CAPITOLO
4
Il
giorno seguente Isabel aprì gli occhi che era quasi l'alba.
Non
si accorse che il letto dalla parte che non occupava era ancora caldo,
si tirò su a sedere e si stiracchiò lentamente.
Fu come svegliarsi da un incubo e accorgersi di viverne un altro: il
ricordo delle brutte parole di Pedro e le sue manacce sporche su di lei
riaffiorò nella sua mente e una voglia matta di scappare via
il più lontano possibile da quella nave la travolse con
impazienza.
Si
alzò di scatto e raggiunse la piccola finestra, la
aprì e desiderò con tutta se stessa poterci
passare attraverso e lanciarsi in mare. Rimase ad osservare il sole che
si stava affacciando nel cielo sereno, e l'aria fresca che entrava
nella cabina a lungo andare la fece rabbrividire. Prese la vestaglia
bianca e la indossò.
Quale
miracolo avrebbe potuto portarla via da li?
Farla
tornare alla sua vita di sempre, con la sua famiglia dove tutti la
amavano e la rispettavano?
Qualcuno
bussò alla porta e lei sobbalzò, indietreggiando
fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete.
Era
sola, sola e indifesa ancora una volta.
Il
bussare si ripetè seguito da un lamento.
«State
ancora dormendo?» domandò una voce vagamente
familiare ma lei non rispose, non riusciva a dire una parola tanto era
spaventata.
Ci
furono altri colpi alla porta seguiti da un'imprecazione in spagnolo e
Isabel si guardò intorno in cerca di un'arma o di qualunque
altra cosa con cui potesse difendersi ma la paura che Pedro potesse
essere fuori dalla porta la paralizzò del tutto.
La
porta si aprì con uno stridulo e apparve il cuoco di bordo.
«Ehm,
buongiorno» disse col suo solito tono burbero, in mano
stringeva un piccolo fagotto avvolto in un grosso fazzoletto grigio.
Sembrava
a disagio, come se si stesse sforzando di essere gentile.
«Non
ricordo di essermi mai presentato perciò lo faccio ora, mi
chiamo Guillermo e sono il cuoco di bordo», disse tutto d'un
fiato.
Isabel
lo guardò pietrificata, si erano già incrociati
un paio di volte sulla nave e il giorno prima lui le aveva vietato di
lasciare la cabina per ordine del capitano.
La
sua stazza grossa e i movimenti goffi però non gli
conferivano un'aria da cattivo, ma lei aveva già intuito che
non c'era da fidarsi dei pirati, perciò rimase in silenzio e
annuì soltanto.
«Questo
è un rimedio per il livido che ti è stato fatto
ieri» continuò il cuoco e lanciò il
fagotto sul tavolo, «Devi tenerlo premuto sul viso e quando
si scalda gira la fetta dall'altra parte».
Con
queste ultime parole fece un mezzo inchino piuttosto forzato e se ne
andò richiudendo la porta alle sue spalle.
«Fetta?»
chiese lei non capendo ma poco dopo la porta si aprì di
nuovo e il viso tondo e baffuto del vecchio pirata fece capolino.
«Ho
dimenticato di dirvi che la colazione vi attenderà tra poco
in cambusa» aggiunse guardandola.
A
questo punto lei si staccò dal muro e fece un passo verso di
lui.
«Cos'è
la cambusa?» domandò stupidamente prima di
rendersi conto senza bisogno di spiegazioni che era la cucina.
Annuì
e lo ringraziò, poi gli disse timidamente che non era
necessario darle del "Voi".
«Non
dovete sforzarvi di usare queste formalità, chiamatemi
Isabel e basta» trovò il coraggio di dire senza
che la voce le tremasse.
Rimasta
nuovamente sola prese con una certa riluttanza il fagotto che lui aveva
lasciato rozzamente sul tavolo, lo aprì e quando vide cosa
conteneva rabbrividì dal disgusto.
Una
fetta di carne cruda era stata precedentemente ripulita dal sangue e
immersa nel sale per essere conservata, non era particolarmente calda
al tatto, anzi, cosi lei la avvicinò al viso sforzandosi di
non sentirne l'odore e la premette contro la guancia su cui era
presente il livido lasciatole da Pedro.
Quindi
Guillermo ora l'attendeva in cambusa, e le aveva preparato la
colazione, cosa che il giorno precedente si era tradotta in una bevanda
amara e scura che lei non aveva affatto apprezzato.
