Ottobre
Dopo la
morte di Hugh, Demelza
era crollata. I suoi nervi avevano ceduto e per giorni non aveva
fatto altro che piangere e stare male. La nausea era tornata
prepotentemente, era spossata e il suo stomaco era completamente
chiuso, tanto che c'erano giorni in cui non mangiava praticamente
nulla.
Non credeva
che sarebbe stato
così devastante, ma invece lo era. Hugh era stato un raggio
di sole
in quei mesi, un amico fedele e dolce e soprattutto era il padre del
bambino che stava aspettando.
Sapeva che
cedere a Hugh,
donarsi a lui e vivere quella gravidanza erano gli errori
più grandi
della sua vita, così come sapeva che nonostante tutto il suo
cuore
sarebbe sempre appartenuto a Ross.
Ross, che
non l'aveva mai
amata davvero, ma che era sempre stato tutto il suo mondo. Pur non
corrisposta, lei avrebbe sempre amato quel capitano testardo e
indomito, coraggioso e sfuggente, generoso ma spesso avaro di gesti
d'affetto. Anche se Ross probabilmente l'avrebbe odiata, quando
avesse saputo, anche se lei lo aveva lasciato perché non
aveva più
avuto la forza per lottare, anche se aspettava il bambino di un
altro, era la reazione di suo marito che temeva, più che
tutte le
difficoltà pratiche che avrebbe dovuto affrontare da sola.
Ross le
aveva voluto bene a
suo modo e pur amando Elizabeth, aveva avuto sempre a cuore il suo
benessere. Presto non sarebbe più stato così e
sarebbe stata sola,
completamente. E nemmeno Hugh avrebbe più potuto aiutarla.
Aveva
sbagliato, era vero! Ma le braccia di Hugh l'aveva coccolata e
sorretta, stretta e consolata. E ora... ora lui se n'era andato forse
felice di aver raggiunto il suo sogno ma lasciando dietro di se uno
strascico di dolore difficilmente sopportabile.
Hugh era
morto giovane, nel
fiore degli anni, amandola e chiamando il suo nome...
Hugh, che
non avrebbe mai
potuto vedere il suo bambino... E pur convinta di aver agito per il
giusto non dicendogli nulla, si sentiva in colpa per averlo privato
di quella verità. Anche se non avrebbero mai potuto
crescerlo
insieme, anche se lei NON voleva crescerlo con lui come una famiglia,
per Hugh sarebbe stata fonte di gioia sapere che nel mondo c'era un
suo piccolo erede.
"Demelza,
sono
preoccupato!".
Dwight,
venuto a visitarla,
pareva anche seccato oltre che preoccupato e lei non aveva voglia di
paternali. "Smetti di farlo, la gravidanza è piena di
malesseri". Le spiaceva essere brusca ma stava talmente male che
non gli riusciva proprio di essere gentile e accomodante, nemmeno con
chi stava cercando di aiutarla.
"Da quanto
non mangi?".
Demelza
sospirò, non aveva
dannatamente voglia di parlare. "Da ieri sera. Oggi son stata
male tutto il giorno".
Dwight
guardò Prudie, venuta
da Nampara a farle visita, preoccupata per le sue condizioni
così
precarie. "Demelza, sono le QUATTRO del pomeriggio. E sei
incinta".
"Mangerò
più tardi".
"Ti preparo
una zuppa
calda, ragazza. Ti farà bene" – intervenne Prudie,
avvicinandosi al piccolo piano cottura del mulino.
"Non voglio
niente"
– rispose Demelza, pensando che l'unica cosa che avrebbe
desiderato
in realtà era che se ne andassero e che la lasciassero sola.
"Devi
mangiare, non ti
reggi nemmeno in piedi" – insistette Dwight.
"E allora
dormirò".
Lo sguardo
del medico divenne
serio. Lanciò un'occhiata a Prudie, poi le si sedette
accanto, sul
letto. "Tu qui da sola non ci resti! Ne ho parlato con Caroline
e anche lei è d'accordo sul fatto che dovresti venire a
stare da noi
per un po'. Fino al parto almeno, sei troppo debilitata per
continuare a vivere qui".
