore, la paura, il trambusto attorno a me. Tutta la mia
realtà vorticava di fronte ai miei occhi in un turbine confuso
di colori sfocati. Le mie gambe pulsavano di un dolore accecante, ma
non credevo di avere le ossa rotte. Una magra consolazione,
considerando che di lì a poco sarei saltato in aria con tutta la
base.
Pensavo a
Geoffrey e a Sheila, chiedendomi se fossero riusciti a mettersi in
salvo, concentrandomi soprattutto su di lei e rammaricandomi del fatto
che non l’avrei mai più rivista. Mi soffermavo su
qualunque pensiero riuscissi ad acchiappare nel fiume dirompente che
era la mia mente, un tentativo estremo di distogliere
l’attenzione dal destino che mi aspettava di lì a poco.
D’un
tratto, riuscii a distinguere qualcosa nel turbine confuso di immagini
che avevo attorno. Un’orda di robot, ancora più numerosa
di quella che avevamo affrontato nella sala principale, stava
attraversando il corridoio ad una velocità folle. Non riuscivo a
capire se fossero in fuga, ammesso fossero abbastanza intelligenti da
aver fiutato il pericolo, o se stessero ancora inseguendo gli intrusi.
Uno di
loro, particolarmente grosso e dalla forma di rinoceronte, venne
violentemente a sbattere contro la trave che mi teneva immobilizzato al
suolo. Poi riprese la sua corsa forsennata, senza neanche notare la
presenza di un essere vivente sotto le macerie. Aspettai qualche
secondo, per assicurarmi che tutti i robot fossero passati da quel
corridoio, poi provai a spostare le gambe… e incredibilmente ci
riuscii.
Inavvertitamente, quel robot aveva spostato la trave quel tanto che
bastava a permettermi di sgusciare via. Strisciai sul pavimento,
aiutandomi con i gomiti, e provai una sensazione di infinito sollievo
quando la pressione delle macerie sulle mie ginocchia venne meno. Mi
rimisi faticosamente in piedi, pur sempre consapevole che le speranze
di sopravvivenza erano pochissime.
Non avrei
mai fatto in tempo ad uscire da quel posto prima dell’esplosione
finale. Avevo soltanto una possibilità. Dovevo rintanarmi da
qualche parte e sperare che l’edificio non mi sarebbe crollato
addosso. Notai subito un condotto d’aerazione, abbastanza largo
da permettermi di infilarmici. Staccai la griglia
dall’intelaiatura e, con le gambe che imploravano pietà,
mi issai nella conduttura.
Un’altra esplosione mi colse alla sprovvista. Le pareti
metalliche vibrarono e l’impatto mi scaraventò giù
per il condotto, che si piegava a gomito verso il basso per diversi
metri. Non ho idea di quanto ci misi a piombare pesantemente a terra,
né di quanto tempo rimasi privo di sensi ovunque fossi capitato.
Quando mi
risvegliai, capii di essere finito a decine di metri sottoterra, in un
luogo dal caldo asfissiante che capii essere la sala macchine. E
lì la vidi. All’inizio sembrava un fagotto immobile e
sgualcito, dalle fattezze vagamente mobiane. Poi compresi che si
trattava di Sheila.
Mi
precipitai al suo capezzale. A pochi metri di distanza c’erano i
resti della passerella metallica all’ingresso della base, quindi
non mi ci volle molto a dedurre che doveva essere caduta da una grande
altezza. Controllai subito i suoi segni vitali e mi resi conto che,
nonostante fosse priva di sensi, respirava ancora. A malapena, ma
respirava ancora.
Non avevo
la minima idea di cosa mai avrei potuto fare per lei in quelle
condizioni. Non c’era tempo per portarla fuori e fornirle le cure
mediche necessarie. Non sapevo neanche se fosse rimasta intatta una via
d’uscita da quella trappola infernale. Ma dovevo muovermi, dovevo
fare qualcosa.