«Speriamo
che oggi rimedio un goccio di tè»
sussurrò a se stessa mentre si teneva la fetta di carne
contro la guancia. Sedette sul letto già stufa della
giornata che era appena iniziata quando si accorse che vicino al catino
e alla brocca dell'acqua era apparso dal nulla un grosso pezzo di
sapone ed un telo bianco, c'era anche una tinozza in legno nell'angolo
abbastanza grande perché lei vi si infilasse dentro e
facesse un bagno.
Già,
un bel bagno caldo, come quelli che gli venivano preparati nella sua
bella casa ogni giorno...
Ricordò
amaramente i bei tempi in cui era servita e riverita, lì su
quella nave non aveva trovato altro che ostilità e
dispiaceri che chissà per quanto ancora sarebbero durati.
Quando
si accorse che il pezzo di carne sul suo viso si stava scaldando lo
riavvolse nello straccio e si lavò alla bell'e meglio,
compresi i capelli, anche se l’acqua a disposizione non era
calda. Purtroppo le comodità non erano come quelle a cui era
abituata di solito e la cosa la fece irritare.
"Non
voglio stare qui" pensò, "Dio mio, ti prego fa che qualcuno
venga a salvarmi, io con questi farabutti non ci voglio stare. Ho
paura".
Dopo
essersi vestita (con qualche difficoltà visto che non
c’era la sua dama di compagnia ad aiutarla) con un abito
color malva si pettinò i capelli bagnati con un pettinino in
mano mentre con l'altra reggeva il suo specchio col manico e sbuffava.
Quando furono un pò più asciutti, dopo averli
frizionati per bene con un telo, si decise a lasciare la cabina
sperando con tutta se stessa che nessuno non le rubasse nulla dal
baule.
Raggiunse
la cambusa che era proprio accanto al boccaporto che conduceva sul
pontile e vi trovò Guillermo da solo, con un fazzoletto
annodato in testa e un canovaccio gettato sulla spalla.
Non
appena la vide entrare afferrò una mannaia che
calò senza pietà sul pesce deposto sopra il
battilardo, la testa dell'animale già morto si
separò dal corpo con un rumore sordo e lei
rabbrividì incapace di distogliere lo sguardo.
«Coraggio
entrate, non state lì impalata! Il vostro tè si
sarà raffreddato a quest'ora» disse il cuoco
indicando la tazza per lei dall'altra parte del tavolo di legno scuro,
c'era anche una ciotola con della frutta, biscotti e una mela
già affettata.
«S-si
scusate. Io vi ho riportato il vostro rimedio»
mormorò lei intimidita e gli porse il fagotto, attese che il
vecchio lo prese e si sforzò di non vomitare quando vide che
lo apriva e lo riponeva assieme alle altre provviste. Strinse gli occhi
e girò la testa dall’altra parte prima di sedersi
sulla panca affianco al tavolo. Guardò nella tazza che era
colma fino all’orlo e d’istinto prese un coltello
poggiato lì accanto, affettò un limone e ci
immerse una fettina. Guillermo si accorse del gesto e sorrise
«Spero che il té sia di tuo gradimento oggi, ho
capito che il caffè non fa per te».
Lei
addentò un biscotto e annuì, almeno una
soddisfazione se l’era tolta.
«Di
solito cosa bevono i pirati a colazione?» domandò
senza un reale interesse.
Il
cuoco di bordo ridacchiò e rispose «Rum! E non
solo a colazione, il rum è buono a tutte le ore».
Estrasse dalle tasche una fiaschetta e bevve una lunga sorsata.
Isabel
rimase a guardarlo incuriosita.
«Cos’è
il rum?» domandò mentre lui riponeva la
fiaschetta, aveva un grosso anello d’argento
all’anulare destro, quello che doveva essere uno sgraziato
tatuaggio all’interno del polso e svariati orecchini ai lobi.
I denti erano parecchio ingialliti e gliene mancavano un paio
davanti.
Bisbigliò
qualcosa nella sua lingua che lei non capì e stava per
chiedergli di spiegargli il motivo della loro fissa con l’oro
e i gioielli quando le venne in mente che alle mani del capitano
c’era molto più che un anello.
«Ah!
Isabel, Isabel» ridacchiò lui mentre riprendeva a
pulire il pesce.
«Come
sei divertente, non sai nemmeno cos’è il
rum!».
La
giovane rimase impassibile alle risate di scherno e continuò
a bere il suo tè quando uno strano verso invase la cambusa.