A quella
proposta e davanti al
cenno affermativo di Prudie, Demelza spalancò gli occhi
spaventata.
"NO!".
"Non te lo
sto chiedendo,
te lo sto ordinando! Da medico".
"Sono
grande abbastanza
per decidere da sola".
"Demelza...".
Prudie
le prese la mano, accarezzandogliela. "E' per il tuo bene".
Dwight
annuì. "Demelza,
hai deciso di avere questo bambino e di portare avanti la gravidanza
e onestamente, se continui così, questo figlio tu lo
ucciderai. Sei
al quarto mese e nemmeno ti si vede la pancia, sei magrissima, non
mangi e stai male giorno e notte. Sei stanca, stressata e sola.
Affidati a noi, per questi mesi almeno... Fallo per il piccolo, se
non vuoi farlo per te...".
Demelza
distolse lo sguardo,
liberandosi dalla stretta di Prudie. "Ho un lavoro al villaggio,
non posso venire".
Dwight
sospirò. "Un mio
servitore verrà a Illugan a prendere la stoffa per il tuo
lavoro da
sarta e poi riporterà il tutto, una volta che avrai
rammendato e
cucito, a Illugan".
"Non posso
accettare".
Il medico
si morse il labbro,
seccato. "Sei come Ross, stessa testa dura. E visto che stiamo
parlando di lui e visto che tu stai molto male... o accetti la mia
proposta o mi vedrò costretto a scrivergli a Londra".
Demelza
deglutì, spaventata e
stupita dalla minaccia di Dwight. Scrivere a Ross? Per dirgli...?
"Cosa? Perché?".
"Perché
sei sua moglie e
la madre dei suoi figli. E stai malissimo, sono preoccupato per te. E
viste le tue condizioni così precarie, è mio
dovere informarlo".
Non sapeva
se Dwight bluffasse
o meno, ma il suo sguardo serio prometteva guai e le suggeriva che
era meglio non indagare. Il piccolo le diede un calcetto e
capì che
non poteva rifiutare quell'aiuto, che doveva mettere da parte il suo
orgoglio e farlo per lui. O lei. Era vero, non si stava prendendo
cura del bambino e sapeva che doveva nutrirsi e cercare di stare bene
se voleva che crescesse forte e sano. "E sia. Ma solo fino al
parto! E lavorerò mentre sarò da te".
Prudie e
Dwight si guardarono
negli occhi soddisfatti. "Bene, ti aiuto a preparare le tue
cose, ragazza" – esclamò la serva, finalmente
più
tranquilla.
Dicembre,
Natale
L'inverno
era gelido
quell'anno e la Cornovaglia era sconquassata da venti polari che ne
investivano le campagne senza pietà.
Nevicava
spesso e le piante,
con le loro fronde, erano congelate anche durante il giorno.
Demelza
aveva passato a letto
molte settimane dopo il suo arrivo nella grande villa di Dwight e
Caroline. Inizialmente perché stava male e faticava a
riprendersi e
successivamente per recuperare le forze perse a causa di quei mesi di
forte stress e dolore.
Stava
meglio, non poteva
negarlo! Accettare, seppur forzatamente, l'invito di Dwight a
trasferirsi da loro era stata la decisione migliore degli ultimi
mesi.
Le nausee
pian piano erano
passate, aveva ricominciato a mangiare con più gusto e
finalmente la
pancia aveva iniziato ad essere evidente, cosa che le aveva fatto
tirare un sospiro di sollievo.
I primi
mesi, finché Hugh era
stato vivo, non si era mai concentrata sul bambino. Troppe incognite,
troppo dolore, troppe cose che le giravano attorno e la facevano
soffrire. Ma dopo la morte del giovane, il piccolo era diventato la
sua unica realtà, l'unico appiglio in un mondo dove era
rimasta
pressoché sola. Quel bambino era un nuovo inizio ma
purtroppo lo
sapeva, allo stesso tempo era un taglio netto e doloroso col suo
passato. Averlo, dargli la vita, significava dover rinunciare agli
altri suoi figli e questo le straziava il cuore.
