Cap.
3: Columbia, 8 Ottobre 1903
Victor
si sedette alla sua scrivania. Si mise a fissare un punto non ben
definito della superficie di legno, massaggiandosi le tempie. Era
sempre così, quando tornava a casa. Il lavoro e la vita
sociale gli
occupavano la mente per tutto il giorno, ma non appena ritornava a
casa si ritrovava solo con i propri pensieri. Spesso cercava di
rimandare il momento in cui avrebbe varcato quella soglia,
perché
non gli piaceva per niente rimuginare sulla sua vita.
Il
se stesso bambino avrebbe pensato che stesse vivendo il sogno della
sua vita. Lavorava per Albert Fink al Magical Melodies, facendo
ciò
che più amava al mondo: suonare il violino. Il suo stipendio
era più
che buono; abitava in un bell'appartamento, e poteva comprare
praticamente tutto ciò che voleva. Indossava i vestiti
migliori che
si potessero trovare a Columbia, e poteva mangiare nei ristoranti
migliori. La gente lo amava. Doveva essere la persona più
felice del
mondo... eppure non lo era.
Guardò
fuori, attraverso la grande vetrata della sua camera. Anche quando si
era trasferito in un appartamento tutto suo, aveva scelto una camera
con vista. Poter vedere la città da quella prospettiva era
forse una
delle poche opportunità che Columbia gli dava per sentirsi
libero.
La
città era sempre bellissima, ma come sarebbe stato possibile
per lui
essere felice a Columbia, se la sentiva ostile verso una parte di
sé?
Uno degli ideali di quella città era il constrastare “il
Sodoma
del mondo di sotto”, la perdizione da cui erano
scappati
allontanandosi dalla terraferma. E lui sapeva benissimo che, anche se
era una parte di sé che non poteva controllare, faceva parte
di quel
Sodoma che tutti lì odiavano.
Avrebbe
soltanto voluto poter avere un compagno che non dovesse nascondere,
qualcuno con cui poter liberamente camminare per strada mano nella
mano, ma sapeva che non era possibile. Il suo animo cercava amore,
anche se segreto, e aveva provato a trovarlo tante volte, ma la
verità era che nemmeno lui riusciva più a provare
niente, come se
qualcosa nel suo cuore si fosse spezzato tanto tempo prima. Si
sentiva soltanto sporco e sbagliato.
Così,
quella città era diventata la sua prigione dorata. Era
troppo tardi
per ritornare sulla terraferma e trovare un posto che lo accogliesse
veramente: Columbia era ormai isolata dal resto del mondo, nascosta
tra le nuvole.
Aveva
sicuramente più amici rispetto a quando era ragazzino, ma in
cuor
suo restava sempre solo.
Si
stropicciò gli occhi. Sapeva che stare fermo a riflettere
sui suoi
problemi non gli avrebbe fatto per niente bene. Come tutte le sere,
si sarebbe rifugiato nell'unica cosa che non lo aveva mai deluso: la
musica.
Fece
per andare a prendere il suo violino, ma non appena spostò
la sedia
per alzarsi sentì qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
La
melodia di un pianoforte. Chopin, Fantaisie Impromptu Opera
66.
Era uno dei suoi brani preferiti. Il suo amico e collega
Chris
era un pianista, e spesso lo suonava.
Si
voltò, cercando di capire da dove venisse quella melodia...
e gli
sembrò di tornare indietro nel tempo. In quel momento, come
era
successo dieci anni prima, nella sua stanza si era aperta una
finestra su un'altra dimensione.
Nella
dimensione che stava osservando in quel momento c'era un ragazzo che
suonava. Era così concentrato sulla musica da non rendersi
nemmeno
conto che Victor lo stava guardando. Gli occhiali che indossava
scendevano sul suo naso, ma l'espressione piena di tenacia del
ragazzo restava immutabile.
Fino
al momento in cui le sue dita inciamparono in quell'intreccio di
note, e il ragazzo si fermò. Lo vide scuotere la testa ed
esclamare,
frustrato, qualcosa in una lingua che non conosceva.
Improvvisamente
il ragazzo rivolse lo sguardo verso Victor, e sobbalzò nel
rendersi
conto che qualcuno lo stava osservando. Questo diede a Victor
l'opportunità di guardarlo meglio.
I
suoi occhi erano a mandorla, di un bel castano scuro; erano nascosti
da un paio di occhiali dalla montatura blu. I capelli neri erano un
po' scompigliati. I lineamenti del suo viso erano dolci, le guance
piene e tinte di rosa. Guardava Victor a bocca aperta, più
sorpreso
che spaventato.
Tutto
di quel ragazzo sembrava essergli familiare. Gli ricordava una
persona che aveva conosciuto dieci anni prima, nello stesso modo, ma
che era scomparsa improvvisamente dalla sua vita, senza nemmeno
dirgli perché.