Qualcuno pronunciò una volta il suo nome e lei si
voltò di scatto.
Stava
per chiedere chi fosse quando la voce ripetè forte e chiaro
«Isa-bel! Isa-bel!». Lei si guardò
intorno perplessa poi guardò Guillermo in cerca di
spiegazioni.
«Ma
chi è?» gli chiese con un misto di paura e
curiosità. Il cuoco rise ancora una volta e
indicò l’angolo più lontano da loro
dove c’era una gabbia coperta per metà da un
grosso pezzo di stoffa lacerato su un lato.
«Hai
ragione brontolone! Adesso ti darò da mangiare visto che il
tuo padrone non si degna mai di pensarci».
Isabel
si alzò e d’istinto si avvicinò alla
gabbia e lentamente tolse lo straccio.
Le
tornò il sorriso quando vide la bellezza straordinaria
dell’animale rinchiuso, era un bellissimo pappagallo dalle
piume blu sfumate di azzurro su dorso e ali e gialle sulla pancia.
Agitò le ali quando la vide e inclinò la testa di
lato prima a sinistra poi a destra.
«Dio!
Ma e’ bellissimo!» esclamò lei
meravigliata.
«Come
si chiama? Che cosa mangia?» si voltò verso il
vecchio pirata che le si stava avvicinando con uno spicchio di mela in
mano.
«Ecco,
daglielo tu» le porse lo spicchio e si strofinò le
mani sul grembiule prima di tornare a pulire altri pesci. Isabel
sorrise e infilò lo spicchio nella gabbia, il pappagallo lo
afferrò subito col becco e lo trasse a se.
«Ma
dove l’avete trovato? Perché non lo lasciate
libero, è cosi stretta questa gabbia che si
sentirà soffocato poverino».
Guillermo
cambiò espressione.
«Non
dirlo neanche per scherzo, è di Kevin, e tutti sanno quanto
Kevin è dannatamente geloso delle sue cose» la
guardò con fare allusivo mentre affilava un paio di
coltelli. Lei se ne accorse ma non disse nulla a riguardo.
«Ce
l’ha un nome?» chiese mentre tornava ad ammirare
l’animale in gabbia che sbecchettava lo spicchio di mela.
«No»
fu la risposta.
«Non
ancora» pensò Isabel.
Quando
raggiunse il pontile verso la tarda mattinata, tutto il buonumore che
aveva riacquistato in cambusa la abbandonò di nuovo. Era
inevitabile che dovesse affrontare la presenza della ciurma, dato che
lei era l’ospite e per di più indesiderata.
Sull’ultimo gradino della scaletta i piedi le tremarono,
sospirò e si decide a non guardare in faccia nessuno di quei
criminali, cosa che si rivelò del tutto impossibile
perché non appena gli altri la videro ad un cenno del
capitano smisero di prestare attenzione ai soliti lavori di
manutenzione della nave. Lei si affrettò a raggiungere il
parapetto alla sua sinistra decisa a starsene per i fatti suoi ma
Kevin, inaspettatamente, richiamò la sua attenzione con un
finto colpo di tosse e fu ignorato di proposito.
«Isabel,
vieni qui» disse quindi ad alta voce.
La
ragazza continuò a far finta di nulla finché lui
non aggiunse «Per favore...».
A
quel punto Isabel lo guardò e notò che gli uomini
si erano disposti in due file parallele gli uni di fronte agli altri.
Fece un passo verso di loro rimanendo in silenzio e con lo sguardo
basso. Non chiese che cosa volesse il capitano ma semplicemente lo
ascoltò.
«Dunque,
come tutti ormai saprete. Quella che vi trovate davanti non
è una donna qualunque, possiede il titolo di contessa e come
tale io voglio che la trattiate bene e che la rispettiate».
Quasi
tutti risero e mormorarono qualcosa di cattivo nella loro lingua, era
chiaro che non provassero neanche a sforzarsi di essere gentili come
aveva fatto Guillermo.
Kevin
alzò la voce e ripetè ciò che aveva
appena detto mettendoli tutti a tacere.
Isabel
si accostò ad ognuno di loro e coraggiosamente li
studiò uno ad uno poi con sua grande sorpresa, essi si
presentarono a lei, uno per uno rivelandole il proprio nome.
Non
parlando lo spagnolo lei dimenticò tutti i loro nomi quasi
subito, riuscì solo a capire che tra loro c’erano
dei carpentieri, un cerusico che doveva essere il medico, quello che
sembrava il più gracile era in cima all’albero
maestro era detto di vedetta e per lo più erano tutti dei
marinai da quattro soldi. Questo pensò lei.