E il giorno
di Natale questo
era ancora più devastante.
Aveva
poltrito a letto fino a
tardi dopo una notte passata a piangere e poi si era lavata e vestita
per finire di nuovo a ricoricarcisi. Aveva preso la lana che le
aveva donato Caroline e ricominciato a cucire, seduta nel letto, i
vestitini e le copertine per il piccolino. Era ormai al sesto mese di
gravidanza e quel lavoro così silenzioso e tranquillo sapeva
isolarla dalla realtà e rasserenarla. Però quel
giorno era
difficile lo stesso...
Ross era a
Londra, coi suoi
bambini... E lei non era con loro... Lei non sarebbe mai più
stata
con loro! Si chiese quanto fossero cresciuti, cosa facessero e
soprattutto, se si ricordassero di lei. Non li vedeva da cinque mesi
e cinque mesi sono tanti per dei bambini tanto piccoli.
Il bimbo
dentro di lei, quasi
intuendo i suoi pensieri foschi, le diede un calcio. Non era mai
violento come lo era stata Clowance durante la gravidanza, questo
bambino era tranquillo e pacifico, discreto e delicato nei movimenti.
La inteneriva il suo muoversi piano, i suoi calcetti che sembravano
più carezze e si chiedeva spesso come sarebbe stato, com'era
il suo
viso o il colore dei suoi capelli.
In quel
momento, mentre si
accarezzava il pancione, Caroline bussò ed entrò
in camera,
portandole un vassoio pieno di dolci e del tè. "Buon Natale
mia
cara. Visto che ti attardavi, ho pensato di portartela io la
colazione. Stai bene?" - chiese, sedendosi accanto a lei sul
letto. Prese un gomitolo di lana fra le mani, rigirandosela fra le
dita. "Stai di nuovo cucendo? Su, è Natale, tirati su e
vieni
giù con noi".
Demelza
sospirò. "Non ho
dormito molto questa notte e preferisco stare qui tranquilla ancora
un po'".
"Scenderai
per pranzo
però, vero?" - insistette l'ereditiera. "Le cameriere
hanno cucinato un sacco di cose e visto che Dwight è un orso
e non
abbiamo ospiti, sei obbligata ad aiutarci a finire il cibo.
Più
tardi verrà pure Prudie con noi a tenerci compagnia".
Demelza
sorrise, erano così
gentili con lei, anche se questo poteva costare a entrambi l'amicizia
di Ross. Era bello avere amici del genere, che la proteggevano e si
preoccupavano per lei. L'avevano ospitata e avevano tenuto nascosta
la sua presenza al mondo per consentirle di stare tranquilla senza
essere circondata da malelingue. Trenwith era troppo vicina per
sfuggire alla voci della sua gravidanza e se George lo avesse saputo,
una volta a Londra quanto ci avrebbe messo ad informare Ross di quel
pettegolezzo? "Certo che scenderò per pranzo, sta
tranquilla"
– sussurrò, con un filo di voce.
"Demelza,
stai bene?"
- chiese Caroline, prendendole la mano. "Sembri così triste".
Si morse il
labbro, non
riusciva a mentirle e sì, era triste. "E' che è
Natale e stavo
pensando a quando lo festeggiavamo a Nampara tutti insieme, con Ross
e i miei bambini. Ora sono a Londra e non li vedo da tanto! Clowance
ha compiuto due anni il mese scorso e io non c'ero! E non ci sono
nemmeno oggi a vederli aprire i loro regali... Jeremy adora giocare
con le costruzioni in legno e magari a Clowance piacciono le bambole
e io... io...". Scoppiò a piangere, piegandosi su se stessa,
rendendosi conto giorno dopo giorno delle consueguenze delle sue
scelte. Tornare indietro non si poteva, forse nemmeno lo voleva e di
certo sarebbe stato difficile proseguire il matrimonio con Ross dopo
quello che aveva scoperto fra lui ed Elizabeth. Ma a volte si
chiedeva se per il bene dei bambini non sarebbe dovuta rimanere a
Nampara. Senza l'amore dell'uomo di cui era innamorata, intrappolata
in un matrimonio finto ma almeno vicina ai suoi figli.