La presi in
braccio, con la spalla che mi bruciava di dolore per la caduta. Mi
guardai intorno e individuai le porte scorrevoli di quello che doveva
essere un piccolo ascensore di servizio. Era impossibile che
funzionasse, dato che avevamo fatto saltare l’impianto elettrico.
Zoppicai, con Sheila in braccio, fino all’elevatore… e
incredibilmente funzionava. Non mi curai del perché o del
percome.
Come in una
specie di trance, mi trascinai lungo il corridoio dove
l’ascensore mi aveva portato. Ero sicuro che tutte le cariche
erano saltate e, nonostante questo, la struttura sembrava essere ancora
in piedi. Avevo sottovalutato la solidità della base oppure
sopravvalutato la potenza o la posizione delle cariche. Non mi
interessava.
Il soffitto
era quasi del tutto crollato in diversi punti. Mi ritrovai sotto ad una
pioggia fine di un sistema antincendio che era automaticamente entrato
in funzione. Raggiunsi la sala principale, ridotta ormai in un mucchio
di ferraglia carbonizzata e bagnata. Mi accasciai al suolo, stremato
per la fatica, e poggiai Sheila accanto a me.
La vita
stava rapidamente abbandonando il suo corpo e io non potevo fare niente
per evitarlo. Eravamo così fragili, così stupidamente
deboli di fronte alla morte. Così odiosamente inermi.
Mi guardai
intorno, cercando qualcosa, qualunque cosa, che potesse aiutarmi. Il
mio sguardo si posò su parte dell’attrezzatura, malconcia,
ma apparentemente ancora funzionante. Una parte di me concluse che,
probabilmente, era entrato in azione un generatore ausiliario, lo
stesso che aveva fatto funzionare l’ascensore e attivato
l’impianto antincendio.
“Che
spreco… una mente del genere potrebbe fare grandi cose”.
Quelle parole mi rimbombarono nella testa. Sì, il dottor
Robotnik aveva davvero una mente fuori dal comune. Aveva pensato
davvero a tutto.
“Pensate se questa tecnologia avesse un’applicazione
medica”. Era la voce di Sheila nella mia testa. Stava dando vita
ad un’idea folle quanto irrealizzabile, figlia della disperazione
più nera. Non poteva essere possibile. Non avrebbe mai
funzionato. Eppure dovevo provarci.
Corsi verso
gli schermi ancora accesi, incrinati in più punti, ma ancora in
funzione. Il procedimento era illustrato con molta chiarezza e non era
per nulla difficoltoso. Decisi di ignorare spudoratamente la dicitura
“FASE SPERIMENTALE”. A quel punto non c’era nulla da
perdere, ad eccezione della vita di una ragazza meravigliosa.
Mi caricai
di nuovo Sheila in braccio e la adagiai con delicatezza nella capsula
dove il trattamento avrebbe avuto inizio. Senza perdere altro tempo,
seguii le istruzioni per avviare la procedura e pregai dentro di me
perché tutto andasse a buon fine. Lo sportello della capsula si
richiuse con un tonfo sordo, quanto inquietante, e fu allora che capii
che non c’era più via di ritorno.
Il viaggio per tornare in quel posto
sperduto della giungla per Geoffrey non fu difficile. Lo stesso non si
poteva dire del ritrovarsi faccia a faccia con quel capitolo del suo
passato così a lungo sepolto dentro di sé. Il portellone
di accesso della base c’era ancora, anche se quasi completamente
nascosto dai rampicanti e dal muschio che lo avevano divorato.
Ancora non sapeva se effettivamente
Morrison e Necronomica si nascondevano lì dentro, ma sarebbe
stato quasi poetico se così fosse stato. Tutto era cominciato
proprio lì dentro, quindi tutto sarebbe dovuto finire sempre
lì. Anche se Geoffrey non sapeva cosa lo attendeva, o meglio se
si trattava davvero di una fine.
Un fruscio sospetto alle sue spalle
catturò subito la sua attenzione. Si voltò rapidamente,
pronto a fare fuoco con il suo braccio meccanico, ma dovette abbassare
la guardia quando si rese conto che si trattava di Sonic ed Amy.