Sarebbe
stato incredibile, se fosse stato proprio lui. Si era convinto che
non l'avrebbe mai più rivisto; era assurdo che, pur abitando
ormai
in un altro luogo, un portale si fosse aperto per fargli incontrare
di nuovo la stessa persona che aveva conosciuto dieci anni prima.
Fu
in quel momento che Victor si rese conto di un particolare nella
stanza in cui si trovava il ragazzo: sopra il pianoforte c'era la
statua di un angelo. Quello di Monument Island, per la precisione.
-
Yuuri...? - mormorò.
Gli
occhi del ragazzo lo scrutarono. Forse si stava chiedendo chi fosse,
e come mai sapesse il suo nome. Non poteva biasimarlo: a differenza
di Yuuri, il suo aspetto era cambiato drasticamente in quei dieci
anni.
Poi,
il ragazzo sgranò gli occhi, e si portò una mano
alla bocca. -
Victor? Sei... sei tu?
Victor
annuì. - Stavi suonando uno dei miei pezzi preferiti
– disse.
-
Oh – fece Yuuri, e le sue guance si tinsero ancora
più di rosa.
Victor ricordava la sua tendenza ad arrossire. Lo rendeva carino nel
passato, e ancora di più nel presente. - Scusa, non sono
riuscito a
finirlo.
-
Non importa – disse. - Non dev'essere un pezzo facile.
Yuuri
scosse la testa. - Devo riuscire ad eseguirlo perfettamente. Lo
suonerò in pubblico il mese prossimo, e ancora non riesco a
concluderlo....
Era
davvero nervoso, in più sembrava che la sua presenza lo
imbarazzasse.
-
Sono contento che tu abbia continuato a suonare. Sei davvero bravo.
Se
anche lui stava facendo carriera con la musica, Victor non poteva che
esserne felice. Era un modo bellissimo per guadagnarsi da vivere.
Yuuri
si portò una mano sui capelli. - A dire il vero, ho appena
cominciato a fare più sul serio. Sicuramente adesso tu sarai
famosissimo.
-
Un po' – fece Victor. Yuuri non gli rispose. Sembrava che
volesse
dirgli qualcosa, ma che si stesse trattenendo.
Tra
di loro in quel momento c'era una strana atmosfera. Victor non era
tipo da portare rancore, e qualunque cosa Yuuri avesse fatto dieci
anni prima, in cuor suo l'aveva perdonato. Si trattava del passato,
dopotutto. Eppure, rivederlo gli aveva fatto pensare a quel periodo,
e a come si era sentito nel momento in cui aveva capito che Yuuri non
gli avrebbe fatto più visita. Il senso di abbandono, e il
pensare di
non essere abbastanza nemmeno per tenersi stretto un solo amico.
Quando aveva diciassette anni, Yuuri era stato per lui come un raggio
di sole; il non vederlo più l'aveva gettato nel buio.
Ci
aveva ripensato, negli anni a seguire, e aveva capito che forse cause
di forza maggiore avevano costretto Yuuri a non entrare più
in
quella stanza. All'epoca, però, aveva soltanto diciassette
anni, e
tutto quello che gli passava per la testa era una domanda: Yuuri,
perché mi hai abbandonato?
In
effetti, era una cosa che si chiedeva anche in quel momento. Cos'era
successo, esattamente? Quella era la domanda che voleva porgli, ma
che forse non avrebbe mai esternato.
Alla
fine, Yuuri scoppiò. - Scusa, scusami davvero! Io... io non
volevo
abbandonarti, è che non mi facevano più entrare
nella stanza, era
chiusa a chiave! Ho provato in tutti i modi ad entrare, ma non ci
sono riuscito! E poi-
-
È tutto a posto – fece Victor, sollevato. Yuuri
gli aveva
confermato la sua teoria, e questo gli aveva tolto un grosso peso dal
cuore. Avrebbe soltanto voluto tornare indietro nel tempo per dire al
se stesso diciassettenne che il suo nuovo amico non l'aveva
abbandonato volontariamente.
-
D-davvero? - mormorò Yuuri. Sembrava quasi che stesse per
mettersi a
piangere.
Victor
annuì. - Ero un po' triste, all'inizio, ma alla fine... alla
fine
credo non mi sia andata tanto male.
-
Decisamente no – disse Yuuri.
-
Sono felice di rivederti. Mi sei mancato, Yuuri.
Alle
parole di Victor, l'espressione preoccupata di Yuuri si sciolse in un
sorriso. - Anche tu mi sei mancato, Victor.
Sì,
era decisamente carino.
Victor
prese in mano il violino. - Ti va di sentire qualcosa? Come ai vecchi
tempi.