Caroline la
abbracciò,
accarezzandole la schiena. "Stanno bene, i tuoi piccoli sono col
loro padre e sono sicura che Ross farà passare loro un bel
Natale. E
sono anche sicura che la piccola Clowance ha avuto una grande e bella
festa per i suoi due anni. So che vorresti essere con loro, ma
consolati pensando che stanno bene e che Ross farà di tutto
perché
siano felici".
Demelza
sorrise amaramente. "E
se Elizabeth e George fossero a Londra? Se Ross lasciasse soli i
bambini per correre da lei?".
Caroline
sospirò. "Non
lo farebbe mai e lo sai anche tu!".
Abbassò
lo sguardo perché
no, non lo sapeva. Ma in cuor suo sperava che Caroline avesse
ragione.
L'ereditiera
le sorrise,
pizzicandole la guancia. "Cambiamo argomento, dai! Pensiamo a
qualcosa di produttivo".
"Del tipo?".
"Il nome
del bambino!
Come lo chiamerai? Ci hai già pensato?".
Demelza si
guardò la pancia,
sorridendo. "A dire il vero, no. I nomi li sceglievo con Ross".
"Beh,
pensiamoci visto
che Ross ovviamente non c'è!" - insistette Caroline
– "Che
nome ti piacerebbe?".
Ci
rifletté su. In realtà
non aveva in mente niente di particolare, sapeva solo che voleva dare
al bambino un nome dal suono gentile e delicato. Un nome che poteva
piacere a un poeta, un nome che sarebbe piaciuto a Hugh. Almeno
questo, glielo doveva. Espresse quel pensiero, e Caroline si
accigliò, incrociando pensierosa le braccia al petto. "Che
ne
dici di Madeline? O Marghuerite?".
Demelza la
guardò storto.
"Troppo lunghi!".
"Eve?".
Demelza
scoppiò a ridere.
"Troppo biblico!" - esclamò, affondando nei cuscini
divertita.
Caroline
sorrise. "Se è
maschio, che ne dici di Boris?".
"E'
orribile!".
"Trovato!
Unwin" –
esclamò l'ereditiera.
E a quel
punto Demelza rise
davvero di gusto, come non le succedeva da tanto. "Scordatelo!
L'unico Unwin che ho conosciuto non mi ha fatto una bella
impressione".
Caroline le
strizzò l'occhio.
"Non dirlo a me! Comunque, la cosa importante è che tu non
scelga il nome Sarah".
"Perché?".
L'amica le
sorrise. "Perché
Sarah è mio! Sarà il nome della mia bambina,
quando nascerà. E non
possiamo avere due bambine con lo stesso nome, pensa alla confusione
che questo genererebbe".
A quelle
parole, Demelza
spalancò gli occhi, tirandosi su di scatto. "Stai dicendo
che...?".
Caroline
scosse la testa,
indietreggiando sbigottita. "NOOO! Non ancora almeno. Ma quando
capiterà che mi troverò con una marmocchia con la
faccia di Dwight
fra le braccia, mi piacerebbe chiamarla Sarah. Tutto qui".
Demelza le
sorrise,
stringendole la mano. "Ti auguro che succeda presto. E'
bellissimo, sai, diventare mamma?".
"Sarà
bellissimo... In
un futuro lontano". Caroline non sembrava condividere il suo
entusiasmo ma annuì, forse per farla contenta. "Riguardo a
te,
invece... Che ne dici di Eleanor?".
"Eleanor?".
Caroline le
accarezzò la
pancia. "Sì, Eleanor! Se fosse una bambina, ovviamente. Ha
un
suono dolce come vuoi tu e sembra il nome adatto che utilizzerebbe un
poeta per le sue ballate. Un nome romantico, insomma".
Demelza
chiuse gli occhi,
ripetendo nella mente quel nome. E immediatamente se ne
sentì
innamorata... Era il nome giusto! A lei piaceva e sarebbe piaciuto
pure a Hugh! "Eleanor... Ellie! Mi piace" – disse,
accarezzandosi dolcemente il ventre.