- Non avreste dovuto seguirmi - commentò Geoffrey, immusonito.
- Allora avresti dovuto coprire meglio
le tue tracce - rispose Sonic, con un ghigno - Anche se sarebbe stata
fatica sprecata. Sei comunque troppo lento -
- Questa faccenda non è uno
scherzo, Sonic! - esclamò la lince, per la prima volta davvero
irritata dacché lo conosceva - E’ pericoloso! -
- E da quando in qua il pericolo mi ha
mai spaventato? - continuò il riccio, con tono sempre più
leggero e scherzoso - Devo elencarti tutte le volte in cui ho salvato
il mondo? -
- Hai portato da solo questo peso per
troppo tempo, Geoffrey - intervenne Amy, prendendogli le mani con
affetto - Adesso ci siamo noi ad aiutarti -
- Se vi succedesse qualcosa non potrei perdonarmelo mai - ribatté lui, facendo un passo indietro.
- Allora prendilo come un modo per
ripagarti di avermi salvato la vita - insisté Amy - E vale anche
per Tails e Cream -
- E’ inutile discutere! - si
intromise una voce terribilmente familiare - Tanto questa volta non
andrete da nessuna parte! -
Morrison era appena sbucato
dall’intricata vegetazione e l’espressione di rabbia che
portava in viso non prometteva nulla di buono.
Sonic non attese oltre e si
fiondò su Morrison, caricando un pugno pieno di tutto
l’odio che scorreva nelle sue vene per quanto dolore
quell’essere aveva provocato a lui e i suoi amici. Come avrebbe
dovuto prevedere, il pugno si infranse sulla mascella di lui facendo
esplodere un male atroce sulle sue nocche.
- Ancora non hai imparato, riccio? - disse lui, velenosamente, allontanando Sonic con una brusca spallata.
Non appena lui piombò a terra
dolorosamente, Amy partì subito all’attacco, sferrando la
martellata più poderosa di cui era capace proprio sulla fronte
di Morrison. Per nulla intimorito, l’istrice rispose spingendo in
avanti la testa. Amy fu sbalzata all’indietro, perse
l’equilibrio e finì a sua volta a gambe all’aria.
Morrison fu finalmente faccia a faccia
con Geoffrey, per la prima volta dopo tanto tempo. Gli mostrò un
sorriso amichevole che nascondeva un sincero affetto, ma la lince non
era nello stesso stato d’animo. Anzi, non era mai stato
più gelido di così in vita sua. Non c’era traccia
di emozione nelle pieghe del suo viso. Per lui era come trovarsi di
fronte ad un perfetto sconosciuto e, in fondo, quel nuovo Morrison era
proprio quello che era.
Geoffrey gli puntò contro il
braccio meccanico e lui si fermò di colpo. Un sorriso beffardo
gli si allargò in viso.
- Cosa credi di potermi fare, Geoffrey? - domandò, in chiaro segno di scherno.
Non ci fu risposta. Geoffrey
azionò il cannone ad onde. Regolò la massima potenza
possibile. Morrison fu investito dagli impulsi in pieno petto, ma la
sua pelle in titanio fornì una strenua resistenza.
All’inizio lui non fece nulla, ridendo tra sé e sé
per quella ridicola quanto inutile esibizione di forza. Poi
sentì la terra sotto ai suoi piedi muoversi. Aggrottò la
fronte, sulle prime non capendo cosa stesse accadendo.
Stava indietreggiando contro la sua
volontà. Incredibile, ma vero. Quella stupida arma ad impulsi
stava riuscendo ad allontanarlo. Decise di muoversi e di opporsi alla
forza che lo voleva proiettare nella direzione opposta. Geoffrey
aumentò la potenza. Non un muscolo della sua faccia si mosse,
come pietrificata.
