Occhi di fiume
OCCHI DI FIUME
Accettò il caffè.
Accettò senza immaginare.
Accettò senza poter prevedere le mani rapide che gli
avrebbero slacciato il cappotto e tirata via la maglia.
Accettò senza poter impedire di ritrovarsela addosso, su
quel
letto sfatto e ingombro, urgente e decisa, come una scadenza fissata da
tempo, prendersi tutto quello che voleva, senza nessuna tenerezza.
Quando alla fine si alzò, nuda, non gli rivolse neanche una
parola. Afferrò il maglione e lo infilò.
Frugò nel
cassetto del comodino, trovò una sigaretta e un accendino,
lo usò, chiudendosi alle spalle la porta del
bagno.
L'uomo capì immediatamente cosa fare. Non c'era bisogno che
si dicessero alcunché.
Quando la ragazza uscì, la stanza era vuota. Se n'era
andato.
C'erano dei soldi, sul comodino, sotto alla lampada, e un pezzo di
carta, scritto a matita: "Per l'affitto". Sul retro, un poco storto, un
numero di cellulare.
Non si aspettava quella chiamata.
Era a lavoro, in ufficio. Il collega Paolo era appena rientrato dalla
riunione con gli architetti e l'impresario.
- La prossima volta vai tu,
Damiano, perchè io proprio non li reggo -,
sbuffò,
gettando sul tavolo gli incartamenti di una mattinata di incontri,
mentre il telefono aveva iniziato a vibrare cupo sulla scrivania.
Paolo lo vide esitare. - Beh, perchè non rispondi? - lo
incalzò.
L'altro rispose con un mezzo sorriso di circostanza: - No, non
è importante. Richiamerà. Adesso raccontami come
è andata -.
Per pranzo Damiano disse di avere un impegno. La telefonata di
prima, doveva vedere una persona. Paolo non chiese nulla. Lo
conosceva da troppo tempo per fare domande. E poi si sarebbero rivisti
in ufficio, tra neanche un'ora.
L'amica di Sara lo aspettava, come d'accordo, fuori dal piccolo
Bistrot.
Era la ragazza di quella sera lungo la strada, di notte. Era anche la
ragazza con cui Sara divideva l'appartamento dell'anziana affittuaria.
Aveva il viso ancora segnato dal lutto, la pelle tesa.
- Ciao Elisa -.
- Ciao, Dami. Non ho molta fame, ma qui si sta al caldo e si
può parlare -.
Aveva parlato velocemente, le mani nervose nascoste nell'incavo delle
braccia.
L'uomo annuì, le aprì la porta. La scelta cadde
su un
piccolo
tavolo ad angolo. Una cameriera aveva già appoggiato due
menu sorridendo.
Damiano sorrise a sua volta, porgendone uno alla ragazza, sapendo
bene che non erano lì per consumare alcunché.
- Hai letto il giornale di oggi? -, la sentì esordire,
sganciandosi la zip della giacca.
- Solo di sfuggita -.
La
ragazza si guardò
intorno. Era pieno di gente, avrebbero potuto parlare senza che nessuno
si accorgesse di loro. Ne sembrò rincuorata, e
proseguì.
- Tu devi dirmi che ci faceva
Sara in quel fiume,
perché io non
me ne faccio ancora una ragione -. Lo fissò
con occhi
improvvisamente liquidi, senza tuttavia liberare neanche una lacrima.
Le labbra erano un'unica
linea di matita rosso scuro, tanto erano tirate nello sforzo
di
controllare l'emozione che sembrava voler spazzare via quel
viso
da un
momento all'altro.
Il fiume... il giornale titolava a caratteri grossi come
lividi che i
vestiti della ragazza non erano stati ritrovati. Che non c'erano ancora
cause certe per quel decesso. Che gli inquirenti non escludevano
nessuna
ipotesi. Nessuna.
Giornalisti con la bava alla bocca aggrappati a un fatto di cronaca
terribile come non accadeva da anni in quella tranquilla
città di provincia.
- Non era stata con me quella domenica. Non ci eravamo visti. Non come
al solito -.
Elisa sprofondò la fronte tra le mani.
- C'è una cosa che non ho mai sopportato di te -,
annunciò, quando il volto riemerse dalle dita che lo avevano
nascosto fino a qualche istante prima, - ed è questa tua
calma
del cazzo -.
