Lo guardo negli occhi, sono sempre stata così catturata dal
suo sorriso che non li ho mai osservati a fondo. Sono tristi e pieni di
speranza allo stesso tempo, sono puri e adesso sono preoccupati per me.
Questo ragazzo che è entrato nella mia vita per caso, che si
trova nell’occhio di un ciclone che potrebbe ricominciare a
spazzare via tutto in appena un battito di ciglia, che ha visto il suo
mondo esplodere e ha voluto aprirmi una porta sul suo passato, adesso
mi porge la mano per placare le mie ferite.
No. La prima immagine che si forma nella mia mente mente è
un no scritto a caratteri cubitali con attorno dei led lampeggianti in
pieno stile Las Vegas. Non ho voglia di raccontare le mie ferite, le ho
già leccate abbastanza da sola e ha fatto sempre un male
cane. Oggi le cicatrici si sono riaperte, i punti stanno cedendo e ho
paura. Sì, Tommaso, ho paura che aprirle del tutto possa
mandarmi in frantumi e non so se questa volta avrei la forza di
rimettermi in piedi.
«Non devi sentirti in obbligo.» interrompe i miei
pensieri. «Se non te la senti di raccontarmi la tua storia,
posso capirti. In fondo, mi conosci appena.»
«Tom, non è quello che mi frena.» Inizio
a graffiare la pelle delle dita, sento le unghie premere con sempre
più forza. «Tu stai attraversando un periodo
burrascoso, io sono uscita dall’uragano. O almeno pensavo di
averlo fatto. Ho impiegato anni per ricominciare a vivere una vita
normale.»
«Con la dottoressa De Simone?»
Inizialmente questa sua domanda mi spiazza, poi ricordo di avergli dato
il biglietto da visita la sera che ci siamo conosciuti.
«Mi ha aiutato tanto, sì. Anzi, ne approfitto per
chiederti scusa per quella sera. Non so cosa mi è preso, ma
sentivo che stavi vivendo qualcosa di brutto ed era il mio modo per
aiutare. Spero non ti sia offeso.»
«Non ti nascondo che di solito sui biglietti
che ricevo da una ragazza appena conosciuta
c’è il suo numero e non quello di una psicologa,
perciò la cosa mi è sembrata un po’
strana. Ma non mi sono offeso, tranquilla. Qualche volta ho anche
pensato di farla quella chiamata, ma sai come siamo noi uomini.
Testardi come i muli. Scusa, non volevo interromperti.»
Si accorge che sto torturando le dita e ferma le mie mani stringendole
in una delle sue. Passa l’altra tra i capelli, portando via
la bandana da Axl Rose che ancora indossava. La arrotola distrattamente
e la infila nella tasca della giacca lasciandola penzolante per
più di metà. Guardo ancora una volta il suo
sorriso che ha dentro la tenerezza di un bambino, soprattutto adesso
che è perfettamente rasato.
«Ram, io so poco di te ma una cosa l’ho capita. Io
sto passando un brutto periodo, è vero. Non mi aspettavo di
essere mollato? Corretto. Non mi aspettavo di essere tradito?
Più corretto. Non mi aspettavo di perdere il lavoro e dover
crescere mia figlia senza una madre? Jackpot! Mi ha ferito?
Sì. Mi ha ucciso? Solo per un po’, ma ho preso le
mie ceneri e le sto usando per risorgere. Invece sento che per te
è stato diverso, che c’è stato qualcosa
di davvero orrendo, non solo inaspettato. Prima hai parlato di quel
tizio come di un demone e non credo che fosse solo un ex geloso o uno
squilibrato come quello del bar. Forse non vuoi parlarne
perché credi che potresti ricadere nel baratro
perciò non ti forzerò se non vorrai.»
«Sembra che tu mi abbia letto dentro.»
Sorride di nuovo «Ho una mini sfera di cristallo nascosta in
tasca.»
Sorrido anch’io, più imbarazzata che divertita.