"E sia"
– disse
Caroline. "Se è femmina, siamo a posto. E il cognome?".
Demelza
inspirò
profondamente. Il cognome non poteva essere Poldark e non poteva
essere Armitage... Scelse la cosa più difficile ma
più giusta per
tutti. "Carne".
Caroline
deglutì. "Sei
sicura?".
"Sicura"
– disse
Demelza, accarezzandosi di nuovo la pancia.
21
marzo, primo giorno di primavera
Attorno a
lei sentiva suoni
ovattati e lontani. Si sentiva come sospesa nel nulla, immobile e
intontita.
Aveva
ricordi confusi di
quello che era successo nelle ultime ore ma man mano che riacquistava
padronanza di se stessa, iniziava a ricordare nitidamente tutto
quanto...
Il
travaglio era iniziato in
piena notte, improvviso, con dolori tanto forti da farla svegliare di
soprassalto. Si era alzata e aveva dovuto aggrapparsi alla spalliera
del letto per non cadere e poi, con una forza che non pensava di
possedere, si era trascinata fino al corridoio a cercare aiuto.
Per la
prima volta in vita sua
si era sentita spaventata. Non le era mai successo quando aveva
partorito i suoi bambini, le loro nascite erano sempre state
accompagnate dalla meraviglia del loro arrivo, dalla consapevolezza
di una nuova vita che avrebbe arricchito la sua e i dolori del parto
non le erano mai pesati troppo perché sapeva che erano solo
un breve
istante in una vita poi fatta di amore.
Ma quella
volta era diverso...
Non era a
Nampara e non era il
figlio di suo marito che stava venendo al mondo. Stava per partorire
il figlio di un uomo che non aveva amato ma a cui aveva voluto bene,
era sola e senza affetti e il suo amore, il suo vero amore, era
lontano coi suoi bambini e un giorno l'avrebbe odiata per questo. Ma
dall'altra parte c'era quella nuova, piccola e innocente vita che
cresceva in lei, una vita da tutelare e proteggere oltre che amare,
un bambino che non aveva chiesto di venire al mondo ma c'era e come
tale andava rispettato.
Dwight era
corso subito al suo
cappezzale con l'aiuto di una cameriera anziana che aveva
già avuto
esperienza come levatrice.
Ricordava
poco di quei momenti
concitati, solo le contrazioni subito ravvicinate, un dolore che non
riusciva a gestire e le urla. Non aveva mai gridato tanto durante i
precedenti parti.
Era stato
tutto veloce e
intenso, troppo per lei. L'ultimo ricordo che conservava era la voce
di Dwight che le diceva di spingere e poi, forse, il flebile pianto
di un neonato.
Non
riusciva a ricordare il
momento esatto in cui il suo bambino era venuto al mondo
perché per
qualche strano motivo si sentì stanca, tutto divenne nero e
svenne.
Non le era mai capitato nemmeno questo...
Quando
riaprì gli occhi, le
coperte e le lenzuola erano candide e pulite, era stata lavata ed
indossava una camicia da notte fresca di bucato che profumava di
lavanda.
La stanza
era ancora avvolta
dall'oscurità del primo mattino, fuori pioveva furiosamente
e tirava
vento mentre attorno a lei sentiva il calore del camino che
scoppiettava.
Cercò
di rimettere insieme le
idee e d'istinto si accarezzò il ventre. Il bambino non
c'era, era
tornato piatto e di colpo spalancò gli occhi, cercando la
sua
presenza accanto a lei, nel letto. Ma non c'era...
Sentì
il cuore balzarle nel
petto e un terrore sordo che prendeva possesso della sua mente.
Dov'era il suo bambino? Cos'era successo?
Si
alzò, tentò di sedersi ma
un capogiro la fece ricadere indietro, sul cuscino. Si sentiva
terribilmente debole, distrutta.
Dwight,
accanto a lei, intento
a sistemare i suoi attrezzi nella sua borsa di medico, si accorse che
era sveglia e corse subito al suo capezzale. "Demelza, sta
tranquilla e non fare sforzi".