-
Mi piacerebbe davvero tanto, ma ho un appuntamento, e sono quasi in
ritardo – fece Yuuri, alzandosi dallo sgabello del pianoforte.
-
Oh – disse Victor. - Romantico?
Forse
era stato troppo invadente.
-
Eh? No, no, no, devo solo vedere un amico! - fece Yuuri, agitando
freneticamente una mano davanti al volto.
-
Buon divertimento, allora! - esclamò Victor, uscendo dalla
sua
camera per dare a Yuuri un po' di privacy.
Il
suo umore per quella giornata era decisamente migliorato. Quella
coincidenza era troppo assurda per non essere un segno del destino.
Forse i portali (o, per chiamarli con il giusto nome, gli squarci)
decidevano su che universi aprirsi a seconda di chi fosse presente al
momento dell'apertura? O, forse, era davvero tutto frutto del caso?
Victor non lo sapeva, e probabilmente nemmeno l'avrebbe mai saputo.
Era un musicista, e nonostante alcune delle melodie che riarrangiava
per lavoro provenissero dagli squarci, non era sicuro di come
funzionassero esattamente. Per dire, nessuno era mai riuscito ad
entrare in uno degli squarci con cui lavorava. Quello che si era
aperto in camera sua dieci anni prima era stato molto probabilmente
un'eccezione. Comunque, era bello vedere che il caso gli aveva
permesso di incontrare di nuovo un vecchio amico.
Quella
notte si addormentò col sorriso sulle labbra, per la prima
volta
dopo tanto tempo.
*
Il
giorno seguente sembrò quasi volare. Victor si sentiva
più leggero.
Probabilmente quella sensazione sarebbe presto passata per lasciare
spazio al consueto grigiore, ma Victor non poté che essere
felice
del cambiamento. Persino le note scorrevano più fluide dal
suo
violino. Rivedere Yuuri gli aveva trasmesso una briciola di
positività, dandogli qualcosa da attendere alla fine della
giornata.
Era strano, perché nemmeno sapeva che persona fosse
diventata in
quei dieci anni. Poteva essere diventato insopportabile. Beh, era
ansioso di scoprirlo.
Tornò
a casa il prima possibile, sperando che, come la sera prima, Yuuri
stesse suonando. Con suo grande disappunto, fu accolto dal silenzio.
Sbirciò nello squarcio. La stanza di Yuuri era deserta.
Avrà
avuto da fare, pensò. L'avrebbe rivisto il giorno
dopo, molto
probabilmente.
Peccato
che, anche il giorno dopo, Yuuri non ci fosse. A Victor
sembrò di
sentire qualche rumore provenire dall'altra parte dello squarcio,
quella notte, ma decise di non disturbare Yuuri così tardi.
Il
terzo giorno in cui Yuuri non si fece vedere, però, Victor
cominciò
a porsi qualche domanda. Come mai lo stava evitando? Insomma, era
strano che non si incontrassero mai. Al mattino avevano orari
diversi, e quando Victor si svegliava Yuuri era già andato
via, ma
almeno la sera... era come se vivessero nello stesso appartamento,
non era possibile che non riuscissero ad incrociarsi per nemmeno
qualche minuto. L'unica possibilità era che Yuuri non
volesse
vederlo, ma per quale motivo? Era forse stato troppo invadente?
L'aveva spaventato? Ce l'aveva con lui per qualche motivo?
Victor
prese in mano il violino, e si mise a suonare, pensieroso. La sua era
una melodia lenta, giusto per rilassarsi e non pensare troppo al
movimento delle dita. Aveva sperato che Yuuri gli portasse una
boccata d'aria, il ritorno ad un periodo in cui ancora sentiva che
qualcuno al mondo poteva volergli bene davvero. Forse aveva
sbagliato, a sperarci. La solita sensazione di tristezza si stava di
nuovo facendo strada nel suo cuore.
No,
pensò. Stavolta non avrebbe lasciato che Yuuri
scappasse senza
dargli una risposta.
La
notte successiva aspettò alzato che Yuuri tornasse. Era
molto più
tardi rispetto all'orario in cui di solito si addormentava, ma non
gli importava. Doveva chiarire la situazione.
Si
avvicinò allo squarcio. Vide che Yuuri si stava preparando
per
dormire, e si era appena tolto la camicia, restando a torso nudo.
Si
ritrovò ad osservarlo. Era piacevole da guardare, dovette
ammetterlo. Il suo fisico era ben proporzionato, pur seguendo la
delicatezza del suo viso. La linea morbida della schiena era seguita
dalla curva ben definita dei suoi glutei. Quello aveva decisamente
attirato la sua attenzione.