Gentaglia
che magari si intendeva pure di mare e di navi, ma che facevano un
mestieraccio per vivere e nemmeno le interessava saperne di
più.
Li
squadrò uno ad uno senza reprimere il ribrezzo che essi le
suscitavano, poi quando ognuno tornò ad occuparsi delle
proprie faccende lei si appoggiò al parapetto e
guardò lontano.
Pensò
a sua sorella e alla fine ingiusta che aveva fatto, trattenne a stento
una lacrima e si disse che non era quello il momento di farsi vedere
fragile. Non dopo che quei mascalzoni l’avevano
già umiliata abbastanza il giorno precedente dopo che
l’avevano vista tutti con addosso soltanto la camicia da
notte e per di più aveva ricevuto un pugno in faccia del
quale portava ancora i segni.
Incrociò
lo sguardo di Kevin che la stava fissando e gli diede le
spalle.
In
quel momento si ricordò della sera precedente quando lei gli
aveva chiesto di non ucciderla prima di addormentarsi. Era ancora viva
e vegeta quindi lui l’aveva ascoltata, si girò di
nuovo verso di lui per dirgli qualcosa ma vide che anche il ragazzo le
aveva voltato le spalle e armeggiava con delle corde.
Soffermò lo sguardo sulla sua schiena, al centro della
giacca nera che indossava e pensò che no, non meritava
nessun ringraziamento.
Un
paio d’ore dopo Guillermo arrivò sul pontile per
annunciare che era giunta l’ora del rancio. Ecco
un’occasione che lei non aveva ancora osservato meglio da
vicino, vide gli uomini recarsi in cambusa in gruppetti di due o tre e
poi tornare per dare il cambio agli altri facendo a turno per mangiare.
Molti di loro tornavano con una scodella grigia e ammaccatta e finivano
di ripulire la zuppa all’aria aperta. Lungi dalla giovane
contessa star li a fissarli o ad ascoltare i versi che emettevano le
loro bocche mentre masticavano, davvero poco raffinati cosi
sbucò dal suo angolino e si diresse indisturbata a
poppa.
Qualcosa
aveva catturato la sua attenzione, due ali bianche che avevano sfiorato
il timone e che ora si erano nascoste al di là del cassero.
Isabel si avvicinò e sorrise nel rivedere il gabbiano del
giorno prima, lo riconobbe all’istante ma non avendo nulla da
offrirgli si voltò un momento a cercare qualche sorta di
cibo per lui. Uno dei pirati aveva lasciato a terra una scodella e lei
cercando di non dare nell’occhio la prese per avvicinarla al
gabbiano che subito banchettò con i resti di quello che
rimaneva. Il capitano l’aveva osservata da lontano e non
riusciva a smettere di sorridere divertito, ma continuò a
svolgere le sue mansioni e soltanto quando gli altri ebbero mangiato si
preparò a raggiungere la cambusa.
«Isabel!»
Tuonò
una voce alle spalle della ragazza, la quale si irrigidì
mentre si voltava per trovarsi di fronte Carlos.
«Si?»
domandò sperando che non si arrabbiasse di quel suo gesto
verso il gabbiano, invece il secondo neppure se ne accorse.
«Tu
non vai a mangiare? Vuoi che ti accompagni?» sorrise e le
porse la mano destra, ma lei rifiutò prontamente.
«Non
ho fame grazie», rimase dov’era per coprire il
gabbiano dietro di lei ma Carlos insistette.
«Non
essere timida» la esortò, e senza dire altro la
prese per mano trascinandola lungo il pontile. Al loro passaggio gli
uomini risero e fecero commenti sarcastici nella loro lingua, quando il
gabbiano riprese il volo la contessa incrociò lo sguardo del
capitano che le fece intendere di aver compreso quello che aveva appena
fatto e che gli andava bene.
«Vedrai,
niña,
nessuno oserà farti più del male»
disse Carlos quando furono vicini al capitano.
«Non
è vero Kevin?», i due si guardarono e lei si
domandò cosa volesse dire quella parola in spagnolo ma non
fece domande a riguardo.
Al
silenzio del ragazzo si divincolò istintivamente dalla
presa, seppur gentile, del pirata senza capelli e li guardò
entrambi imbronciata.
«Dovreste
smetterla con questa sceneggiata» affermò
decisa.