Faccio scivolare le mani via dalle sue. Un lampo illumina lievemente il
cielo, il tuono che lo segue rompe il silenzio. Senza pronunciare
parola rientro in camera, Tom mi segue, lascia la porta aperta, si
appoggia allo stipite. Io cammino per la piccola stanza, nervosa, come
durante i pomeriggi passati al telefono con Alex.
«Non sarà una storia breve.»
«Non ho ancora chiamato il taxi. Ho tutto il tempo del
mondo.»
Dal temporale che si
è scatenato, non si direbbe che solo qualche ora fa eravamo
seduti in giardino a guardare le stelle, ma il freddo che si
è scatenato è nulla in confronto al gelo che
c’è tra queste quattro mura. Seduto sul letto, la
osservo camminare in silenzio per la stanza. Ogni più lieve
rumore sembra riecheggiare all’infinito fino a farti
impazzire, come in un racconto di Edgar Allan Poe. Il rumore dei tuoni
attutito dai vetri spessi, il ticchettio delle sue ciabatte che
ritmicamente incontrano il pavimento, le molle del materasso che
scricchiolano lievemente ad ogni mio movimento, un colpo di tosse che
proviene dal corridoio, il ‘tin’
dell’ascensore che avvisa dell'arrivo al piano. Ram si muove
veloce, non riesce a tener ferme le mani. Il suo andamento è
ciclico, ossessivo, è possibile prevedere ogni suo cambio di
direzione. Arrivata accanto all’armadio compirà
una mezza piroetta tornando indietro mentre preme le dita contro il
collo, poi inizierà a pungersi le braccia svoltando
lievemente verso il bagno, compirà un arco di circa
30° passando accanto al tavolo mentre riprende a torturarsi le
dita per poi arrivare alla finestra lungo una traiettoria retta ma
oscillando le spalle mentre si tocca la fronte e gratta
l’attaccatura dei capelli, svolta ad angolo retto verso il
comodino, curva a U per tornare sui suoi passi, unirà le
mani come in preghiera e chiuderà gli occhi aggirando il
letto per evitare di guardarmi diretta verso l’armadio.
Lì il suo giro inizierà da capo come una giostra
che non può deviare dal percorso prestabilito dal suo
inventore. Ogni tanto sembra guardarmi come se stesse per
iniziare a parlare, ma l’illusione dura poco e lei ricomincia
a fissare il pavimento durante il suo infinito percorso.
«Fermati.»
Mi alzo di scatto, ma, nonostante la situazione creata mi abbia portato
quasi a uscire di senno, riesco a mantenere un tono calmo per quanto
deciso.
Ram si blocca, come se
le fosse stata inaspettatamente tolta la corrente. Continua a fissare
il pavimento. Mi avvicino a lei, le accarezzo le braccia, le sento
tremare sotto la felpa di due taglie più grande. Faccio
l’unica cosa sensata da fare. L’abbraccio. La
stringo talmente forte che ho paura che si spezzi. La sento muoversi,
ricambiare il mio abbraccio, portare le braccia a stringermi la vita,
le sue dita sotto il mio giubbotto che premono contro la mia schiena.
Il suo respiro si fa più frettoloso, lievi lamenti le
sfuggono dalle labbra. Un fremito mi scuote, il mio battito accelera.
Sento qualche goccia calda bagnarmi la maglietta. Sta piangendo. Le
sciolgo la croccia stando attento a non farle male, infilo le mani in
mezzo ai suoi capelli attirandola ancora più vicina al mio
petto, muovo piano le dita in mezzo a quella foresta di ricci
respirando a fondo il loro profumo.
Lentamente smette di
tremare, il suo respiro si calma. Le sue mani allentano la presa
finendo per sfiorare il tessuto che le separa dalla mia pelle,
provocandomi un brivido ancor più forte se possibile.
«Non inizierai
a piangere anche tu, vero?» cerca di sdrammatizzare.
La sua voce è
ovattata perché ha ancora il viso stretto al mio petto,
riesco a sentire il suo fiato caldo mentre parla.
«Dai, iniziamo
entrambi, così facciamo una bella piscina qui
dentro.»