Dal suo braccio meccanico
cominciò a provenire un ronzio sinistro. Poi delle spire di
fumo. Quindi cominciò a sprizzare scintille, vicino al corto
circuito. Morrison spingeva e spingeva, ma la forza del cannone ad onde
si rivelò troppa persino per lui. Con un ultimo potente impulso,
Geoffrey scagliò via Morrison e il suo braccio cedette
definitivamente. L’avambraccio saltò, con una piccola
esplosione soffocata, e si afflosciò senza vita al suo fianco.
Nell’aria si sparse l’acre odore del metallo bruciato.
Geoffrey sembrò a malapena
essersene accorto. Si avvicinò piano a Morrison, finito a gambe
all’aria e non ancora rialzatosi, e lo guardò con aria
feroce, dall’alto in basso. Gli fece una sola semplice domanda.
- E’ lei? -
Il suo tono era secco, glaciale. Sembrava quasi un’altra persona agli occhi di Amy.
- Ci puoi scommettere che è lei - rispose Morrison, serio - Hai sempre saputo che era lei -
- Come? -
Ci fu qualche istante di silenzio.
- Sono riuscito a liberarmi da quella trave che mi bloccava le gambe e poi…
- Non ho chiesto di te! - urlò Geoffrey, facendo trasalire tutti i presenti - Ho chiesto di lei! -
- Non c’era altra scelta.
L’ho trovata in sala macchine e stava morendo. Non potevo fare
altro che metterla in quel dispositivo e… -
- Vuoi dire che è come te? -
domandò Geoffrey, in preda alla collera - L’hai fatta
diventare come te? -
Morrison approfittò di un attimo
di distrazione e calciò forte il petto di Geoffrey per
allontanarlo. Poi si rialzò con un colpo di reni e
fronteggiò con altrettanta ira il suo tono accusatore.
- Tu avresti fatto la stessa cosa! -
gridò, rilasciando nel contempo tutto il senso di colpa, il
veleno e la rabbia che lo aveva alimentato per tanto tempo - Sarebbe
morta se l’avessi lasciata lì! -
- E allora sarebbe dovuta andare
così! - ribatté Geoffrey, rosso in viso - Non ricordi
cosa aveva detto? “Io non vorrei mai dover subire qualcosa del
genere”. Perché le hai fatto questo? Perché le hai
fatto questo?! -
- Perché la amo!!! -
Entrambi respiravano affannosamente.
Avevano gli occhi incollati l’uno sull’altro. Sonic ed Amy
assistevano silenziosamente a questa scena surreale. Avrebbero voluto
intervenire, ma qualcosa dentro di loro diceva che non sarebbero
arrivati alle mani. Avevano molti conti in sospeso da regolare e, in
qualche modo, sentivano che non era con la violenza che avrebbero
deciso di farlo.
- Non sai cosa significhi rischiare di
perdere la persona che ami - continuò Morrison, in tono
più calmo, ma sempre con la voce rotta dall’agitazione -
Sei costretto a prendere decisioni estreme -
- Lo so molto bene cosa significa -
replicò Geoffrey, freddamente - Che cosa le hai fatto
perché diventasse così? -
- Non è diventata un
bio-mecanoide come me. Almeno… non del tutto. Quando le ho
salvato la vita, anni fa, Eggman era solo nella fase sperimentale della
procedura. Ha guarito le sue ferite, ma le sue gambe erano
irrimediabilmente compromesse. E il suo aspetto… non era
più lo stesso -
Geoffrey rimase sbigottito.
- Non può più camminare?
- domandò, al limite dell’incredulità e della
rabbia.
- Mi sono preso io cura di lei in tutto
questo tempo. Non le ho fatto mancare niente. Sono sempre stato al suo
fianco -
Morrison avrebbe tanto voluto che il
suono delle sue parole non sembrasse tanto una giustificazione o che
desse voce al suo insito e profondo senso di colpa. Non voleva
mostrarsi debole di fronte a Geoffrey.