L'uomo non si scompose.
- Sì, proprio questa. Questo tuo restare impassibile,
solido,
come se nulla ti sfiorasse, mai. Te ne vai in giro con questa tua bella
faccia perbene, e intanto Sara è morta.
Tu te la scopavi di brutto, e lei è morta. Forse l'amavi,
forse
no, e lei è morta
-. La voce incrinata in un crescendo drammatico, senza cedere.
- Elisa... -.
La ragazza gli rovesciò addosso uno sguardo denso come la
pece.
- Elisa... io non c'entro con la sua... con... -.
Non riuscì a finire la frase, perché la ragazza
si era alzata dal
tavolo e se n'era andata. Non avrebbe proprio potuto udire
quelle parole. Non
da lui.
L'uomo restò qualche minuto in silenzio, fissando il posto
vuoto
di fronte, la sedia rimasta di traverso, la tovaglia increspata
nell'angolo in cui Elisa aveva puntato la mano per sollevarsi di scatto.
Questo tuo restare
impassibile, solido, come se nulla ti sfiorasse mai.
Si sporse con il busto per raddrizzare la sedia. Lisciò con
una
mano la tovaglia a quadrettini bianchi e blu, tirandola leggermente
dall'angolo opposto. Prese il menu, lo apri.
Te ne vai in giro con questa tua bella
faccia perbene, e intanto Sara è morta.
Fece finta di leggere la lista
di portate e prezzi, in un bel carattere corsivo, sulla carta spessa,
color ghiaccio.
Forse l'amavi, forse
no, e lei è morta.
Fece un cenno alla cameriera,
quando si accorse che guardava nella sua direzione, con quel bel viso
solare e il grembiulino bianco. E ordinò.
- Come fai a essere sempre così calmo? -, gli aveva chiesto
Sara una volta.
- Io non sono un tipo calmo -, aveva ribattuto Damiano sorridendo. -
Cosa te lo fa credere? -.
- Quello che vedo. Potrebbe venirti addosso una montagna e tu non ti
sposteresti di un centimetro -.
- Beh, allora, più che essere un tipo calmo,
sarei un tipo
idiota -.
La ragazza era scoppiata a ridere. Rideva ancora, mentre lui aveva
iniziato ad accarezzarle il viso, con le nocche.
- Mi piace quando mi accarezzi così -.
- Così come? -.
- Così come se avessi paura di farmi male. Così,
come se
fossi una cosa preziosa-.
- Lo sei -.
Lo pensava veramente.
- Tu sei
preziosa. Neanche te
ne accorgi di quanto sei bella. Della forza che hai. Dell'entusiasmo
che trasmetti con quel modo tuo di guardare le cose, o di come splendi
tutta
quando qualcosa che ti appassiona -.
La ragazza aveva continuato a guardarlo, l'aria un po' sospettosa, o
semplicemente incredula, come chi sta ascoltando una storia
che
non gli appartiene.
Gliel'aveva un po' abbozzata, la sua vita complicata. A pezzi, a
sguardi, a mezze
frasi, buttate là, come sassi contro un vetro,
a fare
rumore,
impressionarlo. E invece lui era rimasto. Ed era tornato, ogni
volta. Ogni volta aveva ascoltato, accolto, ciò che lei
tirava
fuori, quasi a caso, come da un cappello magico rotto. Si era
lasciato colpire da quei sassi, ma non frantumare, mai.
- Non c'è niente di così terribile che non si
possa sistemare -, le diceva.
Neanche un padre alcolizzato che per poco non aveva mandato all'altro
mondo sua madre.
Neanche un fratello perduto lungo la vita, o i soldi che non c'erano
mai.
E così le raccontava della depressione in cui era caduta la
moglie dopo la prima gravidanza. Di quel neonato che non dormiva mai,
del latte che non riusciva a saziarlo né a crescerlo a
sufficienza, delle nottate a vegliare il
piccolo e poi la madre, in lacrime. Di come la sentisse lontana,
assente, spersa in qualche baratro da cui non riusciva a risalire. Di
come lavorasse da casa pur di
stare loro vicino, e di come, a un certo punto, avessero intravisto
l'uscita da quel tunnel
infinito. Ne portava appuntato addosso l'orgoglio, quasi fosse una
mostrina al valor militare. Lentamente,
sottolineava, che in queste cose ci vuole tempo e pazienza,
come in battaglia, ma la vittoria sul buio si era fatta via via
più reale, la paura si era allontanata, si era fatta
piccola, gestibile, e poi infine fosse scomparsa.
