# Amico 1
Papi
è papi.
Cosa
vuoi che ti dica di più? Per me, Michael resterà sempre il mio Papi. Il mio
amico. Quello che si è fidato di me. Anche se non mi conosceva per niente.
Ma
lui era fatto così. Lui non voleva vedere il brutto nelle persone; nemmeno se
ce l’avevano stampato in faccia. Papi era così. Ci doveva credere e basta,
nelle persone.
Me
lo ricordo ancora. La prima volta che l’ho visto.
Credevo
che non sarebbe durato due giorni, in prigione. Papi era magro; e quelli magri
come lui, in prigione, o crepano o diventano la puttanella di qualcuno. E poi
aveva studiato. Cioè. Non studiato come me, che ho piantato la scuola a quindici
anni e me ne sono andato per strada. Lui aveva studiato davvero. Lui aveva una
laurea appesa alla parete. E ce ne stanno, in prigione, di quelli che hanno
quel pezzo di carta appeso alla parete. E per questo si credono fighi. Credono che tutto andrà come vogliono loro. Mi fanno
incazzare, quelli lì. Ma di solito non ce li mettono, con gente come me. Con
gente che ti sbudella per un’occhiata storta.
Papi
invece era finito proprio fra quelli così. Fra quelli che non ci pensano due
volti ad aprirti lo stomaco, se pensi che stai provando a fregarti. E lo ha
chiesto anche, di finirci, in quel carnaio. Ma Papi era papi. E le scelte non
le faceva mai a caso. Le faceva proprio perché voleva farle. Solo che tu non te
ne accorgevi mai prima; solo alla fine. Papi era così.
Comunque.
Papi era magro. E quelli magri e che hanno studiato, in prigione, sono i primi
a crepare.
Credevo
che lo avrei perso presto, il mio nuovo compagno di cella. Non era il primo che
avevo avuto; e non sarebbe stato l’ultimo, mi ero detto. E allora non avevo
avuto davvero intenzione di conoscerlo.
Ci
avevo parlato così. Perché quando passi venti ore al giorno in un buco di sei
metri per due alla fine ci parli, con quello che ha la branda sotto la tua.
Anche solo per scambiare quattro chiacchiere o sentirti mandare ‘fanculo.
Ma Papi.
Papi
era diverso. Papi non era spaventato. Cazzo. Papi era magro. L’ho già detto. E
con la tuta addosso sembrava ancora più magro di quanto non fosse. Eppure.
Cazzo. Sembrava non gli fregasse niente di nessuno e sapesse esattamente a cosa
puntare. Io ci avevo messo due mesi ad abituarmi alla prigione, e ancora non mi
andava giù l’idea di restarmene chiuso lì dentro. Avevo in testa solo di
uscire; e di sposare Maricruz.
Ma
lui. Papi. Papi era tranquillo. Ed era ingenuo.
Credeva
di conoscere la prigione; credeva di sapere come fare ogni mossa in quella
fottuta prigione. E sì, le sapeva fare. Sapeva cosa fare e quando farlo.
Ma.
Ma era troppo ingenuo, il mio Papi.
Così
ingenuo da fidarsi di me. Da fidarsi di uno che conosceva da cinque minuti. Perché,
cazzo, non ci ha mai pensato che potessi spifferare tutto a Bellick.
Ok. Bellick era uno stronzo bastado.
Ma in prigione anche gli stronzi bastardi possono essere utili. E io. io potevo
far saltare tutto. Ma no. Papi a questo non ci aveva pensato. O forse sì. Non
lo so.
A
volte era così ingenuo che avrei voluto ridere. Ridere forte. Se solo non
avessi avuto la paura che me lo facessero crepare davanti. Perché mi ci sono
affezionato, al mio Papi.
Ed è
stato. È stato facile. Perché Papi. Perché Michael ha. Aveva quel modo di fare.
Di farti sentire parte di un qualcosa. Di un qualcosa di importante. Non potevi
proprio dirgli di no. Non ci riuscivi a dirgli di no. Anche quando sapevi che
rischiava grosso e che quello che ti sventolava in faccia era la più assurda e
rischiosa delle trovate.
E
poi. Poi faceva sembrare facile anche una cosa impossibile. Faceva sembrare
reale anche la libertà, mentre eravamo dietro le sbarre.
Mi
ha salvato il culo, il mio Papi.
Me
lo ha salvato tante volte. E non ha mai voluto che gli ricambiassi il favore.
Non ha mai cercato di farmi sentire in debito. Era piuttosto disposto a
cacciarmi a calci, se pensava che sarebbe stato meglio per me. E ci è anche
riuscito, qualche volta.
Perché
per stare vicino a Papi. Perché per stare con lui a volte ci vuole più fegato
che coraggio. Ci vuole più stupidità che forza.
Ma
era il mio Papi. E con lui avevo capito che avrei potuto fare di tutto. Per lui
sono stato disposto a fare di tutto. E se ci fosse. Se fosse ancora vivo. Ecco.
Se fosse ancora qui, sarebbe sempre lo stesso Papi. Lo stesso Michael. Lo
stesso uomo.
E
per quell’uomo sarei ancora disposto a tutto.
E
siamo arrivati al giro di boa.
Dopo
la famiglia, gli amici. Perché Michael ha anche amici. In certi momenti, ha
solo amici. E Sucre è forse l’amico. Quello con la A maiuscola; quello che era
il fattore incognito. Forse nemmeno calcolato. Perché se Sucre non ci fosse
stato; se Sucre avesse parlato. Insomma: Sucre è sempre stato l’ago della
bilancia, nel piano di Michael. E solo un ingenuo come Michael poteva ideare un
piano del genere contando solo sull’appoggio di un compagno di cella che non
aveva nemmeno mai visto.
E
qui il waht if…? si
potrebbe sprecare.
Comunque.
Sucre non tradisce; anzi! E mi piace l’amicizia che c’è fra loro. Sucre è, di
fatto, la sola altra figura maschile forte con cui Michael si relazioni, oltre
a suo fratello. La sola cui permette di vederlo fragile e in difficoltà. Quello
cui non nasconde di star male e che è disposto a cacciare a calci per non
coinvolgere. Quindi sì: Sucre non poteva mancare. E in fondo mi dispiace che
nell’ultima stagione sia stato un po’ sacrificato. Perché è stato magnifico vederli
abbracciarsi mentre Michael è mezzo morto. Ed è appunto significati che Sucre
sia l’altro con cui Michael scambia abbracci, appunto. Di quei sani abbracci
maschili che sanno di testosterone e parole non dette. Perché sono uomini,
loro. E parlare è così demodè.
Comunque.
Ci siamo. Quasi. Ancora poco.
Alla
prossima!