- Nel momento in cui si è
specchiata per la prima volta - continuò, in tono grave -
è come se qualcosa dentro di lei si fosse rotto. Ha attraversato
uno stato di collera, poi uno di apatia, poi uno di calma. Non era
più in sé -
- Perché non siete tornati
indietro? - incalzò Geoffrey - Perché non siete venuti da
me? -
- Lei non voleva. Non voleva che
nessuno la vedesse in quelle condizioni. La aiutai a rimettere in piedi
la base di Eggman, per crearle una casa più confortevole e
aspettare che decidesse il da farsi. Ha trascorso un sacco di tempo a
studiare i progetti del dottore e i suoi macchinari rimasti ancora
intatti. Erano gli unici momenti in cui sembrava calma, quasi felice -
- E poi? -
- Si era messa in testa di riprendere
il progetto di Eggman da dove era stato lasciato. Voleva perfezionare
la tecnologia dei bio-mecanoidi. Sai quanto era geniale in queste cose.
Ero sicuro che ce l’avrebbe fatta. Forse sperava addirittura che
avrebbe potuto sottoporsi lei stessa al procedimento… tornare a
camminare. Ma le sue condizioni erano troppo critiche e il suo corpo
troppo debole per subire lo stress di un trattamento del genere -
- Allora ha cominciato con te! - concluse Geoffrey.
- Non mi ci ha costretto! -
sbottò l’istrice - Mi sono offerto io di essere la sua
prima cavia. Pensavo che… le avrebbe risollevato l’umore,
che vedere il frutto dei suoi sforzi l’avrebbe fatta tornare come
prima. Ma mi sbagliavo. E’ precipitata sempre di più in un
baratro buio. Sono stato la sua migliore creazione, un prodigio della
tecnologia incrociata con la biologia. Eppure non sembrava abbastanza
per lei -
Morrison fece una pausa. Non si era mai
reso conto di quanto potesse essere liberatorio confessare tutta quella
storia a qualcuno.
- Cominciò ad essere
ossessionata dall’idea di trovare altre persone meritevoli da
sottoporre a questo procedimento. Mi chiese di cercare soggetti
abbastanza forti per creare una nuova stirpe di esseri viventi
perfetti, la fusione definitiva di carne e metallo. Volle che
cominciassi a riferirmi a lei come Necronomica e che la chiamassi
“mia signora” -
- “Un nome è come un
biglietto da visita” - mormorò la lince, ricordandosi
subito le parole di Sheila di tanto tempo prima - Necronomica…
il nome della morte… -
- A quel punto era troppo tardi per
tirarsi indietro - ammise Morrison, affranto - Ho cercato di
assecondarla al meglio delle mie possibilità, sperando che prima
o poi si sarebbe ricordata di com’era prima di tutto questo.
Invece no. Sheila Foster è diventata sempre di più un
ricordo sbiadito di Necronomica -
- E come c’entrano Seth e il Cenacolo in tutto questo? - intervenne Sonic, incapace di trattenersi.
- Quello sciacallo… l’ha
soltanto spinta sempre di più verso il baratro. Entrò in
contatto con me prima di presentarsi a lei. Ci propose
un’alleanza che stuzzicò immediatamente
l’immaginazione di Necronomica. In cambio dei nostri servigi, lui
poteva facilmente individuare la posizione di chiunque in ogni parte
del globo e comunicarcela. Non ho mai capito come facesse, ma per
quello che lei chiamava “sperimentazione” era oro colato.
Avete avuto modo di provarlo sulla vostra pelle tutti quanti voi. Eri
tu, Sonic, il nostro ultimo soggetto da sperimentare. Seth voleva che
ti eliminassimo definitivamente, ma Necronomica voleva vedere quanto
valessi. Prima mi ha ordinato di avvelenarti, per vedere se il tuo
corpo era sufficientemente robusto da sopravvivere. Poi voleva che
uccidessi tutti i tuoi amici, gli stessi che ti avevano salvato la
vita, per vedere quanto valevi da solo -
- Perché in tutto questo tempo
non hai mai cercato di farla ragionare? - chiese ancora Geoffrey,
adesso con il cuore colmo di pena per il suo ex sergente istruttore.
