Da
qualche parte dovevano pur ricominciare…
E allora, perché non proprio dall'inizio?
«Hans, principe delle Isole del Sud.»
Hans
si inchinò. Le spalle sfiorarono il ventre di Elsa, lasciandole una
sensazione elettrica che attraversò le pieghe dell'abito e si
depositò, calda, tra le gambe snelle e seminude. Istintivamente, la
Regina di Arendelle tirò lo spacco della gonna a coprire le cosce,
come se fosse stato quello il problema e non la voce calda di Hans o
il suo sguardo, che dal basso la fissava in attesa.
Elsa
unì le labbra in una smorfia contrita.
«So
già chi siete. E non sarà un ritrovato uso delle buone maniere a
farmi cambiare idea su di voi, ex principe» commentò.
Hans
sorrise. Aveva perso ogni titolo e ogni diritto al trono di
chicchessia, ma l'impertinenza restava cucita a doppio filo sul
volto elegante e nel portamento fiero. Aveva sangue blu nelle vene e
quell'arroganza tipica di chi vuole sempre più di quanto già
possiede – e su di lui, che possedeva poco e voleva troppo,
quell'arroganza aveva un fascino tutto particolare.
Elsa
distolse lo sguardo, fingendo di trovare interesse nell'acqua
cristallina del lago su cui il palazzo si affacciava, oltre l'arco
della finestra. Ma a poco serviva il muro di Elsa, quando la lingua
di Hans era sciolta e le sue parole avevano la morbida consistenza
del velluto: «Dovreste provare a sorridere, mia Regina. Siete più
bella quando lo fate.»
«Questa vostra impertinenza vi farà trovare la forca.»
«Tanto astio solo per una celebrazione mancata. Non mi stupisce che
vostro marito non vi abbia fatto alcun regalo, avreste rischiato di
scioglierlo con la vostra acidità, mia Regina.»
Il
sorriso si fece ghigno quando Elsa tornò di colpo a guardarlo, con
le labbra dischiuse in una sorpresa che non era riuscita a
trattenere.
«Voi… voi…» frustrata, senza riuscire a trovare le parole adatte,
batté il tacco della scarpa in terra, contro il pavimento di marmo
dei corridoi del palazzo reale «Siete… Sei!»
«Con
parole vostre, mia Regina.»
Hans
si divertiva a punzecchiarla, ma c'era una profonda sincerità nel
modo in cui terminava ogni frase, quando si soffermava su quelle due
uniche parole che rappresentavano Elsa. Non era solo la Regina di
Arendelle, era anche sua, sua in un modo che non avrebbe mai
creduto possibile, sua come il sole appartiene al cielo e la luna
alla notte. Non l'aveva mai meritata e si era promesso allora di
fare ammenda ogni giorno e ogni giorno essere grato per la fortuna
che aveva avuto.
Tirò
indietro il capo, evitando per un soffio lo schiaffo di Elsa, ma non
la ventata di aria gelida che gli ferì la guancia.
«Sempre così passionale» mormorò, raccogliendo con il dorso della
mano le prime gocce di sangue.
Per
un attimo lo sguardo di Elsa fu attraversato da un lampo di timore e
subito si pentì di averlo ferito.
Hans
le afferrò la mano, incrociando le dita con le sue in un'intimità
che gli era sempre riuscita naturale, come se da sempre si fossero
appartenuti l'uno all'altra.
«Andiamo, voglio mostrarti una cosa» propose.
«N-no.
Non voglio venire da nessuna parte con te!»
«Passionale e cocciuta»
Sollevò gli occhi al soffitto, ignorando le proteste di lei per
trascinarla con sé con la forza, attraversando il Palazzo in passi
veloci e falcate ampie. Elsa faticava a tenere il ritmo delle gambe
lunghe dell'uomo, ma insisteva nel mantenersi al suo fianco e mai
dietro di lui.
Si
fermarono alla porta che dava sul giardino interno, una piccola oasi
di pace in cui spesso e volentieri la Regina si era rifugiata. Nel
centro si trovava una piccola fontana zampillante, circondata da un
gazebo in ferro battuto; i fiori non mancavano, i più erano bucaneve
che spuntavano ovunque dal terreno.
Hans
la sospinse gentilmente oltre la soglia, sollevò il braccio senza
lasciarle la mano e lo fece passare oltre la sua nuca, per
circondarla in un abbraccio, mentre chinava il mento alla sua
spalla, puntando gli occhi sul giardino.
Lanterne di carta, acquistate dai mercati del Regno
di Corona[1],
volteggiavano lungo il perimetro del giardino e in due file che
conducevano al gazebo, a formare una strada dei colori
dell'arcobaleno. Un mazzo di gigli e bucaneve era poggiato sulla
panchetta e, tra le acque della fontana, dondolava una piccola nave
di legno dal cui pennone penzolavano una coppia di orecchini di
cristallo, tagliati nella forma di due fiocchi di neve.
Elsa era rimasta in silenzio.
Aveva riconosciuto la piccola nave, identica a quella che aveva
riportato Hans nelle Isole del Sud come prigioniero e non più come
principe e che, un anno dopo, l'aveva riportato ad Arendelle,
insieme a lei.
«Ti amo. Ti ho sempre amata. Ti
amerò per sempre. La mia vita non appartiene che a te, mia Regina»
la sua voce le colò direttamente nel timpano. Aveva lo stesso calore
del fuoco ed ogni volta che la ascoltava, che si lasciava ammaliare
da essa, sapeva che prima o poi l'avrebbe sciolta come neve al sole.
Con le guance imporporate si
voltò a fronteggiarlo.
«Hai mentito» non c'era un tono
d'accusa – per quanto accusare Hans era divenuto facile per
chiunque, da quando aveva cercato di uccidere lei e sua sorella.
«Tecnicamente hai fatto tutto da
sola.»
«Avresti potuto fermarmi quando
ho detto che ti avrei impiccato per esserti dimenticato del nostro
anniversario!» di nuovo batté un piede in terra, in quel modo
adorabilmente infantile che aveva di arrabbiarsi con lui – lei, che
di solito era inflessibile, perfetta ed intoccabile.
«Mi ha spezzato di più il cuore
quando mi hai chiamato ex principe.»
Hans si fece teatrale, fingendosi
rattristato da un epiteto che non era stato niente di più vero.
Aveva perso il titolo di principe
delle Isole del Sud, ma conquistato quello di Re di Arendelle e
consorte di Elsa.
Rise del broncio della regina,
rubandoglielo con un bacio.
«Buon anniversario, mia
Regina e che tu possa sempre essere felice.»
Elsa chiuse gli occhi in uno
sbuffo con cui lasciò ogni stilla di rabbia alle spalle. Allungò le
braccia intorno al collo di Hans e si alzò sulle punte, ricambiando
il suo bacio.
Con lui, nonostante tutto –
con il suo Re – felice lo sarebbe sempre stata. |