Le era stato a fianco, l'aveva sostenuta, era stato
presente. Non si era arreso, lui. Neanche di fronte alle ricadute, che,
dicevano, erano normali in casi del genere.
E così intendeva fare con lei. Non aveva nulla da temere.
Nulla.
Il destino aveva voluto che quella sera incontrasse quelle due
ragazze lungo la strada. Al destino ci credeva.
Doveva esistere un perché per tutto ciò che
accadeva
nella vita.
In fondo, quando credi, ciò in cui credi diventa vero.
- Oggi in Facoltà è venuta la polizia -.
Maurizio continuò a masticare con gusto la pasta che la
madre
gli aveva messo nel piatto. Infilò con la forchetta quei
rigatoni che colavano sugo da ogni parte, abbassando la testa
per non
sporcarsi, l'altro gomito ben poggiato sul tavolo, e poi
alzò
gli occhi verso il padre, che la pasta, di sera, non la mangiava mai.
- Mh -. Damiano non riuscì a dire altro.
- Credo per acquisire dei dati su quella ragazza e fare qualche domanda
-.
- E
perché direttamente in Facoltà e non in
Questura? -.
Maurizio rimase con la forchetta sospesa tra il piatto e la bocca.
- E io che ne so? -
Il padre sorrise.
- Sei tu l'esperto di tutti quei serial polizieschi, no? -,
svicolò con stile.
- Già. Tu sei fermo all'ispettore Colombo, invece -,
ridacchiò.
- Non era un ispettore. Era un tenente.
Ce lo avrei proprio visto capitare all'Università a fare
domande, vi sareste divertiti. Ma oggigiorno... -.
- Magari hanno avuto una soffiata -, proseguì il ragazzo
raschiando il fondo della ceramica, fino a farlo tornare bianco.
- Su cosa ... ? -
- Sulla droga che circola all'Università -.
- Voglio che tu sia onesto con me. Non chiedo molto, voglio
che tu sia onesto con me -.
Erano andati a fare un passeggiata lungo l'argine, a primavera. Non
c'era quasi nessuno a quell'ora. Un paio di biciclette li superò,
da un
cestino sbucò un cagnolino scuro, il muso dritto. Sara lo
seguì con lo sguardo, mormorò qualcosa.
Il verde era fresco, rinnovato dalle prime piogge tiepide. Se
l'occhio si spingeva tutto intorno poteva abbracciare la periferia
della città, e il cielo sgombro, appeso, là
sopra. Poche
nuvole sfilacciate e mobili, trafitte dal
vento, parevano
attraversate da una incerta, umana inquietudine.
- Sì -, mormorò l'uomo.
Lei allungò il passo, sembrò scrutare
l'orizzonte, o forse era semplicemente altrove, inafferrabile a quel
punto.
Il fiume scorreva al suo posto, nell'incredibile prodigio di sembrare
fermo.
- Tu non sei nata qui -, le disse. - Eppure hai qualcosa di questo
fiume e di questo paesaggio -. Quel qualcosa di indecifrabile che hanno
le cose quando stanno ferme troppo a lungo.
- Devi essere onesto con me -, ripeté.
- Sì -, ripeté con lei.
Non chiese altro.
Gli parve che sorridesse. Che per un istante quei grandi occhi verdi si
fondessero con la tinta dei campi, che frusciassero, al pari delle
canne smosse, una melodia d'altri mondi.
Forse era solo il suo cuore di uomo. Il suo cuore che batteva un ritmo
non solo suo, non del tutto suo. Come se avesse rubato qualcosa a un
altro petto, di nascosto, e nel silenzio li si potesse sentire ancora,
entrambi.
La ragazza gli s'accostò d'un tratto. Gli sollevò
una manica, si nascose nel suo abbraccio.
- Tienimi qui -.
- Ti tengo -, sorrise, anche se qualcosa di scuro gli
attraversò gli occhi. - Non ti lascio andare da nessuna
parte senza di me -.
Fu appena un soffio: -Sì -. Mentiva.
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Grazie di cuore a chi c'è, legge, commenta, segue,
preferisce, ricorda... Grazie di cuore a chi in silenzio mi accompagna.
Un abbraccio
Amantea
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