Distolse
lo sguardo e si allontanò dallo squarcio. Non era corretto
spiarlo
così. Non era certo il modo per cominciare una conversazione
col
piede giusto. E non era nemmeno una manifestazione di buon vicinato.
Aspettò
qualche minuto, poi lo chiamò per attirare la sua
attenzione. Lo
vide avvicinarsi allo squarcio. Indossava la vestaglia da notte, e
non portava gli occhiali. Senza la copertura degli occhiali, gli
occhi di Yuuri erano enormi, anche se in quel momento li stava
strizzando leggermente per vederci meglio.
-
Possiamo parlare? - gli chiese.
Yuuri
sospirò, ed annuì. - Vieni – gli disse,
facendogli cenno di
entrare.
Victor
attraversò lo squarcio, e si guardò intorno. La
stanza di Yuuri era
piccola, ma ben illuminata dal lampadario sul soffitto. Era con ogni
probabilità un requisito necessario in quella
città, data la
mancanza di luce solare. Il letto era attaccato alla parete, vicino
allo squarcio. Victor sorrise nel rendersi conto che era posizionato
in maniera perfettamente speculare rispetto al suo. Se non si fossero
trovati in due dimensioni diverse avrebbero potuto comunicare, da
sdraiati, attraverso colpi sulla parete.
Davanti
al letto c'erano il pianoforte, una scrivania, un armadio e una
libreria. I mobili erano di buona qualità, e nel complesso
sembrava
che Yuuri se la cavasse piuttosto bene. Ma lui non era lì
per
parlare di quello.
Si
sedette sul letto, accanto a Yuuri.
-
Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? - domandò.
Yuuri
guardò in basso. Era evidente che non volesse incontrare il
suo
sguardo. - No....
-
Sembra che mi stia evitando, e vorrei capire perché. Siamo
praticamente vicini, credo che sia giusto che lo sappia.
Yuuri
scosse la testa. Ancora era riluttante a guardarlo. - Pensavo...
pensavo che non volessi più vedermi – disse. -
Pensavo che le tue
parole di ieri fossero soltanto una cortesia.
-
Yuuri....
-
Avevo smesso di cercarti, avevo smesso di preoccuparmi per te....
-
Yuuri....
-
… non ho più provato ad entrare in quella porta,
mi sono
arreso....
-
Yuuri....
-
… e se ti fosse successo qualcosa? Con che coraggio avrei
potuto
farmi vedere da te?
-
Yuuri.
Victor
prese la mano del ragazzo, e lui smise di parlare, un po' stupito.
-
Va tutto bene. Io... io sono davvero felice di vederti. Non avresti
potuto farci nulla, non è stata colpa tua. E, come puoi ben
vedere,
non mi è successo nulla. Non ti devi vergognare.
Yuuri
si tranquillizzò, e finalmente riuscì ad
incontrare il suo sguardo.
Victor notò che i suoi occhi erano davvero profondi.
-
Cos'è successo dopo che hanno chiuso la porta? -
domandò.
Victor
cercò di tornare indietro con la mente. Si era trattato di
un'esperienza così peculiare da essere impossibile da
dimenticare,
ma alcuni dettagli erano andati persi col tempo.
-
Ricordo che una notte sentii dei rumori in camera mia, mentre
dormivo. Forse era entrato qualcuno, ma non ne sono sicuro. Suppongo
che quella persona non abbia trovato nulla di interessante,
perché
da allora nessuno ha più attraversato lo squarcio. Io...
volevo
vederti, anche se tu non eri più venuto a trovarmi,
così un giorno
l'ho attraversato. Nella stanza non c'era nessuno, ma vicino allo
squarcio c'era uno strano macchinario. Non ho mai capito cosa fosse.
Ho
cercato di aprire la porta, ma era chiusa. In quel momento credo di
aver capito che non saresti tornato, almeno non subito. Avevo paura
che qualcun altro attraversasse lo squarcio, così ho spinto
l'armadio per chiuderlo. Se tu fossi tornato avresti capito, e
ovviamente avrei spostato l'armadio.
-
Ma non l'ho fatto – disse Yuuri.
-
E va bene così. Chissà, magari non avremmo avuto
l'opportunità di
vederci adesso, se le cose fossero andate diversamente dieci anni fa.
Lasciò
andare la mano di Yuuri. - Apprezzerò sempre la tua
compagnia –
disse.
Yuuri
sorrise. Era evidente che fosse ancora un po' nervoso, ma Victor era
felice di aver chiarito.
-
Bene, ora credo che andrò a dormire – disse,
alzandosi. - A
domani, vicino di casa!
Attraversò
di nuovo lo squarcio. Una volta tornato a Columbia vide Yuuri che,
dall'altra parte, agitava la mano per salutarlo. Ricambiò il
saluto,
poi si buttò sul letto. Era soddisfatto.
|