Rido. Le spalle le
tremano di nuovo, ma stavolta il movimento è dalla sua
bellissima risata. Alza il viso rimanendo aggrappata a me,
così vicina non riesco a metterla a fuoco per intero, le
fisso gli occhi che sono lievemente arrossati e molto lucidi.
«Non devi fare
niente che non ti vada di fare, Ram.» le sussurro.
«Sono stato uno stupido ad insistere.»
«Ma tu non hai
insistito.» Il suo respiro mi solletica il collo.
«Io volevo davvero parlarne con te. Lo voglio anche adesso,
giuro. Solo che poi le parole non escono e non so da dove
iniziare.»
Le bacio la fronte.
«Va bene così. Non preoccuparti.»
Ram si alza sulle punte
e riempie il breve tratto che divideva le nostre labbra. Un bacio
breve, timido, dura poco ma scaturisce un quantitativo inquantificabile
di dolcezza. Ho ripensato a lungo al nostro primo bacio, ma non mi ero
reso conto fino ad adesso di quanto mi mancasse in realtà il
suo sapore. Vorrei subito farlo ancora, ma è così
bella mentre mi sorride che non riesco a staccarle gli occhi di dosso.
No, neanche per baciarla.
Mi prende per mano e mi
accompagna di nuovo verso il letto. Si siede e mi porta accanto a se.
Mi bacia di nuovo, il tocco della sua lingua sulle mie labbra risveglia
in me sensazioni che non credevo più di essere in grado di
provare. Non mi ritrovo in una situazione come questa da troppo tempo.
Ho dimenticato come si fa. Mi sembra di essere tornato il
quattordicenne sborone che fingeva di essere uno sciupafemmine ma
quando si trovava da solo con una ragazza se la faceva sotto e non
riusciva a muoversi. Cosa dovrei fare adesso? Devo stringerla? Quanto?
Come? Ho voglia di stringerla a me, di sentirla vicina, di toccare la
sua pelle, ma ho sbagliato così tanto con lei stasera che
sono terrorizzato al pensiero di fare l’ennesimo sbaglio ed
essere mandato via.
Con un movimento
impacciato, poggio le mani sulle sue gambe coperte dalla pesante tuta.
In risposta, le sue mani scivolano lungo le mie braccia fino ad
arrivare al mio viso. Le sue carezza cancellano ogni mio dubbio. Non
lascerò passare neanche un momento in più.
Con un gesto
più sicuro l’abbraccio stringendola di nuovo a me,
il suo petto respira contro il mio. La sento ridacchiare senza
scostarsi dalle mie labbra. Si sbilancia leggermente
all’indietro, colgo il suo invito silenzioso seguendola fino
a sdraiarci completamente. Faccio peso sulle braccia per non
schiacciarla, mentre lei mi aiuta a togliere il giubbotto che fa volare
in direzione del tavolo. Mi fermo a osservarla, accarezzandole i
capelli. Non ride più, ma i suoi lineamenti sono distesi, la
sua pelle è illuminata e i suoi occhi sembrano ancor
più grandi. Le labbra umide sono leggermente dischiuse. Le
accarezzo con l’indice, mentre lei le inarca in uno dei suoi
dolci sorrisi.
«Sei
così serio!» dice, prendendomi in giro.
Ma io non sono
più in contatto con la mia parte razionale. Tutto di lei mi
fa perdere la testa. Mi tuffo di nuovo a baciarla. Ho il peso del corpo
sul gomito destro che lei accarezza appoggiato accanto al suo viso. Con
l’altra mano seguo piano il profilo del suo corpo, scendendo
lungo il collo, passando tra i seni senza toccarli, arrivando al
ventre. Mi avventuro piano sotto la sua felpa. Quando le tocco la pelle
della pancia, lei sussulta.
Tiro subito via la mano,
preoccupato di aver esagerato.
«Ho le mani
fredde, scusa.» le dico, mentre riprendo fiato.
Lei mi guarda
rassicurante, prende la mia mano e la poggia nuovamente sulla sua
pancia. «Non sono poi così fredde.»
Poi infila anche la sua
sotto la mia maglia. Trattengo a stento un breve gemito, ma non riesco
a fermare l’ennesimo brivido che il contatto con la sua pelle
mi provoca. «Com’è la mia? Troppo
fredda?»