Quasi non
sentendolo, gli
strinse le maniche della camicia. "Il mio bambino? Dov'è?".
Il medico
si sedette accanto a
lei, prendendole la mano. "Sei stata male dopo il parto, sei
svenuta e hai perso molto sangue. E' nella stanza accanto, con una
domestica e con Caroline. Ho preferito lasciarti riposare e non farti
disturbare dal suo eventuale pianto".
Al diavolo!
Disturbata dal suo
pianto? Del suo bambino? Lo voleva, lo voleva con lei SUBITO!
"Portalo qui" – urlò, quasi isterica.
"Riposa
ancora un po'".
"Avrà
fame, devo
allattarlo. Voglio vederlo!".
"Per ora ci
affideremo a
una balia".
Demelza
scosse la testa,
inorridita da quella proposta, agitata e in preda a una crisi di
nervi. I ricchi e i nobili si affidavano alle balie ma non lei, lei
aveva sempre allattato ogni suo figlio e lo avrebbe fatto anche
stavolta. "VOGLIO MIO FIGLIO!".
Dwight la
studiò in volto,
poi capendo che non poteva fare molto per farle cambiare idea,
annuì.
"Torno subito". Uscì dalla stanza e comparve poco dopo con
un fagottino in braccio, avvolto in una morbida coperta bianca. Si
avvicinò e lo adagiò sul suo petto, sorridendole.
"Forse
dovresti rivolgerti a lei usando il femminile. E' una bimba
bellissima e in salute, anche se piuttosto minuta".
Demelza
trattenne il fiato.
Era emozionante, come la prima volta. Sarebbe sempre stato
emozionante stringere un figlio appena nato fra le braccia,
indipendentemente dalla sua provenienza. In quel momento non c'erano
Ross, Hugh o altro, c'era l'amore di una madre che aveva portato
dentro di se per nove mesi un figlio che era cresciuto in lei e con
lei. Un figlio che respirava, piangeva, rideva e aveva bisogno di
cure e amore come ogni bambino del mondo.
Abbassò
lo sguardo e la vide,
piccola e perfetta. Aveva i capelli biondissimi, il visino rotondo,
le sopracciglia lunghe, un minuscolo nasino all'insù e
dormiva
pacifica e tranquilla, come se ciò che la circondava non la
riguardasse. Indossava una tutina rosa con un cappuccio che le
ricopriva in parte la testolina, un'idea di Caroline probabilmente, e
stringeva fra le braccia un pupazzetto a forma di coniglio.
Era
meravigliosa, perfetta. E
per un attimo si chiese come un suo errore avesse potuto generare
qualcosa di così bello...
C'era,
esisteva davvero
adesso. E si rese conto che doveva essere così, che il
destino
voleva che quella fosse la sua strada. Non sapeva ancora il
perché e
dove conducesse ma quella bambina doveva esistere. La sua vita non
sarebbe stata completa senza di lei e nonostante tutte le paure che
l'avevano accompagnata, sentì di amarla e che ogni
difficoltà che
avrebbe affrontato sarebbe stata nulla rispetto alla gioia di essere
sua madre.
La
baciò sulla punta del
nasino, senza che la bimba desse cenno di svegliarsi. Era pacifica e
tranquilla come lo era stata per nove mesi dentro di lei.
Dwight le
sfiorò la spalla.
"Demelza, per oggi sìì un po' egoista e pensa a
lei e a te
soltanto. Dimentica il resto, questa piccolina si merita ogni tua
attenzione e la tua gioia nell'averla al mondo. Ai problemi pensa
domani, non scapperanno e saranno lì ad aspettarti. Ma ora
goditi
questa bimba come ogni madre dovrebbe fare dopo un parto".
"Lo
farò" –
rispose Demelza, con gli occhi lucidi. Era d'accordo con Dwight,
anche se il suo cuore era spezzato all'idea che non ci fossero i suoi
bambini lì con lei, a vedere la loro sorellina. Sorellina...
Ross
non avrebbe mai permesso che la considerassero così, lo
sapeva,
pensò tristemente.