«Preferisco
il disprezzo, almeno quello è sincero. E in cambusa ci so
andare benissimo da sola, grazie!» si congedò
senza troppi complimenti e scese in sottocoperta.
Carlos
rimase un istante senza parole poi disse che secondo lui la ragazza
aveva carattere e che stava cominciando a tirar fuori le
unghie.
«Prego
per te che non ti graffi! Sai dopo l’episodio di ieri
sera...» mormorò ridacchiando all’amico
ma Kevin lo ammonì e gli ricordò che avevano ben
altro a cui pensare.
Dopo
essere stata un’intera giornata a guardarsi le spalle e
controllare di tanto in tanto che nella cabina del capitano i suoi
effetti personali fossero ancora li, Isabel chiese gentilmente a
Guillermo di portarle qualcosa da mangiare e se ne stava beatamente a
letto a fissare il vassoio ormai vuoto quando la nave prese ad
oscillare più del solito. Lei era sola, e cercò
di non dare peso a quei movimenti dovuti dalle onde. “A
quest’ora dovrei esserci abituata”
pensò, e invece quella sera ciò che successe le
fece capire che ci voleva ancora un bel pò di tempo prima
che i suoi attacchi di mal di mare si placassero.
Come
la mattina in cui aveva conosciuto il capitano Sean sul mercantile,
quando si alzò dal letto fu presa da un attacco di vertigini
e per poco non cadde a terra. Gli oggetti disposti sulla scrivania si
mossero una delle mappe si rovesciò sul pavimento. Isabel si
appoggiò al vetro della finestra per guardarvi fuori in
cerca di distrazioni ma fuori era il nero più totale cosi
sedette a terra con la schiena contro la parete. Non c’era
nulla che potesse distrarla da quel momento poco piacevole e mentre le
assi di legno scricchiolavano e persino il letto sembrava inclinarsi a
destra e a sinistra, lei chiuse gli occhi e nascose il viso tra le
ginocchia piegate.
Kevin
arrivò poco dopo e trovandola a terra le chiese subito cosa
c’era che non andasse.
Lei
alzò la testa senza guardarlo e osservò un punto
fisso dinanzi a se.
«Sto
bene» mentì.
«Stavo
solo riflettendo… Mi manca mia sorella» disse la
prima scusa che le passò per la mente e si accorse che
quell’affermazione era dannatamente vera.
Non
soltanto l’assenza di Jane le stava dando il tormento, ma
anche quella del resto della sua famiglia e del fatto che non avrebbe
mai raggiunto la zia.
«Sei
sicura di sentirti bene?» domandò Kevin mentre
versava l’acqua nel catino e si lavava mai e viso. Era ben
attento a non guardarla e a sembrare distaccato ma inevitabilmente si
stava preoccupando.
La
vide poi alzarsi e dirigersi con andatura incerta verso il letto dove
si accasciò. Prese coraggio e incurante del fatto che il
pavimento a tratti si alzasse, e ad altri sembrasse sprofondare, si
sedette accanto a lei. La osservò meglio da vicino e vide
che era più pallida del solito. Voleva ancora scusarsi con
lei per il giorno prima, invece rimase in silenzio incerto su cosa dire.
«Si,
sono sicura» mentì lei ancora, ma dopo un forte
giramento di testa si mise una mano sugli occhi.
«Mi
gira tutto...» ammise alla fine, e dopo un forte senso di
nausea saltò su dal letto e uscì svelta dalla
cabina. Kevin la seguì all’istante ed entrambi si
ritrovarono sul pontile, lei si appoggiò al parapetto e
rovesciò in un attimo tutta la cena che le era stata da poco
servita.
Quando
il giovane capitano capì cosa le stava succedendo si
avvicinò per tirarle indietro i capelli.
«¿Que
pasa?»
domandò Carlos alle loro spalle, seguito da Diego. Si
fermò di colpo alla vista della povera malcapitata
avvinghiata al parapetto con l’amico che le reggeva i capelli.
«Papà,
Isabel si sente male» disse Diego a suo padre, afferrandogli
la manica della camicia. Entrambi assistettero alla scena immobili e
ammutoliti.
«Santiago
vai a chiamare Juan» ordinò Kevin a uno dei suoi
compagni di avventure, il ragazzo che era lì a pochi passi
annuì e si allontanò.
Isabel,
ancora frastornata e con Kevin che non aveva lasciato la presa ai
capelli, si asciugò la bocca con la manica della camicia da
notte. Era già stato abbastanza umiliante dare di stomaco di
fronte a tutta quella gente, e quando si voltò invasa da
mille domande su come stava e se sapeva di soffrire il mal di mare, si
fece piccola piccola.