«No,
è perfetta, come te.»
Riprendiamo a baciarci,
rotolando sul letto come due adolescenti. Spinge via le mie scarpe
scalciando, fa scomparire la mia maglia. Quando tira via la sua felpa
il mio cuore perde un colpo, ma sotto non è nuda come
pensavo. Una canotta bianca la protegge ancora dal mio sguardo smanioso
di godere della sua bellezza.
In ginocchio sul letto,
continuando a baciarmi, tira via il piumone. Ridendo mi spinge
facendomi cadere sul materasso, per poco evito di sbattere contro la
testiera del letto. Si siede a cavalcioni sul mio bacino, sa del mio
desiderio pulsante contro la zip dei jeans ma lo fa lo stesso. Si morde
il labbro inferiore accasciandosi verso di me. Mi avvicino per baciarla
ma lei mi allontana dispettosa e io credo di impazzire. Si allunga a
spegnere la luce. Adesso che ad illuminare la stanza rimane solo una
fioca lampada sul comodino, l’elettricità tra di
noi aumenta. La osservo mentre strategicamente arrotola la sua canotta
fin sotto il seno, lasciando scoperta la linea morbida del ventre.
Cerco di nuovo di sollevarmi perché il suo ombelico sembra
creato per essere baciato, ma lei ancora una volta mi tiene
giù. Si sdraia su di me, lentamente, facendo aderire la sua
pelle alla mia, incastrando i nostri respiri. Appoggia il viso
nell’incavo del mio collo, le dita della mano destra giocano
con i miei capelli mentre la sinistra forma dei cerchi vicino alla mia
clavicola. Non riesco a muovermi, sento le terminazioni nervose
lanciare scintille, perdo il contatto con il mondo.
«Credo che tu
mi abbia stregato.»
Ridacchia e sento
distintamente il suo seno saltellare sul mio petto.
«Devo essere
una strega potente per farlo senza formule magiche.»
«Allora hai
drogato il prosecco, non c’è
nessun’altra soluzione.»
Si solleva a guardarmi,
i capelli le ricadono su una spalla.
«Sei
bellissima.»
Scontato, banale, ma non
trovo altre parole per lei, perché qualsiasi frase ad
effetto, costruita poeticamente, sminuirebbe la purezza di quello che
io vedo quando la guardo negli occhi.
Credo che sia arrossita
anche se con questa poca luce è difficile da dire con
certezza. Mi prende le mani e le poggia sui suoi fianchi nudi. Si
solleva, strofinandosi sul mio corpo, si porta vicino al mio viso ma
non mi bacia. Sta aspettando qualcosa.
Le afferro i fianchi,
palpando delicatamente la sua carne morbida tra le dita. La vedo
chiudere gli occhi, socchiude le labbra e sospira. Allento la presa,
poggio sulla sua pelle solo i polpastrelli. Salgo verso la vita con un
movimento asfissiantemente lento. Ad ogni passo i suoi occhi si
chiudono di nuovo e i suoi sospiri si fanno sempre più
grevi. Quando arrivo al bordo arrotolato della canotta, mi fermo,
aspettando un suo segnale. Quando Ram apre gli occhi, alzo piano il
limite osservando il suo viso per cercare conferme. Si morde di nuovo
il labbro. Lo prendo come un sì. Le sfilo dolcemente la
canotta. La prendo per i fianchi chiedendole in silenzio di rimanere
sollevata. Mi riempio gli occhi di lei, della morbidezza delle sue
curve, della perfezione delle sue linee.
Sorride e si avvicina di
nuovo al mio corpo accarezzandomi il ventre, scendendo sempre
più in basso. Non riesco più a frenarmi. Cerco di
non essere troppo irruento mentre mi volto facendola sdraiare. Scendo a
baciarle il collo, Ram geme mordicchiandomi l’orecchio
destro. Il mio desiderio di lei cresce sempre più. La sento
sospirare mentre gioco con i suoi i seni che sento
già turgidi. Quando i sospiri si fanno più densi,
le sue unghie iniziano a graffiarmi la schiena. Un urletto leggermente
stridulo le sfugge dalle labbra, cerca di trattenerlo mordendomi
ancora. Sento le sue mani cedere improvvisamente.