- Aveva i suoi sistemi per dissuadermi
dal contraddirla o dall’affrontare argomenti di cui non voleva
sentir parlare. A mia insaputa, quando mi ha reso così, mi ha
installato un dispositivo sottopelle che mi dà delle fortissime
scariche elettriche ad un suo semplice comando… come se mi
volesse addomesticare -
- Ma è orribile! - commentò Amy, allibita.
- L’unica cosa che potevo fare
era assecondarla. Non avete idea di quanto sia straziante vederla nei
suoi momenti più bui, vederla contemplare la sua immagine allo
specchio… a ripensare a quello che era e a quello che non
sarà mai più -
I pugni stretti di Morrison tremavano
per la rabbia e l’agitazione. Si ritrovò a guardare per
terra, anche se non avrebbe mai voluto ammettere di fronte a Geoffrey
di essere il principale responsabile di quanto accaduto a Sheila.
- Non approvo nella maniera più
assoluta tutto quello che hai fatto - disse Geoffrey, tagliente - Ti
sei prestato ad un gioco malato e hai fatto del male a tantissime
persone. Non hai avuto il coraggio di fare la cosa giusta al momento
giusto e di lasciarla andare con un briciolo di dignità. Ora non
rimane altro da fare che raccogliere i pezzi di quello che hai
distrutto con le tue stesse mani -
Morrison non riuscì più a
contenere la rabbia. Si avvicinò a Geoffrey tanto da essere ad
un solo centimetro dal viso, ma lui non vacillò né si
ritrasse.
- Chi ti credi di essere per giudicarmi
in questo modo?! - sbraitò l’istrice, doppiamente furioso
per il volto granitico di gelida indifferenza che si trovava davanti -
Ti credi migliore di chiunque altro per startene qui a sparare
sentenze? Pensi che avresti agito in maniera migliore al mio posto? -
- Non so come avrei agito al tuo posto
- confessò Geoffrey, impassibile - E non mi credo affatto
superiore a te. Sai perché? - fece una pausa e nei suoi occhi
baluginò una vena di profonda delusione che Morrison scorse
immediatamente - Perché tutto ciò che sono, tutto
ciò in cui credo… l’ho imparato da te -
La lince fece dietrofront, senza
sentire l’esigenza di aggiungere altro, lasciando Morrison in uno
stato di sgomento e di angoscia che erano più dolorosi di
qualunque elettroshock sottopelle avesse mai subito.
Sonic ed Amy avevano assistito
all’intera scena in un rispettoso silenzio, sentendosi
leggermente fuori posto. Tuttavia, erano ancora più disposti di
prima a prestare il loro aiuto per risolvere la situazione una volta
per tutte. Si avvicinarono a Geoffrey, il quale contemplava con aria
assorta il portellone d’accesso alla base sotterranea.
- Abbiamo bisogno che tu ci faccia
strada - disse la lince, rivolta a Morrison, senza degnarsi di voltarsi
per guardarlo - Sei dei nostri oppure no? -
Lui non sapeva cosa rispondere sulle
prime. Era consapevole di essere arrivato ad un punto di non ritorno.
Per quanto odiasse la prospettiva che proprio Geoffrey potesse riuscire
a riportare Necronomica quanto più vicina possibile a quello che
era Sheila, sapeva anche che forse era l’unica speranza che aveva.
- Vi aiuterò - ammise, infine,
non con una certa riluttanza - Però ti devo avvertire. Non ti
troverai di fronte alla Sheila che abbiamo conosciuto. Una sola parola
sbagliata e non ho idea di come potrebbe reagire -
Ci
siamo! La resa dei conti definitiva con il passato è alle porte.
Che ne sarà di Necronomica? Continuerà imperterrita a
percorrere la strada della distruzione o riuscirà a ritrovare se
stessa una volta per tutte? La scioccante conclusione vi attende presto!
Legacy of Argus: Il volto di Necronomica (Quinta e ultima parte)
Data di pubblicazione: 30 Novembre 2017