Il
cerusico arrivò poco dopo e le chiese che cosa avesse
mangiato. Fu Carlos a rispondere che le era stato servito il loro
stesso cibo per cui era colpa del mare mosso, non c’erano
dubbi.
La
ragazza ignorò i loro commenti e le loro frasi in spagnolo,
fece per tornare in cabina e Diego si affrettò ad
accompagnarla.
«Grazie»
gli disse lei con un mezzo sorriso sulla soglia della porta, voleva
solo restare sola ma quel ragazzino la mise di buonumore.
«Posso
restare con te, se vuoi» mormorò dolcemente
prendendole la mano e accompagnandola dentro.
«Aspetta,
ti prendo un secchio» disse all’improvviso e
sparì prima di tornare pochi minuti dopo con un secchio che
depose al lato del letto.
«Grazie,
sei davvero gentile» mormorò lei rannicchiata sul
letto, aveva i brividi e la gola secca ma la presenza del bambino non
la infastidiva, anzi.
Kevin
e Carlos apparvero alla porta poco dopo, il padre di Diego era venuto a
sincerarsi che Isabel stesse meglio e a mettere a letto il figlio.
«Avanti,
è ora di dormire adesso. Si è fatto
tardi», ma il bambino non voleva saperne di lasciare la
ragazza e soltanto dopo un’altra ora si sincerò
che lei potesse essere lasciata riposare.
«Buonanotte,
Isabel» le stampò un bacio sulla guancia e
raggiunse il padre nella cabina affianco.
A
quel punto Kevin chiuse la porta e si sedette un attimo sulla poltrona
ai piedi del letto, gli si leggeva in faccia che era stanco
tant’è vero che chiuse gli occhi e
gettò la testa all’indietro.
Isabel
che era seduta con la schiena contro il cuscino e abbracciava a sua
volta un altro cuscino si azzardò a chiedere «Sono
un vero disastro, non è vero?».
Credette
che lui non la stesse ascoltando perché dapprima non si
mosse, poi lentamente riaprì gli occhi e la
guardò.
«Scusa,
stavi dormendo...» si affrettò a dire lei.
«Ne
hai tutto il diritto, sono io quella che non dovrebbe occuparti il
letto inutilmente, mi dispiace».
Lo
sguardo del giovane si addolcì per un attimo.
«Non
dormivo, sta tranquilla. Stanotte sono di guardia perciò tra
poco devo lasciarti da sola, ti pregherei di chiuderti a chiave
perché come ben sai… Ti ho già
spiegato il motivo».
Lei
annuì e quando lui si alzò esitò un
istante per dirgli di restare ma le parole le rimasero in gola e non
furono pronunciate.
«Buonanotte
Isabel» sussurrò Kevin prima di uscire.
Rimasta
sola la ragazza si trascinò a forza verso la porta per
chiudersi a chiave poi tornò a letto ma invano
cercò di dormire, e il secchio che le aveva procurato il
piccolo Diego le fu molto utile durante tutta la notte. Alla fine
esausta per la fatica di sopportare il mal di male si
aggrappò al bordo del letto e riuscì a chiudere
gli occhi, quando si svegliò era ancora notte e la sua
fronte era madida di sudore. Sembrava che il moto del mare si fosse
leggermente calmato ma lei aveva ancora lo stomaco sottosopra.
Si
alzò a fatica e lentamente raggiunse la porta, la
aprì e nell’oscurità andò in
cambusa dove soltanto un paio di lanterne illuminavano la
stanza.
Guillermo
russava nell’anticamera e il pappagallo da dentro la gabbia
aveva mosso le ali. Isabel se ne accorse e subito tolse lo straccio che
copriva quella specie di prigione che tanto non le piaceva.
L’animale come il mattino precedente pronunciò il
suo nome ad alta voce e lei lo zittì.
«Sshh!»
sussurrò sperando di non aver fatto troppo rumore,
aprì la gabbia e subito il volatile spiegò le ali
e si librò in volo felice di essere stato liberato poi
atterrò sul tavolo a mangiucchiare gli avanzi di un pasto
dimenticato.
Lei
si sedette sulla panca e appoggiò la testa sul tavolo mentre
con una mano osava sfiorare il bel piumaggio dell’animale,
pochi minuti dopo chiuse gli occhi senza rendersi conto che il mal di
mare era passato.
|