La guardo, ha il viso
arrossato, tiene gli occhi chiusi in modo stranamente stretto.
«Tom...»
la sua voce è affannata.
«Stai
bene?»
Apre gli occhi e si
allarga in una risata.
«Benissimo!
Non mi era mai capitata una cosa simile. Non
così!»
«Non vorrai
dirmi che...»
«Invece te lo
dico!»
Ride più
forte. Mi sdraio accanto a lei e non posso fare a meno di seguirla. Ram
si volta e inizia ad accarezzarmi il petto.
«Buona
educazione vuole che adesso ci si occupi di te, no?»
Le fermo le mani, non so
perché. Credo che una parte di me non abbia desiderato altro
da quando siamo entrati in questa stanza, ma qualcosa non è
suonata nel verso giusto.
«Ram,
fermati!»
«Come? Credevo
che...» il suo viso è sbigottito.
«Lo volessi?
Certo! Certo che ti voglio!» Riprendo ad accarezzarla.
«Sarei un folle a non volerlo. Ram, tu mi piaci, sei
fantastica, sei sexy, sei tutto quello che un uomo può
desiderare. Ma non voglio che tu faccia qualcosa solo perché
io… perché siamo arrivati a questo
punto.»
Sorride. Inizia a
baciarmi di nuovo, dolcemente.
«Devi
promettermi che non farai niente che non vuoi, che qualsiasi cosa
succeda, se non ti dovessi sentire a tuo agio o ci fosse qualcosa che
non va, tu mi fermerai.»
Annuisce sbadatamente,
mentre già mi sta baciando il collo e io sto perdendo di
nuovo la connessione con la mia rete neurale.
«Porc…
Sapevo dall’inizio che sarei impazzito per te.»
Solo la mia parte bruta
sa quanto vorrei chiederle di non fermare la sua corsa mentre con i
baci scende verso il mio ventre, di non fermarsi arrivata ai jeans, di
slacciarli in fretta e iniziare a fare l’amore immediatamente
perché il desiderio di lei mi sta distruggendo. Non lo
faccio e non mento se dico che non mi pesa. Voglio solo che lei stia
bene.
Mi da un nuovo bacio
sulle labbra, poi si ferma a guardarmi negli occhi. Nonostante la fioca
illuminazione stavolta non ho dubbi che sia arrossita, mentre la vedo
mordersi le guance.
«Che
c’è, bimba?» Non so perché
l’ho chiamata così, forse perché in
questo momento lo sembra un po’.
«Prima di
andare avanti, credo che ci sia una cosa che devo dirti.»
Le do un bacio sul naso.
Chiamo a raccolta tutta la mia buona volontà per placare il
desiderio e non farmi influenzare dal fatto che sia in un letto semi
nuda con me… e voglia parlare proprio adesso.
«Ti
ascolto.» Sorrido.
«So che magari
non ti sembrerà il momento più appropriato,
ma...» si morde ancora le guance.
«Ram, se
c’è qualsiasi cosa che ho fatto che non ti
è andata a genio, dimmelo. Io voglio solo che tu stia
bene.»
«Lo so, certo.
Proprio per questo devo dirtelo. Non hai fatto niente che non va, ma
è necessario che tu sappia una cosa e te l’ho
tenuto nascosto fin troppo visto...» si guarda intorno e crea
un piccolo circolo in aria tenendo l’indice teso, indicando
il perimetro della stanza «...la situazione in cui mi sono
decisa a dirtelo.»
«Credo che sia
tardi per dirmi che in realtà sei un uomo.» Cerco
di buttarla sul ridere, ma il suo discorso mi sta facendo un
po’ spaventare davvero.
Ride, ci sono riuscito.
Mi da un veloce bacio all’angolo delle labbra.
«Sono una
donna, non preoccuparti. Solo che… so che può
sembrare strano, ma... sono ancora vergine.»
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