Ma
nonostante questo, li
avrebbe voluti accanto. Voleva riabbracciarli, non li vedeva da
più
di otto mesi e questa cosa la faceva impazzire.
E poi...
Era strano perché
l'aveva ferita e delusa tante volte e aveva scelto lei stessa di
andarsene ma in quel momento, anche se era la figlia di Hugh che
teneva fra le braccia, desiderava avere vicino Ross. Voleva che la
stringesse a se e la facesse sentire protetta e al sicuro ed era il
desiderio più assurdo che avesse mai formulato nella sua
vita.
Perché non sarebbe mai successo...
Pensò
ad Elizabeth e a
Valentine e sentì una fitta al cuore. E decise che Dwight
aveva
ragione, solo la sua bambina contava, in quel momento. "Posso
stare sola con lei?".
"Certo. Ma
non sforzarti,
riposa e dormi finché lei dormirà".
Demelza
annuì. Si stese sotto
le coperte e mise accanto a se la piccolina. Stringeva forte il suo
peluches, sembrava non volerlo lasciare per nulla al mondo.
Quando
Dwight se ne fu andato,
le accarezzò il visino, le baciò la fronte e le
guance e la strinse
a se. "Mi dispiace di averti fatta nascere in questa situazione,
senza denaro, senza una vera e propria casa e senza un papà.
Succederà che ti diranno cose brutte, la gente sa essere
cattiva. Ma
tu non ascoltarli e corri da me, ti proteggerò sempre".
La
baciò nuovamente sul
nasino e la piccola finalmente aprì gli occhi. Erano
azzurri, di un
azzurro intenso che ricordava il mare e col contorno blu.
Meravigliosi, puliti, profondi.
"Eleanor,
sei bellissima"
– le sussurrò, pronunciando per la prima volta il
suo nome. E ora
che la vedeva, lo trovò giusto e adattissimo a lei. Eleanor,
dal
suono delicato e dolce, come lei.
La piccola
strinse a se ancora
più forte il pupazzetto, la guardò e poi chiuse
gli occhi,
appoggiando le labbra contro il suo collo e riaddormentandosi.
Demelza
sorrise e la cullò
fra le braccia, cantandole una ninna nanna. Sentì gli occhi
pungerle
e improvvisamente si ritrovò a piangere. Non sapeva
perché... Era
gioia? O dolore, stanchezza e disperazione?
Era mamma,
di nuovo. Ma una
mamma a metà e anche se Dwight le aveva detto di non
pensarci per
quel giorno, non ci riusciva.
Si sentiva
sola,
terribilmente. Aveva appena partorito e come ogni donna desiderava
essere abbracciata dal proprio amore.
Ma il suo
amore era lontano,
non era il padre della bimba che aveva partorito e amava un'altra.
Aveva sempre amato un'altra e tante volte in quei mesi aveva
ripensato al suo matrimonio con lui, chiedendosi perché non
fosse
bella come Elizabeth e perché non era stata capace di farsi
amare da
Ross come ci era riuscita lei. Cosa c'era di tanto sbagliato in lei?
Perché suo marito, nonostante gli anni insieme, le lotte e i
figli,
non era mai riuscito ad amarla e aveva cercato conforto in un'altra?
Era davvero
inadatta ad essere
amata, lei?
La piccola
Eleanor, accanto a
lei, emise un vagito, riaprendo gli occhi e cercandola con lo
sguardo. Demelza si asciugò le lacrime e la strinse a se
forte,
rendendosi conto che forse no, non era vero che era inadatta
all'amore. Eleanor era amore, così come Clowance e Jeremy,
anche se
erano lontani assieme al loro padre che non gli avrebbe più
permesso
di rivederli.
Ma Eleanor
no, lei era sua,
solo sua. E nessuno gliel'avrebbe mai portata via. Non avrebbe mai
sostituito gli altri figli ma era e sarebbe diventata la sua ragione
di vita, l'unico appiglio per non cedere alla disperazione.
Le sorrise,
riprendendo a
cantarle una ninna nanna. E la piccola richiuse gli occhi, stretta al
suo pupazzo, riaddormentandosi placidamente.
|